I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Nona puntata: John McCormack e la musica da chiesa.

Immagine anteprima YouTube

 

Presso il mondo anglosassone la fama del conte John McCormack è legata principalmente alla sua attività di concertista ed interprete di brani sacri, di cui ho scelto di proporvi questa celeberrima versione del Panis Angelicus, in vista anche della ricorrenza che si celebra domenica o che alcuni – come da tradizione – hanno celebrato ieri. La grande precisione e continenza stilistica del cantante, sempre scevro da impuri sdilinquimenti, portamenti di cattivo gusto e teatrali affettazione e platealità, sono ideali per la corretta esecuzione della musica da chiesa, oggi abitualmente insozzata dalle sregolate inflessioni del “pop”. Il brano, stranamente eseguito in la bemolle anziché nella consueta tonalità di la, ci viene restituito con cristallina purezza di intonazione e di pronuncia, formidabile pulizia di emissione e perfezione del legato. Non c’è ombra dei soliti attacchi strascicati dal basso cui ci hanno condannato i tenori del secondo Dopoguerra, delle spinte e dei goffi affondamenti atti ad oscurare maldestramente la voce nelle note che coinvolgono il passaggio di registro. Chi mai oggi riesce a farci sentire una A così pura, facile e squillante, presa con tale impeccabile aplomb, in attacchi come quelli di “dAt panis caelicus” o sul fa di “pAuper” al min. 3:20? Formidabili sempre la chiarezza di emissione, e la cura per la pronuncia, a fior di labbro, nel rispetto del principio ottimamente condensato da Schipa nelle parole “si canta come si parla”. Cos’altro dire? Non c’è che da imparare ed (anzi, ad) ascoltare.

G.B. Mancini

24 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Nona puntata: John McCormack e la musica da chiesa.

  1. Eccellente esempio. Approvo particolarmente questa scelta. Davanti al suo canto, puro e limpido, c’è poco da aggiungere a quanto hai già detto. Una delle più belle voci tenorili mai registrate.

    PS Non che le precedenti scelte fossero da meno… Mi complimento con te, almeno, per gli ultimi tre post, tutti più che azzeccati oltrechè “misurati”.
    Ciao, MB

    • Non credevo che anche de Reszke potesse suscitare tutte queste approvazioni! Questo mi rende molto ottimista circa la possibilità di salvare le orecchie degli odierni appassionati: c’è ancora speranza!!! E grazie dei complimenti, ma i meriti sono tutti di questi strepitosi cantanti del passato, non certo miei!

  2. Che dire, se non concordare in pieno con la tua descrizione, Mancini! un’esecuzione assolutamente impeccabile, mi hanno colpito in particolare le da te citate A…perfette, apertissime, non certe EO che se sentono oggi, la dolcezza nel porgere la frase (caratteristica, per riprendere una tua citazione, in comune anche con Schipa), il totale “distaccamento emotivo” dalla partitura, che però, paradossalmente riesce ad essere molto più commovente di tanti interpreti inutilmente focosi, che spesso cadono nel ridicolo, e poi, la bellezza di questa composizione! in generale non mi piacciono i canti sacri, ho sempe avuto una profonda avversione per essi, ma questo è divino (per rimanere in tema eheh). Complimenti e alla prossima!

    • Sì, attenzione però a dire che le A sono apertissime, perché vorrebbe dire che sono sguaiate. Sul FA la voce di tenore già passa di registro. McCormack riesce però a tenere la voce perfettamente proiettata sul fiato e a passare di registro mantenendo la corretta pronuncia, per cui la A rimane A e non diventa una intervocale (sentire per confronto quel che fa ad esempio un Pavarotti, che mi piace molto di meno… taccio dei Carreras e dei Domingo anche perché non sono ancora riuscito ad ascoltarli tutti, è troppo una tortura…).

      • Si, scusa, mi sono espresso male: “apertissime” era inteso come un complimento, nel senso che le sue A non sono chiuse in gola come quelle di altri cantanti (citi appunto Pavarotti, nulla contro di lui, beninteso). Ciò non voleva dire che sono sguaiate (sarei un pazzo a dirlo), sono di una finezza davvero rara, se mi si concede il termine un po’ troppo poco tecnico; detto come lo avevo scritto in partenza poteva risultare comunque un po’ ambiguo, quindi mi sembrava giusto chiarire.

  3. Mamma mia… Questo ascolto e quello di Schipa sono impressionanti! Dimostrazione incontrovertibile di un dato di fatto: la vera voce da tenore semplicemente non esiste più. Ma chi ha più questa chiarezza cristallina, questa pulizia della perfezione, questo suono penetrante e adamantino? Siamo sommersi da voci tenorili imbastardite, sporche, insomma da brutte voci, e non solo da voci che non sanno cantare…

  4. Ma no, ma no… esiste ancora la voce di tenore. È che non hanno capito come si fa, poveri imbecilli.
    Comunque anche con McCormack siamo al solito discorso: se uno ha una minima contezza di tecnica di canto dovrebe capire al volo cos’è e dove si “ficca” la voce e cioè dove esattamente dice Schipa.
    Poi riuscirci è tutto un altro discorso, che se fosse così semplice come sembra stando ad ascoltare queste persone… insomma ci vuole studio studio e ancora studio!

    • Sì, in effetti ho esagerato. Quello che più che altro volevo dire è che anche nell’arte del canto la connessione natura-tecnica è assolutamente indissolubile: la tecnica valorizza la natura e nessuna delle due può esprimersi ad alti livelli senza l’altra. Tuttavia, di fronte al continuo e scientifico gioco al ribasso sulla tecnica vocale di cui chi ha le orecchie per sentire è testimone oggigiorno, non si può non pensare che anche la natura sia condannata a impigrirsi… Non è evoluzionismo-involuzionismo da quattro soldi quello di cui parlo, ma il fatto che meno e male si chiede alla propria natura e meno e male lei darà, inesorabilmente. E’ quello che accade con la maggior parte dei tenori in circolazione, a volte dotati anche di una natura generosa, ma inascoltabili perchè incapaci di esaltare la propria natura con una tecnica solida e accurata.

      • Però guarda che non è scorretto dire che non ci sono più tenori… Effettivamente, la decadenza tecnica sta andando di pari passo anche con la decadenza della dote naturale, anche se le due cose non direi che sono collegate. Il punto è: ma le voci dei vari Pertile, Gigli, Del Monaco, Corelli, Tucker, Bergonzi… insomma, le grandi voci di tenore, dove sono finite??? Guardiamoci un po’ attorno, tecnica a parte, oggi abbiamo solo vociuzze!! C’è qualche superdotato come Alvarez o Kaufmann ma cinquant’anni fa sarebbero stati pesi piuma!!!

      • Secondo me semplicemente c’è meno interesse nell’arte del canto lirico. Se ascolti le interviste di alcuni cantanti del passato, non è raro che raccontino come hanno iniziato: “mah, mi han detto che avevo una bella voce….”.
        Oggi se hai una bella voce, chi ti viene più a dire che dovresti studiare canto? Oggi è una via che se la percorri, vuol dire che te la sei andata a cercare con il lanternino.

        Quanto alla generosità della natura. Che Pertile e Tucker avssero una bella voce è cosa assai discutibile. Se prendiamo Schipa saremmo tentati di dire che è la voce di un vecchio. Pure della Callas non si può certo dire che avesse una voce dal colore celestiale, per tacer del mio adorato Patzak. Eppure cosa non sono stati? Torniamo al discorso della tecnica e, naturalmente, del saper cantare una volta acquisita la tecnica.
        Penso anche due tenori drammatici come Merli e Taccani, che avevano un colore di voce talmente “naturale” che a me danno l’idea che chiunque possa cantare anche senza avere la gola di un Gigli. E forse è prorpio così. E forse una volta era davvero così.

          • Dicevo solo che il “calibro” delle voci con gli anni è molto diminuito. Oggi c’è una prevalenza di voci piccole, le grandi voci quasi non ci sono più, o forse semplicemente non cantano più.

          • Sì sì l’avevo capito. Propendo per la seconda… non cantano più.

          • Assolutamente d’accordo. Anche perché quella di Merli è pura mezzavoce, mentre Gigli bluffava alla grande, preferendo alla sua pur bella mezzavoce quel misto caragnoso che probabilmente commosse la giuria di quel famoso concorso di canto che lo vide vincitore relegando Francescone al secondo posto.
            Ma Merli nel terzetto dei Lombardi è autentico miele per le orecchie Domenico… Come cantava lui “Giselda, io manco” ma soprattutto l’attacco di “Qual voluttà trascorrere” è da svenimento. Mai più sentita una cosa del genere.

          • Più che altro, secondo me, la “grande voce” è più difficile, molto più difficile, da educare. Perché, e lo dico con cognizione,
            se ce l’hai, l’educarla consiste nel “caricarla” il meno possibile, ossia alleggerirla, -almeno all’inizio dello studio-(ciò che non vuol dire farla imbolsire ma impararare a metterla “in posizione”, per cantare con meno sforzo possibile, anzi SENZA sforzo). Questo training consente poi, col tempo, di arrivare alla giusta emissione ed anche alla mezza voce. Ma questo avviene solo se il maestro\a conosce il mestiere. E sopratutto se non si ha fretta di carriera. Chi in natura ha voce non grande (o anche piccola), trova meno ostacoli nell’educarla.
            Ciao, MB

          • Sacrosante parole Mattia. Nulla da aggiungere a quanto dici se non per rimarcare l’importanza di cantar piano e cercando di alleggerire quanto più possibile il suono per poi trovare l’altezza massima del suono. Queste sono cose che per chi ha una “grande voce” sono molto più difficili da imparare perché si deve dimenitcare di avere una voce così. Non è facile, perché la sensazione di portare il peso di Atlante fa credere impossibile l’impresa. È qui che voci più leggere e forse anche quelle più povere, ma perfettamente impostate denudano la tecnica ad un ascolto non preconcetto e consapevole. Tra questi, anche se la voce non era di certo povera, sta a pieno diritto McCormack!

  5. grazie Mncini un ottimo ascolto e non posso che riportare le tue parole”Il brano, stranamente eseguito in la bemolle anziché nella consueta tonalità di la, ci viene restituito con cristallina purezza di intonazione e di pronuncia, formidabile pulizia di emissione e perfezione del legato. ” Non potevi dire di meglio..
    ottimo post..

  6. Caro Mancini,grazie per questo ascolto (e per gli altri), perche’ un “non professionista” come me, impara piu’ da quanto ci offri che da articoli, libri, etc…
    Ma una domanda viene spontanea: perche’ il la bemolle?
    Inoltre, saro’ poco attento, ma “le inflessioni nasali” di McCormack di celletiana memoria, io proprio non le sento.

    • McCormack non era nasale, magari qualche volta data la sua origine irlandese la pronuncia poteva assumere qualche lieve nasalità ma stiamo badando proprio alle pagliuzze! Sul perché della tonalità non saprei dire, in ogni caso non tutti gli spartiti del Panis Angelicus di Franck sono in la maggiore, ne ho viste versioni più basse. Quasi tutti comunque mi pare la eseguano in la, su youtube mi sembra ci sia solo Florez che la alza. Forse a McCormack stavano scomodi i fa#, ma dubito.

    • Massimo secondo me è facile scambiare per inflesssione nasale un suono BEN alto. Probabilmente anche Celletti su queto punto scantonava un pochino.
      Oppure non aveva sentito le registrazioni degli anni ’30, cui credo questo Panis Angelicus appartenga, dove la voce appare meno ovattata dal mezzo d’incisione.
      Insomma, non so perché Celletti parlasse di nasalità mccormackiane, ma secondo me si sbagliava.

      Tiè, beccati ‘sta meraviglia: http://www.youtube.com/watch?v=eEIPazqYdjo

      Una sola parola: magistrale.
      Giusto per un raffronto, condannerei lo sfalsettante e bassino Bostridge a vent’anni di ascolti forzati.
      (dal minuto 4:50 http://www.youtube.com/watch?v=71c1Z7l_3g4 )

      😉

  7. A proposito di libri: nell’articolo su De Reszke Massimo Fazzari ha nominato “Le stelle della lirica”. In un mio post recente sulla Barcaccia (in Verdi edission il primo Verdi a 78 giri), ho espresso alcuni dubbi sui giudizi dell’autore di quel libro (e del collega che con lui conduce quella trasmissione)

Lascia un commento