I venerdì di G.B. Mancini: impariamo a confrontare. De Lucia vs. Caruso

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Proviamo a dimostrare, con l’aiuto dell’ascolto comparato, quali motivi dovettero spingere l’esperto pubblico napoletano del primo Novecento a prediligere il canto di Don Fernando de Lucia, a discapito del giovane Enrico Caruso, da allora auto relegatosi ai palcoscenici d’oltreoceano cui deve la sua fama. Il tenore più corto che abbia mai inciso dischi sorprendentemente sostiene la non comoda tessitura di questa celebre serenata senza ricorrere ad abbassamenti di tono, come fa invece Caruso, che la esegue in LAb.  Non interessa qui segnalare peculiarità stilistiche quali la grazia floreale dell’ornamentazione, il giuoco coloristico, la sprezzatura nei tempi, che rendono unico il metodo canoro di De Lucia, e al cui confronto chiunque risulterebbe grigio e squadrato, soffermiamoci invece sulla qualità e le differenze di emissione dei due cantanti, come emergono attraverso la comparazione. Ho dedicato uno dei primi post di questa rubrica all’importanza della vocale “i” come segnale di emissione avanti, a fuoco. Già su quella di “april” l’emissione di Caruso è leggermente sporca, indietro e un po’ ingrossata, ma è sulla nota di passaggio di “ben mIo perché”, laddove Caruso accenta “miò”, che sentiamo l’incapacità di pronunziare correttamente tale vocale (sentire come invece De Lucia si sofferma correttamente sulla i), nonché una consequenziale tendenza alla fissità di tutto il settore acuto, affetto da una certa tensione e strettezza.  Lo stesso scivolamento su “mio” avviene in modo ancora più accentuato al min. 1:10. Sulla difficile i di “sospIri” De Lucia esegue addirittura un diminuendo, grazie ad una emissione corretta, galleggiante, Caruso invece spinge. Mi limito per ragioni di spazio a queste poche osservazioni, sufficienti segnali di una impostazione che mentre in De Lucia è esemplare, in Caruso è alquanto artefatta, gonfiata, anche se timbricamente appagante.

G.B.Mancini

78 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo a confrontare. De Lucia vs. Caruso

  1. Questa non è sicuramente una delle incisioni più felici di Caruso. A tratti all’inizio sembra voler alleggerire la voce, finendo per spoggiare. Per il resto è piuttosto piatto e povero di dinamiche. Molto belle le prime frasi di De Lucia; non si capisce però cosa succede su “ben mio perchè” (a 0:55), nel quale cambia completamente timbro, schiarisce e schiaccia! Trovo piuttosto sgradevole anche la prima “i” di “sospiri” al minuto 1:25, completamente sbiancata e disomogenea rispetto al resto della voce (seppur filata col solito impressionante controllo del fiato), così come quella di “senti” subito dopo, schiacciata e sbiancata. Anche la “i” di “potrai” al minuto 2:27 risulta a mio parere stretta e non ben sostenuta, a differenza della a che la precede nella salita. Quella finale invece è migliore. E’ singolare però che Mancini porti come esempio di corretta emissione proprio le “i”, che mi sembrano invece le vocali più problematiche per De Lucia in questo brano… Evidentemente sentiamo in modo completamente diverso.

    P.S. Ieri Mukeria alla Scala ha cantato una serenata davvero di alto livello, dopo che non mi aveva affatto entusiasmato nel resto dello spettacolo. Anche il duetto è stato notevolissimo, nonostante qualche incertezza musicale.

    • Ciò che accade 0:55 è presto detto. Fin lì tutte le prime frasi del brano sono emesse a mezza voce, arrivato a “ben mio perché” per salire a piena voce allo scomodo lab si serve di un alleggerimento di posizione ottenuto mediante uno schiarimento timbrico e di una pronuncia piccola, stretta, onde raccogliere bene il suono ed evitare allargamenti di posizione e sguaiataggini. Schipa è più naturale, certo, ma l’acuto di De Lucia è ben timbrato, intenso, squillante, non è certo una brutta nota. Ed anche le sue i dal mio punto di vista sono esemplari, molto sottolineate, esasperate nella posizione probabilmente a sorriso, sibilline, leziose, antipatiche, ma molto ben proiettate. De Lucia sapeva che la vocale i serve a mettere la voce avanti, e si premurava di scandirla bene, esagerandone la pronuncia, probabilmente per necessità. La sensazione mia infatti è che lui non avesse una i facile, perché probabilmente tendeva ad restargli invischiata indietro, di qui la sua attenzione nel pronunciarla con quella nettezza, schiarendola per tenerla su di posizione.

      • Ma perché mai uno dovrebbe servirsi di un “alleggerimento di posizione”? Che significa poi alleggerire la posizione??? Spoggiare, spingere e stringere il suono come fa qui De Lucia??? In questo modo si compromette l’omogeneità della voce, che dovrebbe essere presente in tutta la tessitura ed a tutti i livelli dinamici, valore che mi sembra sia sempre stato tenuto in gran conto da tutti i trattatisti più significativi, oltre che dal gusto del pubblico. Non so chi possa pensare che quelle siano belle note… Io credo che sostenere che certi suoni siano corretti crei confusione. Questo è un sito che penso goda di una certa “auctoritas” su tali questioni; considerazioni di questo genere, a mio modo di vedere, rischiano di danneggiarla, in particolare se espresse in una rubrica dedicata all’educazione all’ascolto (e Dio solo sa quanto ce ne sarebbe bisogno!).

        • Caro Mancini, mi spiace ma sono con Cotogni sul 0.55 di De Lucia. Suono schiacciato e spinto.E cisrebbe dadi re qlcosa ancjhe sul prima della frase ma.. Punto.
          Mentre non sono con Cotogni sulla nostra chiacchierata dell’altra sera. Lo invito ad andare sul Tubo, dove è pubblicato ciò di cui si parlava insieme. Per me non ci sono tutti i difetti che gli ha imputato C., sopratutto non c’è disomogeneità dei registri nè disordine. C’è uno che va indietro su quella nota di cui parlava, la copre molto per non far sentire che la spinge pure per farla sonora…ma senza risultato. Poi salendo il difetto sparisce, e gli acuti vanno fuori del tutto, a cominciare dal re bem che C dice essere stato brutto. Non è vero affatto. Forse dovrebbe eseguire quelle note incriminate ultime anticipando il passaggio, in modo da metterle là dove hanno da stare. Il resto lo trovo molto buono. Non eri in buon posto per ascolto, meglio dove ci trovavamo noi……try again!

          • Dispostissimo a riascoltare! Ma non ho trovato nulla sul Tubo! Nemmeno Cotogni è infallibile, ci mancherebbe… 😉

        • Schiarire, come fa qui De Lucia, significa alleggerire, per far sì che la posizione del suono resti alta, e non cada indietro. Non sarà bellissimo da sentire, ma De Lucia qui non fa altro che raccogliere il suono e stingere la pronuncia per avere una base comoda su cui salire all’acuto. Il bisogno di cambiare colore e posizione rispetto alle prima frasi è ovvio, perché tenendo il colore scuro con cui canta la prima parte del brano, non riuscirebbe a reggere il peso dell’acuto in piena voce. E comunque, lo scopo dell’ascolto non era indicare in De Lucia un esempio di perfezione, ma evidenziare i difetti del mito Caruso, che come avrete capito io considero il più importante antesignano dello scadimento di qualità cui il canto tenorile è andato incontro nel Novecento.

          • Tra parentesi, non c’è ombra di spoggiature nel canto di De Lucia, evitiamo di usare parole a vanvera per cortesia. Chi va vicino allo spoggio, sui primi acuti, è Caruso, semmai.

          • Mancini, per capire cosa sia un suono spoggiato bisogna prima capire cosa sia l’appoggio. Un suono spinto (come quello che De Lucia mostra in quel passaggio) non è un suono appoggiato. Perdona la durezza, ma la tua spocchia è davvero fastidiosa.

          • Non capisco il sillogismo. Spingere è sbagliato, certo, perché indice di alimentazione non perfetta, non nego che De Lucia abbia la tendenza a “premere” la voce per risolvere alcuni passaggi scabrosi. Ma spoggiare è ben altra cosa! Se spoggi su quelle note la voce semplicemente ti si rompe, oppure vai in falsettino. Ripeto, non è il caso di usare la parola “spoggiare” per definire ogni difetto che sentiamo, non ha alcun senso. Lo spoggio è uno stadio di decadimento vocale ben più serio e avanzato. De Lucia qui poi fa l’esatto contrario, ossia cerca ed esagera la posizione che gli è più comoda per riuscire ad appoggiare bene quelle note, si salva insomma schiarendo il timbro e stringendo la pronuncia.

  2. Ma che brutte registrazioni! Brutte, a volte Mancini ho l’impresione che cerchi la rissa a tutti i costi; ma con tutte le registrazioni che ci sono, questa di un De Lucia del 1916 dovevi tirar fuori? Ha ragione Cotogni, a 0:55 schiaccia, stringe e si prepara la salita con le famigerate vocali strette (più che strette, strettissime, intervocalica ei belante) tanto comode a un cantante come De Lucia, si di grande scuola, ma le ’16 in evidente declino. Ci sono frasi perfette, bellissime, tecnicamente da manuale. Ma questi acuti sulle ie sono trucchetti da volpe vecchia. Se l’accorto pubblico napoletano (quindici anni prima), preferì de lucia a caruso fu per frasi come quelle al minuto 1:57 e seguenti non certo per gli acuti aggiustati sulle i. Anche a 1:20 sale con una brutta i stretta e poi per il diminuendo arriva a una nota da manuale (gia a 1:23). Allora, va bene sottolineare i pregi di una voce vecchia bene emessa (vedi passato post su De Luca), andrebbe bene anche evidenziare i trucchetti di un volpone come De Lucia per salire ad acuti scomodi, ma se le vuoi far passare come note tecnicamente perfette tutte quelle che hai sottolineato tu… si rimette in discussione tutto.

    • Beh fra i trucchi di De Lucia è leggendario il “Tosca sei TE” alla fine di “Recondita armonia”…
      Comunque, pollice verso. Un Caruso in fase di assestamento tecnico e oltretutto fuori repertorio, e un cantante in declino che ricorre appunto all’ esperienza e alla sapienza tecnica indiscutibile per salvarsi. Per me, qui c’ è ben poco da imparare, soprattutto per ascoltatori poco esperti.

      • Assestamento tecnico? Ossia? Per quanto riguarda il “fuori repertorio”, è bene ricordare che il primo Caruso, quello documentato in questi dischi registrati nei primi anni del secolo, era tenore di grazia, ed anche se forse non cantò mai il Don Pasquale, aveva comunque in repertorio opere come Puritani, Sonnambula, Pescatori di Perle, oltre ai vari Elisir, Favorita ecc…

    • Ma scusami Aureliano, se le parole sono “ben mio perché”, su che vocale t’aspetti che lo faccia l’acuto? La é di “perché” ha da essere stretta, e De Lucia così la emette, molto raccolta e schiarita di timbro, ma squillante e sonora. E’ un po’ premuta, schiacciata, non lo nego, ma è più corretto di Caruso, che sembra impiccarsi.

      • mi aspetto che la faccia sulla “è” stretta e non un suono intervocalico più simile a una “i” nasale e esageratamente schiarito e spinto. Non metto in dubbio la bontà della manovra che De Lucia compie per saliere all’acuto ma affermo che data l’età è costretto a forzarla e il suono che ne esce é schiacciato e spinto. Hai ragione, le “i” non dovevano essergli state facili e si sente chiaramente che esaspera una posizione a sorriso, la proiezione è altissima e avanti, ma cambia troppo colore e il suono che ne esce è sgradevole e rovina completamente l’effetto musicale che aveva ottenuto con le frasi precedenti. Perchè non dobbiamo dimenticare che il ‘fine’ non è la tecnica, la tecnica è il mezzo”, qui Don Fernando aveva perso il senso della misura da un pezzo.

  3. Preferisci comunque Caruso per la spontaneità e la sensualità del fraseggio, ben lontana dagli algidi alambicchi vocali di De Lucia.
    In ogni caso mi duole constatare che al San Carlo di oggi non vi sia neppure una briciola degli antichi intenditori dell’inizio del ‘900: oggi qualunque cane viene applaudito sulle scene sancarliane.

  4. Che il pubblico del San Carlo potesse preferire un Ernesto così senile, effemminato e manierato a quello solare di Caroso è impossibile. Evidentemente, per l’ennesima volta, Mancini ci ha proposto delle incisoni che non fanno onore né ai cantanti prescelti né a lui stesso come “fine intenditore”. Sono perplesso e non credo di essere l’unico…

    • Il confronto con De Lucia avvenne nell’Elisir d’amore, opera nella quale la critica napoletana lo accolse freddamente, contrapponendogli appunto il modello rappresentato da De Lucia. Quanto alle perplessità tue o di altri, la rubrica si chiama, lo rammento, “imparare ad ascoltare”, e non serve affatto a raccogliere consensi.

  5. Io penso che se non sei in grado di cantare una parte in tono, allora non la canti punto.
    Non ho mai capito che c’azzeccasse la voce di Caruso con certo repertorio leggero e la lettura di Ernesto mi pare troppo verista.
    Queste le uniche rimostranze che mi sento di fare a Caruso. Non ho nemmeno sentito suoni indietro, posto che mandare indietro la “i” richiede un “impegno” tutto particolare, proprio per quanto dice Mancini: la “i” porta avanti il suono, ma questo sulla posizione: poi si tratta di una vocale streta per cui, stando alla mia esperienza, la si deve imparare ad emettere a gola aperta soprattutto sopra il passaggio. In questo, laddove però Caruso deve comunque fare i conti con una voce “cicciotta”, cosa che conta, credetemi, De Lucia è magistrale.
    Io trovo un po’ ingiustificato confrontare due tenori come Caruso e De Lucia che potevano essere confrontati solo per repertorio, mentre vocalmente erano due cose completamente diverse. Non è Mancini che lo fa.. erano già i ciritici coevi ai due che lo facevano come ci ricorda Giambattista stesso.
    Comunque se posso dire la mia, nella prima registrazioen sento Caruso, con tutte le cose belle e brutte che si portava dietro.
    La registrazione di don Fernando invece la trovo pessima dal punto di vista interpretativo per il gusto eccessivmente manierato e per le scelte dinamiche, agogiche e di colore al lmite dello stucchevole: sotto tutti questi punti di vista prefersico nettamente la versione più “spinta” di Caruso… Al tempo stesso però trovo che per gli scopi di questa rubrica l’incisione di De Lucia consista nell’illustrazione, seppur disordinata, della cassetta degli attrezzi del bravo cantante.
    Soprattutto quelle “i” così timbrate, alte e sonore sono indice di un raggiunto dominio tecnico.

    Quanto ai trucchetti… Prescindendo dalle famose “tasche” di Kraus che credo abban fatto più danni che altro, tenete conto che cantare non è una cosa naturale, così come non lo è ogni cosa che richiede una tecnica; ed è anche piuttosto difficile quindi non sono da biasimare certi espedienti utili a permettere l’acuto – soprattutto – a gola aperta.
    Ad esempio Bellini in “Meco all’altar di Venere” pone il do su una “i” (“rapiti i sensI”). Ora molti tenori, compreso Lauri Volpi, cambiavano il testo e eseguivano il do su “voluttà”. Altri come Filippeschi eseguivano come sta scritto. Eseguire come sta scritto, se si può, è meglio però sono proprio questioni di comodità puramente soggettive.

    • Ripeto, Caruso non è mai stato un tenore drammatico, nacque come tenore di grazia, la sua natura era quella, al di là del timbro scuro che noi oggi siamo abituati ad associare alle voci potenti da opera seria. Suoni indietro ce ne sono, l’ho confrontato con De Lucia perché fosse chiara la differenza tra una voce avanti ed un’altra un po’ indietro ed “impastata”. Il segnale più evidente è proprio la i, che Caruso infatti non riesce a pronunciare bene. E’ evidentissimo quando deve pronunciare la parola “mio” (“ben mio perché”), che lui accenta miO’, scivolando sulla i. Tutte le i al centro sono ingolfate, in alto invece sono meglio pronunciate ma piuttosto spinte, difatti non riesce a fare la messa di voce. Questo serve a capire che la voce di Caruso, come ho sempre sostenuto, era una voce tendenzialmente gonfiata, arretrata di posizione, e da questo deriva il suo fascino timbrico ed il so successo discografico. Ovvio che a Napoli una roba simile non attaccava… ihih.

  6. Ad essere sincero – e non me ne voglia l’amico Mancini – a me sembrano solo due pessime registrazioni:
    – Caruso, che pure non mi ha mai entusiasmato, è qui presentato (credo volutamente) in un ruolo che non è certo suo caratteristico: e poco importa se “nasce tenore di grazia” (per quel che vuol dire, poi, in quegli anni)…anche Bergonzi “nasce” come baritono, e allora? Bisognerebbe considerarlo tale e fingere di ignorare la sua ragguardevole (me ne darai atto) carriera di tenore? Ben altri sono i ruoli di Caruso (dove meglio se ne apprezzano le qualità (il “miracolo” di cui parlava Serafin riferendosi alla sua voce) :)
    – De Lucia, senescente e in fondo al fondo di una carriera pur prestigiosa, pare davvero sgradevole nei falsettini, nelle leziosità, negli alambicchi vocali. E poi come suona artificioso e “falso”! ..peccato non averlo potuto ascoltare negli anni migliori. La rivalità con Caruso e le “lotte” tra tifoserie al San Carlo, poi, son cose che con la musica c’entrano poco o nulla: non testimoniano né competenza né altro…sono solo fatti storici (da considerare come tali), dovuti a tanti fattori.

    Ps: trovo “scorretto” (per modo di dire) definire le caratteristiche vocali di un certo cantante in base al repertorio affrontato…come tutti noi sappiamo in quegli anni ogni repertorio veniva abbondantemente adattato all’interprete: trasporti (anche di un paio di toni), tagli, raggiusti, modifiche all’orchestrazione, trasformavano radicalmente i ruoli…sarebbe come dire che siccome Donzelli e Rubini hanno cantato entrambi la parte di Elvino, avessero la stessa voce. Certe modifiche – arbitrarie – sono poi rimaste in certa tradizione: si pensi ad Almaviva che – scritto per baritenore – è divenuto appannaggio di tenorini sempre più sbiancati e filiformi.

    • Su De Lucia pazienza, non pretendo che piaccia a tutti. Ma sul primo Caruso insisto a dire che si trattava si un tenore da repertorio lirico e leggero, tant’è che i suoi concorrenti erano Bonci e De Lucia. Non confondiamo il timbro con il peso vocale. Non parlo nemmeno di estensione, Caruso era tenore centrale come lo era De Lucia. Tenori eroici, drammatici, da grand opéra, cui era richiesto un registro acuto esteso e squillante, erano Tamagno, Paoli, Slezak. La concezione successiva del tenore drammatico è figlia del verismo. L’irrobustimento vocale di Caruso poi fu conseguenza dell’operazione ai noduli vocali, ma in questa registrazione sentiamo ancora il primo Caruso.

      • Non dico che non mi piaccia De Lucia…dico che questa registrazione di De Lucia non mi piace: lo trovo molto (troppo) lezioso – probabilmente è dovuto anche alla specifica destinazione di una registrazione del genere – certa fiorettatura (da canzone napoletana) certa erraticità ritmica, l’orchestrina da cafè chantant che l’accompagna…un’atmosfera da canzonetta.
        Su Caruso non so che dirti: è tenore che non mi piace molto, ma in certo repertorio lo trovo straordinario. Penso all’aria di Macduff o alla prima aria di Chenier…

      • Però aiutatemi a capire una cosa: se il tenore drammatico è figlio del verismo, Otello e Alvaro che cosa sono?
        E se del Monaco e Merli fossero nati rispettivamente 50 e 20 anni prima cosa sarebbero stati?

        • Tamberlick, Mancini ha scritto “La concezione successiva del tenore drammatico e’ figlia del verismo”, immagino intendendo successiva agli Slezak, agli Ershov, ai Signorini. E ha ragione. Otello e’ l’unica parte scritta da Verdi per drammatico. Se Merli fosse nato prima sarebbe stato Merli. Del Monaco ,avrebbe trovato qualche insegnante stupito da tanta dovizia, che l’avrebbe fatto studiare.

        • Mah… io non getterei del Monaco nella polvere eh. Che poi Merli gli stia sopra 3 metri, sono il primo a dirlo. Ma al di là di ogni considerazione sul modo di cantare, io volevo semplicemente guardare al tipo vocale. Ché comunque anche del Monaco era abbastanza distante dall’idea di drammaticone basso di posizione.

  7. Bene, come se ce ne fosse bisogno, ho ceduto al consiglio di Mancini, ho riascoltato un bravissimo tenore di grazia, bravissimo anche senza la dinamica e senza la capacita’ di smorzare dei veri grandi Ernesti, un Caruso che canta con cognizione tecnica, bel colore, buon fraseggio, voce timbrata notevole comunicativa. L’incisione di De Lucia e’ una pena invece, altro che senti la “i” senti la “a” . Sento un ex gran tenore che fa pieta’ e che e’ divenuto persin fastidioso da tanto e’ manierato. Oltre a cio’ non e’ certo un prodigio di buon canto in questo brano, affatto. P.S. Anche secondo me Caruso e’ tutto, tranne che un drammatico.

  8. Credo che si possa amare De Lucia ascoltandolo in molte altre registrazioni. Qui come ho detto mostra l’intera cassetta degli attrezzi del buon cantante, ma gli strumenti sono tutti in disordine.

    Quanto a Caruso, attenzione, se vi riferite alla mia osservazione, io non ho detto che dovesse essere un drammatico: ho solo detto che alcune parti da tenore di grazie per me non gli si adattavano. Ernesto è sicuramente una di queste, richiedendo abbellimenti che esulavano da ciò che Caruso credo intendesse ricercare (o sapesse fare): una linea di canto “depurata” da effetti rococò comunque presenti in De Lucia e forse un po’ più neoclassica, se vogliamo, prediligendo la cavata della gamma centrale, il color velluto della voce e via dicendo… cose che lo resero famoso. La somma del suo canto con il suo successo ed il versimo che introdusse negli ascoltatori un “più moderno” immaginario vocale (non certo negativo come taluni sostengono) fecero in modo che Caruso fosse l’antesignano di un modo di cantare che condusse ai guasti d’oggi, ma guasti nel canto mi pare siano sempre stati da imputare agli epigoni. E anche nel caso di Caruso io non sento una voce tendenzialmente arretrata di posizione ed arrotondata, sì, ma non gonfiata come un pallone. Anzi, talvolta, come per esempio nelle arie che indica Duprez, lo sento bello alto e avanti. E se qualche suono pare fermarsi a metà palato, proprio nel medium della voce, pace. Una perfezione euclidea l’ammiro, ma non la pretendo sempre e comunque.

  9. Per Tamberlick . Scusa Enrico, sono un poco duretto di comprendonio, ma non ho capito cos’e’ il drammaticone basso di posizione. Se ti riferisci invece a tipologie vocali, ti posso dire che secondo me sia Merli che Del Monaco fanno parte dei lirico spinto come si diceva una volta, ma e’ termine che ancora oggi si usa. Anche sulle tipologie vocali, comunque sarebbe bene mettersi d’accordo. Io, nel caso che la maggior parte degli amici del corriere fossero propensi a definire Alvaro un drammatico, non avrei problemi a considerarlo tale. Per me , al momento, il drammatico nasce con Tannhaeuser, ma non sono un critico e neppure uno storico, sono un ascoltatore. E per drammatico intendo comunque un tenore in grado anche di cantare cosi’ : http://youtu.be/2Z8QSgvudlE , quando venga richiesto dalla situazione. Drammatici sono Sanson, Otello, Siegfried, insomma personaggi del genere. Il fraseggio veemente, la dizione incisiva, il grande volume sono altre cose, sempre secondo me, anche se tali prerogative fanno senz’altro parte del drammatico. Il drammatico vero, questo per esempio, : http://youtu.be/5KucsxegqHE , prima di tutto canta sempre, squilla, e’ in grado di passare tessuti orchestrali densi, anche quando la tessitura e’ centrale. Ce ne sono stati pochissimi, e oggi non ce ne sono. Ma, non ci sono neppure contralti, non ci sono bassi profondi, non ci sono soubrettes, non ci sono Falcon, non ci sono Colbran….etc etc. Adesso su Del Monaco , aspetto le bacchettate di Mozart, ciao a tutti.

  10. Proviamo a vedere se c’azzecco. Del Monaco è un drammatico post carusiano, figlio del tenore contaminato dal verismo che inventa, di fatto il modo moderno di cantare certi ruoli. Voce scura, epica, anche una certa stentoreità. Merli e Martinelli li potremmo considerare gli ultimi drammatici ottocenteschi, comer Slezak o Tamagno, che non ritenevano di dovere scurire la voce per forza, anzi a volte erano chiari, capaci di un fraseggio assai più vario. Merli, lo abbiamo detto, è scuro di suo, non perchè peci. Martinelli non peciava affatto. Idem Tamagno, l’enigma del drammatico otello dalla voce chiara, che no è per nulla un enigma visto da una prospettiva ottocentesca e non da noi postdelmonacheschi e post carusiani. Anche Paoli sterebbenei drammatici ottocenteschi che non forzano la voce.
    dunque Tamberlick alluderebbe a quelli postcarusiani…o meglio, al cambio che è avvenuto nel gusto in questa vocalità. la voce scura come obbiettivo che ci siamo dati noi, e che, se la voce non è già così in natura, si tramuta nell’ingolarsi in vario modo, fino alle degenarazioni alla cura etc….tutti sognano la voce di Merli, ahiloro, assai rara. ma non ne sognano la tecnica nè il gusto, nè la varietà fraseggio….e sanno solo ingolarsi e spingere e berciare
    il gusto che ha deformato la tecnica, o la malatecnica che ha consolidato una moda?

    • Martinelli iniziò anche lui a “peciare” quando ricercò il timbro “carusiano”, finendo gradualmente per indurire la voce. Caruso cantava tendenzialmente molto bene, il colore che ne usciva era il suo, risultato di una corretta emissione. Un colore scuro, affascinante, in una voce sicuramente non da tenore drammatico (nonostante il grande squillo sugli acuti, che guadagnò col tempo). Comunque la ricerca del colore ha con ogni probabilità influenzato negativamente la tecnica, pregiudicando l’emissione libera.

      • io non l’ho mai ritenuto in cantante di cattiva tecnica, anzi. Però uno che divenne mito vivente ed iniziò a compiacersi di certe sue prerogative fino a fare anche la maniera di se. In fondo ‘ stato uno dei primi miti del disco e divenne una star anche per il suo stile personale. Ha cambiato il canto tenorile senza dubbio, tanto che di solito a tutti piace caruso mentre i bonci, i de lucia, anche schipa non piacciono certo a tutti, i neofiti in primis per via del gusto…

      • Beh, anche la voce di Caruso si indurì parecchio, i noduli non gli vennero certo perché cantava impeccabilmente… Caruso era sostanzialmente un caso di cantante naturale, non certo un esempio di grande scuola… l’emissione è assai lontana dall’esemplarità, come ho cercato di far notare nel post. Fu Caruso l’iniziatore del malcanto.

  11. Giulia, SEMPRE secondo me, che son qui’ per confrontarmi e per capire, quando tu scrivi “la voce scura come obbiettivo che ci siamo dati noi, e che, se la voce non è già così in natura, si tramuta nell’ingolarsi in vario modo” scrivi parole sante. Sante. 2. Non trovo cosi’ necessario legare una tipologia vocale ad un colore (ovviamente entro certi limiti) per esempio : Burzio e Nilsson cosa sono? Drammatici secondo me, ma sono chiari. Martinelli e Merli cos’erano? Dei lirico- spinti, (o di forza, come si diceva una volta) ma sono scuri. 3. Puoi essere in possesso di tutte le meraviglie vocali del mondo, e questo ti aiuta tantissimo, ma se non sai cantare, verza eri e verza rimani. 4. Chi ha ben saputo declamare in modo veemente, e con voce di grande volume, meglio ancora se di bellissimo colore, vedi Del Monaco (perche’ dobbiamo a Del Monaco quel che gli spetta no?) e’ spessimo stato percepito come un drammatico, anche quando non lo e’. 5. Io penso che il tenore drammatico debba certamente avere una voce dal timbro penetrante e lucente, debba avere un fraseggio vigoroso, debba avere voce non limitata in quanto a volume, ma ANCHE nella tessitura centrale, la voce deve superare sonorita’ orchestrali ANCHE in tessitura centrale, (Sanson appunto, o Hermann, o Tristan) ma senza perdere le qualita’ sopra elencate. Per questo dico che ce ne sono stati pochissimi, la maggior parte delle volte sentiamo dei Tannhaeuser soltanto quando salgono, nei centri urlano o addirittura parlano ad alta voce, gli orrendi. 6 E’ chiaro che un artista ben preparato non cantera’ solo i ruoli piu’ adatti a lui, e che diamine, Se l’artista e’ Merli, che canti Turiddu o Lohengrin… sempre bene canta. Certo e’ meglio in Lombardi, li e’ proprio a casa sua!

    • Ma allora scusami Miguel: non capisco l’utilità di distinguere drammatico da lirico spinto.

      Martinelli scuro e scuro come Merli? A me non sembra. Aveva di certo uan voce robusta, am più vicina, che so, a Masini che non a Merli…

  12. Ritengo che si possa far rientrare sotto l’etichetta del tenore drammatico quelle voci tenorili che, per il peso e grana della voce che Madre Natura o Chi per essa diede loro, si sposino particolarmente bene con parti calibrate su una tessitura centrale e che interessi raramente gli acuti estremi del registro.
    Non immagino voci necessariamente brunite, scure o – come piace dir a amadama Giulia – “pecianti”; ma voci che siano ampie, robuste e squillanti a tal punto da fronteggiare anche un organico orchestrale nutrito.
    Ritengo invece autentico parto del verismo il c.d. “lirico spinto” piuttosto che il drammatico: penso in particoalre a Turiddu, Cavaradossi, Calaf, Chenier, Loris, Maurizio, Lionello, Lefebvre, Paolo… e via discorrendo: ruoli che, per me, richiedono la medesima tensione drammatica ma spostata ad insistere più scomodamente sulla zona del passaggio.
    Però mi rendo perfettamente conto che questa tassonomia, forse come ogni tassonomia, è artificiale, arbitraria, figlia del “postcarusismo” e frutto dell’immediato che investe chi la formula. Che sia critico, storico oppure semplice ascoltatore…
    Per me Merli resta una voce non meno drammatica di quella di Melchior, soprattutto nel settore acuto laddove il tenore danese tende a sbiancare e lì lì per arretrare il suono al contrario del tenore di Corsico.
    E certo, anche il c.d. Heldentenor wagneriano rientra nel’alveo del tenore drammatico.

    Nella piena consapevolezza di aver fornito una classificazione personale, incerta quanto si voglia e magari puramente ad usum commoditatis, passo oltre.

    Per me, Miguel, il “drammaticone basso di posizione” è esemplificato da cotali “signori”:

    1) http://www.youtube.com/watch?v=sL1D5dgQfuo

    2) http://www.youtube.com/watch?v=R3A2Zi5EvhE&feature=related
    apprezzabile anche e con particolare gusto in questa esecuzione (della nostra membrana timpanica): http://www.youtube.com/watch?v=h-zu8Bx4Nw0

    3) http://www.youtube.com/watch?v=kZNr5neueec

    4) http://www.youtube.com/watch?v=SAgTqv2KN1w qui: http://www.youtube.com/watch?v=rUKf1qC-WSM e qui: http://www.youtube.com/watch?v=KENgaPbQbjU

    Infine, ma da ascoltarsi tenendosi ben forte:
    5) http://www.youtube.com/watch?v=uqofE7nmWEg

    In confronto il tanto vituperato Vickers sembrava un angioletto: almeno gli acuti non li prendeva da sotto.

    Ammetterete che da tutti costoro, costui fu ben altra cosa….
    http://www.youtube.com/watch?v=tyft4yQGZ80

    • Ciao Enrico, scusami ma, non essendo a Milano fino a questa notte, posso leggerti e risponderti, ma non ascoltare i brani da te proposti, quindi non ho al momento ancora idea di chi sia il ” Drammaticone basso di posizione” ahahahahah. Vabbe’ li ascoltero’ domani, poi ti rispondero’. Anch’io, che sono sempre per semplificare le cose, non faccio un granche’ distinzione tra spinto e drammatico, pur ritenendo il drammatico un tenore tendenzialmente piu’ centrale rispetto allo spinto, e sai ,in una rubrica dove a volte si spacca un filo in quattro…. Al di la’, anch’io ritengo che l’ Heldentenor sia un drammatico ( Sempre pero’ , che per Heldentenor non si intendano anche i Lohengrin e i Walther). Altro argomento, non devi assolutamente pensare che la tua classificazione, non sia quella corretta, poiche’ ognuno di noi a volte, ripeto, usa termini diversi per indicare alla fine cose o voci simili, questa rubrica, spero, possa servire proprio anche a orientarci, a trovare terminologie condivise, non soltanto ad ascoltare no? A proposito di Masini, di quale Masini parli? A proposito invece di Merli, io lo sento come una voce brunita, scura, adotta tu il termine che piu’ ti aggrada. Martinelli : Anche lui (a parte le primissime incisoni 12-14) trovo abbia avuto voce scura, brunita, sombre,(anche qui’, adotta tu il termine piu’ giusto), lo ritengo scuro, lo sento scuro, (Ha cantato quarant’anni, e’ stato chiaro solo per due anni, per me e’ scuro) . Preferisci Merli a Melchior? Anch’io in generale, e lo preferisco anche a Martinelli. Ho postato Melchior perche’ aveva tutte le caratteristiche del vero tenore drammatico, oltre ad essere un meraviglioso cantante. Appena potro’ ascoltare le incisioni che hai proposto, ti rispondero’. Ciao e a presto. P:S: Se invece di spinto preferisci usare “di forza” come si usava quand’ero ragazzino a me va piu’ che bene, tanto son la stessa cosa.

      • Ciao Miguel, intendevo Marco Masini! Ha! Ha! 😀
        In realtà pensavo a Galliano Masini, ma riascoltandolo non so che ricordo ne avessi: Martinelli lo sento ancora più chiaro!
        E lo sento chiaro per le tinta che la sua voce assumeva sotto il passaggio. Poi non v’è dubbio che avesse una voce robustissma: e forse è per questo che per te è suona scuro… Io tendo a distingeure voci chiare da scure solo sulla base del colore, a prescindere dal tonnellaggio, tanto per intenderci. Per farti capire, per me Vinay e Melchior sono scurissimi, Merli è bello scuro mentre Lorenz è chiaro…
        Sono d’accordo che il tenore drammatico canti su una tessitura piuttosto centrale, ma non è solo quello; mentre il lirico spinto canta di più attorno al passaggio.
        Ciò poi nulla osta che tenori drammatici si diano a cantare parti più liriche e viceversa…

        Il “drammaticone basso di posizione” è quello la cui infausta esistenza si vuol imputare a Caruso: il cantante impastato, che canta piatto come una suola e cha tendenzialmente grida per stare avanti altrimenti va indietro e tipicamente piglia gli acuti da sotto come capita a chi stupra l’arco del suono e come si sente in tutti quelli linkati. Dei quali Atlantov è forse il meno peggio e Galouzine è il bercio incarnato. 😉

        • Caro Tamberlick, senti Melchior scurissimo e Lorenz chiaro? E che ti devo dire, io non sento scuro nessuno dei due. Galliano Masini non mi e’ mai piaciuto molto. E chiudo il discorso sui colori dei tenori. A presto

  13. tanto per entrare nella polemica e senza nessuna presunzione, caro Mancini,
    a) il de lucia che hai pubblicato è un cantante alla frutta di una carriera gloriosa e dove la qualità tecnica era sempre stata al servizio dell’espressione , perchè ridurre de lucia come molti altri a soli esempi di tecnica è, pure per me che non riesco a prescindere da un saldissimo possesso dei ferri del mestiere, davvero poco
    b) caruso è un cantante inadatto al ruolo. sai bene che a me caruso non piace più per limiti di gusto che tecnici. non che sia perfetto, ma non è tecnicamente il cane che ti ostini a credere ad a voler far credere fosse. era semplicemente un cantante che non disponeva della cognizione della voce di cui erano provvisti de lucia, bonci e pure tutti i tenori di area tedesca, esemplari e magistrali sotto la declinazione tecnica.
    c) piaccia o meno ( e siamo sul secondo fronte) Caruso incarna il mutamento di gusto con i quale chi si interessa di storia della vocalità e del gusto deve comunque confrortarsi. Io non ritengo neppure che Caruso sia così ingolato come tu ritieni se l ascolti bene da che parte si oscurasse un suono, si smorzasse alemno sino al piano lo sapeva bene.
    d) poi caruso fu ub tenore dei suoi tempi e si trasformò in tenore drammatico o di forza che dirsi voglia
    e) e qui arriviamo al secondo punto della questione. Che fosse n tenore di grazia era verissimo perchè quando iniziò la carroera nulla aveva del tenpore di altro tipo. Tenore che era incarnato da Francesco tamagno o da Signorini.
    f) Poi andò in America e non finì cacciato da Napoli per copla o merito di de Lucia. In America non fu affatto il solo tenore perchè Gatti Casazza sempre lo “lavorò” al fianco presentando i maggiori tenori del tempo e non solo di area italiana e Caruso ben lo sapeva che aveva fior di concorrenti. Gatti Casazza era un abilissimo ed intelligente impresario e da impresario ragionava. Tanto di capello. Ragionassero così gli attuali. Al met Caruso piaccia o meno divenne un tenore drammatico, ma di tipo ben differente da Tamagno et consimili (ed anche da Slezak o più ancora Jorn ed Urlus)- Tanto è che non cantò mai Otello, ma altre parti drammatiche o di forza, ma secondo stilemi che erano quelli del nascente verismo.
    g) non credo che don Alvaro ( i cui primi interpreti furono rispettivamente Tamberlick e Tiberini) debba avere la voce baritonale e stentorea del Caruso in fase terminale di carriera, ma a quel tempo il tenore drammatico era Caruso, don Alvaro era , da sempre parte di tenore drammatico e quindi toccava di diritto a Caruso. Persolmente trovo più interessante quello che si traode di Marconi perchè più vicino al don Alvaro originale, ma questo è ben altro e differente discorso.
    h) credo, invece che la lunga dissertazioen sul tenore drammatico dica una cosa a tutti sfuggita ossia ch ei tenori drammatici o di forza si chiamassero Nozzari, Donzelli, Negrini, Tamberlick, Tamagno, Urlus , Caruso, dovevano tutti rispondere ad un medesimo modello ovvero facilità e ricchezza del medium delal voce, acuti stentorei, fraseggio aulico ed altisonante. Poi tutti questo aggettivi ed anche altri che potremmo utilizzare hanno nei tempi declinazione e realizzazione pratica differente.
    ciao dd

    • L’anno di questa incisione è il ’17, tu dici che era alla frutta della carriera, ma se è per questo De Lucia si era già ritirato da anni, quindi era ben oltre la frutta e pure il caffè. Ma non importa niente, lo stato vocale del cantante napoletano è rimasto sostanzialmente integro fino alla fine, anche da anziano mantenne intatte le sue caratteristiche migliori, resta sempre un canto molto interessante, a tratti ammirevole, da cui si può imparare molto, la voce non mostra i segni di un declino devastante come accade con un Marconi o con un Di Stefano, è molto più alla frutta vocalmente la Sembrich nei dischi incisi a fine carriera di quanto lo sia De Lucia, che non presenta il classico vibrato largo delle voci sfatte, né cali di intonazione alla Lauri Volpi. Certi vezzi, certi artifici, leziosità, schiarimenti timbrici fino allo schiacciamento del suono sulle vocali strette come la “é” o la “i” ci sono sempre stati, anche nel De Lucia delle prime incisioni. Pertanto non si può liquidare così tutto il gran numero di incisioni che De Lucia realizzò nell’ultimo lustro di vita, sono tante e sono per lo più tutte preziose, se non piacciono è perché semplicemente non piace De Lucia, tout court.
      Non è poi mia intenzione ridurre De Lucia al solo dato tecnico, ma il post è dedicato espressamente alla valutazione dell’ortodossia d’imposto vocale in Caruso, e pertanto ho dovuto necessariamente soffermarmi sulla tecnica più che sullo stile, l’ho pure scritto. Fermo restando che lo stile discende sempre dal come si sappia gestire tecnicamente la voce. Considerazioni sul mutamento di gusto vengono sempre dopo, sono categorie inventate da chi scrive la storia, ma la mia è una analisi tecnica, che prescinde da tali considerazioni. Il canto è uno.

      Caruso sarà anche inadatto al ruolo, ma non m’importa, se ha inciso il brano è perché lo riteneva rappresentativo della propria voce e del proprio repertorio, se lo ha inciso è perché riteneva di fare buona figura e di poter esporre questa esecuzione al giudizio dei suoi ascoltatori. E comunque non è un’esecuzione scandalosa, magari non è particolarmente ispirata, ma quello che ascoltiamo è comunque il solito normale Caruso, con le sue solite caratteristiche tecniche. Avrei potuto servirmi di qualsiasi altra incisione del suo vasto catalogo per evidenziare le stesse caratteristiche negative di emissione.

      Se ne andò in America perché a Napoli, dove la gente era abituata a cantanti di ben altra qualità, lui non poteva avere successo. E in America il pubblico in fatto di canto è senz’altro più… di bocca buona. Diffiderei di un cantante che in Italia ebbe carriera tutto sommato limitata e successo di pubblico e di critica quanto meno travagliato. Il ritorno in Italia, anni dopo, quando a precederlo era già la sua fama di star affermata a livello internazionale, fu una toccata e fuga dall’esito non certo trionfale… Il mito di Caruso è essenzialmente un mito americano…. un po’ come oggi Bocelli, tanto per capirsi. (Del resto tutti i nostri mali sono venuti da là.)

      Caruso pagò cari, prima con l’operazione alle corde vocali, e poi con la vita, gli sforzi a cui aveva sottoposto la sua voce per farne uno strumento drammatico, stravolgendone la naturale disposizione al genere leggero, “di grazia”. Fu sostanzialmente un autodidatta, inventò da sé, forte di un fisico robustissimo, il modo per ingrossare e potenziare quella voce che in natura non brillava certo per potenza, squillo, estensione. Il prezzo da pagare fu innanzitutto la perdita della modulazioni a mezzavoce che erano forse il massimo pregio del Caruso giovane. La voce si indurì e perse di elasticità. Fu un po’ l’antesignano degli odierni affondisti, il primo nella sua epoca ad aver utilizzato una emissione arretrata, impastata scavando sotto, per cercare il colore e gonfiare il volume. Il disco lo favorì proprio per questa sua caratteristica timbrica, frutto di artificio e non di arte.

  14. Circa la “querelle” in corso, devo dire che sono “democristianamente” d’accordo con entrambi (Donzelli e Mancini) seppur parzialmente.
    Occorre fare una premessa, però, in merito al punto di vista iniziale, da cui derivano – secondo me – entrambe le argomentazioni. Ossia la superiorità stilistica, musicale ed estetica del belcanto rossiniano e post rossiniano (Bellini e Donizetti) su tutto il resto, vissuto e inteso come decadenza tecnica o di gusto o, persino, di idee. Io non lo credo affatto. Penso, cioè, che il cambio di gusto, sia connesso all’evoluzione storica di un genere – l’opera – che nel corso dell’800 è mutato radicalmente. Il cosiddetto “gusto verista” non è, in questo senso, una degenerazione da guardare con sospetto, ma risponde all’esigenza di nuovi linguaggi. Ecco perché non posso ritenere “scorretto” certo modo di cantare, può piacere o non piacere, ma non mi sembra opportuno dare pagelle rifacendosi ad un mitico passato (come, assai scorrettamente, faceva Lauri Volpi, nella sua “crociata” contro la musica del suo tempo).
    Altra premessa va fatta intorno alla questione della “tecnica”, che non può e non deve essere argomento centrale e dirimente nel giudizio critico o nel gradimento di un determinato cantante o strumentista. Ridurre la musica a mero fatto tecnico – all’emissione di un SI, alla sgranatura di una volatina, all’esecuzione di una cadenza o di un acuto – significa ridurla a mero formalismo e tecnicismo (che esclude l’apporto umano ed eleva il contenitore sopra al contenuto). Ossia il trionfo della meccanica. Per me la tecnica migliore è quella che non dà sfoggio di sé, è quella che, come diceva Horowitz o Stern, va appresa e padroneggiata per poi dimenticarla (nel senso che l’esecuzione musicale deve risultare con naturalezza).
    Detto questo torno alla polemica:
    1) Caruso non mi entusiasma, non l’ho mai considerato tra i miei cantanti favoriti, però non posso ridurlo a mera costruzione discografica: non credo che Puccini o Cilea o Mascagni fossero degli incompetenti e neppure Serafin (che riteneva Caruso, la Ponselle e Ruffo, le voci più miracolose da lui ascoltate).
    2) De Lucia è cantante che – a mio gusto – pare molto manierato. Certo i rilievi di Mancini ci stanno tutti: per entrambi i cantanti. Ma oltre alla mera tecnica d’emissione c’è di più. Lascio perdere i due ascolti proposti per spostarmi sulla figura dei due artisti, le cui esecuzioni andrebbero valutate tenendo conto di alcuni fattori: l’età, le tecniche di registrazione, l’occasione (entrambe non sono estrapolate da rappresentazioni teatrali e risentono – soprattutto De Lucia – di un gusto “canzonettista” che sono sicuro non emergesse durante lo spettacolo operistico), la lentezza e l’erraticità ritmica (i tempi d’esecuzione vera non erano certo così larghi: lo testimoniano lettere, articoli di cronaca e…pure il buon senso…tenendo quei tempi un Don Pasquale sarebbe durato 4 ore: inaccettabile).
    Tutto questo per dire che, costretto a scegliere tra i due, non scelgo nessuno o li scelgo entrambi: per le stesse ragioni.

    • finalmente una chiarezza in queste parole : “Penso, cioè, che il cambio di gusto, sia connesso all’evoluzione storica di un genere – l’opera – che nel corso dell’800 è mutato radicalmente. Il cosiddetto “gusto verista” non è, in questo senso, una degenerazione da guardare con sospetto, ma risponde all’esigenza di nuovi linguaggi.Ecco perché non posso ritenere “scorretto” certo modo di cantare, può piacere o non piacere, ma non mi sembra opportuno dare pagelle rifacendosi ad un mitico passato .”

      l’opera fino ai primi decenni del 900 è stato in evoluzione,con la neccessità di avere un nuovo modo di cantare,e anche un modo diverso nella vocalità con la nascita o meglio dell’evoluzione del linguaggio musicale,è sbagliato sempre dire cantare scorretto,e come scrive Mancini il mal canto nasce da questo cominciando da Caruso.

      • Puccini, dopo aver sentito Miguel Fleta in Tosca a Madrid, disse: “Mi sono vergognato di aver scritto l´opera dopo aver sentito come l´ha cantata lei stasera”.
        Fleta rispose: “Maestro, se l´avessi cantata come voleva lei, non avrei bissato la romanza”.
        E Puccini gelido: “Infatti, Caruso la bissava due volte!”.
        Quindi, pasquale, per come ragioni tu, visto che il malcanto inizia da Caruso, ciò vuol dire che Puccini (che a Caruso insegnò la Bohéme personalmente e scrisse la Fanciulla del West per lui) non capiva un tubo delle opere che lui stesso scriveva…complimentoni!

        • schipa che la cantava come fleta ( e credo la matrice fosse de lucia) trissò il brano a napoli , diretto da mugnone che la terza volta gli disse adesso la canti per me.
          vi immaginate baremboim
          che lo dice a kaufmann con riferimento all’addio di lohengrin!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

      • Però, Pasquale, dalla mia frase hai estrapolato un significato del tutto contrario all’assunto! Per me Caruso risponde esattamente ad un certo tipo di linguaggio, coerentemente alle nuove esigenze di scrittura. Certo posso criticare il “gusto verista” laddove si esegue Verdi o Bellini, tenendo presente, però, che all’epoca nessuno si preoccupava dello stile e le parti venivano abbondantemente modificate per renderle congeniali al nuovo pubblico (in questo senso neppure De Lucia è estraneo ad un gusto che per forza di cose è differente rispetto al 1840). Allo stesso modo critico Lauri Volpi che si ostina a non comprendere il mutamento di linguaggio, scagliandosi contro uno “stile verista” che lui ritiene sbagliato anche per le opere veriste…sarebbe come pretendere che nel Boris Godunov i cantanti improvvisassero volatine e trilli e picchettati e in orchestra risuonasse il cembalo…

  15. Mettiamola così: che una persona certamente informata e formata quale Mancini è, in un post in cui pure ha scritto anche cose che io condivido, decida di idealmente concludere questa discussione in questo modo: Caruso era Caruso solo al Met, teatro frequentato da ignoranti, perchè del resto gli americani sono in generale ignoranti, e per lo più sono la fonte dei nostri mali; dunque Caruso=Bocelli (leggi: Caruso e Bocelli sono artisti mediocri ma famosi solo per motivi extra-artistici; famosi solo tra dei mentecatti), mi spiace Duprez, ma non dovrebbe richiedere una contro-argomentazione, ma una reazione piccata.
    Sapendo benissimo Mancini di cosa parla, e facendo a bella posta della propaganda anti-carusiana funestata dal suo (purtroppo) solito ideologismo falsificatorio, vorrei evitare di discutere con lui per difendere Caruso da queste sciocchissime critiche.
    L’ho già scritto e lo ripeto: ben venga una prospettiva generale pre-carusiana, se lo si vuole, ma guardate che per costruirla ci vuole molto impegno, e molta profondità culturale. Altrimenti si fa dell’informazione, del giornalismo vociologico, per di più livoroso, non della formazione.
    Da questo ascolto si sarebbero potuti cavare ottimi insegnamenti: Caruso e De Lucia ne escono benissimo entrambi, con le loro caratteristiche dell’intera vita artistica. Si sarebbe potuto esaltare e criticare l’uno e l’altro; invece una bella discussione (sulla quale non sono voluto entrare soprattutto perchè erano state scritte molte cose che condividevo) è stata funestata da un pregiudizio anticarusiano: Caruso come fonte del mal canto di oggi. Se anche fosse così (e sotto certi aspetti può anche essere che sia così), gli interventi scritti da Mancini con troppo livore sono decisamente faziosi (e i faziosi non mi piacciono).
    Prefiggersi di voler distruggere Caruso sotto il profilo tecnico è un mezzuccio; e l’unica risposta che tale atteggiamento meriterebbe, per l’intanto, sarebbe una mala parola; poi, pronunciatala, si potrebbe pure proseguire a discutere. Io non pronuncerò alcuna mala parola, ma nemmeno mi interessa proseguire la discussione.
    Ciao

  16. non credo che esista un pregiudizio anticarusiano ed un favor pro de Lucia. Sono morti quasi da un secolo e l’operazione sarebbe come discutere sulla paideia e la sua pertinenza alla filosofia piuttosto che alla retorica.
    Talvolta, però, pregiudizio o favor nascono non dai soggetti stessi, ma dai loro eredi o supposti tali. Caso di minor rilevanza, ma simile quello di del Monaco padre ufficiale dell’affondo non solo per opera sua, ma di ben differenti soggetti.
    Che il fascino e la singolarità di de Lucia possano colpire assai più del timbro di Caruso lo capisco e condivido. e posso, per parte mia al nome di don Fernando aggiungere quello di Checco Marconi (che Mancini non ama), il cui fascino di interprete è unico e molti cantanti di scuola ed area mittleuropea, sopratutto quando trillano, seguono passi di agilità, praticano misto e falsettone. Mi compiace che molti di loro abbiano “lavorato al fianco” Carusiello.

  17. A me preme solo smentire qualcuna delle spudorate falsificazioni storiche contenute nel post di Mancini e nei suoi commenti. Caruso non si rifugiò affatto in America, ma fino al 1916 cantò regolarmente anche nei maggiori teatri europei. Era di casa al Covent Garden, a Berlino (dove fu nominato Kammersänger dal Kaiser in persona) a Parigi e a Vienna, dove fu diretto da Bruno Walter, che nella sua autobiografia “Thema una Variationen”. esprime su di lui giudizi entusiastici. Dal 1917 in poi non tornò più a esibirsi in Europa, semplicemente perchè con la guerra in corso le traversate intercontinentali erano diventate problematiche. Se non cantò più in Italia, fu solo perchè i teatri del tempo non potevano reggere la concorrenza di quelli esteri in fatto di paghe. Le biografie più accreditate, come quelle di Scott, Eugenio Gara e quella più moderna di Pietro Gargano e Gianni Cesarini, concordano sul fatto che la querelle napoletana fu originata soprattutto dal rifiuto del tenore di venire a patti con certe fazioni del pubblico. Del resto la pluricitata e pochissimo letta critica del barone Saverio Procida sul “Pungolo”.riferisce che il cosiddetto fiasco dell’ Elisir (opera in cui tra l’ altro Caruso aveva trionfato alla Scala pochi mesi prima, diretto da Toscanini) fu una serata iniziata fra contrasti e terminata con la concessione del bis de “La furtiva lagrima”. Del resto “l’ esperto pubblico napoletano” che secondo Mancini lo avrebbe disprezzato, lo scongiurò per tutta la vita di tornare, a qualunque prezzo egli chiedesse.
    La critica di Saverio Procida è riportata integralmente nel volume di Gargano e Cesarini che ho citato.
    I giudizi di gusto sono sempre legittimi e rispettablili, a patto di non falsificare dati storici oggettivi, perchè questo non si può assolutamente accettare.
    Saluti.

    • Non sono documentato come te sulla vita di Caruso, non ho ancora letto le sue agiografie, né permetto che l’aneddotica si sostituisca al giudizio che solo le mie orecchie possono suggerirmi; gli unici dati che possiedo sulla sua biografia sono quelli riportati nel volume le Grandi Voci di Celletti (evidentemente pure lui uno spudorato falsificatore):

      “Nella stagione 1901-1902 cantò per la prima volta al San Carlo di Napoli dove fu acclamato nella Manon di Massenet, ma accolto più freddamente nell’Elisir d’amore, specie dalla critica, una parte della quale contrappose, alla sua, le interpretazioni che in precedenza aveva dato, di quell’opera, F. De Lucia. Amaramente deluso dalle riserve mossegli proprio nella sua città, C. non volle mai più cantare a Napoli.”

      “Il 23 novembre 1903 ebbe luogo l’avvenimento più importante della carriera di C., cioè il debutto al Metropolitan col Rigoletto, che preluse a conferme protrattesi, ininterrottamente, fino al dicembre 1920. Al Metropolitan e agli altri grandi teatri statunitensi C. dedicò, dal 1903 in poi, la maggior parte della propria attività. […] Ne risentì, naturalmente, la sua attività in Europa, e in modo particolare, quella in Italia. Qui Caruso si era presentato nel febb. 1903 al Costanzi di Roma […]; da allora cantò in Italia soltanto in due occasioni: nel 1914 al Costanzi, per una sola recita di Pagliacci; nel 1915 al Dal Verme di Milano, sempre nei Pagliacci, in due recite di beneficienza dirette da Toscanini”

      “In occasione della fuggevole ricomparsa in Italia del 1914, una parte della critica di Roma e Milano si fece eco dell’iniziale perplessità del pubblico di fronte alla voce scura e voluminosa di Caruso […]”.

      • Ah, Gianni Cesarini sarebbe un agiografo? Beh, peccato che il saggio relativo all’ analisi della vocalità carusiana incluso nel suo volume sia opera di Michael Aspinall, evidentemente anche lui un esaltatore acritico.
        E anche per definire Eugenio Gara, uno dei maggiori studiosi italiani di vocalità di tutti i tempi, come un agiografo, ci vuole una bella faccia tosta sai…

        • Il punto è che non puoi negare che se Caruso divenne quel mito che è oggi, non fu per merito dei suoi successi italiani (in Italia la sua carriera fu limitata per lo più a teatri minori o di provincia, i debutti nei grandi teatri come la Scala o il San Carlo non segnarono acclamazioni immediate ed unanimi), ma fu grazie alla sua carriera internazionale ed in particolare americana, ed al suo rapporto con il disco. Questo è il nodo centrale del mio discorso.

          I vociologi Gara ed Aspinall non so che cosa abbiano scritto, nei loro saggi, sulla vocalità di Caruso… se vuoi riportare qualche breve stralcio, magari in netto contrasto con i miei giudizi, sarò lieto di confrontarmi con le loro posizioni.

          • Scusa Mancini, ma che ci importa se un grande esecutore come Caruso non deve la sua fama ai successi italiani? Non ti piace? Bene, hai ampiamente spiegato il perche’, e giustamente. A me nel brano donizettiano QUESTO Caruso piace piu’ di QUESTO De Lucia e, a giudicare dalle risposte che hai rucevuto, direi che non sono il solo. E ognuno di noi si fida delle proprie orecchie, Mancini, non sei un’eccezione.

          • Ritengo che per qualsiasi cantante d’opera l’affermazione più importante sia sempre stata quella italiana, nella culla storica della lirica ove il pubblico ha la maggiore tradizione d’ascolto e una naturale affinità con l’arte vocale.

  18. Per Tamberlick : Ho ascoltato, grazie.Spero pero’ che tu non abbia neanche lontanamente pensato che un Del Monaco sia da me considerato alla stregua degli altri da te postati. Ciao. Lo spero proprio.
    Per Grondona: Nella siciliana ascolto un gran De Lucia ed un buon Caruso. Ciao
    Per Donzelli . Non e’ sfuggito proprio a nessuno il fatto che un drammatico o come lo vuoi chiamare debba aver un medium particolarmente ricco. Ciao

  19. Per Mancini : Errore madornale, Mancini! Ovviamente secondo me. Ma da quando si giudica il valore di un artista dal consenso che costui puo’ avere presso pubblico veneziano invece che presso quello viennese??? Ma dai….La Siems non ha mai cantato a Torino o Genova, e allora? Sibiariakov non ha mai cantato a Napoli o Treviso, e allora? Meglio Margherita Benetti o Amedeo Zambon? (Guarda che la Benetti e Zambon hanno raccolto trionfi in Italia…) Ciao

    • Io credo che per un cantante d’opera affrontare il pubblico italiano sia la prova più difficile, perché ci si confronta con la tradizione canora più antica ed importante. Adesso non è il caso di tirare in ballo altri cantanti, ma per esempio la Siems, da te citata, cantante che peraltro trovo molto interessante, in Italia probabilmente avrebbe faticato ad affermarsi, con quei suoi acuti flautati, di scuola nordica, risolti non a piena voce. Nel giudicare la cantante non posso ignorare un aspetto come questo. Pensa alla Ponselle, che dei teatri italiani aveva terrore. E ancora oggi, pur nel degrado generale, gli unici teatri al mondo dove ancora, raramente, il pubblico osa contestare, sono teatri italiani. Pensiamo alle porcherie che il pubblico ingoia all’estero, dove vengono fischiati solo i registi.

  20. Io vedo questa discusione un po sterile, nel senso che come incominci Mancini a dire il contrasto e piu di stile che d’interpretazione. Voglio dire che non é importante si De Lucia era vecchio nella registrazione, questo si vede, é certo, ma il stilo di canto é imparangonabile, ottocentesco, bello per creazione, mai forzato, impresiona vedere cantanti cosi, come Marconi, come Albani.
    Il confronto con Caruso é imposibile, perche Caruso con una voce centrale, sempre forza il suono, forsé era moderno nel 1902, un creatore genial per il verismo, ma fa la dimostrazione piu chiara di tutto quello di buono si perde nel secolo XX. E molto di piu perche l’imitazione dell suo canto fu a peggio, e ha fatto perdere una scuola come quella del XIX.
    Altra cosa e oggi, non creo che al meno alla Spagna si fa buona critica agli cantanti. No al Liceo, no al Real, No a Oviedo, no, no…si aplaude tutto, solamente se critica la scenografia, e poco…
    In altro tempo un cantante doveva andare a Italia per essere considerato un grande como fa Gayarre. Ma oggi…non posso dirlo ma non sono sicuro.
    Un saludo cordiale

  21. Caro Gayarre,
    ecco un punto importante: il suono forzato/sforzato. Ma su questo punto non sono d’accordo con te; perché a me non sembra proprio che Caruso emetta suoni forzati (emette suoni carnali, questo sì, ma Caruso è tutto carnalità – una carnalità tecnicamente controllata così bene da sembrare naturale); un conto è lo stile di canto, come tu dici, un altro conto è il pieno controllo della voce. Sotto questo profilo, qui, anche per ragioni di età, preferirei Caruso a De Lucia, Ma De Lucia è stato ed è uno dei più controversi tenori (Shaw parlava di lui come di “artificial tenor” e di “artificial school”), quindi c’è e ci sarà sempre molto da discutere.
    Ciao

    • E cosa significa, fuor di metafora, suono “carnale”, se non suono largo e ingrossato, indi forzato? Carnalità controllata tecnicamente? Ma semmai è sopportata da una fisico eccezionale. Un normodotato che volesse imitare questo modo di cantare si rovinerebbe nel giro di pochi mesi. Su De Lucia, ferma restando la mia scarsa fiducia nella critica anglosassone (presso la quale comunque il tenore napoletano ottenne importanti successi nelle opere veriste), direi che la definizione di “artificial tenor” sia più adatta a descrivere il suo stile, che non la sua vocalità. L’uso di taluni effetti espressivi artificiosi, come gli schiarimenti timbrici, i contrasti di colore, il vibrato, non è da confondere con l’impostazione di base, che è quella classica del belcanto.

      • Non vedo proprio perchè carnalità dovrebbe essere metafora che allude a uno sforzo.
        Quanto poi al cd. stile belcantistico, non lo scopriremo mai, ma si può anche pensare, magari un po’ arditatamente ma non troppo, che fosse assai prossimo a uno stile verista spinto, almeno stando a certe pagine di cronaca dell’epoca (es. Berlioz).
        Naturalmente quando parliamo di belcanto, idealizziamo e attualizziamo una certo concezione del canto, della tecnica e dello stile; ma non apriamo troppi fronti.

  22. Confrontare 2 stili… Onestamente preferisco Caruso, ma certo il pur bravo de Lucia guarda indietro, mentre Caruso ci porta avanti verso uno stile che ci ha regalato il periodo d’oro della lirica. Poi, basti pensare, al repertorio di Caruso e capiamo già che qualcosa si differenzia l’uno dall’altro.

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