È terminata da poco la diretta radiofonica dell’Elisir veneziano.
Recita accolta da applausi deliranti. Concentrati peraltro dopo le arie dell’ultimo quadro del secondo atto. Ed accompagnati da martellanti richieste di bis. Puntualmente onorate da tenore e soprano.
Smaltiti i fumi dell’effimero entusiasmo, ci chiediamo quanto segue:
a) che senso abbia proporre, come ha fatto Desirée Rancatore, un rondò finale fitto delle più assurde variazioni liberty (tali da rendere una Miliza Korjus, al paragone, un modello di sobrietà e gusto musicale), quando poi del suddetto rondò si offra una versione monca della parte conclusiva (corrispondente alla rinnovata salita al la bem 4 e alle successive terzine). Similmente risulta incomprensibile la scelta di sopprimere le ultime battute della stretta al duetto con Dulcamara (riducendo la coda di fatto a un assolo del buffo) solo per preparare una puntatura, anche questa di gusto assai dubbio, al mi sovracuto. Questo per quanto riguarda la musicista e l’interprete. Il livello dell’esecutrice lo conosciamo e non da oggi. Voce di perfetta acidità in tutta la gamma, esibisce alla sortita un centro artificiosamente gonfio (attacco “Della crudele Isotta” sul si centrale), al duetto con il tenore e più ancora al finale primo un’ottava bassa intubata (“pesar le sentirà” con discesa al do sotto il rigo) e per tutta la sera un registro acuto e sovracuto che non ha la consistenza del cristallo, consistenza puntualmente evocata dai numerosi ammiratori della diva, bensì quella del vetro.
b) Restiamo perplessi, e anche qui non per la prima volta, di fronte alla prova di Celso Albelo, che nonostante la voce sempre di bel colore e sufficiente volume (almeno per il repertorio di mezzo carattere) esibisce fin dalla cavatina marcate nasalità e penose stonature in zona do-mi centrale, ovvero la zona che prepara il secondo passaggio di registro. E come puntualmente avviene in questi casi, gli acuti sono risolti “di natura” (cioè con sforzo) solo nel primo atto, perché nel secondo (e segnatamente dal duetto con Belcore, con la puntatura al do di “Dulcamara volo tosto a ricercar”) iniziano i problemi. Problemi che proseguono e si sostanziano alla “Furtiva lagrima”, condita da suoni bianchicci e malfermi, spacciati per mezzevoci. Vittoriosamente, a giudicare dalla reazione del pubblico lagunare.
c) Altro e maggiore imbarazzo suscita il Belcore di Roberto de Candia, per il quale il teatro di prosa sembra lo sbocco più conveniente, in questa fase della carriera. La voce è legnosa, e fin qui non ci sarebbe nulla di bizzarro, visti anche i campioni della corda baritonale attualmente in attività. Così come non stupiscono i suoni chiocci con cui sono risolte le agilità della sortita. Ma l’accento perennemente torvo e zotico, da autentico villain da circo, nuoce alla parte più di tutto il resto.
d) Ciò premesso non appare curioso che Bruno de Simone, non esattamente un virtuoso del canto, e anzi sempre sull’orlo della declamazione fortunosamente intonata, risulti in simile contesto non solo il più corretto sotto il profilo vocale, ma il più misurato ed espressivo del quartetto solistico. E questo benché le caccole di tradizione, parlati in primis, siano tutte presenti all’appello.
e) Matteo Beltrami, sul podio di una difficilmente riconoscibile orchestra del teatro veneziano (in formazione ridotta, o almeno così è parso di cogliere), ha diretto con scarso brio e più di uno sfasamento tra buca e palco (segnatamente al finale primo e al quartetto del secondo atto). Davvero convincente solo il tempo, bello rapido, staccato al rondò di Adina.
f) Un’ultima perplessità riserviamo ai cronisti di mamma Rai, che hanno commentato il doppio bis, e la serata nel suo complesso, parlando di (parafraso) evento eccezionale nel panorama del teatro d’opera in Italia. Eppure Parma è in Italia, o almeno così ricordavamo.
g) Ma davvero non c’era, nel coro della Fenice, una voce più presentabile della deputata Giannetta, che si è pure tolta il discutibile sfizio di numero due puntature nell’introduzione al primo atto?
Recita accolta da applausi deliranti. Concentrati peraltro dopo le arie dell’ultimo quadro del secondo atto. Ed accompagnati da martellanti richieste di bis. Puntualmente onorate da tenore e soprano.
Smaltiti i fumi dell’effimero entusiasmo, ci chiediamo quanto segue:
a) che senso abbia proporre, come ha fatto Desirée Rancatore, un rondò finale fitto delle più assurde variazioni liberty (tali da rendere una Miliza Korjus, al paragone, un modello di sobrietà e gusto musicale), quando poi del suddetto rondò si offra una versione monca della parte conclusiva (corrispondente alla rinnovata salita al la bem 4 e alle successive terzine). Similmente risulta incomprensibile la scelta di sopprimere le ultime battute della stretta al duetto con Dulcamara (riducendo la coda di fatto a un assolo del buffo) solo per preparare una puntatura, anche questa di gusto assai dubbio, al mi sovracuto. Questo per quanto riguarda la musicista e l’interprete. Il livello dell’esecutrice lo conosciamo e non da oggi. Voce di perfetta acidità in tutta la gamma, esibisce alla sortita un centro artificiosamente gonfio (attacco “Della crudele Isotta” sul si centrale), al duetto con il tenore e più ancora al finale primo un’ottava bassa intubata (“pesar le sentirà” con discesa al do sotto il rigo) e per tutta la sera un registro acuto e sovracuto che non ha la consistenza del cristallo, consistenza puntualmente evocata dai numerosi ammiratori della diva, bensì quella del vetro.
b) Restiamo perplessi, e anche qui non per la prima volta, di fronte alla prova di Celso Albelo, che nonostante la voce sempre di bel colore e sufficiente volume (almeno per il repertorio di mezzo carattere) esibisce fin dalla cavatina marcate nasalità e penose stonature in zona do-mi centrale, ovvero la zona che prepara il secondo passaggio di registro. E come puntualmente avviene in questi casi, gli acuti sono risolti “di natura” (cioè con sforzo) solo nel primo atto, perché nel secondo (e segnatamente dal duetto con Belcore, con la puntatura al do di “Dulcamara volo tosto a ricercar”) iniziano i problemi. Problemi che proseguono e si sostanziano alla “Furtiva lagrima”, condita da suoni bianchicci e malfermi, spacciati per mezzevoci. Vittoriosamente, a giudicare dalla reazione del pubblico lagunare.
c) Altro e maggiore imbarazzo suscita il Belcore di Roberto de Candia, per il quale il teatro di prosa sembra lo sbocco più conveniente, in questa fase della carriera. La voce è legnosa, e fin qui non ci sarebbe nulla di bizzarro, visti anche i campioni della corda baritonale attualmente in attività. Così come non stupiscono i suoni chiocci con cui sono risolte le agilità della sortita. Ma l’accento perennemente torvo e zotico, da autentico villain da circo, nuoce alla parte più di tutto il resto.
d) Ciò premesso non appare curioso che Bruno de Simone, non esattamente un virtuoso del canto, e anzi sempre sull’orlo della declamazione fortunosamente intonata, risulti in simile contesto non solo il più corretto sotto il profilo vocale, ma il più misurato ed espressivo del quartetto solistico. E questo benché le caccole di tradizione, parlati in primis, siano tutte presenti all’appello.
e) Matteo Beltrami, sul podio di una difficilmente riconoscibile orchestra del teatro veneziano (in formazione ridotta, o almeno così è parso di cogliere), ha diretto con scarso brio e più di uno sfasamento tra buca e palco (segnatamente al finale primo e al quartetto del secondo atto). Davvero convincente solo il tempo, bello rapido, staccato al rondò di Adina.
f) Un’ultima perplessità riserviamo ai cronisti di mamma Rai, che hanno commentato il doppio bis, e la serata nel suo complesso, parlando di (parafraso) evento eccezionale nel panorama del teatro d’opera in Italia. Eppure Parma è in Italia, o almeno così ricordavamo.
g) Ma davvero non c’era, nel coro della Fenice, una voce più presentabile della deputata Giannetta, che si è pure tolta il discutibile sfizio di numero due puntature nell’introduzione al primo atto?
Donizetti – L’elisir d’amore
Atto I
Chiedi all’aura lusinghiera – María Galvany & Aristodemo Giorgini (1906)
davanti a un pubblico delirante e desideroso di bis,e non si accorge dei trucchetti,bisognerebbe all'inizio della recita fare un oretta di vecchi ascolti,dopo quando le orecchie sono tarate inziare la recita,dubito che cadino in delirio per questo Elisir veneziano,comunque come ho scritto tante altre volte c'è il pubblico "normale" e il melomane,è il melomane non va in delirio con questa recita
posto questo video proposto da Marianne in chat con la Carteri e Alva
veramente bello!
http://www.youtube.com/watch?v=KdrnQxo1wV4
Veramente un´esperienza singolare, sentire un Elisir versione cartone animato. Sì perchè, stando alla diretta radio, Adina, Nemorino e Belcore erano interpretati da Betty Boop, Paperino e Daffy Duck
Caro Antonio, ero presente alla serata di venerdì e dalla radio non tutto è stato ben trasferito, immagino. Albelo non è certo Kraus, ma nemmeno Villanzon! Attualmente, e finchè gli anni e l' usura di una voce non ben controllata lo consentiranno, è il miglior leggero in circolazione. Spara gli acuti ma per ora sono intonati e bei limpidi, non canta in maschera, ma fraseggia bene, con stile, ha una voce calda che sa ben distendere, usa il falsettone, non il falsetto, ma con gusto e moderazione. Caro Antonio, dall' alto della tua competenza, non puoi non tralasciare che alcune voci naturali possano "cantare" bene nonostante non siano in possesso di una perfetta disposizione tecnica. Albelo è un Nemorino dalla voce melodiosa, calda, e non da evirato, non perfetto, ma trascinante in teatro. Rancatore: beh, è a tutti noi nota, con i suoi limiti che non sto ad elencare, ma anche con i suoi pregi. Amo Bette Boop, ma non i troppi sopranini che vengono dall' Inghilterra, dalle russie, dall' est e dal lontano oriente. Viva la nostra piccola Rancatore, che canta quello che sa cantare, vocina piccola, ma svettante, certo, non è nemmeno la Pizzo,ma in questo panorama generale ci dà l' idea almeno di come si debba cantare, anche se ci riesce in parte. Eppoi, mica mi diventerai un filologo-baroccaro, bene ha fatto a ridurre alle sue possibilità il rondò finale, meglio poco che niente, meglio il meglio che il peggio. Non dimenticare la sua personalità che a teatro serve e si trasmette, e che aiuta a costruire il personaggio.
Zanetto
Caro Zanetto/igor, non mi è chiaro come faccia un cantante dalla voce non controllata e non in maschera a fraseggiare bene, visto che non sa adoperare i ferri del mestiere. Sarebbe come dire che Raffaello dipinge benissimo, pur non sapendo dipingere. Quanto al falsettone, basta un ascolto a caso di Jadlowker per capire che cosa sia e quale perizia tecnica richieda.
La personalità della Rancatore e il suo modo di stare in scena li conosco bene, e non sono certo tali da supplire alle lacune del canto. Anzi.
ma perchè avete da dire solo ed esclusivamente cattiverie?????????? e poi abbiate il coraggio delle Vs. responsabilità e mostratevi invece dii nascondervi dietro dei finti pseudomini
Caro/a Rainon69: quella che tu chiami "cattiveria", è solo libertà di critica. Capisco che in un momento di pensiero anestetizzato dal consenso (in tutti i campi), possa suscitare meraviglia, stupore, contestazione un voce libera che sottopone ai sui lettori una proposta di critica (fatta attraverso certi strumenti). Puoi condividerla o no, liberissimo…ma non è corretto spostare il giudizio critico su criteri morali (bontà/cattiveria o bene/male o amore/odio)… Altra cosa sarebbe invece criticare la recensione per motivi concreti (e legittimi), come concreti e precisi sono sono i dati evidenziati da Tamburini. Attendo dunque di poter pubblicare le tue valutazioni in merito (come vedi non vi è alcuna censura, salvo per l'ingiuria).
Ps: non vedo, da parte tua (e lo dico senza malizia, giacché non contesto affatto questa scelta) un comportamento differente da quel che ci imputi…non credo tu ti sia firmato per esteso.