Pesaro atto secondo: Mosè dal vivo. Tutta colpa di Sigrid Onegin.

E’ stata una serata deludente, depressiva e che rende plausibili e giustificati i paventati tagli ai finanziamenti per la cultura.

Tagli giustificati perché ieri sera piangeva e gemeva come il desolato Egitto la cultura in nome della quale è stato ammannito al pubblico, in parte soddisfatto, un terribile pastone. Scenico, filologico e vocale.



Pastone scenico che, a sentire la critica sempre più disinformata e superficiale, è stato il motivo della bagarre consumatasi fra secondo e terzo atto, rappresentati in uno, ha voluto attribuire all’insoddisfazione e riprovazione del festival. Chiariamo: da sempre l’allestimento si contesta alla fine e non a metà spettacolo. Tradizione ben nota a quelli che sono stati falsamente indicati come contestatori, prodigiosamente moltiplicatisi alla fine dello spettacolo all’uscita di Vick e collaboratori. Il pubblico ha pazientemente sopportato uno spettacolo, che brillava solo per incongruenza, trovata fastidiose, inutili ed antimusicali. Citarle tutte è impossibile. Deve l’ascoltatore radiofonico immaginare la scena ingombra dalla sezione di un’abitazione di un maggiorente arabo con pacchiano lusso alberghiero, attorniata dalla solita fatiscente e bombardata periferia palestinese, dove in vena di cultura fusion (dopo la cucina arriva anche quella) si aggirano poveracci, che sono palestinesi, ma che sono anche ebrei, che da palestinesi si trasformano in kamikaze. I responsabili della parte visiva hanno disseminato il tutto di caccole tipo donne delle pulizie provviste di spazzoloni e detersivi spray, Elcia, che, cantando il duettino con Amenofi confeziona una bomba, sempre Elcia mina il trono di Faraone, la luce richiamata da Mosè è la discesa di un provincialissimo lampadario, e poi gli schiavi costretti a camminare more ferarum, mentre viene eseguita musica che richiama il genere sacro, che esibisce inventiva musicale irripetibile, che strabilia per scienza contrappuntistica. Nulla più confligge della musica rossiniana con una rappresentazione realistica.

Mi domando, poi, se regista e scenografo abbiamo realizzato l’involontario comico delle corde sul pagliericcio dove si rifugiano i fuggiaschi Osiride ed Elcia che congiunto alla parole del testo richiama l’ipotesi di una seduta di giochi erotici, o più sinistri scenari da snuff movie.

Tralasciamo, poi, che l’allestimento naufraghi miseramente davanti alla realizzazione del passaggio del mar Rosso, che diviene l’attraversamento del muro del pianto perfezionato dall’arrivo delle truppe americane.

Oltre queste incongruenza mi pongo una serie di domande ossia se i responsabili della parte visiva abbiamo riflettuto un istante sulla musica di Rossini e sul termine azione tragico sacra, sulla massima di rossiniana provenienza che l’opera è arte tutta ideale; se il pubblico, che in quanto italiano e di livello scolastico elevato e comunque tale da possedere quel minimo di cultura sulla storia del popolo ebraico e di cosiddetta dottrina della Chiesa Cattolica e ultimo, ma primo in ordine di importanza, se una simile scelta non nasca o da ignoranza crassa e provincialismo della dirigenza artistica o dallo scaltro pensiero che un allestimento “à la page” serva a sviare attenzione di pubblico e critica dalla autentica miseria della parte filologica e musicale.

Pastone filologico. Questa dobbiamo dirla è una documentata esclusiva e specialità del festival pesarese. E dopo i trasporti alla parte di Corinna nel Viaggio e l’invenzione (non nel senso giuridico) della versione di Parigi di Zelmira, che poi è stato svelato si conosce a pezzi, e non ab integro, quest’anno abbiamo avuto un Mosè in Egitto non in versione 1818, che non comprendeva la famosissima preghiera, ma la versione 18????…. che espunge l’aria apocrifa è vero, ma sempre eseguita di Mosè, espunge come nel 1819 l’aria di Amaltea ed inserisce la preghiera. Peccato per il pasticcere di turno che mai un simile pastone filogico abbia avuto documentata rappresentazione. E allora non vedo perché scandalizzarsi della Rosina soprano, o di una cantante, che nei panni di Amaltea imponga la versione, napoletana, diretta da Rossini e quindi autentica come e ben più del sangue di San Gennaro, di Rosmunda Pisaroni.

Fantascienza perché non ci sono i contralti per le opere scritte per contralti e non si può certo scialare ….

Ma intanto sotto la sigla Rossini anzi di filologia del festival viene servito un prodotto che in linea teorica si censura e per contro si offre. Perché….. perché basta sentire la Amaltea accattata dal festival per capire la strumentalità della spacciata scelta filologica.

Pastone vocale.

Contrariamente alla rumorosa Ermione di qualche anno fa ed alla modesta dDnna del lago parigina Roberto Abbado ha condotto l’opera con sicurezza e con tempi felici, anche se la sezione conclusiva del finale primo “Ah quale smania” e la sezione orchestrale dell’attraverso del mar Rosso e l’annegamento degli Egizi (qui trasformato in strage) erano piuttosto pesanti ed il suono orchestrale non brillava per levigatezza e rotondità.

Neanche il coro chiamato ad una parte protagonista (e non solo per l’esecuzione della famossima preghiera) brillava per precisione e qualità di suono. Prestazione migliore di quella offerta la sera prima con Adelaide.

Nessuno dei cantanti con l’eccezione di Alex Esposito nel ruolo di Faraone era sufficiente ed accettabile. Esposito non è un basso, la voce manca di armonici e di ampiezza anche se Farone è più un baritono che un basso, il legato è limitato, per un uso della respirazione che non coincide con quello della tradizione italiana (bastava vedere da vicino il cantante nella scena finale), ma rispetto al resto della compagnia è la reincarnazione di Filippo Galli.

Modestissimo Riccardo Zanellato, privato dell’aria di Mosè, privo di ampiezza, legato e nobiltà. Basta sentire l’ingresso “quel Mose che chiedesti” buttato lì come una frasetta centrale di un comprimario e non come l’ingresso del profeta del capo politico, ossia del protagonista dell’opera, la voce stimbrata ed afona appena la scrittura sale come accade ad esempio nell’invocazione “la somma Tua bontà”.

Giusta al di là dello svarione filologico, la scelta di tagliare l’aria di Amaltea, le frasi della scena delle tenebre, l’urlo sul do del “voci di giubilo”, gli interventi nel quartetto “mi manca la voce” sono anche troppo per la dote vocale della signora Senderskaya.

Eppure la medesima canta Matilde del Tell e Semiramide, sotto la guida di Alberto Zedda.

Altre gravissime carenze ha palesato il tenore cinese Yijie Shi (una colonna del festival diciamo usando il linguaggio dei programmi di sala e dei commentatori Rai, atteso che ha qui cantato Ory come protagonista, Demetrio dell’omonimo titolo e Belfiore nel Viaggio accademico) nel ruolo di Aronne, dal timbro bianco e squittente inuna parte che ho deve eseguire in zona centrale recitativi accompagnati o partecipare ai concertati dove, però ha la sua ben precisa linea vocale e spesso “tira” il concertato coma accade nella prima parte del “celeste man placata” sino all’ingresso di Osiride.

Del pari limitato Dmitry Korchak nel ruolo protagonistico di Osiride, che sebbene privo di aria solistica ha una parte di grandissimo rilievo e pari difficoltà perché deve cantare d’agilità, declamare in zona acuta essere ora protervo ed irato (interventi del quintetto “celeste man placata” e seguente allegro “voci di giubilo”) ora tenero ed innamorato ( scena della fuga) solo che ira, protervia e dolcezze amorose mal si conciliano con un timbro acidulo e aspro e con agilità per nulla smaltate e squillanti.

Terzo tenore schierato dal Festival nel ruolo del mago Mambre, Enea Scala. Assomigliava a uno dei figli di Saddam Hussein. Cantava come gli altri due tenori.

Ma il vero punto negativo del cast è stata la protagonista femminile ovvero Sonia Ganassi quale Elcia. Che sia un mezzo o almeno una voce ambigua è falso. Era un soprano, che non sapeva cantare e faceva il mezzo con acuti ghermiti e agilità approssimative. Oggi è una voce da comprimaria, che accenna e grida. Nel dettaglio alla prima sezione del duetto con Osiride quando compaiono un paio di la ed un si nat sono state urla, sussurri alla sezione centrale del duetto “Non è ver che stringa il ciel” e di nuovo scomposte urla alla cabaletta, che ho il dubbio sia anche stata opportunamente scorciata. Al duettino con Amenofi, la Amenofi di turno (Chiara Amarù) aveva voce doppia per volume ed ampiezza e anche di miglior qualità di questa novella Isabella Colbran made in Pesaro. Quando Rossini mette in bocca all’innamorata Elcia frasi come “Rendi a me poter divino” durante la fuga e che nascevano dal desiderio ed esigenza di esaltare la bellezza del timbro e la rotondità di suono al centro della voce giudicata la “più perfetta”, sentiamo solo suoni mal fermi e bianchi senza alcun sostegno sul fiato. Il capolavoro è la grande scena conclusiva, che come tutte le scene tragiche pensate per la Colbran, deve esaltare la versatilità dell’interprete nel genere declamato, patetico e agitato (che comporta l’esecuzione delle agilità di forza). Abbiamo sentito volume limitatissimo, farfugliamenti e scarso legato alla sezione patetica “porgi la destra amata”, la cui linea musicale era difficile riconoscere e serie difficoltà alla stretta dove le due scale conclusive, figura ornamentale che doveva essere particolarmente propizia alla Colbran, sono state pasticciate e concluse con due si nat ghermiti e gridati, dopo che le variazioni del da capo della cabaletta “smanie tormenti e affanni” avevano ridotto la scrittura vocale circa a una quinta. Alla prestazione vocale è seguita la reazione del pubblico. Spacciata per contestazione politica all’allestimento. Falso. I fischi hanno un solo autentico responsabile già citato nel titolo, frau Sigrid Onegin. Chi la ascoltasse non può non comprendere il fondamento della contestazione.

Gli ascolti

Rossini – Mosé in Egitto

Atto I

Ah, se puoi così lasciarmiRockwell Blake & Cecilia Gasdia (1983)

Atto II

Parlar, spiegar, non possoRockwell Blake & Simone Alaimo (1983)

La pace mia smarrita Barbara Daniels (1981), Daniela Dessì (1983)

Tu di ceppi mi aggravi la mano?Ruggero Raimondi (1981)

Porgi la destra amata Elizabeth Connell (1981), Anna Caterina Antonacci (1994), Cecilia Gasdia (2000), Sonia Ganassi (2011)

28 pensieri su “Pesaro atto secondo: Mosè dal vivo. Tutta colpa di Sigrid Onegin.

  1. Riflessione di carattere generale. Se nei cast mettessero gente che canta invece di fare sfilate di palestrati col bel culo, forse non ci sarebbe motivo di fischiare. Ormai anche nei teatri che un tempo erano i templi delle musica, si assiste a "non opere", colpa di registi tuttofare che fanno audizioni nelle palestre di Milano e scelgono a seconda del lato B migliore. Si può andare avanti così?

  2. Una piccola annotazione da maestrino. In latino "ab integro" non significa "nella sua integralità". E' semplicemente un'espressione avverbiale che significa "di nuovo". Ma perché fare uso del latino, se non se ne ha la più pallida idea?
    Marco Ninci

  3. caro Ninci, rammento in primis a me stesso che il latino non è solo la lingua di Cicerone ma anche di Ulpiano e Papiniano. la lettua dell'Epitome Gai è veramente interessante. a quell'epoca i maestri di scuola sapevano veramente fare il loro mestiere.

  4. Cmq la risposta e' no. Pero' quell'energumeno che a Parma ha gridato al sorprano Fantini: Vai a cantar Gioconda!! E' un fan amicissimo della Ganassi di cui posso fare nome e cognome. Personalmente ritengo che abbia cantato assai peggio la Ganassi della Fantini, anzi che delle due cantanti sia meglio la seconda che ha avuto il buon gusto di gridare in Verdi e non nel belcanto, con la voce e non senza, e di non essere indicata a vanvera come la nuova Colbran o roba simile. A Parma nessuno scandalo, la Fantini si poteva insultare, ala Ganassi non si può; dire niente? Mi spiegate il perchè;??

  5. Veramente il tifo non mi interessa: non sono in grado di seguire le sue digressioni. Un energumeno ha urlato 'vergogna' rubando il tempo dopo la Ganassi e sulla coda dell'orchestra.
    Che la Ganassi cantasse bene o male mi sembra irrilevante di fronte a tali furbate prepotenti. Avesse aspettato 10 secondi era tutto ok, ma la furbata gli è sembrata troppo ghiotta, poveretto.

  6. "e l’invenzione (non nel senso giuridico) della versione di Parigi di Zelmira, che poi è stato svelato si conosce a pezzi, e non ab integro" potreste, per favore, chiarirmi questo punto? Grazie.

  7. Signor Ory,

    vorrei sapere, Lei si sarebbe ugualmente scandalizzato se "l'energumeno" avesse urlato "Bravo!" ad esecuzione ancora in corso?
    Poi, perché fare finta di come se si tratasse della coda di un Liebestod? Quando alla fine dell'aria "Cingi la benda candida" di Adelaide il pubblico entusiasmato urlò ad esecuzione ancora in corso – rimaneva proprio l'ultima battuta – quello non era frenesia e mancanza di rispetto per la musica?
    E alla fine, Lei non ha sentito, come già detto da Mancini, l'energumena che ha urlato e sussurato la sua parte musicale con un'impressionante assiduità durante l'intera opera?
    Che strana sensibilità uditiva che hanno certi melomani (se in questo caso di quali si tratta, ovviamente).

  8. Mi scusi, Signor Ory, di che discussione stiamo parlando? Non mi risulta che Lei abbia posto qualche problema musicale per discuterlo. L'unica cosa che Lei voleva sapere si limitava al livello di pazzia della persona che ha espresso la sua profonda indignazione per la prestazione "vocale" della Colbran rediviva.
    Se Lei legge le discussioni musicali chehanno luogo nei commenti del blog, credo che avrà anche notato che discutiamo sempre con interesse e argumentazione.

  9. "Questo è stato il mio terzo tentativo nel corso del tempo di partecipare ad una vostra discussione.Preso atto del tono dominante, mi congedo con rammarico."

    Semmai questo è il tuo terzo tentativo di sviare l'attenzione su questioni gossippare da squallido claqueur, indegne di un pubblico di veri appassionati. Ti congedi con rammarico? Meno male, senza nessun rammarico.

  10. Vorrei dire due parole sugli ascolti scelti a commento di questa penosa serata pesarese, soprattutto per quanto concerne il rondò a chiusa dell'atto secondo affidato ad Elcia. Chiunque avesse dubbi sulla vergogna andata in scena a Pesaro una volta di più potrebbe senza problema confrontare l'esecuzione della novella Colbran Sonia Ganassi a quella delle colleghe che in passato si sono cimentate col titolo. Volutamente abbiamo omesso l'esecuzione di Gianna Rolandi perchè non vi era bisogno di cercare fra le file dei grandi rossiniani per trovare esecuzioni decenti e di migliore qualità rispetto a quanto offerto dalla signora Ganassi. Ecco dunque la scelta di Elizabeth Connell, meglio conosciuta come "interprete" wagneriana, capace di maggiore omogeneità di linea, di legato e di accento più composto della diva pesarese, del pari dicasi di Anna Caterina Antonacci, tutto fuorchè una fuoriclasse rossiniana, ma nondimeno più onesta nell'affrontare la drammaticità della scena senza scomporre la propria linea vocale in mille pezzi, e di Cecilia Gasdia, celebratissima Elcia pesarese anni 80 volutamente scelta in fine di carriera, ma capace di esibire ancora grande professionalità e serietà. Tutte queste signore che di solito non siamo certo citare come modelli di interpretazione belcantista offrono esecuzione più professionale della pagina proposta e di fatto migliore dell'ultima diva pesarese. A cui è mancata in tutta l'esecuzione capacità di cantare legato in qualsivoglia zona della voce, priva com'è ormai di omogeneità nella linea vocale, spezzata in più tronconi, di accentare in modo convincente o minimamente serio, improponibile soprattutto a riguardo l'effetto parlato della ripetizione di "E' spento il caro bene" (nemmeno Anna Caterina Antonacci, che pure non gode di una ottava bassa rigogliosa e sicura ha mai offerta tale spettacolo…e se si dovesse obiettare che era un effetto voluto dal regista rispondo che una Diva seria a certi obbrobri non si presta in nessun caso, specie se di Diva blasonata si tratta).

    La sera della rappresentazione in chat mi è stata rivolta la fatidica domanda "A chi si potrebbe far cantare Elcia oggi?". A questa domanda personalmente non saprei dare risposta se non quella semplice che non è obbligatorio mettere in scena un'opera monumentale senza gli interpreti. Ma anche se si volesse proporre il Mosè in Egitto a tutti i costi mi chiedo se la scelta di Sonia Ganassi fosse in effetti la migliore possibile, soprattutto alla luce di quanto questa ha esibito in una modestissima Elisabetta e in una Ermione ai minimi storici di decenza, rimanendo soltanto in ambito pesarese. Le riprovazioni del pubblico forse arrivano anche come estremo segno di insofferenza nei confronti di chi a questo pubblico ormai propone solo farse, non solo come genere ma in ogni ambito.

  11. "una serata deludente, depressiva e che rende plausibili e giustificati i paventati tagli ai finanziamenti per la cultura".

    Ma poveri noi, e poi di cosa vi riempirete la bocca ??
    Vi rendete conto di cio' che pubblicate ??

  12. Certo che ce ne rendiamo conto, caro gentleman. Meglio finanziare il ritorno delle Morositas nei tabaccai o la lotta alle alte maree. Ma non preoccuparti. E' solo un concetto un po' ostico per chi non riesce a cogliere il discrimine tra cultura e culturame. Nulla di grave. Solo di greve.

  13. Mi fanno molto sorridere questi commenti 😀
    Chiederei piuttosto al caro gentlemen se si rende conto egli stesso di ciò che ascolta e che gli fanno ascoltare e se ha qualcosa da dire in merito.

    Marianne Brandt

    P.S. Ah di argomenti con cui riempirci la bocca ne abbiamo molti e per molti anni… e tu?

  14. Ne ho molti anch'io, essendo marito di una violinista che ha suonato nell'opera in questione, ma vedrete che quando i teatri commissariati saranno i vostri, e i cantanti e musicisti se ne andranno a casa senza piu' stipendio, allora parleremo davvero di Morositas e di alte maree. Poco greve e molto grave.

  15. Caro Gentleman, da anni scriviamo e pensiamo apertamente alla tutela della qualita', della musica e dei musicisti. Crediamo in un teatro dove si smetta di sspendere per allestimenti inutili ed insignificanti come quello di Mose', in overdose di personale non necessario quando non si ha di che pagare quello che serve, come i musicisti. Gli allestimenti si possono riclare e si ha il dovere di fare musica migliore se si vuole che la gente venga a teatro e per riempire non si debbano svendere i biglietti come fa Bologna. Migliori caantanti fanno migliori spettacoli, che magari reggono anche la forma concertistica, come si faceva piu' spessso un tempo. Ma questa ricetta non piace, dei costosi luna park non si vuole e forse non si puo' piu' fare a meno, dato che pare che la buona musica passi di li'. Io a teatro a sentire un'opera benn cantata in concerto vi andrei volentieri,….la musica vale piu' di tutto, quella buona. Ma l'opera ha troppe inutilita' da mantenere di cui non vuole privarsi e troppe sperequazioni economiche…il risultato e' questo. Non credo che sara' l'accondiscenza verso un presunta cultura fatta di sprechi e di valori extramusicali che salvera' i teatri.

  16. Gentile Giulia,
    La invito a leggere la recensione che la sig.ra Moreni ha fatto del Mose' sul Sole 24 ore. Potrebbe aiutarla a rivedere quella frase da lei usata a proposito dell'allestimento "inutile e insignificante", proprio perche' indirizzata a far capire come questa regia-condivisibile o meno- abbia aiutato cantanti e direttore. Del resto credo che Pesaro sia in Italia una delle piu' belle realta' musicali, e lo spettacolo in questione degno di un qualsiasi festival internazionale, senza nessuna presunta accondiscendenza. Opinabile, ovvio,ma da me sentito come tale. Credo di essere in buona compagnia. E a proposito di compagnia, ci incontreremo presto a teatro a sentire opere in forma di concerto, non tema…
    La saluto caramente,augurandole che il Ciro in Babilonia del prossimo anno generi meno ingiustificato clamore. Greetings.

  17. caro signore la invito ad una riflessione elementare. rossini riteneva il melodramma arte ideale. L' allestimento prima che brutto ed inopportuno era realista ovvero contrario alla poetica del maestro, la cui opinione circa l' arte assai più importa delle opinioni della signora moreni. quanto a lei mi consenta un piccolo richiamo alla coerenza, stante la dicotomia fra i suoi interventi . Io difetto sento sentore di provocazione. E' solo un dubbio. Saluti domenico donzelli

  18. Sig. Donzelli, vorrei a questo punto un suo giudizio sul "Sigismondo" visto l'anno scorso sempre a Pesaro. Non era similmente realista, ambientato in un manicomio ? Mi sembra che l'allestimento abbia al contrario suscitato plausi da ogni parte. Davvero non capisco questa polemica sullo spettacolo di Vick, che puo' piacere oppure no ma certamente non generare commenti come i vostri in cui si arrivano a giustificare i paventati tagli alla cultura…(nessuna dicotomia, come vede, ma solo una riflessione da chi a teatro vuole continuare ad andare)

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