Il declino del canto moderno: è nato prima l’uovo o la gallina?

E’ possibile che in questo thread che apro su richiesta dei miei lettori si finirà in un vicolo cieco, ossia se è nato prima l’uovo o la gallina.
Possiamo elencare alcuni fattori che possono avere contribuito allo stato presente dell’arte del canto, ognuno dei quali meriterebbe un’analisi approfondita e nient’affatto semplice da svolgere in modo completo. Sul piatto sta una realtà grosso modo così inquadrabile:

a- carenza / assenza di maestri di canto
b- impoverimento numerico e qualitativo medio delle generazioni recenti di cantanti
c- scarso interesse da parte dei direttori d’orchestra per il canto in quanto tale
d- predominanza della componente registica su quella vocale nella produzione lirica
e- redditi medi dei cantanti in calo
f- labilità e brevità delle carriere
g- scomparsa di alcune tipologie vocali e di “grandi voci”
h- desertificazione di alcuni repertori

Le cause che stanno dietro questo fenomeno possono essere varie e concorrenti. Ne enumero alcune possibili:

a- disinteresse progressivo per il genere opera
b- influenza dei microfoni, quali portatori di un gusto per le voci naturali, amplificate per via tecnologica
c- il disco e la formazione specifica di chi dirige le major del disco
d- nuove prestazioni professionali richieste al cantante, sul piano registico in primis
e- diffusione di tecniche di canto no riconducibile al cosiddetto “canto all’italiana”
f- mutamenti del gusto
g- l’assimilazione dell’opera ad altri generi musicali e teatrali estranei
h- un approccio sempre meno colto ed incapace di una dialettica rispettosa del passato oltre che delle istanza del presente, a favore di un “modernismo” snaturante
i- certi assiomi portati nel canto da una parte della filologia ( ad esempio i baroccari..)

Vediamo cosa ne pensano i nostri lettori.

200 pensieri su “Il declino del canto moderno: è nato prima l’uovo o la gallina?

  1. Ai problemi da te posti ne aggiungerei un’ altro: la demenziale gestione delle carriere da parte dei cantanti di oggi. Ormai per il cantante contemporaneo la parola “repertorio” ha assunto il significato di “catalogo dei ruoli che in qualche modo riesco a portare in fondo”. Tutti vogliono cantare tutto, non si gestisce più la scelta dei ruoli in base alla maturazione della voce. L’ unico che ancora lo fa è Florez, che deve il suo successo in buona parte proprio all’ oculata scelta delle parti che affronta. Aggiungerei inoltre la miniaturizzazione delle voci nella scelta dei cast, che ha portato per esempio a Violette con la voce delle Regina della Notte e ad autentiche aberrazioni come la Zerlina von Brabant di Annette Dasch a Bayreuth. Per dirne una, una buona cantante di oggi, mia amica carissima, vorrebbe cantare Traviata ma nessun teatro la accetta perchè dicono che non ha il mi bemolle è la voce è troppo grande per il ruolo. Eppure si tratta di un normale soprano lirico.

    • Io non credo sia del tutto vero che Florez abbia scelto di sua sponte di frequentare il repertorio giusto per la sua voce…Credo sia stata una assoluta necessità, visto che non potrebbe assolutamente fare altro se non il repertorio rossiniano ( e, a mio modestissimo avviso, neanche tutto – visto che c’è Rossini e Rossini…). Prova ne sia il fatto che sue frequenti digressioni negli ultimi anni ne abbiamo viste – e di molte – con esiti dubbi o, quantomeno, non all’altezza di alcune prestazioni del suddetto repertorio rossiniano. Esempi su tutti i suoi Rigoletto, i suoi Puritani, i suoi Elisir…etc…Per non parlare del cimentarsi in arie staccate del tipo Ah!Leve toi soleil, oppure la celebre aria di Arnold del Guglielmo Tell etc…Non essendo sicuramente uno sprovveduto e, supportato da un entourage di prim’ordine, ha fatto un retrofront più o meno immediato che gli consente una maggiore longevità vocale ( …è stato sotto gli occhi di tutti la sua performance a Berlino di un Duca di Mantova allo stremo delle forze, eseguendo il “Possente amor” con variazioni e concluso con un acuto al limite della stecca ) e una gestione più oculata della sua carriera.

    • sono abbastanza d’accordo su questa prima aggiunta di Mozart2006, che tocca un punto “nodale” del problema declino/scarsezza voci. Sono state equivocate troppe cose, dai cantanti, dai direttori artistici, dagli agenti: ad esempio il repertorio e l’evoluzione vocale, la maturazione del cantante. Una voce non può far tutto, ma a volte può fare ancora meno di quello che crede di poter fare. Allo stesso tempo, vagano nei sotterranei degli anonimi, voci dotatissime che potrebbero fare splendide Norme, Traviate, Otelli, ma restano lì, ingannate da maestri cretini o scoraggiate da dirigenze ignoranti, molto ignoranti, soprattutto in fatto di tecnica. E poi un’altra figura, molto più fondamentale di quanto si pensi: il direttore d’orchestra, che dovrebbe avere la responsabilità nei confronti della voce che fa salire sul palco. Facciamo un esempio per concretizzare: riguardavo in questi giorni la Traviata Fabbricini Muti. Beh, non era stato fatto un cattivo lavoro fino a lì, ma poi che ne è stato di tutto ciò? Io, se fossi stato il direttore d’orchestra (e dei cantanti), avrei comunque sconsigliato la Fabbricini di scurire troppo, di intubare ecc., di tenersi leggera o meglio: di restare dove la sua voce suonava più pulita, senza voler essere altro da quel che era; seguendo quella strada, e unicamente quella, sarebbe diventata vocalmente/artisticamente parlando molto più grande di quello che è stata. Ma qualcuno doveva dirglielo, e il cantante ha l’obbligo morale di capire i suoi limiti, prima delle sue ambizioni

  2. io per cominciare partirei dal punto A.
    Cioè un progressivo disinteresse al genere opera non tanto tale,perchè penso che continua a piacere,perche i giovani ai recital ci sono,quando al fatto che rispetto al passato,si è molto ampliato l’offerta musicale,anche a favore di altri generi(anche per la naturale evoluzionedella musica),non dimentichiamoci che l’opera è solo una piccola fetta(anche se importante) del pianeta musica,riguardo ai microfoni,farne uso per cantare con la voce naturale,…mah anche col microfono bisogna cantare con voce impostata,le arie d’opera hanno bisogno di questo tipo di voce,con la voce naturale perderebbe il suo fascino,la voce naturale amplificata va bene per i musical tipo “notre dame” di Cocciante per il resto vedo il proseguo della discussione..

  3. Mah, io vorrei fare una considerazione molto semplice. Si può parlare di declino per una qualsiasi attività umana? Si può dire che la letteratura sia in declino, che lo siano la filosofia, la creazione musicale, la pittura, la scultura, l’architettura? Non credo. Nell’antica Grecia dopo i culmini rappresentati da Platone ed Aristotele ci sono stati fior di filosofi; una tradizione filosofica eccelsa c’è stata nel Medioevo e giù giù fino ai giorni nostri. Ha ovviamente cambiato carattere, ed anche luoghi di produzione; ma la continuità è stata assoluta. Che cosa hanno da invidiare Kundera o Saramago ai più grandi scrittori del passato? Niente, assolutamente niente. Henry Moore è forse inferiore a Donatello? No, proprio no. I grandi musicisti contemporanei ci sono eccome. Come ci sono grandi, grandissimi direttori d’orchestra, pianisti, violinisti; ci sono grandi registi, Konwitschny, Carsen, Guth. Solo per il canto questa continuità si è interrotta? E’ davvero credibile? O non sarà piuttosto che l’opera è un insieme di fattori il cui equilibrio è sempre cangiante e tutto può certo risolversi nel canto, ma non è detto sia sempre così? Io in questo luogo sento spesso, sempre più spesso, parlare di un’essenza dell’opera, dotata di un’inalterabile gerarchia di elementi. Può darsi, ma è pur sempre una considerazione metastorica, addirittura metafisica, che non fa i conti con le deviazioni, gli scarti, le violazioni che ogni vita autentica inevitabilmente comporta. Un po’ più di flessibilità invece forse aiuterebbe a capire l’atteggiamento del pubblico, che qui troppo spesso viene bollato come ignorante, pecorone e beota.
    Marco Ninci

    • Caro professore, lei parla cmq di PRODUZIONE DEL NUOVO in architettura musica etc..
      in quanto tale l’opera possiamo dire che di fatto non esista più.
      In quanto riproposizione mediata da interpreti che oggi danno vita a qualcosa prodotto duecento o trecento anni fa, mi pare che le sfuggano completamente i contorni del problema, quindi la sua risposta è fuori tema, oltre che essere un discorso astratto in sè per sè.

  4. Cara Giulia, i termini del problema non mi sfuggono per niente. Va bene, parliamo unicamente di interpreti. Ne ho parlato anch’io, facendo riferimento a direttori e strumentisti. Ma parliamo di interpreti d’opera. Penso, l’ho detto tante volte, che ci possa essere una buona rappresentazione d’opera anche con cast modesti, appunto perché certi equilibri raggiungono dimensioni nuove. Ma, mi dici, occorre rispettare “quell'” equilibrio, stabilito una volta per sempre duecento o trecento anni fa. Ma, se così fosse, estendendo un simile criterio, l’interpretazione di un’opera letteraria o filosofica avrebbe per unico scopo di di ricostruire quello che l’autore voleva dire, nel modo in cui lo voleva dire. Ma ancora, se così fosse, fare lo storico non sarebbe poi così difficile; non difficile, ma assai poco interessante.
    Dimenticavo. L’ho visto spesso in internet. L’irritazione porta ad usare il “Lei” invece del “tu”. Non è un granché.
    Marco Ninci

    • PArliamo UNICAMENTE di interpreti no è poca cosa, dato che a loro non spetta una libertà creativa ed espressiva dello stesso tipo di quella che spetta ad un inteprete, di arte passata soprattutto.
      No ho mai parlato di un equilibrio assoluto ed immutabile, anzi. il tema centrale è l’attualità dell’arte di ieri nel presente, che è però UNA delle componenti dell’arte di ieri, chbe porta con se valori di storia, di antichità etc… IL tema qui è no avere più gli strumenti di base che occorrono all’esercizio della mediazione culturale che spetta all’interprete. Se i testi escno troppo spesso snaturati, se non si possono correttamente eseguire, se la volontà dell’autore è troppo spesso tradita, abbiamo il problema. che poi in provincia capiti di vedere cose migliori che nei grandi teatri, questo è un altro aspetto chiaro, secondo me, che la dove si comanda e si conta, c’è qualcosa che non và……IL buono è orami occasionale e controcorrente, e la statistica ha il suo peso a questo punto e legittima il parlare di declino, o meglio, PERDITA DI TRADIZIONE DEL CANTO

  5. Salve a tutti.
    Mi permetterei di sintetizzare la triste condizione del bel canto in sole tre parole:
    Approssimazione, disinteresse e svago.
    Spiego meglio lo svago, la vera Arte (come l’Opera in questo caso) ha in sé grandi contenuti e per capirli bisogna partecipare, un dispendio troppo grande di energie per la maggior parte degli “individui”, che preferisce lo svago, perché, oppressi e soffocati dalla loro vita, si rifugiano in esso per svuotar la mente da oppressivi pensieri, senza provare il benché minimo desiderio di arricchir il loro spirito…
    P.S: Ecco qui diva Giulia, ho risposto nel thread giusto questa volta :) !
    Un saluto, con affetto
    Niccolò della Ripa

    • Niccolò, mi sono avvicinato di recente e quindi molto tardi all’Opera, per tanto faccio parte di coloro che possono dissentire sul tuo intervento per quel che riguarda lo svago. Per me, ascoltare il canto lirico e ascoltare un’Opera fa parte dello svago. Sarò strano ma non sarò l’unico. E nemmeno credo di essere l’unico che voglia sempre e comunque arricchire lo spirito, sai che vita noiosa condurrei. Sicuramente non prendo posizione reputando che chi si interessa a questa forma d’arte abbia più punti di altri o che chi non se ne interessi manchi di arricchimento spirituale (suona come “sono ignoranti poveracci”) perchè farebbe solo snob e radical chic, elementi che negano la ragione per cui è nata questa forma d’arte. Sarebbe insomma, revisionismo per i poveri pensarla a questo modo.
      La faccio semplice e forse semplicistica: ho ascoltato alcune nuove star del canto e ho visto le di loro performance in diretta o in differita. Mi annoiano, mi stufano, mi fanno sembrare irriconoscibili le opere stesse. Poi mi ascolto dischi, di decenni fa, di un secolo fa. E trovo che ci sia magia, che ci siano delicatezza ed eleganza che oggi non riscontro. Non dico che si debbano cercare nuove Callas o nuove Tebaldi, nuovi Cesare Siepi o nuovi Tito Schipa. Non ha senso. Così come sicuramente anche oggi ci sono voci meritevoli di essere ascoltate almeno fino a quando non mettono il piedino nello star system che li ingoia e li tirtura facendo loro perdere orientamento e strumento. Però quella magia, quel gusto, quel lancio di voce che avevano sì, lo cerco e forse lo pretendo anche. E’ un obbligo, secondo me, per fare dell’Opera il genere che ci si aspetta: eccellenza, canto che sembra sempre fatto senza sforzo, canto fatto di interpretazione e di grazia che poggia su un fondamento unico che è una tecnica base dalla quale non si può prescindere per giungere a un risultato che non sia lo scimmiottare il bercio o l’attitudine da rockstar (quello che chiamo il “famolo strano” tanto in voga oggi e così pubblicizzato.
      In sostanza, i punti elencati da Giulia sopra sono esemplificativi, chiari e forse inequivocabili. Seguirò la discussione, molto interessante anche per i neofiti, sempre che non iniziate a darvela addosso come i matti.

      • Caro signor Rello,
        A quanto pare ha malinteso quello che ho scritto,
        non intendevo affatto fare lo snob denigrando chi non ascolta l’opera ecc ecc… E con “Arte” mi riferivo all’arte in generale, non soltanto all’Opera. E per svago intendo il perdersi in cose immediate senza contenuto ma composte di sola apparenza, forse ho utilizzato un sostantivo un pò troppo generico per spiegarmi…. Comunque, riguardo agli interpreti, finché “L’opera Market” continuerà a sfornare cantanti al limite del caricaturale per costruire intorno a loro un personaggio, sarà difficile avere grandi interpreti con la “I” maiuscola.
        Spero di aver reso più chiaro il mio pensiero.
        Un saluto
        Nicola della Ripa

        • Caro Nicola, riporto un tuo passo: “Dimenticavo. L’ho visto spesso in internet. L’irritazione porta ad usare il “Lei” invece del “tu”. Non è un granché.”
          Mi spiace che sia stato io, questa volta, ad irritarti ma concordo sul discorso dell’Opera Market che rappresenta un paradosso in quanto il personaggio è già scritto dall’Autore e non abbisogna di avatar o surrogati. Forse sta tutto in questo malinteso il principio in nuce dei disastri che ascoltiamo oggi?

          • Caro signor Rello,
            mi ha malinteso di nuovo :), uso sempre il “lei” come forma di cortesia non mi sono sentito affatto irritato dal suo commento, anzi, sempre pronto a discutere con piacere (magari di fronte a una buona tazza di caffè piuttosto che pigiando i pulsanti di una tastiera :) ). Comunque, se ti fa
            piacere d’ora in poi ti darò del tu.
            Un saluto
            Niccolò della RIpa

      • Condivido le tue stesse impressioni, essendomi avvicinato anch’io all’opera abbastanza recentemente (per lo meno quanto ad approfondimenti). Quanto al dibattito in oggetto osservo che quello della perdita della tradizione del canto e dello svilimento tecnico degli artisti, sembra essere un problema di lunga data, affrontato e dibattuto da più di 30 anni. Ad esempio sto ascoltando in questi giorni l’intervista passata per radio di Celletti a Lauri Volpi (del 78 mi pare) e specialmente nella terza puntata si trattano proprio queste questioni.
        Mi soffermo solo su di un aspetto, nella causa “f” si fa riferimento alla “diffusione di tecniche di canto non riconducibile al cosiddetto “canto all’italiana””; secondo me questa è una diretta conseguenza del fatto che per far carriera (a livelli di c.d. “divismo”) attualmente mi sembra di capire che sia necessaria in primis una forte campagna di public relations e di parallela “vendita del PERSONAGGIO” piuttostochè del “CANTO del personaggio”. Ecco che prevalendo il “personaggio” sul suo “canto” di conseguenza una volta creato il “personaggio” stesso passa in secondo piano il perfezionamento della tecnica vocale. Trattasi di considerazioni consapevolmente approssimative e forse generiche, ma che credo abbiano una loro ragionevolezza e fondatezza.

  6. Penso sia arrivato il momento di fare definitivamente chiarezza sull’abusato concetto di “canto naturale”.

    Il Canto è Arte. L’Arte non è una attività vitale e fisiologica dell’uomo inteso come animale, non è una funzione “naturale” del nostro corpo: naturale è mangiare, evacuare le feci, respirare, dormire, riprodursi. Il nostro organo vocale ed il nostro apparato respiratorio esistono per soddisfare determinate esigenze legate alla nostra sopravvivenza fisica, non certo per cantare. Pertanto parlare di “canto naturale” è una contraddizione in termini. Il “canto naturale” non esiste.

    Esiste (o meglio esisteva) il Canto, punto. La credenza che il canto degli odierni canzonettisti microfonati sia un “canto naturale”, in opposizione al canto classico che quindi sarebbe un canto innaturale ed artefatto, è solo un grave portato della odierna mancanza di cultura canora. In verità anche chi pratica generi musicali diversi dall’opera deve saper cantare, e per cantare non c’è che un solo modo. Ho detto “cantare”. E’ chiaro che con la voce si possono fare tante altre cose che non rientrano nell’ambito del Canto né in quello della Musica: parlare, gridare, strombazzare, intonare note, fare imitazioni, spettacolo, praticare arti marziali ecc..

    Dunque, le tecnologie. Strumenti come il microfono, i dischi, la radio, la televisione, hanno fatto perdere il contatto del pubblico con il suono vero, vivo, autentico della sala da concerto, del teatro, o perché no del semplice salotto di casa. Ascoltare musica per noi oggi significa quasi sempre ascoltare materiale registrato o comunque amplificato elettronicamente. L’ascolto di una registrazione, o di un complesso amplificato artificialmente ad un concerto, è sempre un ascolto falso, alterato, in quanto mediato da componenti elettroniche, che nulla hanno di artistico, di musicale: in un disco registrato in studio, basta girare una manopola per mettere in primo piano un certo strumento o una certa voce, e questo è la negazione dell’arte di far musica. Non è Arte, bensì cosmetica. L’ubriacatura da suono contraffatto elettronicamente ci ha resi tutti sordi ed ignoranti, e anche vocalmente inetti. Pensiamo al timido sacerdote che non sa dir messa con voce schietta, all’insegnante universitario che sputa e soffia nel microfono la sua inudibile vociuzza bolsa, agli attori di prosa che usano l’amplificazione in teatro, al chiuso. La dicotomia che è venuta a formarsi tra cantanti di musica leggera che cantano con la loro “voce naturale” usando il microfono, e cantanti lirici che fanno il vocione e strillano, è forse il portato più emblematico della attuale decadenza.

    Tornando quindi al discorso delle “voci naturali”, bisogna dire intanto che non c’è niente di naturale – né tanto meno di musicale o artistico – nell’ascoltare un sussurro amplificato da un microfono: è solo rumore, forse piacevole, anche divertente, ma niente di più che rumore elevato a spettacolo. Ho già detto che nessuna Arte, per definizione, è naturale. Conquistare l’Arte significa andare oltre la propria natura animale, il proprio istinto, il proprio corpo, e scoprire una seconda natura, più profonda, quella che Lauri Volpi chiamava “la seconda vista”: uno stato di grazia trascendentale, di sublimazione del pensiero, dell’intenzione, di superamento dei limiti della materia grezza. Ben diverso dal concetto di “canto naturale” è il concetto di naturalezza, ossia l’ars celandi artem: il segnale che contraddistingue i veri artisti dai semplici artigiani, dalle caricature, dai fenomeni da baraccone. Una naturalezza che non ha solo portata superficiale, ma che deve investire il gesto artistico a livello strutturale. E’ un grave fraintendimento pensare che la voce lirica sia una voce “finta”o artefatta. Non c’è niente di finto nel canto di un De Luca, di uno Schipa, di una Callas: niente di “lirico”, di pomposo, di gonfio, artificioso. E’ Canto, l’unico canto possibile, l’unico canto VERO e sincero, ossia il canto che non abbisogna di spiegazioni, sovrastrutture, intermediari, sopratitoli, microfoni, per arrivare a catturare e coinvolgere la coscienza di chi ascolta. E non esistono alternative né possibili fantasmagoriche “evoluzioni”: il canto non è un’invenzione, ma una sublime scoperta, ed in quanto tale unica ed immutabile, assoluta.

        • Si canta perché si ama….bellissima GGrisi,complimenti,condivido.
          Vorrei portare il mio modesto contributo al discorso,ricordando che il primo libello che parlò esplicitamente di declino delle scuole musicali data il 1600,titolo “Musicomastix”, ma sono certo che i nostri progenitori irsuti e vicini più alla scimmia che all’uomo già brontalavano nel loro rozzo idioma ( traduco):”eeeeh nel paleolitico si cantava in ben altro modo!”.Con questo non voglio dire che Kaufmann sia meglio di Lauri Volpi….non è così.Ma si rimpiange Lauri Volpi ,oggi,come ai tempi di Lauri Volpi si rimpiangeva probabilmente Tamagno.È la storia che si ripete,uguale e inesorabile.Direi piuttosto che Kaufmann è avvantaggiato perché ha Lauri Volpi alle spalle,potrebbe trarne giovamento….ma non lo fa,non lo sa fare ,npn vuole farlo…forse…non so.Uno dei motivi per cui si accontenta di essere il “divino” Kaufmann è che ,forse,sa benissimo che tra poco….rimpiangeremo pure lui!.E vedrete che succederà!

          • E’ che mi è venuta bene SI CANTA PERCHE’ SI AMA?….ci ho pensato un po’ poi…in effetti non ci può essere altra ragione. Ami un soggetto, una frase, una musica, il tuo pubblico, ami trasformarti in qualcun altro….secondo me ci ho azzeccato stavolta. Cmq, CI METTO IL MIO COPYRIGHT SU QUESTA!

          • cmq vedo allora che sposi la teoria del declino progressivo pure tu…
            quanto alla questione del rimpianto perenne nell’opera……faremo un post, perchè secondo me l’atteggiamento nostalgico deriva da più ragioni. Il rimpianto dell’età di LAuri Volpi per il passato non credo sia la stessa cosa di quello di cui parliamo noi oggi. Anticipo solo una cosa: NOI rimpiangiamo, ma il pubblico di oggi in generale non rimpiange affatto, primo perchè per rimpiangere occorre conoscere e/o aver conosciuto, ed il pubblico odierno conosce solo l’attualità, ignora il passato ed è completamente privo di senso storico in ogni aspetto della vita; secondo perchè è un pubblico allevato da una critica che gli ha ben inculcato un’idea “positivista” del canto lirico, per cui oggi si canta non solo bene ma meglio di ieri ( ci siamoliberati delle carampane grassone soprano per queste belle figliole gnocche…ad esempio ), ma chi critica o rimpiange è demodè e deve smettere di andare a teatro; terzo, perchè l’opera è vissuta principalmente come un genere di spettacolo qualunque, privo di specificità e che non richiede una certa competenza per poter essere completamente apprezzato. La gente và all’opera oggi come và al cinema, che sia cinema d’autore o di Vanzina, come và alle mostre d’arte di massa etc…Apprezzano tutto perchè in realtà non aprrezzano nulla, tutto è superficie e superficialità, immagine……Il mondo di LAuri Volpi era ben diverso nella mentalità…ne riparleremo cmq.

      • Il canto ossia la musica. Il canto cos’è se non la prima e massima forma di espressione musicale? Perché dunque l’uomo fa musica? C’è ben più di una necessità di semplice svago o intrattenimento. La musica, la poesia, l’arte, la bellezza, sono tutti canali per attingere alla Verità, per scoprire chi siamo: palestre per l’anima. Da quando esiste l’uomo c’è sempre stata la musica (è stato scoperto un flauto risalente a 35.000 anni fa!). La musica è quindi una componente essenziale della coscienza, dell’intelligenza umana, come la parola, il pensiero. Uno degli aspetti che ci differenziano dalle bestie. Ritengo pertanto che la decadenza del canto – e dell’arte musicale in genere – sia un segnale di decadenza umana e regressione allo stato bestiale.

        • caro Mancini sono d’accordo con te nella prima parte,e come potrei non esserlo?
          La musica fa parte della creatività umana il suo bisogno di emanciparsi,condivedere esprimersi,dare sfogo ai sentimenti,sperimentare nuove forme di comunicazioni,perche la musica è anche comunicare e farsi ascoltare,nell’ ultima parte non sono d’accordo,perche il canto non è in decadenza,mgari per te può esserlo,perche sei ancorato a qualcosa di antico,o meglio non vedi una certa evoluzione,la musica,e anche il canto non è una lingua morta,la musica è viva si evolve in altri generi,si sviluppa con altre tematiche,anche il canto (e la musica)ha una sua evoluzione in altri generi che richiedono un tipo di vocalità che non ha niente a che fare col bel canto,però questo non è decadenza.

          fa parte del bisogno dell’uomo di cercare nuove strade.

          • Ah beh… se le nuove strade sono Kaufman, la Poplavskaya e via dicendo siamo a posto! Se l’evoluzione della tecnica è cantare dentro imbuti, mugghiare, calare ogni due per tre e gridare e pensare che un filato, mezze voci e messe di voci siano anticaglie, preferisco restare anch’io legato all’antico come Mancini. Sta però di fatto che io non credo si tratti di evoluzione, ma di inettitudine bella e buona.

        • Che tempi signora mia…non esistono più le mezze stagioni, tutto aumenta, piove governo ladro…Mancini, guarda che la musica oggi è vivissima. Le orchestre sono infinitamente più preparate di mezzo secolo fa, esistono compositori che producono lavori interessantissimi e la preparazione tecnica degli strumentisti a livello medio è addirittura migliorata. La crisi del canto lirico è semplicemente crisi di professionalità dovuta alle cause che lontanodalmondo ha descritto assai lucidamente. Lascia stare i pippardoni sulla decadenza dell’ umanità.

          • Mozart i pippardoni di Mancini non spiegheranno il declino del canto. Forse. Di certo però contribuiscono a capire perché questo schifo venga tollerato.

          • Nel mondo della musica oggi vedo solo un gran commercio di aria fritta. Le orchestre avranno anche un livello tecnico perfetto, ma questo non significa che facciano musica meglio di una volta. Un pianista può anche governare la tastiera con un dominio tecnico assoluto, ma questo non basta a fare di lui un musicista. Fare musica non significa suonare note. E ascoltarla non significa mettere su un disco o infilarsi delle cuffiette mentre si fa jogging… Sono un celibidachiano e pertanto così la penso.

  7. Marco, tu di canto non vuoi parlare, lo sappiamo. Per te emettere suoni con la bocca è una cosa bassamente prosaica come soffiare in un tubo, sfregare una corda con un arco o picchiettare dei tasti. A te interessa solo il Sommo Sacerdote che sta 30 cm. sopra gli altri e comunica i risultati della sua estasi alle masse incolte tramite l’ agitarsi della ferula, in quanto Egli solo è in diretta comunicazione con gli Dei che governano l’ arte dei suoni.

  8. Per parte mia, vorrei dire, in primo luogo, che concordo con Rello riguardo all’idea di opera, ma anche di letteratura, arte figurativa, cinema, come svago. Il problema non è di chi fruisce l’opera e con essa si svaga; il problema posto da Donna Giulia è di chi l’opera la fa: direttori, registi, cantanti (io aggiungerei anche orchestre: suonare il grande repertorio sinfonico e esguire una grande opera non sono affatto la stessa cosa e le orchestre non dovrebbero essere intercambiabili). Ora, queste persone dovrebbero essere dei professionisti, ché per far svago di qualità bisogna possedere i mezzi adatti e gli strumenti accordati. Da qui il problema del canto: non si tratta tanto di eguagliare antichi miti, si tratta di creare una nuova generazione di professionisti che sappiano assolvere al proprio compito – cantare – con perizia; se poi fra di loro si nasconde un nuovo Slezak o una nuova Raisa ben venga. Per come la vedo io, il problema è proprio nello standard medio di qualità: bassissimo, oggi. Mi viene in soccorso il vecchio Temirkanov, il quale, in un’intervista di alcuni anni fa, dichiarò che la salute musicale di un paese non si vede dai fenomeni, ma dalla qualità media dei musicisti – e fra i musicisti mettiamo anche i cantanti (anche se so che si potrebbe fare perecchia ironia a tal proposito; ma proviamo a essere ottimisti). Com’è la media nazionale e internazionale per quel che riguarda il canto oggi, almeno nei grandi canali di diffusionei? Mi ripeto: bassa bassa. Perché? Donna Giulia suggerisce alcune chiavi di lettura. Alle quali io mi permetto di aggiungere: l’incapacità di grandi e grandissimi cantanti di tramandare la loro arte (non so voi, ma io le lezioni di Kraus – cantante che adoro – le trovo folli e incomprensibili, quando non evidentemente dannose; e questo vale per tantissimi altri grandi); a corollario di quanto detto da Donna Giulia, la sostanziale incapacità dei direttori d’orchestra di scegliere una compagnia di canto adatta all’opera da mettere in scena e anche l’incapacità di concertare (ogni volta che su un cartellone fuori da un teatro leggo “maestro concertatore” mi vien da sorridere); la convinzione che il canto si basi su segreti indecifrabili ai più quando è “semplicemente” la risultante di una intelligente e studiata gestione di fattori fisiologici (tralasciamo per un momento il discorso interpretativo; parlo solo di fonazione, di produzione del suono – e del resto, come tante volte ho letto qui, se non sai produrre in modo corretto un suono non sarai mai in grado di interpretare, per il semplice fatto che la tua gola non gliela fa!), che fa sì che i poveri studenti si trovino difronte a gente che dice cose assurde, incomprensibili e che spesso sono in palese contraddizione con l’apparato fonatorio (sarebbe come pretendere che un pianista suoni voltando le spalle alla tastiera); il falso mito dell’alta fedeltà: chiunque abbia sentito anche un solo concerto in vita sua sa benissimo che non c’è tecnica di registrazione che tenga: la musica in sala suona in un modo che non si può proprio riprodurre esattamente e la voce umana è, forse, lo strumento più difficile da riprodurre (non è un caso che, di solito, i grandi cantanti “suonano” meglio nelle riprese dal vivo che non in sala d’incisione, perché, per quanto difettosa, la ripresa dal vivo restituisce almeno in parte l’espandersi in sala di una voce ben emessa – Sutherland, Nilsson, Corelli, Del Monaco, Pavarotti sono la prova; ma anche voci meno floride come Kraus: il grande Alfredo nelle incisioni piratate suona in modo impossibile da paragonare con le riprese in sala d’icisione; fra l’altro, a questo proposito sarebbe interessante cercare di capire come mai il progredire delle tecniche di registrazione abbia così poco giovato alle voci: in fondo i dischi di Kipnis sono molto più impressionanti e belli da sentire di quelli di Ghiaurov (per restare fra “vocioni”). Cos’altro aggiungere: i dischi ci hanno permesso di conservare non solo interpretazioni straordinarie ma anche, sempre facendo un passo indietro, eccellenti modi di produrre il suono. Come mai questo enorme tesoro a disposizione di chiunque, amatore o professionista del settore che sia, non è adeguatamente utilizzato come materiale didattico? Ma soprattutto, come mai quando si tratta di pianisti, violinisti o strumentisti in genere, ma anche di direttori, si parla di evoluzione dello stile (dello stile, non del modo meccanico di suonare) e quando si parla di cantanti si liquida la questione dicendo che è un modo vecchio di cantare? E qui sposo in pieno ciò che scrive Mancini: non c’è un modo nuovo e uno vecchio di cantare; c’è il Canto, come c’è il suonare il pianoforte o il violino. Ciò che distingue Heifetz da Vengerov o Cortot da Wunder è il gusto, lo stile, il carattere, non la produzione del suono. Perché quando si parla di canto non si pone quasi mai la questione in questi termini? Ciò che oggi non va in Beniamino Gigli è certa sua maniera di porgere le frasi, non certo il modo di produrre i suoni che lo renderebbe, se fosse vivo ora, il primo della classe. Perché il Canto è sempre considerato in modo diverso dal resto della pratica musicale? Anche questo atteggiamento, a mio avviso, non fa che alimentare la confusione e creare la situazione rovinosa che Donna Giulia, giustamente, evidenzia. Ma ho scritto anche troppo. Scusate se mi sono dilungata, ma è un problema stimolante.

    • Esattamente. Tutti questi discorsi sull’evoluzione del gusto, della tecnica… non hanno senso! Il canto non c’entra niente con la storia né con la tradizione: c’è un solo modo di cantare indipendentemente dallo stile, dalla musica, dall’epoca. Così come c’è un solo modo di studiare e suonare il pianoforte o il violino. Non esiste la storia del canto: esiste solo la storia dei cantanti e dei compositori.

        • Concordo con entrambi e comprendo i Vostri distinguo. E cara Donna Giulia, finalmente diciamo la stessa cosa: esiste un solo modo di cantare secondo fisiologia. Poi l’evoluzione del gusto e dello stile mi sta bene e non intendevo affatto negarla. Quel che intendevo dire è che non si deve fare confusione fra l’aspetto che per comodità ho definito meccanico del canto – la fonazione pura, che non può che essere una perché l’apparato fonatorio in quel modo è fatto e in quel modo può essere usato al meglio – e l’aspetto interpretativo, che cambia con le epoche e con i singoli interpreti come è giusto che sia. Per fare un esempio: io amo molto Mattia Battistini ma temo che faticherei a sopportare la sua “maniera” oggi; però se sentissi un baritono cantare con quella facilità d’emissione mi spellerei le mani dagli applausi. Insomma, il problema oggi è che si è persa la capacità di insegnare a cantare e che si gabella per scelta stilistica “nuova” quella che in realtà è una incapacità meccanica di cantare correttamente. Se Kaufmann avesse la fonazione di Alfredo Kraus direi che non condivido il taglio interpretativo sempre identico che dà ai suoi personaggi ma che comunque canta bene; il problema è che Kaufmann canta in modo scorrettissimo ma che molta, troppa critica paludata vuole far passare questa cattiva maniera per “nuovo stile”. Personalmente credo che prima di impostare un assolutamente legittimo e potenzialmente anche interessantissimo discorso sullo stile, sull’interpretazione, si dovrebbe risolvere il problema della fonazione. Ma mi sto ripetendo. Grazie per lo spazio. Buon lavoro.

      • Giambattista, non sono d’accordo su quanto espresso qui sopra. Vero è che esiste una tecnica sola, ma le interpretazioni restano valide, altrimenti avremo una tecnica una voce uno di tutto e pensiamo a che noia. E’ quando manca questa “una” tecnica che viene a mancare tutto, e quando c’è personalità data la tecnica allora si può arrivare al divo, al cantante di caratura superiore, quando c’è la personalità si arriva ai Siepi, ai Bjorling, ai Del Monaco, ai Pertile. Quando non c’è la lista è molto lunga e include tutte le starlette degli ultimi tempi.

  9. Va bene. C’è una perdita di tradizione. Rimane il fatto che alcune delle serate d’opera più esaltanti cui io abbia assistito avevano cast modesti. Il famoso “Ratto dal Serraglio” della fine degli anni Sessanta aveva una sola voce all’altezza (e nemmeno sempre, visto che nella prima aria “Ach, ich liebte”, aveva notevoli difficoltà): Anneliese Rothenberger. Tre erano invece oscenità, almeno dal punto di vista dei vociomani (Celletti li stroncava sempre): Werner Hollweg, Reri Grist, Spiro Malas. Il successo fu immenso e la serata indimenticabile, per tutti. Eravamo tutti cretini? Questo è un discorso concreto, concretissimo.
    Marco Ninci

  10. Beh io invece ho assistito a diverse serate d’ opera esaltanti che avevano direzioni d’ orchestra modestissime. Vedasi il Tancredi veneziano con la Horne e la Cuberli, due prove vocali storiche e uno spettacolo talmente esaltante da indurmi a vederne tutte le repliche anche se il direttore era uno qualsiasi e l’ allestimento nulla di che.

  11. Aggiungo un punto: totale disinteresse ed ignoranza da parte del pubblico per la musica e per il canto, ossia a capire e porsi in modo critico rispetto ad esse piuttosto che subirle e basta.

    Non voglio dipingere una ipotetica ed inesistente età dell’oro, ma prima un analfabeta che andava a teatro sapeva se un cantante cantava bene o male: premio con ortaggi o fiori! Prima a teatro si andava con gli spartiti alla mano per leggere e seguire l’opera! Prima esistevano le fazioni e si buava o applaudiva a 4 mani – per pregiudizio o per merito – per la prova di un cantante. Oggi invece si pensa ad andare a sentire un’opera, senza sapere chi canta fino all’ultimo momento (e magari nemmeno alla fine), come se un cantante o direttore diverso facessero o meno la differenza!

    Questo si chiama accontentarsi, e torno a dire che elevare a metro di giudizio una propria personalissima percezione (lo spettacolo mi piace) a metro di giudizio generale (per esempio l’opera è stata cantata da cani, ma siccome mi è piaciuta, chi se ne frega) non può che portare a considerare arte i sacchi di immondizia di Hirsh o i cessi (riprodotti dopo per garantire una bella paga) di Duchamp!

  12. Ma c´era da sempre GUSTO e QUALITÀ. E chi canta bene non ha sempre un successo generale – purtroppo. Il canto non viene al primo posto, ma quelli che facevano carriera non con la voce ma con la pubblicità o con la bellezza – anche quelli ci sono sempre stati. Èra il livello generale ch´era molto più alto e c´erano MOLTO più cantanti lirici – su questo non si discute. Oggi troppi ciarlatani in giro – anche quelli c´erano sempre ma non duravano. Sono assolutamente convinta che una Tetrazzini, un Lauri Volpi, un Pertile, un Amato – oggi farebbero balzare in piedi qualsiasi pubblico.

  13. Caro Gianguido, ma quello che dici del “Tancredi” non fa altro che portare acqua al mio mulino. Dimostra semplicemente che l’equilibrio fra i vari fattori che costituiscono l’esecuzione operistica può spostarsi da una parte o dall’altra, a seconda delle personalità che sono in gioco. Qui invece si dice che la centralità del canto è assoluta, senza questa centralità tutto crolla miseramente. Questo è semplicemente falso e contraddetto da innumerevoli esempi concreti; eccolo il vero discorso astratto, come quello di un Marcuse che invece di criticare approvasse “l’opera a una dimensione”. Per quel che mi riguarda, il passatismo è sbagliato per principio; l’età dell’oro non è mai esistita, è semplicemente la proiezione di un presente frustrante. Che poi non è nemmeno detto sia una frustrazione esclusivamente musicale. Ma qui mi fermo, ricordando per l’ennesima volta che nel volgere dei secoli il passatismo si ripete sempre uguale a se stesso, in tutti i campi. Come Primo Levi scriveva che c’è sempre un ebreo di qualcun altro, così c’è sempre un passato radioso di un presente oscuro e nebbioso.
    Marco Ninci

  14. Concordo con Mozart per quanto riguarda il problema dei ruoli e del repertorio, sulla vivacità di certi compositori contemporanei (uno per tutti: Henze) e sulla preparazione tecnica delle orchestre.

    Corcordo con Pasquale su un certo diffuso disinteresse verso l’opera, e sull’errata microfonazione; non concordo sul discorso dell’evoluzione, perchè l’evoluzione deve portare, a parer mio ad un perfezionamento di qualcosa ad esprimere effettivamente qualcosa di nuovo e arricchente, ma le regole di base devono essere quelle sia nella tecnica che nello stile: e questo mi riallaccia a Tamberlick che infatti, cito, scrive:”Ah beh… se le nuove strade sono Kaufman, la Poplavskaya e via dicendo siamo a posto! Se l’evoluzione della tecnica è cantare dentro imbuti, mugghiare, calare ogni due per tre e gridare e pensare che un filato, mezze voci e messe di voci siano anticaglie, preferisco restare anch’io legato all’antico come Mancini. Sta però di fatto che io non credo si tratti di evoluzione, ma di inettitudine bella e buona”

    Credo che non esista poi il “Passatismo”: constatare che si cantava meglio e con più anima in un certo periodo è la constatazione di un dato di fatto provato da una verità che si chiama spartito!

    Concordo con Lontanodalmondo e la Grisi quando scrive: “orami il personaggio prevale sull’essenza in ogni campo, dunque c’è anche questo.
    la chiamano società dell’immagine… l’uomo canta perchè….ama.”

    Concordo con Mancini: apprezzo davvero tanto la sua trasparenza e soprattutto la nobiltà ed il rigore con cui esprime l’ideale (ma non troppo) purezza del Canto in quanto Arte, Espressione, Dono prezioso e unico.
    Concordo molto meno sulle questioni apocalittiche.

    La questione Marco Ninci: si è aperto il dibattito sul canto, i lettori dicono la propria opinione e si confrontano in maniera personale e del massimo interesse; poi arriva Lui e parla della potenza dell’iperuranio senza parlare di canto! Un po’ come a scuola “Tema – Parla della concezione del Nido per Pascoli – Svolgimento – La coltivazione della papaya in Messico si caratterizza per… ”
    NO!!!
    Marco se vuoi scrivere qualcosa IN TEMA, una buona volta, scendi dall’iperuranio e PARLA DI CANTO E DI CANTANTI CRIBBIO, almeno per questa UNICA VOLTA!!! :)

    Marianne

  15. X Enrico Tamberlikc
    la mia risposta a Mancini sulla evoluzione del canto o la musica,non era solo su come si suona o si canta in un opera,era in generis perche la voce si evolve in altre tecniche per altri generi musicali che in passato non erano presenti,cosi come la musica che si evolve in altri generi,quindi la musica è più che viva non in decadenza.Come ho scritto nel mio primo post,non è tanto l’opera che è in decadenza,è perchè ci sono tante offerte musicali che si sono affiancate a questo genere,quindi il bacino di utenza si è molto diversificato,riguardo alle voci che devono cantare opere sono d’accordo con te non esistono evoluzioni,devono cantare in modo tradizionale in maschera e ben impostate

    • Sì Pasquale, in realtà volevo abbracciare più post e mi sono invece espresso come se rispondessi solo a te: scusami, ma stavo facendo più cose contemporaneamente!
      Sostanzialmente concordo, però puntualizzo che quell’offerta c’era già, volendo, ai tempi dell’età dell’oro. C’è da chiedersi piuttosto se vi sia stata decadenza pure lì o se negli altri generi ci siano addirittura le premesse per individuare un declino.

  16. Che posso fare se sono in tema e non ci se ne accorge? In ogni modo, mi diverte molto essere stato promosso o degradato da persona a questione. Sono in buona compagnia, dal caso Wagner al caso Makropoulos.
    Ciao
    Marco Ninci

  17. Le acrobazie dialettiche di Marco mi fanno veramente sorridere, perso com’ è nella contempazione estatica dei Sommi Sacerdoti muniti di ferula e dei Demiurghi della messinscena intenti a indagare su importantissime questioni psicosociologiche, del tipo se Mozart avesse problemi con l’ affitto di casa mentre componeva il Don Giovanni o se Verdi elucubrasse sulla situazione dei salariati del suo tempo. Marco, mettiti il cuore in pace: in una buona fetta del repertorio operistico il canto è la questione centrale. Il Tancredi con la Horne e la Cuberli mi ha entusiasmato, un Tancredi di Robert Carsen senza voci adeguate sarebbe una cosa del tutto irrilevante. La Norma della Callas è tuttora la raffigurazione più completa e attendibile del personaggio anche se lei l’ ha sempre eseguita con direttori al massimo di livello medio. Lo stesso dicasi per la Lucia o la Amina della Sutherland. La Callas con Serafin mi ha fatto capire la Norma, Riccardo Muti e Jane Eaglen mi hanno solo annoiato.

  18. Nonostante tutto, continuo a ripetere che il canto è assolutamente centrale nell’opera per storia e tradizione e tutto ciò che non vi rientra a mio avviso non è più opera: è altro!
    Come ho già detto, penso che se uno canta bene, ha sempre successo (anche se ovviamente ci sono pareri discordanti).
    Potrei avvallare come riscontro il fatto che ai concerti della Gruberova e della Devia ci va sempre un sacco di gente, perché la gente SA che queste due signore sanno cantare. Passino i mib calanti della Gruberova (ormai dei re), passino le voci microbiche per ruoli drammatici come la Bolena, la Borgia etc etc , eppure queste due signore sanno fare il loro mestiere!

  19. Non sono d’accordo con marianne sul fatto che prima c’erano più cantanti (bravi o meno): secondo me oggi ce ne sono molti ma molti di più perché oggi ci sono molte più possibilità di intraprendere studi ed una carriera da cantante. Come in tutte le cose però, dovendo produrre grandi numeri, la qualità diminuisce, quindi concordo sul fatto che prima ce ne fossero di meno ma il livello fosse più alto di oggi!
    E’ come comprare pomodori al supermercato e pagare tot ed accontentarsi, oppure andare in una coltivazione biologica fuori città e spendere un po’ di più ma avere qualità!

        • Ah! Ma quelli non cantavano in provincia Mozi! 😀 Colmagro e Montefusco mi mancano però… Eh una volta i nomi li sapevo tutti anche io, poi la caccia finì con la fatica del canto vissuto in prima persona!
          Intanto la Santunione ha, a mio sommesso avviso, dato la più bella interpretazione di Madame Sas-Gene. Introvabile, quella della Scala con Gavazzeni del…. ’67? Con – altro grande dimenticato – Franco Tagliavini nel ruolo di Febvre…

          E la Oltrabella? Pensate: la mia insegnante cantò un’Artesiana al sociale di Como. Volete sapere il resto del cast? Oltrabella, Borgonovo e… Schipa (che le raccontò del suo debutto a Vercelli e della fuga col suo impresario per non pagare il debutto – perché allora si faceva così: pagavi per farti conoscere e via di gavetta nella provincia profonda! Non cominciavi come oggi dalla Scala!).

  20. In passato si è parlato di malcantismo degli anni 50 e di scuola del muggito che addirittura veniva fatta risalire a Titta Ruffo. A partire dalla Callas e poi con gli anni 60 70 e 80 si è poi discorso di rinascita del canto lirico e si è avuta – più specificamente – la belcanto Renaissance. Questo per dire che non si può parlare di un progressivo declino ma probailmente di alti e bassi. E di certo, rispetto anche solo agli anni ’80, stiamo vivendo un periodo non particolarmente felice. Già da decenni poi si assiste alla progressiva scomparsa delle voci di caratura importante, di gran volume. Questo fatto è probabilmente legato al passaggio dalla civiltà contadina – dove l’organo vocale era sollecitato maggiormente – alla cultura urbana ( si canta meno, si parla a voce notevolmente più bassa, c’è l’inquinamento ). Sicuramente oggi pesa in modo sommamente negativo l’egemonia rivestita dai registi: l’attenzione e la sensibilità si è spostata dal canto all’allestimento scenico e alla regia. Il pubblico poi si è fatto meno esigente, e capita sempre meno di assistere – in teatro – ad aperte disapprovazioni delle performance discutibili. C’è stata credo una mutazione del pubblico e ai melomani attenti a certi valori si è spesso sostituito un generico”consumatore di cultura” con meno passione e meno competenza. Ad essi si aggiungono poi, nei grandi teatri, i turisti: quasi sempre presenzialisti senza competenza alcuna. In questo modo la vita dell’interpete diventa più facile e più facile è imporre personaggi selezionati in base a doti non esclusivamente artistiche. L’ aspetto fisico ha ormai assunto una importanza sproporzionata e deleteria. Una volta poi costruito un divo lo si impone possibilmente dappertutto, a prescindere dalle esigenze di repertorio: si vende il divo, non la prestazione artistica. Un’ultima cosa: non è vero che il canto è sempre lo stesso. La tecnica è sempre la stessa, ma il canto d’arte ha come presupposto la tecnica ma non si risolve solo in essa: si tratta di interpretare, di avere una visione del personaggio, dello spartito. Un segno del ritardo culturale che affligge l’ambiente del canto lirico è proprio questo: pensare che la semplice tecnica esaurisca tutto. Idea che a nessun insegnante di qualunque strumento – anche della più sperduta provincia – verrebbe in mente. Il mondo è pieno – per fare un esempio – di pianisti dotatissimi tecnicamente ma senza i minimi requisiti per una carriera professionale da solisti. Ed infatti fanno di regola altro. Così la storia del canto è storia di intepretazione e dunque una storia in movimento. Pensare l’arte del canto ( cosa diversa dalla mera tecnica, ripeto) come qualcosa di statico e immutabile sarebbe qualcosa di assolutamente anomalo: l’arte interpretativa direttoriale, pianistica, etc. etc. sono da sempre in movimento ( non dico in evoluzione, attenti), perchè il canto dovrebbe fare eccezione?

    • Gianmario, concordo sulle tue considerazioni e vorrei integrarle con qualche riga dedicata alle incisioni. Una volta il disco rappresentava il coronamento di una carriera, si arrivava a incidere per una grande etichetta solo dopo una serie di riconosciuti successi nelle piazze più importanti e per lasciare la testimonianza di un’ interpretazione sperimentata in teatro. Oggi invece il disco è adoperato come strumento per lanciare una carriera. Si costruiscono star a tavolino, propagandate attraverso un paio di album, loro stanno al gioco perchè questo gli procura scritture, nel giro di una decina d’ anni sono fuori combattimento per mancanza di impostazione tecnica e allora si provvede a costruire il nuovo fenomeno. Pensate che se la Gheorghiu o la Netrebko facessero i dischi per la Chandos o la Hyperion, invece che per EMI e DG, avrebbero la fama che hanno?

    • Caro Gianmario, tu ben dici che l’arte del canto non può ridursi alla mera tecnica, e ciò vale anche per tutte le altre applicazioni della musica. Dici anche che il mondo è pieno di pianisti tecnicamente agguerriti ma che mancano della personalità (e utilizzo questa parola nel senso più ampio possibile) artistica per essere qualcosa di più che semplici suonatori di pianoforte. E io sono assolutamente d’accordo con te; così come concordo che anche l’interpretazione canora non può restare ferma e deve, come in altre discipline musicali, registrare i mutamenti del tempo. Tutto vero. Però, torno a ripetermi, secondo me il problema viene prima di tutto ciò che tu dici. Tu parli di pianisti preparati ma senza personalità; io ti rispondo: sì, ma preparati, senza personalità ma con una professionalità. E qui, a mio avviso, sta il problema del canto oggi: non si riesce più a formare persone professionali che, eventualmente, forti della loro professionalità possano anche aspirare a divenire artisti. Allo stato attuale delle cose tu discuti, ripeto molto giustamente, di sintassi del periodo quando però il problema sta nella sillabazione, se mi passi la metafora linguistica. Il problema è che mancano artisti perché mancano prima ancora cantanti. Poi si sono dati nella storia casi di personalità talmente forti da far dimenticare o comunque ridimensionare i limiti di emissione (cito a caso: Schwarzkopf, Capecchi, Gobbi, Di Stefano, Fischer – Dieskau). Però, se parliamo di didattica, questi sono esempi che andrebbero additati come negativi. Il compito di un buon maestro è indicare la via giusta per far sì che l’allievo impari a suonare correttamente il proprio strumento, nel caso in oggetto la voce. Quando poi sa “suonare” la propria voce con sicurezza e serenità, si può, anzi, si deve cominciare a fargli notare che sta interpretando un personaggio calato in uno specifico contesto drammaturgico, che interagisce con altri personaggi che contribuiscono alla definizione del suo carattere (come accade nella vita vera: anche noi, in parte, ci definiamo nel nostro rapporto con gli altri), che detto personaggio ha un’evoluzione psicologica nel corso dell’opera, che saper cantare piano e forte non serve a cantare piano e forte ma a dare rilievo a tutto quanto scritto prima etc. etc.
      Però converrai con me che se a un giovane non si è nemmeno in grado di insegnare a cantare, diventa arduo affrontare tutti gli altri problemi che fanno del canto un arte.

      • Perfetto. Il mondo è pieno di violinisti che suonano perfettamente i Capricci di Paganini (un secolo fa considerati ineseguibili o poco meno) perchè senza saper fare questo non possono ottenere il diploma. Poi quello che hanno idee e personalità fanno i solisti, altri entrano in orchestra e altri ancora divengono insegnanti o fanno altro. Però i Capricci di Paganini devono saperli suonare.

      • Ma che personalità e interpretazione d’Egitto… Nel canto così come in ogni disciplina musicale c’è lo studio per prendere possesso dello strumento (l’imposto della voce, l’esercizio sulla tastiera del pianoforte), e c’è poi lo studio musicale. Oggi c’è pieno di presunti musicisti che suonano le note alla perfezione, senza però svolgere un discorso musicale sensato. Non si tratta di mancanza di personalità, ma di carenza musicale, cioè carenza artistica.

          • Non ho detto tutti… Ma tanti sì, sia tra gli strumentisti, sia tra i direttori, sia tra i cantanti (una Devia ad esempio… una che “suona” molto bene se vogliamo, ma vera musica non ne fa).

    • Caro Gianmario, io penso che Scuola del muggito omalcantismo anni ’50 etc…fossero definizioni per fenomeni più che altro attinenti al gusto che no alla produzioni di voci impostate in modo da poter affrontare una carriera con i ferri del mestiere. Le grandi voci non è vero poi che non ci sono più, ci sono eccome, anzi, direi che tutti coloro i quali si esibiscono oggi in repertori spinti o pesanti sono grandi voci, che la natura ha dotato in modo speciale. Ritengo che manchi la possibilità e/o la capacità di educare tali voci a svilupparsi in rpiezione, estensione, duttilità etc…come avveniva un tempo.
      Ritengo Alvarez una grande voce, ad esempio.Come pure la Rodvanovsky, la Zajich,la BArcellona …etc…anche Meli, per altro repertorio. Ci sono le voci, e cantano più perchè sono fenomenali di per sè che per altro…

      • E’ vero, è vero, le voci ci sarebbero, non tutte “importanti” come nei periodi precedenti però, ma sono impiegate in repertori sbagliati e molte volte al di sopra delle loro reali possibilità (problematica che esiste però da sempre) oppure, anche se nei ruoli giusti finiscono per essere ben poco valorizzate; ma non mancano le sorprese ovvio 😉

        La centralità dei ruoli nella grande macchina operistica è sempre stato ciclico a mio parere: basta pensare all’ alternanza della centralità che si è dati ad uno o più elementi nelle varie epoche storiche: compositore, poi i castrati, le primedonne (uomini e donne), le bacchette, etc. oggi tocca ai registi che non demonizzo affatto però, sarebbe sciocco e ridicolo, e questo da da pensare al ruolo del cantante, alla sua odierna collocazione e preparazione tecnica.

    • “Questo fatto è probabilmente legato al passaggio dalla civiltà contadina – dove l’organo vocale era sollecitato maggiormente – alla cultura urbana ( si canta meno, si parla a voce notevolmente più bassa, c’è l’inquinamento )”

      Curioso! Questa tesi me la ricordò un amico che non vedo da molto tempo, che si chiama come te e che mi portò per la prima volta a teatro. La imputava a Celletti e, se non ricordo male, si parlava del vocione della Barbieri.

      E’ vero, il canto come qualsiasi altra arte non si risolve nella tecnica, ma la presuppone: se non c’è tecnica, non ci può essere evoluzione. E oggi la tecnica latita nonostante si spaccino gli odierni latrati per presunta “evoluzione” di tecnica, gusto e stile. Penso siamo d’accordo che se un cantante si strozza o emetta suoni tirati in gola, semplicemente non sappia cantare.

      Per inciso: a quella tesi sulla voce contadina, comunque non ho mai creduto più di tanto. Allora preferisco dare maggior credito a quella del diapason dopo l’introduzione della fibra sintetica negli archi a sostituzione del crine.
      Tanto più che quello che mi fa venire il nervoso è che, per citare i soliti a cui fischieran bene le orecchie, Kaufman e Netrebko non sarebbe per niente male. Se solo capissero una buona volta che muggire e cantare sono due cose diverse.
      E altre belle voci ce ne sono e ce ne saranno sempre: manca la tecnica, però, per tirarle fuori. Oggi è come cavar sangue da una rapa.
      Ma non dico nulla di più di ciò che dice la Grisi…

      • Oggi mancano soprattutto le corde spesse: bassi, veri baritoni, tenori alla Caruso, alla Pertile o alla Bergonzi, mezzosoprani. Le voci diventano sempre più piccole e acute. Sicuramente questo è dovuto anche ai cambiamenti nello stile di vita. Non ci sono più i fisici robusti e tozzi di un tempo, ci siamo allungati nella statura e la fibra si è fatta più sottile.

      • Caro Tamberlick, sicuramente anche il diapason è stato un fattore che ha avuto la sua incidenza. Una concausa da affiancare alla mutazione antropologica e, sicuramente, ad altre nella trasformazione fisica della voce umana, sottoposta ovviamente anch’essa alla legge della evoluzione. Infine – chidendo scusa a tutti se esco dal tema – mi farebbe piacere sapere quale era l’opera che siamo andati a vedere assieme ( e che per te era la prima ) così che possa individuare meglio il vecchio amico.

        • (Sempre che sia tu 😉 O la Madame Sans-Gene a Modena con la Freni, Merighi e Buda o Cena delle Beffe a Bologna… Se non ricordo male cantavano Cupido e la Marrocu. Fine anni ’90? )

          Mi spiace, ma la tesi di un’evoluzione antropologica così veloce (una o due generazioni?) continua a non convincermi. Come non mi convince che lo stile di vita urbano debba incidere sulla fisiologia dell’organo. Può impattare come abito mentale che condiziona a sua volta coscienza della voce. Poi a me non sembra proprio che la gente parli a bassa voce oggi: basti prendere un treno o sentire la gente che parla al cellulare per strada…. Opinioni mie eh

          • Infatti è improprio parlare di evoluzione della specie umana, processi di questo tipo richiedono milioni di anni, è assurdo pensare che nell’arco di un secolo il nostro corpo abbia subito mutazioni… C’è stato però un cambiamento radicale nel tenore di vita e nelle abitudini alimentari, e questo non ha influito sulla nostra morfologia ma sulla nostra costituzione fisica sì. Le grandi voci di basso, oppure le sontuose voci da mezzosoprano o da sopranone drammatico, sono sempre più rare. In genere chi possiede questo tipo di voce si trova anche con un fisico fuori dal comune, per cui – ipotizzo – può anche darsi che oggi i soggetti in possesso di quelle voci finiscano per dedicarsi ad altri campi diversi dal canto, come lo sport ad esempio. Comunque è evidente che oggi tra gli uomini ci sia una esplosione di tenori contraltini che non si era mai vista in passato, mentre i bassi sono una rarità. Questo resta però un discorso a parte, non c’entra niente con il fatto che oggi le voci, grandi o piccole, siano per lo più male educate.

          • Mah… Vedo comunque la media dei ragazzi con 10 anni meno di me tendenzialmente più allungata, ma anche più robusta. Quindi tendenzialmente dovrebbero esserci ‘ste benedette corde… Anche se è vero che sento molte voci alte, sì, questo è vero.
            Non so comunque: sia discorsi evolutivi che alimentari mi sembrano, a intuito, un po’ lontani dal nostro problema. Però.. è anche vero che tutto può essere, ma se così fosse, basta: cosa stiam qui a discutere di un’arte destinata a sparire?
            Io però ricordo di aver salutato un paio di “baritoni” che parlavano piuttosto alto…. Però…

          • Attenzione però, anche nel modo di parlare ci sono stati dei cambiamenti che influiscono sul canto. Ascoltiamo i conduttori televisivi di quarant’anni fa, e confrontiamoli con quelli di oggi. Una volta si parlava con un tono di voce più alto e sostenuto, con voce più libera schietta e sfogata, e con una dizione molto più corretta. Oggi si parla generalmente male, i ragazzi si mangiano le parole, parlano per monosillabi, grugniscono come bestie (sono stato in Inghilterra e riuscivo a comunicare solo con gli anziani). Siamo poi una società di mentalmente complessati, non c’è più la schiettezza, la spontaneità, la naturalezza di un tempo. Tutto ciò ovviamente si riflette anche nella voce.

          • Si tratta di ipotesi che cercano di dare spiegazione a fenomeni reali, non c’è nessuna prova sperimentale al riguardo . Nel giro di poche generazioni – come ricordava Mancini, – il fisico degli uomini e delle donne è cambiato e presumibilmente questo ha comportato mutamenti anche nell’organo vocale. (Hai poi trovato quell’esecuzione Rai della Medium in cui cantava la tua insegnante? )

          • Mancini, sì, vero: una volta se andavi in televisine dovevi conoscere la dizione; vero anche che siamo tutti complessat e questo si ripercuote massimamente sulla voce… Ma io parlavo proprio del tono. Comunque, vabbé. Sta di fatto che non credo in mutazioni significative dell’organo vocale tali da far scomparire le corde di basso baritono e acute drammatiche… sono più propenso a pensare che o non cantino o studino male.

            Perdonino gli avventori del blog se saluto un amico, ma mancado un meccanismo di messaggistica privata è l’unico modo! Ben ritrovato Gianmario! Sì, l’ho poi trovata: è stata ripubblicata da GOP. Sarebbe bello rivederci per una chiacchierata d’opera e dintorni!

  21. Opera come arte senza produzione del nuovo è palesemente falsa come definizione perché il nuovo è nelle nuove regie che si concentrano su nuovi spunti.

    Per il resto, mi sembra di stare a leggere dei vecchi che parlano di quando i treni arrivavano in orario. Che noiaaaaaaaaaa. Questi discorsi si fanno da 100 anni, con le stesse parole e con la stessa spocchia.

    • Opera senza produzione di nuovo perchè di nuove opere liriche di fatto no se ne scrivono o sono eccezioni in una continuità produttiva che non c’è. duro di comprendonio!
      PS se non vieni più nè a leggere nè a scrivere ci farei tutti più felici!

      • Finché ci sono nuove produzioni il teatro lirico sarà sempre produzione del nuovo. Mi fa ridere il pensiero della Giulia Grisi che a teatro urla “Bravo Pucciniii”. Il teatro è arte dinamica, non aver capito questo significa essere all’anno zero della propria coscienza critica. Che poi tante, troppe, nuove produzioni siano “finta avanguardia” è vero, ma è tutt’altro discorso. Di certo poi a rigor di logica non esiste un’antitesi tra canto e regia, a meno che non si consideri il teatro un’arte “a somma zero”, ma ci vuole tanto coraggio a spararla così grossa.

        Infine, cara Giulia, il tuo invito all’autocensura è quanto di più becero abbia letto tra queste pagine. Che visione hai della dialettica? Un monologo seguito da tanti “quanto sei brava, quanto ne capisci”? Benvenuta nella rete, cara mia.

        Da parte mia penso di portare spunti di discussione sì critici ma mai insultanti e sempre aperti al dialogo. Le risposte di Mozart e Marianne criticano quello che ho detto ma al contempo mi arricchiscono.

        • Caro Heidelberger,

          direi che il discorso è molto più semplice di quello che sembra.

          Io non credo che i lettori di questo sito siano così ingenui o intellettualmente sprovveduti da non rendersi conto dell’inevitabile mutamento ed evoluzione dei gusti teatrali, come tu stesso giustamente dici.

          Ma il mutamento e l’evoluzione del fare spettacolo POTREBBERO, anzi DOVREBBERO, andare di pari passo con un valore che invece deve restare immutabile: la preparazione dei cantanti, la professionalità, la competenza, che oggi invece fanno quasi immancabilmente difetto.

          In mancanza di questo elemento centrale del TEATRO LIRICO, stare a discettare degli spunti freudiani in Verdi o della critica sociale in Mozart o del femminismo in Donizetti, è perfettamente inutile… è come iniziare a costruire la proverbiale casa dal tetto anziché dalle fondamenta.

          Dunque, per riassumere: gli spettacoli cambiano, le messe in scena si evolvono, le letture dei vari lavori si modificano con il modificarsi della storia, della cultura, della mentalità… ma non dovrebbe – non deve – cambiare il canto.

          • P. S. Posso anche accettare una Traviata ambientata sulla Luna (purché la regia sia coerente e ben congegnata, beninteso)… ma se manca il Canto, uscirò dal teatro pensando: peccato, un’altra occasione sprecata!

          • e’ inutile perdere tempo con figuri che si insinuano qui facendo finta di non capire per potere provocare ed insultare. heidelberger è in effetti ancora ai tempi dell’uomo di Heidelberg….quanti milioni di anni fa ??…..nella sostanza e nella forma. Rozzezza di pensiero e medi, voluti beninteso, sono degni di chi si procurava da mangiare armato di punte di selce!

        • non credo che un becero come te, entrato qui da becero e provocatore a darci dei razzisti, possa dare del becero a nessuno. Lo sei nei modi dal tuo arrivo e pure nel pensiero….ripeto, vai a scrivere altrove. Volente o nolente ci andrai.

    • Io invece mi annoio a vedere registi che masticano e rimasticano da trent’ anni le stesse menate…vedi tu. I costumi contemporanei, le luci di sbieco o parziali e la recitazione sopra le righe sono cose che risalgono al teatro espressionista degli anni Venti. La fregatura del teatro lirico è proprio costituita dal fatto di essere caduto in mano a un’ avanguardia che da quando ha preso il potere si è cristallizzata e ridotta a stereotipo

    • Ci sono le idee, ci sono le regie che salveranno l’opera … e se manca tutto il resto che si fa?
      E per resto intendo, appunto, i cantanti che si fa?
      Pantomima? Playback? Si fa un’operazione alla Beckett tipo: scena priva di attori/cantanti e rappresentazione di oggetti e luci alternate?
      Solo che Beckett era un genio del teatro e della drammaturgia…

      Anche io mi annioio a morte a leggere certe cose che vorrebbero essere “avanguardia” o “moderniste” e sono più vecchie, capziose e ritrite dei treni a carbone!

  22. Difficile non essere passatista, non rimpiangere i cantanti e i grandi che abbiamo imparato a conoscere dai dischi o nei teatri in anni di gioventù, in virtù del fatto che tutto muta e si trasforma. Qui sopra, tanti interventi, che condivido, per individuare le ragioni dell’attuale decadenza; ad esse vorrei aggiungere un ulteriore motivo strettamente connesso ai ritmi della vita attuale, ai tempi serrati della giornata, della competitività del mondo del lavoro che fagocita il tempo libero; tempi strettissimi che mal si adattano al respiro lungo che l’opera necessita.
    Il canto prima di essere arte, grazie al fraseggio, ed espressione, frutto della creatività personale, è sapienza artigianale, tecnica empirica da acquisirsi nel passaggio maestro-allievo e, come tale, necessita lungo lavoro quotidiano, abnegazione, pazienza, virtù sconosciute a molti giovani cresciuti con i tempi velocissimi dei videogiochi e dello zapping televisivo.
    Per gli ascoltatori sono egualmente necessarie competenze, un orecchio abituato al confronto, la conoscenza del repertorio e anche queste nozioni per essere acquisite necessitano tempo . Per il pubblico attuale è assai più facile, meno impegnativo, fruire di uno spettacolo basandosi su immagini, regia, senza addentrarsi in confronti musicali e canori che implicano una cultura specifica.
    Per il cantante privilegiare la cura dell’aspetto, visivo o mediatico, rispetto al tempo necessario allo studio ( ricordiamo ancora una volta i 15 min. che la signora Netrebko dichiara di dedicare allo studio ) sono ancora il risvolto di una società che ha fatto dell’immagine (come già ricordato da Donna Giulia ) e della velocità del consumo il proprio motore.
    Da quanti anni in teatro non si dedicano due mesi alle prove di una nuova produzione ? quali registi possono contare sulla presenza di un cantante affermato per più di dieci giorni ? per quanti mesi o anni l’interprete studia un nuovo ruolo ?
    Il tempo, come “spazio da dedicare”, e la sua mancanza, lo inserirei tra i motivi della decadenza del canto lirico.

  23. Hidelberger: “Di certo poi a rigor di logica non esiste un’antitesi tra canto e regia, a meno che non si consideri il teatro un’arte “a somma zero”, ma ci vuole tanto coraggio a spararla così grossa.”

    Ossì che esiste a rigor di logica un’antitesi tra canto e regia: se un regista ti fa cantare tutto il tempo con la schiena rivolta al pubblico, come pensi che il pubblico stesso ti senta? Dove si proietta la voce, nei camerini?
    Se il regista ti impone di cantare in vestaglia (giusto un riferimentino al Non Giovanni scaligero), rischiandoti di prendere un malanno, come pensi che di poter cantare al meglio preservando lo strumento?
    Se il regista ti impone di cantare dal fondo con una scenografia colossale davanti …. ?
    Si è persa anche l’arte di fare regia, curando particolari inutili e non visibili dal palchetto, mentre non si tiene spesso più conto dei movimenti generali e delle necessità della voce!

  24. Primo post.
    Scrivo due o tre cose.

    Uno dei punti fermi di questo blog è l’esistenza un’unica vera tecnica di canto, la tecnica italiana.
    Sono d’accordo, ma entro certi limiti.

    Sopravvivono ampie testimonianze di quello che era la musica precedente all’innesco della nostra tradizione classica: il canto a tenore della Sardegna, le voci bulgare, la polifonia balcanica…
    Le culture locali peraltro non usano il canto “naturale”, alla Romina Power :-) ma hanno delle impostazioni vocali peculiari, frutto di ancestrali ricerche sonore; e nessuno ovviamente si sogna di definire scorrette tali vocalità.

    Fin qui niente di nuovo.
    Ma anche nella musica classica, la scuola italiana non è l’unica che io ritengo valida. Apprezzo lo stile di canto inglese, anch’esso dotato di secolare continuità di tradizione: cantanti come Emma Kirkby, Anthony Rolfe-Johnson, poco amati qui; Alfred Deller e James Bowman e la stirpe di controtenori che discende dalla tradizione del “glee”; poi ovviamente i King’s Singers, e così via.
    Questi nomi, qui bocciati come sbiaditi e accomunati ai baroccari, a mio avviso sono esponenti di una scuola diversa dalla nostra, col proprio caratteristico bagaglio tecnico e identità sonora.

    Fermo restando che l’opera lirica predilige la vocalità italiana.

    E poi ci sono i veri cantanti “sbiancati”, col timbro di gola, le agilità arruffate etc. Inviterei a ascoltare la differenza, che so, tra Emanuela Galli, soprano che lavora con Gardiner, e Patricia Petibon, pericolosamente in area “sbiadita”.

    Riguardo l’attuale voga della spinta e dello sforzo: indifendibile.
    Kauffman, Netrebko, Villazon, sono semplicemente del talento sprecato. Rappresentano una degenerazione del gusto e della tecnica, parallela a quella dei sedicenti filologi barocchi dai suoni fissi.
    Come è stato possibile il dilagare di tecniche scomode per il cantante, e, di pari passo, sgradevoli e innaturali all’udito?

    Spero di avere occasione di discorrere con voi di questi argomenti, e in generale di opera e di canto.
    Saluti

    • Non è vero che esiste un’unica “tecnica”, io ho detto ben di più, ossia che esiste un unico CANTO, ed il canto NON è tecnica. Di tecniche, metodi, scuole, ne esiste una gran varietà. Credo che non riusciremmo a trovare neanche due maestri, del presente o del passato, che insegnino il canto nello stesso modo. I trattati storici dicono tutti cose più o meno diverse l’uno dall’altro. E’ evidente quindi che non è mai esistita un’unica “tecnica italiana”, né un’unica scuola. Pensiamo ad esempio al passaggio di registro: un tempo lo si studiava con la tecnica di alleggerire il petto rinforzando poi il falsetto. Oggi generalmente le voci maschili studiano il passaggio raccogliendo e coprendo il suono, senza esercitare il registro acuto nella sua purezza. Due tecniche diverse, ma il passaggio di registro resta sempre il passaggio di registro, così come il canto resta sempre il canto. La tecnica o le varie tecniche sono solo strumenti per educare la voce.
      Il punto è che la voce perfetta non è la voce “tecnica”, bensì la voce che ha fatto del canto la sua seconda natura, superando ogni stadio di gradualità tecnica: il canto esemplare è un canto che non ha più bisogno di tecniche. Ben pochi nella storia hanno raggiunto questo livello, sia chiaro. E non sto parlando di un canto sgrammaticato, sia ben chiaro.

      Vorrei che fosse chiaro a tutti che il canto è uno, indipendentemente dal genere musicale, dallo stile, dall’epoca, dalla cultura, dalla tradizione. Parlo ovviamente di un vero canto artisticamente esemplare. La vera Arte è universale e senza tempo.

  25. Caro Fledermaus, il blog come gran parte degli scriventi parlano di tecnica di canto ovviamente classica riferita all’opera, ma è ovvio che esistono tante tecniche di canto, come quelle da te citate o quelle di cantanti che cantando un bordone in registro grave ci tessono sopra una melodia molto acuta sempre con la stessa emissione (non ricordo ora il nome: appena lo trovo, lo scrivo).

    Una precisazione: tenendo conto della valutazione del Garcia che esiste una sola tecnica ma tanti stili (ci sono ovviamente pareri contrari tra cui studiosi come l’Uberti che pensano che ad ogni cambiamento laringeo ci sia una tecnica diversa) scuola non significa tecnica: per citarne tre, la scuola inglese, italiana e francese sono le scuole di canto plasmate sulla lingua e quindi con tutti i difetti e pregi di ciascuna lingua! Ovviamente sta al cantante essere storicamente e linguisticamente coerente nello scegliere il repertorio! Immaginati un cantante di pura scuola francese che canta repertorio italiano con tutte le vocali nasali: impensabile! C’è da dire che comunque oggi la “scuola” si è un po’ persa: faccio un riferimento architettonico all’inizio del secolo XX con la “creazione” dell’International Style che serviva per dare risposto a tutto, in qualsiasi posto e per qualsiasi cosa: niente di più aberrante. Tant’è che i (mostruosi) esempi vocali che poni quale Kauffman, Netrebko, Villazon sono come delle macchinette che sposti in qualsiasi repertorio ed in qualsiasi lingua e canteranno tutto uguale! International Technique oltre che Vocalità Decostruttivista 😛

    Così come la scuola inglese ha prodotto cantanti come la Butt o la Bell o la Price, e non di certo la Kirkby che parte da tutt’altri presupposti tecnici e personali. Anche se molti del blog la detestano, a me piace molto nel repertorio rinascimentale-barocco inglese (Handel non compreso) e anche in certo repertorio rinascimentale italiano.

  26. Mi è soggiunta in mente un altro motivo (forse) del degrado del canto: molti cantanti di fama alla vecchia maniera (buona fama=solida tecnica) evitano categoricamente di avere allievi.
    Esempi direttissimi possono essere Panerai e la Casolla che hanno detto esplicitamente di non avere allievi ma di dare consigli a chiunque volesse (il primo) oppure che fa solo masterclass lagnandosi del basso livello degli studenti (la Casolla).
    E qui potremmo stendere un velo pietoso sui masterclass, che come diceva giustamente Joan Sutherland “servono solo a crare confusione!”.

  27. Caro Mancini, per me non esiste l’Arte, ma l’arte. E la maiuscola la riserverei soltanto ai sostantivi che vengono dopo il punto e ai nomi propri. Basta. Né l’arte, soprattutto la grande arte, è qualcosa di universale e senza tempo. Nasce invece nel tempo, inglobandone tutti i condizionamenti. Quando è importante, riesce a parlare anche al di là del proprio tempo; ma non parla in assoluto, parla invece ad altri tempi, che la accolgono secondo i modi che sono loro propri e che in verità non coincidono con quelli dei tempi in cui è nata. In altre parole, secondo me non si può parlare per l’arte né di verità né di oggettività né di assolutezza; è semplicemente il rifrangersi reciproco di specchi deformanti.
    Marco Ninci

    • Caro Ninci, non ci ho capito assolutamente nulla, pare una tirata da regista moderno su un allestimento che va giustificato. Soprattutto non ho capito l’attinenza con l’argomento del degrado del canto (o del Canto).

    • L’Arte è qualcosa che riguarda la natura profonda dell’uomo, la sua essenza, che in quanto tale è eterna ed immutabile, a meno che non si verifichi una disumanizzazione. Per questo dico che l’Arte è universale e senza tempo. Per cantare non c’è che un modo solo.

    • Grazie Pappy, bellissimo video, mi son quasi commosso…
      Purtroppo già sento quelli che chioseranno con sufficienza: è anziana, cosa vuoi che dica, non può che essere attaccata ai valori del suo passato, le cose cambiano…

      • Nicola, la signora Olivero ha cantato tutta la vita: credo che il suo giudizio valga tantissimo (oltre che essere una bellissima testimonianza) rispetto a tutte le altre opinioni di personaggi “esterni” al mondo musicale, dei non addetti ai lavori.
        Peraltro, l’opinione della Olivero è molto simile a quella di tanti altri grandi cantanti come Cotogni stesso, Lauri Volpi (allievo a sua volta di Cotogni), Gigli e tanti altri che di canto e di come si canta un’opera ne sanno FORSE un po’ di più dei suddetti “esterni”.

  28. Il messaggio della Sig.ra Olivero esprime commozione; nello stesso tempo esprime una ben precisa concezione della musica e del canto. Proprio perché precisa, non è l’unica possibile ed è ben lontana dall’essere onnicomprensiva. In quanto tale, non prescinde né dalla storia né dalla società. Com’è ovvio che sia per ogni atto umano. O forse qui si nasconde una profonda metafisica? Spero di essere stato più comprensibile per Rello. Se così non dovesse essere, me ne farò una ragione.
    Marco Ninci

  29. Trovo veramente emozionante questi passi:
    “Io vi faccio gli auguri più belli perché possiate continuare a dar vita al ricordo di Cotogni … e anche il canto, che possa essere per lo meno un poco simile a quello di Cotogni, che oggi non esiste più: non si sa più come si respira, come si sostiene, la tecnica è una cosa che non serve, vero? Si canta così, come viene viene. Ed è la tragedia immane perché le voci non ci sono più e si assiste a spettacoli che purtroppo, per noi, sono cose dolorose. Vedere l’arte che piano piano la fanno arretrare, andar sempre più lontano, sempre più lontano, finché non esisterà più arte, voci e musiche come quelle di quei tempi”.

    “Penso che (i componenti dell’associazione Cotogni) potranno con il loro amore, con il loro affetto per questo grande baritono… forse potete tenere VIVO quel ricordo e che un giorno magico magari avvenga il miracolo … che anche altre persone comincino a dire “Però cantavano mica male”, ” Però questa musica noi non l’abbiamo mai sentita cantare in questa maniera, che è pur tanto bella”. Perciò speriamo che avvenga questo miracolo”.

    • Ma la Olivero come fa a parlare di Cotogni? Mi risulta che Cotogni sia morto – molto anziano – quando la Olivero era appena una bambina. Forse si riferisce in generale alla scuola di canto romana, di cui Cotogni è certamente uno dei massimi rappresentanti.

      • Hai ragione, Mancini, sulle coincidenze cronologiche: tieni anche conto che la Olivero non dovrebbe aver mai sentito dal vivo Cotogni (almeno credo) per il fatto che lei è del 1910 e le due registrazioni pervenuteci di Cotogni sono del 1908, anche se poi Cotogni morirà nel 1918.
        E’ indubbio che la Olivero abbia conosciuto Cotogni e la sua voce indirettamente attraverso lo spartitista come dice Donzelli, ma anche attraverso gli allievi di Cotogni stesso con cui in parte la signora ha cantato, Gigli in primis!

  30. Riassunto di tutta la discussione.
    Ahimè, qui bisogna purtroppo accontentarsi di quel che passa il convento e temo che in futuro sarà anche peggio, se consideriamo quel che certi cantantucoli/e scrivono su facebook, rivelando una fondamentale ignoranza sia della tecnica (ma quasi tutti i maestri di oggi sono una pena…) che dal punto di vista storico. Intendo dire che non sanno una beata mazza di prassi esecutiva: questi messeri odierni non cantano, solfeggiano.
    L’ altro problemino è che costoro trovano pure estimatori altrettanto ignoranti….e vabbeh! Continueremo a rifugiarci nei dischi…

  31. poi non la trovo una polemica da passatisti, questa, anzi, si tratta di una questione drammaticamente attuale. Mica vero, per esempio, che tutti i cantanti del passato, anche grandi, siano stati bravi! Chi l’ha detto? Vogliamo parlare del canto di Di Stefano, di Del Monaco? Di Gobbi? E’ un canto il loro esemplare e raccomandabile? no di certo, e non sono certo il primo a dirlo, eppure erano grossi personaggi grazie a uno star system che poteva (ingiustamente) equipararli a ben altre personalità autenticamente artistiche sul piano vocale, o addirittura metterli a di sopra di cantanti minori che in quanto a tecnica preparazione e mezzi natrurali non erano inferiori! Ma queste sono le leggi un po’ folli dello spettacolo, in tutti i campi. Tornando all’ultimo post di Mozart2006, e su quanto dice del solfeggiare, che ha fatto scomparire il fraseggiare, insisto sulle responsabilità dei direttori d’orchestra, che non scendono su un terreno comune di esecuzione vocale, e anche qui non si tratta di essere grandi o piccoli, nel passato come nel presente

    • Scusa se mi permetto, ma Di Stefano, Gobbi e del Monaco non sono diventati quello che sono diventati solo perché sostenuti dallo star system. Ce li avessimo oggi, non piangerei. Non avevano una tecnica impeccabile? Sta bene. Ma ne trovi uno che assomigli loro oggi?

      • ci rifletterò, non sono in grado di risponderti, però la butto lì: forse oggi c’è chi assomiglia a loro, come “tipo” di cantante-personaggio con buone basi professionali e uno star system dietro, che però non contribuisce affatto a migliorare l’arte del canto

        • Mah. Io ti inviterei a riflettere sul fatto che il canto, che lo vogliamo o no, non è fatto solo di tecnica. Dopotutto i tre che hai menzionato, sapevano cantare. Magari non erano tecnicamente rigorosi, ma penso che, prescindendo dalle nostre opinioni personali e preferenze, dubito che qualcuno possa negare che se lo potevano permettere. Sono quelli d’oggi che non si possono permettere di fare quello che fanno. O no?

          • è lì il punto, anche: nel loro contesto (che è un po’ il nostro…), i cantanti di oggi secondo me si possono permettere di fare quello che fanno, nella stessa misura in cui quelli del passato, e alcuni da noi citati per un certo malcanto, lo facevano. Come possiamo condannare in toto la prestazione di queste Bolene, di queste Traviate ecc.? Io non me la sento di farlo perché la responsabilità non è solo singola; e non solo: alcune cose buone ci sono sempre (che so: la prestanza fisica, l’adattabilità, la recitazione, e altre cose che al gran pubblico piacciono e sono sempre piaciute). Non vorrei che si andasse troppo fuori tema della Grisi, che era, mi pare “perché non ci sono più grandi voci (fisicamente e fisiologicamente intese)”. Io insisto prendendo per mano la soggiogante Olivero: perché non c’è più consapevolezza tecnica, che permette un lavoro sulla propria voce che la porta a diventare grandissima (e non eterna! si badi bene – la cosa varia da persona a persona, da destino a destino, ma quel patto che si stringe dentro se stessi, col proprio respiro, è sempre il solito, se guardate bene, per tutti quelli che hanno brillato con una grande, anche se variabilmente grande, autentica voce LIRICA.

          • La mia opinione. I cantanti si possono permettere di fare quello che fanno nella misura in cui il pubblico glielo lascia fare. Io condanno in toto la prestazione di una Bolena come quella della Netrebko perchè a Vienna e soprattutto al Met stonava sistematicamante ogni nota alta. Qui non si parla più di limitata bravura, ma di limitata professionalità. Tanto per fare un paragone, un violinista che non ha una giusta intonazione in tutta la gamma semplicemente non può esibirsi in pubblico.

  32. Magda Olivero, a 101 anni, parla di respirare e sostenere, la cui carenza ha provocato una Tragedia. Sono due verbi che, pur facendo parte del linguaggio di tutti i giorni di moltissime persone, lei usa in senso tecnico: ma quanti cantanti e direttori intendono la stessa cosa di ciò che intende la Olivero con questi due verbi?

  33. certamente, su questo non ci piove. Io sono d’accordissimo sul fatto che il dovere d’un cantante, e ancor più di una primadonna o di un primo uomo, sono assolutamente uguali a quelli di un violinista: se quelli stonano non si vede perché non debbano essere ripresi al pari di questo, anzi. Se c’è una forcella, un trillo, vanno eseguiti, quindi si dovrebbe dare per scontato che quando salgono sul palco del Met, siano in possesso di questi requisiti (però torno a dire che simili approssimazioni si sono verificate anche nelle ere passate: è che oggi non tolleriamo più una Bolena così perché le nostre esigenze si sono alzate)

  34. A parlare del passato e dei fantomatici “miti” si rischia sempre o di distruggerli in toto o di venerarli acriticamente.
    Dirò forse un’eresia per i più ma concordo in gran parte con galehout: Giuseppe Di Stefano è stato una meteora, con degli inizi strabilianti, un voce solarissima e bellissima ma guidata da una imperizia tale che nel giro di 15 anni si bruciò completamente, cantando un repertorio che spesso non gli si confaceva (vedi il disastroso Trovatore karajano) e in modo a mio vedere indecente per purissima imperizia di studio e non certo per sue impossibilità.

    http://www.youtube.com/watch?v=yvyWpLZalE8 bellissimo fraseggio ma le vocali e gli acuti sono sballati (per l’acuto finale, riesco a visualizzare la laringe qualche chilometro sotto il terreno).

    Di Stefano per me è come un Meli dei giorni d’oggi, sebbene il secondo ammetta i suoi limiti e sia leggermente più oculato di Di Stefano, che aveva un magnetismo degno di una Netrebko più giovane.
    Su Del Monaco non vorrei esprimermi per limitato materiale e perché a mio avviso è stato portatore per i suoi discendenti di un canto violento e roboante che nulla ha a che fare con la tradizione italiana: il fatto che Manrico, Pollione, Calaf siano oggi pensati come dei tenori carroarmati discende da lui, non di certo dai previ Tamagno e Lauri Volpi che cantavano questi ruoli.
    Gobbi è stato un baritono che sicuramente non aveva una tecnica ortodossa (come tutte le voci gravi della scorsa metà del secolo) ed era incline ad un certo verismo d’emissione di Ruffo: questo infatti aveva un tipo di canto che solo in questo personaggio poteva nascere e morire per le doti di Ruffo, ereditato poi malamente dai successori. La stessa parabola delle grandi voci, con una tecnica che poteva vivere solo in loro per le loro doti, si ripete sia con Del Monaco sia con Gobbi. La cosa però che ho sempre apprezzato di Gobbi è stato quello di sapersi adattare vocalmente ai ruoli, tant’è che è l’unico baritono che nel duetto “Dunque io son” del “Barbiere di Siviglia” ad eseguire bene le quartine (che solitamente tutti i baritoni biascicano) a quanto mi risulta.

    Facendo comunque un riassunto, mi spingerei a fare questa ipotesi: Del Monaco, Gobbi e Di Stefano erano delle grandi voci che hanno appreso una tecnica sicura (Del Monaco e Gobbi) o in virtù della loro voce dotata (Di Stefano) che è servita per la prima fase di carriera. Con il prolungarsi della carriera, hanno dovuto adattare o correggere questa tecnica alla nuova maturità vocale. Del Monaco e Gobbi ci sono riusciti in modo direi egregio, in quanto avevano una base tecnica sicura (respirazione-emissione), mentre mancando a Di Stefano la natura vocale per maturità e non avendo continuato a studiare, la voce crollò. Quello che forse fece difetto a Del Monaco e Gobbi fu lo stile a carriera inoltrata, che divenne pesante e roboante su una voce appunto matura e non più fresca, comportando poi l’abbandono dalle scene. Questo chiaramente il mio parere; attendo pareri.

    • Lo dico sempre che Papageno è uno dei personaggi che mi sono riusciti meglio:-).
      Disamina molto puntuale, direi. Su Del Monaco vorrei sottolineare il fatto che la sua base tecnica di fondo era sicura, altrimenti non avrebbe potuto consentirsi una carriera di 38 anni, in un repertorio pesantissimo. Il crollo di Di Stefano fu dovuto a diverse ragioni. Repertorio non adatto ai suoi mezzi e scelte sbagliate sia di studio che di vita (tutti quelli che lo conoscevano hanno detto e dicono che era un insofferente della disciplina e amava vivere a modo suo) sono a mio avviso le più importanti. Gobbi, che era stato allievo di un bravo tenore della vecchia scuola come Giulio Crimi, riuscì a trarre il massimo possibile da una voce che obiettivamente aveva precisi limiti, puntando sulla ricerca dell’ espressività per ottenere quello che gli era precluso in base alla pura e semplice qualità del suono. Come qualità complessiva, baritoni a lui contemporanei come Tagliabue, Taddei e MacNeil gli erano obiettivamente superiori, ma in ogni caso si tratta di un artista degno di rispetto.

    • Concordo su tutto e con tutti e due. Ed una cosa va sottolineata con forza: che la tecnica non è mai pura purezza, ma si incontra – e a volte si scontra – con la voce. Era il caso di del Monaco, di Gobbi e, nonostante più che l’imperizia direi la negligenza, anche di Di Stefano. Ma direi di tutti.

      (Una nota su del Monaco e sulla sua più celebre Panzer-Interpretation: l’Otello. Non dimentichiamoci, oltre ai reperti di Tamagno e all'”anomalia” laurivolpiana, un tenore che non si ricorda mai abbastanza: Francesco Merli. Nel confronto con brani registrati, anche l’Otello di Mario del Monaco a mio avviso ne esce con le ossa rotte. Se poi pigliamo i duetti con la Divina Claudia…)

      • la tecnica si contra con la natura son d’accordo però caro Tamberlick, a mio giudizio nel brano del Macbeth (meraviglioso, magnetico, timbro personalissimo, musicale ecc.) non c’è tecnica, non c’è, bensì c’è un modo di cantare brado, a parte qualche frase nel piano che è messa bene ma non si sa quanto consapevolmente, e a questo punto chiedo l’intervento dela Grisi perché se lì Gobbi canta con la tecnica, (e non voglio che l’argomento del blog scivoli sui gusti sui cantanti del passato, a me Gobbi piace moltissimo), allora io non ho capito cos’è

        • Voglio ridire che ho parlato per Gobbi e Del Monaco di tecnica sicura PERSONALE, che non vuol dire tecnica corretta. A me il canto di Gobbi, se non forse in Scarpia, non piace molto e come ho detto da metà degli anni ’50 è molto discutibile, ma da qui a continuare a tenere l’interpretazione che si sia detto che Gobbi abbia tecnica corretta avvallata da un utente petulante mi sembra un gioco di reduplicatio noioso.

  35. “Puntando sulla ricerca dell’ espressività per ottenere quello che gli era precluso in base alla pura e semplice qualità del suono”; la contraddizione totale di quanto si sostiene universalmente in questo blog, e soprattutto da parte tua. Sic transit gloria mundi.
    Marco Ninci

    • Io ho capito benissimo quello che mozart ha detto: Gobbi, partendo da una base tecnica sicura, ha puntato più sull’espressività, in particolar modo il fraseggio, (come per esempio Maria Callas, Piero Cappuccilli, Fiorenza Cossotto, etc ) che sulla ricerca del “bel” suono sempre (per esempio Joan Sutherland, Mariella Devia, Luciano Pavarotti etc) lungo tutta la sua carriera.
      Sono scelte ovviamente: la Callas, che per limiti naturali non aveva un bel timbro lungo tutta la sua estensione, puntò sempre sui limiti vocali di “bel timbro” per ottenerne degli effetti espressivi. E anche quando aveva il “bel timbro” e la parte richiedeva un certo effetto, il bel suono era sempre piegato all’espressione, cosa che secondo me è il vero fine ultimo della tecnica canora: poter fare quel che si vuole, ma farlo per volontà e non di certo spacciando per scelte espressivi limiti tecnici basilari come respirare o emettere, cosa che tutto il blog contesta a piena voce!

  36. ma non è in contraddizione con quanto si sostiene in questo blog. l’espressività è una risorsa in più su cui si può puntare quando il dono di natura non sopperisce più di tanto (e questo vale per tutti, nessuno ha voci illimitate), ma essa passa attraverso la tecnica e la scuola! ritorna il paragone con gli strumenti. come potrebbe essere espressivo un violinista se non sapesse suonare? L’espressività non è arte, l’arte per il cantante è la scuola, la tecnica e la tradizione, a mio giudizio, così come queste tre componenti sono = arte per un compositore, per uno strumentista ecc.

    • La tecnica nel vero belcanto dev’essere così interiorizzata e padroneggiata, da sublimarsi in una seconda natura. A quel punto è possibile davvero fare del canto e della musica di altissimo livello.

      • certamente. E non è belcanto, anche qui torniamo all’esattezza terminologica, ma canto romantico che prosegue la scuola belcantistica, che a sua volta aveva scoperto come mettere la laringe in quella posizione che consentiva di uniformare i registri, di tenere il fiato quanto si vuole, di andare giù e andare su senza cambiare posizione di gola e fare a gara con la perfezione degli strumenti, quindi saper tenere ferma la nota, diminuire rinforzare colorare fare l’effetto d’eco con la mezzavoce fare il sovracuto sempre lì dove è il grave e così via. Ma ci vuol tanto a capire questo? Il resto lasciamolo ai compositori (carnefici) e al pubblico (sadico)

        • Uso bel-canto come sinonimo di buon-canto, senza nessun riferimento storico o stilistico… Si canta in un solo modo. La laringe è l’ultima cosa a cui bisogna pensare nel canto. Affermare che i belcantisti abbiano “scoperto” una particolare “posizione della laringe” per me non ha alcun senso. La laringe non è un interruttore meccanico che possiamo attivare o disattivare a nostro piacimento… La laringe nel canto deve semplicemente stare passiva, ciò che conta è unicamente il fiato.

          • :-) volevo dire la stessa cosa. “scoperto come mettere la l. in quella posizione” = “scoperto come il meccanismo della respirazione consente di lasciare la laringe in codizione passiva”, giusto mancini?

          • Il canto è parola perfettamente pronunciata ed intonata con una alimentazione del fiato perfettamente calibrata. L’arte del canto è l’arte di ben respirare e ben sillabare: l’arte del fiato, l’arte di dire sul fiato. Affermare che l’abbiano scoperto i belcantisti significa insinuare che prima di quell’epoca l’uomo non sapesse cantare… sicuramente non è così.

  37. Ma, dico, Gobbi non aveva affatto una tecnica sicura. Basta sentire i suoi acuti, sistematicamente gridati. Ma questo non lo affermo io, lo affermano tutti. Io non sarò un grande esperto di canto, ma se un acuto è gridato me ne accorgo. Del resto il padre nobile di questo blog, Celletti, lo annetteva senza riserve alla scuola del muggito. Il paragone con la Callas è semplicemente assurdo, se non ridicolo. Ma quali scelte! A meno che il criterio di valutazione non cambi radicalmente, una volta che un cantante sia morto. Ma questo è un affare di psicologia, non di musica.
    Marco Ninci

    • Sono d’accordo. Gobbi in natura possedeva una voce anche bella, e da giovane, nei primi anni, non cantava neanche così male. Tuttavia il Gobbi maturo, quello degli anni cinquanta, vocalmente è un disastro.

      • Mancini io e te spesso siamo d’accordo. Questa volta no. Questo è Gobbi nel 1969: http://www.youtube.com/watch?v=y8PfZerII64
        Se per te questo è un disastro non so proprio cosa pensare.

        Io di gente che canti Macbeth così, oggi, non ne sento. Per carità: non è certo il mio modello di riferimento, ma sia lui come tanti altri c.d. scolastici del muggito, per riprendere Celletti beh, li tirerei fuor delle lor tombe. Compresi Bechi, Bastianini e Ruffo.

        • Ho esagerato nella scelta dell’aggettivo, più che disastroso direi che perlomeno è sempre vocalmente molto discutibile. Adesso non sto qui a far l’analisi di Gobbi, chiudo la parentesi dicendo che il suo non è un canto esemplare, e non è da paragonare alla Callas, che fu cantante di tutt’altra levatura, sia sotto l’aspetto tecnico vocale, sia sotto l’aspetto stilistico.

  38. E poi, quando Gianguido parla di qualità del suono, io ho inteso queste parole nel senso di un suono prodotto e dalla natura e dalla tecnica; perché parlare per Gobbi di una voce poco dotata in natura, riscattata da una tecnica sopraffina (oltretutto la voce di Gobbi era tutt’altro che brutta), una specie di Callas o di Pertile dei baritoni, è indegno di un qualsiasi ascoltatore di medio livello.
    Marco Ninci

  39. Riassumendo. Secondo l’interpretazione di Misterpapageno, Gobbi avrebbe avuto una tecnica sicura ma sarebbe stato poco dotato come qualità di voce. Quest’ultima dunque, pur riscattata dalla tecnica, non sarebbe stata sufficiente a prestazioni di alto livello. Di qui il ricorso all’espressività. Di qui il paragone con la Callas. Io invece penso che la tecnica non fosse per niente sicura e che l’espressività cercasse di rimediare a una tecnica scarsa. Senza peraltro riuscirci un granché. Curiosamente, in questo caso sembro adeguarmi al pensiero unico del “Corriere”, mentre Misterpapageno pare replicare certe mie posizioni.
    Marco Ninci

    • sul Gobbi concordo col Ninci. Una voce senza consapevolezza tecnica e errata nella zona alta (allora preferisco Bastianini, roboante ma almeno teneva la gola aperta). Non sono tanto gridati gli acuti di Gobbi, quanto “chiusi”, cioè dilettanteschi. Il povero Celletti ha cercato di dirlo in tremila modi, non so se c’è riuscito perché era talmente infervorato quando criticava che usava termini troppo pittoreschi. Anche il registro centrale di Gobbi non ha mai un vibrato sano, è sempre un po’ caprino, se non di spinta, cioè di parziale chiusura e mancanza di vero sostegno diaframmatico (ah veglia oh donna… ecc. imacolato ). Ma quando si trattava di andar su, magari alla svelta, il grande interprete non sapeva davvero a che attaccarsi, e chiudeva la gola (cfr. anche solo “lo ridona al genitor”), forse pensava che “coprire” significasse intubare l’acuto, che “scurire” = fare una U

    • Caro Marco, non hai capito niente di quello che ho scritto.
      Ti correggo con la scolasticità con cui tu correggi me: “Gobbi avrebbe avuto una tecnica sicura ALL’INIZIO DI CARRIERA ma sarebbe stato poco dotato come qualità di voce IN QUANTO AI LIMITI DI VOCE CORRISPONDONO ANCHE LIMITI TECNICI. Quest’ultima dunque, pur riscattata dalla tecnica INIZIALMENTE, non sarebbe stata sufficiente a prestazioni di alto livello. Di qui il ricorso all’espressività CHE POI PORTO’ AI DIFETTI DEL GOBBI DI META’ CARRIERA E POI TARDA.

      Riscrivo questo passo, ìperché forse il contrasto nero (dello sfondo) – bianco (delle scritte) può averti spaesato:
      “Quello che forse fece difetto a Del Monaco e Gobbi fu lo stile a carriera inoltrata (a casa mia significa una volta che il nome Gobbi ebbe raggiunto abbastanza fama, quindi a metà degli anni ’50 suppergiù), che divenne pesante e roboante su una voce appunto matura e non più fresca, comportando poi l’abbandono dalle scene.”

      Peraltro Gobbi è un cantante che a me rimane indifferente, quindi non ho nessun campanilismo nel difenderlo o meno.

  40. sapeva cantare prima del Belcanto, l’uomo, senz’altro, però esiste una storicizzazione di una tecnica, di un sistema, necessaria per adeguare l’esecutore vocale a una determinata scrittura musicale che a sua volta poteva avvalersi di quel sistema: insomma il cantante-strumento classico, di ascendenza barocca. Altrimenti dovremmo supporre che prima del Belcanto un qualsiasi cantante avrebbe saputo eseguire un’aria d’opera? io non credo proprio, neanche se l’avesse vista scritta! E’ questo il punto: il cantante d’opera odierno dovrebbe riflettere criticamente sulla tecnica belcantistica storica e farla sua, c’è un repertorio, ci sono dei limiti storici precisi, è un fatto (di tradizione) culturale che oggi manca quasi completamente, perdipiù lo spirito revisionista imperante (che è il contrario dello spirito critico costruttivo) spaccia per “cultura” solo cosa fa più comodo

      • al tavolo del consueto ristorante dopo-recita, la soprano protagonista alzò un po’ le spalle quando le chiesi come faceva a fare i sovracuti, mi disse che aveva studiato con XX famosissima cantante, e che lei “cantava”, e basta; qualche sedia più in là, la mezzosoprano, cui era toccata una parte venti volte più modesta, mi disse che aveva girato mezza Italia, prima di trovare una persona che le apprendesse la “cosa” giusta. Capite?

  41. Io ho già detto quello che c’era da dire: se voi ritenete che io abbia detto che il miglior Gobbi sia quello di metà carriera, fate voi!
    Concordo con Mancini: il miglior Gobbi si ha agli inizi, ma mi sembra (per fare un parallelismo) una questione veramente stupida e da insipiente dover spiegare che la vera Callas non è la Callas degli anni 60, ma quella degli anni dal 50 al 56.
    Quindi ripeto, mi appello all’intelligenza di chi scrive e di chi capisce di canto e di italiano sul giudizio per Gobbi. Saluti!

  42. Visto che a qualche scrittore piace parlare (a vanvera per pura auto-referenziazione) di orizzonti estetici, questi sono i miei orizzonti estetici per la corda baritonale:

    Antonio Magini-Coletti: http://www.youtube.com/watch?v=L9cqioU1xMk
    Mario Ancona: http://www.youtube.com/watch?v=fhjBinmo2zM
    Joseph Schwarz: http://www.youtube.com/watch?v=OjruOf9IOk8

    Compito dopo l’ascolto: chiedersi come sia potuto venire in mente ad alcuno ritenere che io trovi Gobbi un cantante con tecnica corretta …

  43. Scrivo questo commento sebbene ancora a inizio lettura del thread. Scrittolo, continuerò la lettura a puntate. Solo due appunto giusto così… per inizio lettura:
    1) Per Marconinci: cosa intendi per “modesto cast”? Se è come ho capito io, non credo proprio che con un modesto cast si riesca a inventarsi qualcosa di buono, a meno che questo “modesto cast” vanti voci dall’originale vocalità e cantino un repertorio a loro idoneo. Insomma, bisogna che ti spieghi meglio su questo punto, a meno che abbia capito male io! Ma comunque le cifre del declino operistico elencate a inizio thread ci sono, secondo me, tutte. Eppoi, l’opera è un genere culturale e non un semplice “spettacolo leggero da svago immediato e spensierato”. Altra cosa: Lo “standard del vero melomane” è rappresentato mediamente da quei “fruitori instancabili e con una quantità d’ascolto operistico enorme” che possono giudicare, più di chiunque altro, il livello attuale dell’opera e fungere da misurometro dello stato di salute di un determinato genere melodrammatico. Questo luogo è sicuramente tra i podi più alti di giudizio e di misuratore del declino e dell’inquinamento del melodramma italiano e “all’italiana”;
    2) Mi sa che c’è stato un equivoco. Marconinci ha detto a Giulia Grisi che dare del “Lei” è forma d’irritazione, punto. C’è stata a seguire un dialogo fra Nicola Della Ripa e Rello. Quest’ultimo forse fraintendendo l’accento di Nicola, ha riportato l’affermazione di Marconinci, credendola fosse di Nicola e il bello è che quest’ultimo gli ha pure risposto credendo di averla scritta e, per giunta, chiedendogli qualcosa come “scusa” dicendogli che gli avrebbe d’ora in poi dato del “Tu”…! (°.O)

  44. Caro Syrio, non so francamente cosa pensare. So solo di aver visto spettacoli bellissimi, e da tutti considerati tali, con cantanti che i criteri odierni condivisi dai partecipanti a questo blog escluderebbero dalla sfera del canto professionale. Forse ci sono ora esigenze diverse; forse eravamo noi più ignoranti; forse eravamo più interessati alla disciplina dell’insieme; chi può saperlo? Per me non è neppure molto interessante chiedermelo ora. Di una cosa però sono sicuro. Il Corriere della Grisi è sempre esistito, anche se prima di questo tempo non si
    traduceva in parole scritte. O, quantomeno, tradurlo in scritti era riservato a pochi. E’ esistito nel Settecento, nell’Ottocento, negli anni Venti, Cinquanta, Settanta del Novecento. E’ antico quanto il rimpianto per ciò che non c’è più, quanto il riandare a un’età dell’oro che non è mai esistita. E’ il lamento sul calcio che oggi è solo muscolare e non tecnico (io stesso mi intenerisco a pensare a Mariolino Corso che nella grande Inter di Angelo Moratti portava a spasso con classe immensa la sua pancetta da sedentario), è il rimpianto per la grazia di Rod Laver sostituito da quei mostri di resistenza e potenza che sono Djokovitch e Nadal, con il solo Federer a riecheggiare la classe pura degli australiani anni Cinquanta e Sessanta. Mi pare un atteggiamento psicologico, che naturalmente ha le sue radici in una valutazione reale di alcuni cambiamenti avvenuti; ma quando questa valutazione sfocia in una gragnuola di anatemi mi convince un po’ meno.
    Marco Ninci

  45. Marco Ninci tutto quello che vuoi,ma la tecnica del canto,non cambia,comunque nel 700 o 800 ecc . questa musica o opere che adesso sono un classico,a quei tempi erano in piena evoluzione,sia come musica,sia nel modo di approccio per le voci.
    qui non è questione di rimpianto,e perche ormai questo genere musicale si è fermato come forza evolutiva,quindi a parte le scenografie,e regie vari,a livello vocale,e musicali,ci sono dei paletti da rispettare,l’apparato vocale umano non è cambiato negli ultimi 50 anni quindi se si vuole veramente,non c’è niente da rimpiangere se si vuole

  46. E’ molto semplice. La mia tetragona certezza viene dal fatto che in qualunque tempo, qualunque fosse lo splendore di quel tempo, c’è sempre stata una serie di persone le quali volevano restaurare un tempo passato, visto come età dell’oro. Un Corriere della Grisi dell’epoca. Qualunque tempo è stato visto come una decadenza di qualcos’altro. Sempre. E quindi? Che cos’ha questo tempo in cui viviamo di così diverso da tutti gli altri tempi di cui si è sempre lamentata la decadenza? Pensate forse che non ci sia stato chi viveva il fenomeno Callas come una decadenza? Certo che c’era. Basti pensare a quell’uomo di grande finezza e intelligenza che era Beniamino Dal Fabbro. E mi ricordo che c’era chi considerava Strehler e Visconti come baracconate da basso impero. E quella scarpina lanciata dalla Callas Nella Traviata messa in scena da Visconti scandalizzò tutti i benpensanti dell’epoca, che non la consideravano tanto diversa dai topi del Lohengrin a Bayreuth (senza voler difendere i topi, beninteso). Non parliamo di Rossini nei confronti del canto come si veniva affermando in epoca romantica etc. etc. Si tratta di fenomeni di arroccamento, che coinvolgono spesso persone anche di grande valore. Già il fatto che il Corriere della Grisi sia esistito in ogni epoca (su questo non c’è il minimo dubbio) un po’ dovrebbe dare da pensare.
    Marco Ninci

    • e’ angosciante che tu non ti renda conto di dove siamo finiti. Sulla scena abbiamo la fattoria degli animali, non cantano ma fanno versi. Non puoi paragonare quelle critiche a quelle di oggi….oggi lo spartito non riusciamo ad eseguirlo, sono piu le opere ineseguibili di quelle che possiamo eseguire. Non abbiamo produzione di cantanti e tu dai alle nostre parole lo stesso valore di chi resisteva ad innovazioni nel teatro sotto l aspetto registico? Ma ci sei o ci fai?….perchè filosofeggiare senza fine e rapporto con la realtà è solo masturbazione verbale e provocazione

      • Premetto che appartengo anch’io alla “schiatta” dei filosofi (spero non dei filosofeggiatori!) e che molte delle questioni poste da Marco Ninci destano il mio interesse, ma in questo caso non posso che essere assolutamente d’accordo con l’argomentazione essenziale della diva Giulia. Ma dove si vuole andare se non viene garantito il minimo sindacale di decenza? Magari si potesse affrontare una questione di gusti soggettivi, troppo spesso ci si deve confrontare semplicemente con un’inascoltabilità oggettiva…
        Non c’entra niente inseguire o meno una fantomatica “età dell’oro”, ma, anche se fosse? Sempre meglio che accontentarsi dell’età della patacca…
        In realtà è anche e soprattutto una questione di coscienza. Se mi è capitato di conoscere, anche solo in un ascolto lontano o anche solo in una registrazione, qualcosa di davvero bello, perché devo adattare i miei gusti all’impossibilità di bellezza attuale? Solo perché sarebbe triste, snob e patetico non accettare una decadenza ineluttabile? Personalmente credo che sia molto più patetico e triste tradire la bellezza che ho conosciuto per accontentarmi della bruttezza che viene da ogni dove massicciamente e acriticamente propinata.

  47. Io credo che il mondo del melodramma sia ormai al suo definitivo tramonto. Perché non accettarlo? La stessa cosa, in fondo, è successa con altre arti. Che senso ha , oggi, dipingere un quadro da appendere alla parete di una casa piccolo borghese (o di una villa berlusconiana…) ? Sono cambiate le condizioni socio-culturali che hanno giustificato la nascita e la sopravvivenza di uno splendido “baraccone” come il teatro d’opera. In fondo, se ci pensate, è durato fin troppo. Oggi , al più, possiamo sperare in una operazione di tipo “museale” che riproponga decentemente quel po’ che c’è rimasto. E’ triste, ma non credo sia possibile nessun Rinascimento operistico.

    • e invece per me come qualsiasi forma d’arte l’opera non è mai fuori tempo,riguardo al trattamento che le viene riservato in Italia,si dimenticano che è uno de nostril biglietti da visita all’estero,e se c’è un po di lingua italiana,in giro per il mondo,e perche in tanta opera c’è la nostra lingua,qui il problema che discutiamo,è perche non si riesce ad avere dei cantanti preparati come una volta.

  48. Io parlo solo della capcità perduta di insegnare ai cantanti a cantare sul fiato. per essere poi gli artisti di questo presente e nondi ieri. Qui non si sa più insegnare a cantare, c’è l’idea che la voce debba essere solo grossa ed ingrossata, e non duttile. la fibra nella voce fa “potenza”, lo “sforzo” fa atleta e non” kane”come da che mondo è mondo. UOmini e donne orami latrano, anche nel belcanto, ma a nessuno interessa, perchè è più facile raccontare alla gente che questi cantatno bene, che le oscenità di oggi valgono i grandi cantanti di ieri, che occuparsi seriamente del problema. …….forse perchè per farlo occorre avere orecchie un po’ più sottili e meno volgari degli incompetenti maestracci cui i giovani si rivolgono. e forse perchè i più incompetenti in fatto di canto sono proprio coloro che detengono il massimo potere all’interno del sistema della lirica mondiale.

    • il problema però maggiore degli insegnanti è che “cantare sul fiato” si scopre da soli, aiutandosi ovviamente con tutto: gli ascolti, gli insegnanti, gli amici, ma la certezza finale te la dai da sola, quando esci e dici: ora posso davveo fare tutto, ora non mi fa più paura nulla, perché l’acuto non esiste, il volume non è un problema, e capisci che d’ora in avanti dovrai lavorare lì, in quel solo punto, ore e ore per raggiungere tutti i traguardi che vuoi. E insisto moltissimo su questa consapevolezza della propria impostazione, perché è ovvio che qualche nota messa spontaneamente bene ce l’ha chiunque, ma bisogna sapere come si fa a comando e su tutto, e i direttori dovrebbero riconoscere chi appoggia sul fiato e chi no, e gli agenti, e i sovrintendenti, e i registi: vedrete che repulisti e resurrezione ci sarebbe dell’Opera! Perché la Netrebko non appoggia, Villanzon non appoggia, Cura non appoggia, Bocelli non appoggia, la Theodossiou non appoggia, e così via

  49. Io non comprendo le affermazioni di Marco.
    1) Il Corriere ed i suoi scriventi non difendono età dell’oro alcuna, perché sappiamo e sanno tutti che non esiston età dell’oro: una frase da me utilizzata ormai a noia è che dopo l’Artusi ci fu Monteverdi, dopo il Tosi ci furono i Farinelli, Carestini e Senesini, dopo il Mancini ci furono i Garcia & family, dopo il Garcia jr ci furono le Jenny Lind e le Lehmann, dopo i Lamperti ci furono i Lauri Volpi e Gigli, etc etc. Dato per assodato questo, ripeto ancora a noia un altro concetto: in ogni tempo esisteranno bravi cantanti (pochi) e cantanti scarsi (molti). Dato per assodato questo, oggi come oggi si nota che le grandi voci non cantano più in luoghi come la Scala, che si dedica solamente a fare para-canto e para-opera in generale, ma cantano altrove dopo possono essere più apprezzati.
    2) da buon Dulcamara, Marco si inventa dei temi su cui attaccarsi per fare una disquisizione para-filosifoca che in sostanza si riduce ad un mucchio di sciocchezze incoerenti: quello che il Corriere da sempre difende è la corretta tecnica del canto, che un cantante deve avere perché di professione fa quello, e quale artigiano deve conoscere il suo strumento per farlo lavorare al meglio, diventando artista qualora riesca a piegare il suo strumento all’espressività da lui cercata (questo lo dice il Garcia – ma si possono citare tanti altri cantanti – che capiva giusto qualcosina [ironia] di canto ed opera). Di conseguenza c’è una tradizione nel canto e delle regole nel canto, che da ignorante Marco non conosce ma cerca di parlarne. La cosa buffa è che facendo finta di parlarne, parla di tutt’altro come le soluzioni registiche citate che niente hanno a che fare col canto in se. Parla anche di Dal Fabbro che ebbe a definire l’espressività della Callas come qualcosa di “ammorbante”, dimenticandosi anche lui forse che la Callas era una cantante mentre lui no.
    Quindi i buoni propositi di Marco di renderci edotti di chissà quale considerazione (peraltro tutte considerazioni personali e soggettive che a qualcuno possono interessare, ad altri no) decadono nella considerazione del fatto che lui utilizzi la filosofia (o presunta tale) per spiegare una cosa, l’opera ed il canto, che si auto-definiscono da se; quindi l’apporto offerto è del tutto inutile ed anzi desqualificante perché con delle chiacchiere si giustificano delle cose che agli occhi di una persona che conosce mediamente il canto e l’opera sono ingiustificabili.
    Il canto è le fondamenta dell’opera: senza canto, l’opera crolla. E’ così difficile da capire? A meno che si accetti il fatto che non essendoci più canto, si smetta di fare opera, semplicemente!

  50. Aggiungo una postilla: la cosa che mi mette più tristezza nei discorsi di Marco è che lui non ha a cuore quello che succede nell’opera ma rimanga solo ad analizzare per suo relativismo.
    Questo stesso atteggiamento venne utilizzato negli anni 60-70 nei confronti dell’architettura, che filosofi e linguisti iniziarono ad analizzare con i loro strumenti – non si capisce poi il motivo – perdendo il focus dell’analisi, ossia FARE architettura. Tant’è che da buoni italiani, nella media pochissimi sanno fare buoni progetti proprio in nome di questo “relativismo” e del fatto che in Italia un progetto si possa fare a chiacchiere senza vedere un disegno o uno schizzo ma solo a chiacchiere e basta. In Portogallo invece, dove esiste una scuola che insegna che l’architettura è METODO e che l’architettura è RIGORE, un laureato medio sa fare un buonissimo progetto.
    Chiudo con 4 parole riassuntive dell’architettua dette da Rafael Moneo, che a mio avviso si possono (dovrebbero!) applicare benissimo al canto: COERENZA, RIGORE, APERTURA MENTALE, AUDACIA.

    • …se poi vai su questi temi allora…..non facciamo più obiezioni a Marco ma allluvioni di obiezioni. Marco mi pare proprio di quella generazione di intellettuali che filosofeggiano sulle cose ma non le fanno. E disprezzano chi fa, perchè chi fa non ha lo status intellettuale di chi sa speculare. Come se costruire o cantare fossero speculazioni e non attività pratiche con un contenuto intellettuale. Le nostre scuole infatti sono in rovina, non formano e non preparano perchè così la pensano i “maestri” in cattedra. RAgione profonda per cui da noi gli architetti sono una categoria professionalmente sputtanata, e i cantanti non sanno cantare. Una presuntuosa intellettualità di questa generazione ha portato a questo stato di cose, janacek è cultura, la filolgia pratica di Bonynge no. La teoria sull’architettura è cultura, montagne di pagine teoriche di storiografia tendenziosa e capziosa, senza la capacità di produrre un progetto; chi costruisce secondo regolere di benessere e qualità tecnologica non è un architetto. amen!

        • non sono ridotte a chiacchiere, ma a commercio. Un cazzone di gallerista potente e/o un curatore ciarlatano si inventano un artista che non c’è e lo vendono come arte per un mondo di babbei creduloni che ha bisogno che un guru dell’intelletto gli indicho la via. Che poi è sempre un viottolo già percorso da altri, ma siccome stanno tutti allegramente al centro del mare dell’ignoranza , non se ne accorgono, credono al genio che non c’è e l’impostura prospera. Un universo cazzone ben descritto dal vecchio cinico andy w….!

  51. Va bene, come si faccia a vedere nelle mie parole un disprezzo per chi fa lo sa solo Dio. Io faccio quello per cui sono pagato: insegno la storia della filosofia antica. Questo è il mio fare; non potrebbe essere diverso. Si può parlare dell’opera naturalmente in tanti modi; io ho il mio che non pretende di escludere gli altri. Stando a quello che dice Misterpapageno, di musica non avrebbero potuto parlare né Stendhal né Nietzsche né Baudelaire. Ma Misterpapageno sì, perché va a lezione di canto. Bello.
    Marco Ninci

    • ma Stendhal parlava delle emozioni che dava la musica di Rossini, non del perché la Pasta cantasse meglio di altri. Evidentemente Misterpapageno vuole capirlo invece, tutto qui, e IN QUESTO ha qualcosa in più di Stendhal

    • Correggendo Marco, MisterPapageno va a lezioni di canto (anche se mi piacerebbe di più “Misterpapageno studia canto”) e cerca di farsi una cultura vocale e musicale, studiandosi i trattati e quindi mettendosi in relazione alla storia, ossia alla tradizione.
      L’aspetto discriminante però è che MisterPapageno FA (sbaglia, si corregge, risbaglia ma FA) mentre Marco PARLA, quindi NON FA e SUPPONE, avvalla conoscenze non supportate da esperienze concrete.
      In definitiva, le mie asserzioni sono scritte (o almeno io mi sforzo di scriverle) da un punto di vista vivo di una persona che agisce, e analitico-sintentico con un orizzonte ben solido che è quello storico considerando una tradizione vocale e musicale, che nel canto esiste ed è vivissima.

      • Ho letto con interesse la discussione, e, pur non avendo la stessa competenza degli altri partecipanti, e, soprattutto, un punto di vista altrettanto lucido, vorrei provare io pure a dire la mia. Le argomentazioni del prof. Ninci mi sono sinceramente sembrate un po’ vuote e retoriche, volte semplicemente a dimostrare, in qualsiasi modo, che il Corriere della Grisi è troppo severo e insegue standard di qualità troppo alti, mentre il presente non è poi così brutto e raccapricciante come lo si dipinge (?). In realtà, come ben sottolineato da altri, la questione è molto più semplice: senza canto non c’è e non ci può essere Opera, il resto (regia, scene, costumi, gusto) viene dopo. Visto che il prof. Ninci insegna storia della filosofia antica, gli chiedo: ma non si rende conto che pretendere di eseguire un’opera senza canto ma con una regia magari brillante, è un po’ come fare elucubrazioni su Platone senza conoscere il greco antico (cioè la base) o senza partire da un testo stabilito secondo i criteri della moderna filologia???

          • continuiamo con i giochi di parole……e a far finta di non capire. In fondo, in una società democratica come la nostra, non possiamo impedire nemmeno ai sordi esprimere giudizi sul canto che non sentono. Sennò saremmo dei fascisti e non delle persone di buon senso. E’ anche per questo atteggiamento che siamo arrivati qui: che le parole di chi sa valgono tanto quelle di chi non sa. La democrazia è diventata questo!

    • Caro Marco, nulla da dire di più di quello che ti hanno detto gli altri. Aggiungo soltanto che ribadire la banale verità che per ogni epoca e per ogni stagione ci siano stati passatisti che fossero incondizionatamente ostili al nuovo è un’argomentazione del tutto priva di potere persuasivo. Tu ti ostini a ritenere che il Corriere sia un covo dei suddetti reazionari, quando invece di reazione qui ce n’è eccome: ma non al “nuovo” coem pensi tu, bensì al “marcio”. Marciume di fronte al quale, invece, il tuo atteggiamento non è sempre chiaro. Prova ne sia tutte le volte che Misterpapageno e altri ti invitano a scendere dal Parnaso per parlare di voce e di canto. Cosa che tu non fai mai preferendo anzi di etichettarci come retrive prefiche a presunte età dell’oro, quando invece le uniche età in ballo sono quella in cui si sapeva cantare, anche se qualcuno lo faceva in modo eterodosso, e quella attuale in cui semplicemente si scambia per canto il raglio di un asino.
      Finché non accetterai di confrontarti su questi temi, che non esclude, come tu credi, il non essere d’accordo, quello tra te e molti di quelli che leggono queste pagine sarà soltanto un dialogo tra sordi.
      Detto questo, visto che la filosofia antica la conosci senz’altro bene, a me non resta che ad invitarti a spezzare le catene e uscire dalla caverna.

  52. Ora non ho modo di rispondere perché purtroppo ho avuto un lutto. Mi incuriosisce però una cosa. Come fa Tamberlick a sapere che io la filosofia antica la conosco bene? Potrei ben essere uno di quei numerosi ignoranti che popolano le università di tutto il mondo. Non è vero?
    Marco Ninci

  53. Quello che dice Ulisse è verissimo. Spesso non sono i filologi quelli che dicono le cose piùà acute, ma chi è esterno alla materia vera e propria. Nessuno ha detto sul neoplatonismo cose più profonde di Hegel.
    Marco Ninci

  54. Ulisse, Marco, fate cadere le braccia con le vostre sentenze retoriche e capziose… e mi fermo qui perché non ne posso più di questo giochino a chi spara la frase a effetto che lasci l’avversario stupefatto e senza possibilità di ribattere…. non sono acuto come voi, e, anizchè Hegel e altri fini esegeti di Platone e del Neoplatonismo, mi limito a citare la frase di un comico napoletano molto in voga qualche anno fa: “qua parlamm e nun ce capaimm… “

    • Guarda, Nicola, che io contesto la tua posizione nel merito. Nel corso di studi, purtroppo mai terminati, all’università di Bologna nei primi anni Novanta ho avuto un professore di letteratura greca il quale pare sapesse il greco antico meravigliosamente bene (io non ne me ne sono mai realmente persuaso, anche perché , come dimostrava a lezione di letteratura latina il grande Alfonso Traina, conoscere veramente una lingua è tutta un’altra cosa, ma allora, comunque, invidiavo un po’ questo grecista editore di Ipponatte per i tipi di Teubner). Era, inoltre, filologicamente ferratissimo (il suo idolo era Gottfried Hermann). Non gli ho mai sentito dire una cosa interessante.
      E’ meglio studiare il testo di un autore in lingua originale e in edizione critica? Certamente sì. Ma non è condizione necessaria né, soprattutto, sufficiente per arrivare a comprendere in profondità un testo e, magari, a dire qualcosa di interessante e originale.

      Ulisse

  55. Posso essere anche d’accordo che gli “esterni ai lavori” possano applicare un diverso approccio ad un campo e far scorpire nuove realtà in merito, come successe per i linguisti che analizzarono l’architettura con i loro mezzi, oppure Newton che rilesse il materiale biblico alla luce delle sue convinzioni, oppure Leopardi che si occupò di filosofia con le sue “Operette morali”.
    Tuttavia, c’è in questo caso un primo PERO’ grande come una casa, ossia si deve comunque conoscere la materia di cui si parla.
    Caro Ulisse, se il tuo professore non era in grado di dire cose che a te risultassero interessanti, non significa di certo che lui non fosse un ottimo conoscitore della materia: significava semplicemente che non era un buon didatta! Io all’università ho avuto un professore di meccanica razionale che è tutt’oggi una voce emerita nel suo campo, eppure era un pessimo didatta tant’è che non ricordo quel corso con piacere.
    C’è anche un secondo PERO’ : Marco e Ulisse parlano di attività intellettuali, dove basta “accendere” il cervello e chiunque può fare dei collegamenti: il canto non è innanzitutto una attività intellettuale ma una attività finemente pratica e artigianale.
    Una volta affinata questa parte pratica e artigianale (la tecnica) si innesta il lavoro intellettuale che riguarda l’interpretazione.
    Sempre parlando di influenze, il Garcia jr non sfigurò all’Accademia di Francia (se non erro) quale fisiologo amatore con il suo “Mémoire sur la voix humaine” del 1840: conosceva profondamente la materia! Allo stesso modo, il Garcia jr non era un eccelso cantante, tuttavia conosceva profondamente la materia.
    Quindi (sarà forse la millesima volta che si ripete) la tecnica vocale non è il fine ma un mezzo per il canto; tuttavia rimane una base ineludibile e indispensabile per innestare quello che è il canto, ossia espressione di sentimenti.
    Quindi, Marco potrà pure discorrere di un cantante che gli piace o meno, di un’opera che gli piace o meno, ma sicuramente non potrà portare degli spunti costruttivi sostenendo delle questioni anti-vocali ed anti-tecniche, che si scontrano con delle regole che nel lavoro pratico del canto esistono e sono ineludibili. Potrà sembrare una cosa indigesta al suo relativismo incallito, ma nel canto esistono regole pratiche che servono e aiutano.

  56. Naturalmente quello che dice Ulisse non ha nulla a che vedere con il modo in cui lo interpreta Misterpapageno. Altrettanto naturalmente io non ho mai sostenuto problematiche antivocali e antitecniche. Ma tutto questo è divenuto così stantio che è inutile perderci tempo. Mi associo al dolore per la scomparsa di Dalla, veramente un grande artista e un uomo squisito.
    Marco Ninci

  57. Vedi, Misterpapageno, a me qua si dice che sto nell’iperuranio, che non parlo di canto, etc. Anch’io naturalmente ho parlato di canto, pur non andando a lezione (chi sa quale sarà mai la differenza fra studiare canto e andare a lezione di canto). Soltanto, l’ho fatto mettendo in rapporto questo dato con altre componenti del teatro musicale e non lasciandomi andare a degli anatemi. E’ esattamente, anche se a un livello infinitamente minore, quello che faceva il più grande storico della musica in generale e del teatro musicale in particolare che abbia avuto l’Italia nel secondo dopoguerra: Fedele D’Amico. Un nome il cui dito mignolo non valgono tutti i blogger musicali italiani messi insieme. Naturalmente c’è crisi nel canto; non sono tanto cieco da non vederlo. In alcuni settori di più, in altri meno. Sembra diventato impossibile eseguire Verdi, per esempio. Ma nel tempo tutto ritorna, anche se mai uguale a se stesso; ed è chiaro che ci sarà un altrio splendore. Magari con la depressione di altri fattori, per esempio quello spettacolare, come naturale conseguenza di innegabili eccessi. Ma perché c’è stata questa crisi nel canto? Può essere perché il canto ha cominciato ed essere considerato un elemento fra altri dotati di pari dignità; a partire, tanto per fissare un segnale dotato di rilevanza storica, dall’opera d’arte totale teorizzata da Richard Wagner. So benissimo che i cantanti dell’epoca di Wagner non erano i beceri che tante volte calcano i palcoscenici di oggi; come so benissimo che tanti direttori influenzati, anche nell’esecuzione di opere italiane, dal dramma wagneriano erano molto attenti alle voci e accompagnavano voci splendide: Toscanini. E tuttavia un tarlo si è infiltrato; Appia con Toscanini, Roller con Mahler hanno introdotto un elemento in qualche modo destabilizzante. L’importanza scenica, insieme con l’influenza sempre crescente dei direttori, hanno innescato un percorso molto lungo, disseminato di ritorni, deviazioni, contraddizioni, ma al termine del quale l’importanza del canto si è trovata in qualche modo diminuita; io sono un analista e non sta a me stabilire se ciò sia un bene o un male. Sono valutazioni che lascio ai moralisti del divenire storico, a chi si diverte a giudicare della giustezza della direzione che la storia prende. So soltanto che questa situazione non può durare per sempre; nulla dura per sempre e tutto ritorna. E’ per questo che io prendo le cose un po’ più alla larga e che è facile accusarmi di masturbazione mentale. Ricordo però che la stessa accusa veniva fatta nientemeno che a Socrate da Aristofane, il quale nelle “Nuvole” si diverte a collocarlo in un corbello sospeso in aria, a significare la sua lontananza dai problemi reali e il suo chiacchierare a vanvera, proprio come brillantemente sostiene Misterpapageno. Eppure senza Socrate nulla di tutto quello che è sorto in Occidente sarebbe venuto ad essere; e noi, che discutiamo qui, non siamo che i lontanissimi eredi di quel perdigiorno apparentemente così strampalato.
    Marco Ninci

  58. Non mi piace, Signora Grisi, la Vostra lettura. C’è molta confusione tra cause ed effetti (però lo ammettete anche voi, i problemi complessi richiedono analisi complesse), ma non me ne abbiate a male, le persone di cultura hanno difficoltà a concepire il problema fondamentale di quest’era di transizione che è semplicemente il propagarsi a macchia d’olio dell’ignoranza, intesa sia propriamente come carenza di educazione anche basilare che come più generica (e dannosa) aridità affettiva. Si canta male perché la musica tradizionale è troppo umana e sottile, incapace di esprimere le vomitevoli brutture interiori dell’uomo moderno, sicché il cantante – che è di questo tempo – in primis non la capisce, esegue Monteverdi e Vivaldi come leggerebbe Virgilio (in lingua originale ed ignorando il Latino!) ed ovviamente dentro non ci mette niente di suo perché niente comprende di quello che c’è. Quanto alla parte più strettamente tecnica, l’aridità comporta immancabilmente l’incapacità a concepire certe esigenze della parola cantata. Pochi minuti fa ascoltavo certe esecuzioni grottesche di Lee Ragin, a mio avviso un pessimo falsettista, ma di più un orribile cantante: ma com’è che non comprende che in quella maniera, così rozza, approssimativa, brutta all’udito in tutti i sensi, non si può cantare? Semplice: manca di gusto. Gli si può insegnare? Se ci fosse qualcuno capace di farlo, forse. Da chi lo mandiamo? Dalla Sora Cecilia, che ormai confonde l’abbaiare ed il guaire per il “cantar affettuoso”? E’ ovvio che se il cantante non si pone il problema del cantar piano, del sottolineare qualcosa con il cantar di sbalzo, dell’assottigliare i concetti con i filati, insomma del piangere dove si deve piangere, e del ridere dove si deve ridere, alla fine griderà su di un unico registro, ingolerà tutto e addio all’arte. Ma poi mi chiedo: se l’uditore medio è al livello del cantante, che sia io nel torto? Oggi avevo un po’ di fastidio alla gola, per via degli sbalzi termici di questi giorni, e ragionavo su di un certo maestro che conosco, appartenente ad una scuola “moderna”, che lodava “il sano dolore dei muscoli del collo e della gola”(!) Ho cantato comunque, e tornato a casa ragionavo tra me: se ho avuto tanto scrupolo per un banale bruciore di stagione, davvero ho fatto bene a non cantare da tenore quelle parti “spinte” verso cui qualcuno avrebbe voluto indirizzarmi… Ma certuni che conosco l’hanno fatto, hanno gridato, ricevuto applausi, ed oggi tornano dalla mia serissima maestra chiedendo aiuto, perché i dolori si sono trasformati in piaghe (scusate l’immagine orrenda). Io non ci sarei riuscito, questione di indole, di sensibilità, credo: non mi piace gridare. Se mai perderò la voce, sarà solo perché ho cantato troppo, non male. E però io non ho nessuna intenzione di cantare per mestiere, neanche dopo 4 anni di intenso studio; a cantare ci vanno quei signori (e signore) che questi scrupoli non ce li hanno.

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