Polpettoni III: La Regina di Saba, di K. Goldmark

Ricordo ancora con piacere quello che accadde nelle dieci recite a cui partecipai al Met tra il 1885 e l’ ’86.
Era la prima volta che il pubblico americano ascoltava “Die Königin von Saba” (La regina di Saba) la prima opera composta dall’ebreo.ungherese Karl Goldmark, ed io cantavo, “per riposare la voce tra una Fricka, una Ortrud ed una Fidés” come scrisse la critica americana, il breve e virtuosistico ruolo della schiava Astaroth, che con un certo orgoglio mi procurava un piccolo successo personale.
Le prime recite videro alternarsi nel ruolo della Regina, l’insufficiente Marie Kraemer-Wiedl, che preferirà successivamente il ruolo di Sulamith, sostituita nelle recite successive da Anna Slach, Gisela Staudigl e soprattutto, nella ripresa, dalla fascinosa Therese Herbert-Foerster, moglie del famoso compositore e direttore d’orchestra Victor Herbert; furono scelti Albert Stritt e il magnifico Max Alvary per il ruolo di Assad; addirittura Lilli Lehmann applauditissima sia nei panni di Sulamith sia in quelli della Regina quando si approprierà del ruolo nella ripresa del 1889.
Nel 1905 la rinnovata compagnia prevedera la presenza di Edyth Walker e Heinrich Knote, ma quel cast così prestigioso, rappreentò anche fu l’ultima volta che il Met vide quest’opera: un vero peccato.
Eppure, nonostante il successo di pubblico, la critica, non solo americana, si dimostrò in molti casi perplessa e ostile: “troppo Wagner; troppo Meyerbeer; cosa dobbiamo farcene della Regina di Saba quando c’è già Aida?” continuava a ripetere, perseguitando il povero Goldmark per la vita…

A parte gli scherzi, porsi all’ascolto de “La Regina di Saba” è un po’ come riguardare i grandiosi, vecchi Peplum anni ’50-’60, gran bazar di improbabili costumi luccicanti e sfarzose scene di cartapesta e polistirolo; oppure quei magnifici film biblici infarciti di eccessi visivi e religiosi, in cui una kitchissima Hedy Lamarr tentava con i suoi occhioni di sedurre un bolso Victor Mature, o una rapace Gina Lollobrigida stringeva tra le sue grinfie il machissimo Yul Brynner; erano pellicole in cui la fede diventava un marziale catechismo, occhi al cielo e braccia spalancate allo spasimo, altrimenti artigliate, in cui l’esotismo faceva ovvia rima con erotismo.
Tutto è sacro e sensuale ne “La Regina di Saba”, tutto è ad un passo da essere eccessivo e pomposo, tutto è peccaminoso e salvifico, merito prima di tutto di una trama che trova la sua ragion d’essere nella figura centrale della Sovrana, creatura senza nome, di origine quasi mistica e dalla personalità contorta e distruttiva, dunque fascinosissima come una Femme Fatale, appunto.

Ebreo da parte del padre, ungherese di nascita, ma viennese d’adozione, stile e formazione, Karl Goldmark (1830-1915) oggi viene ricordato solo per quest’opera che gli diede successi e fama internazionali, ed alcune composizioni sinfoniche e corali; eppure fu un compositore prolifico, che riuscì ad ottenere i plausi incondizionati di Gustav Mahler, Richard Strauss, Bruno Walter; ma nonostante tale consenso nessun’altra opera successiva, tranne forse il “Merlin”, basato sulle saghe della tavola rotonda, e “Ein Wintermärchen”, tratta da Shakespeare, riuscirono a eguagliare l’approvazione ottenuta con la sua prima fatica operistica.
E fu davvero un’autentica fatica riuscire a comporla e a farla rappresentare!

Goldmark nel 1860 era ospite a Vienna presso la famiglia Bettelheim, celebri mecenati viennesi, nelle vesti di insegnante di musica e si era visto affidare l’educazione della bellissima e temperamentosa Caroline von Gomperz-Bettelheilm, celebre mezzosoprano dell’epoca dotata di straordinaria bellezza e di voce dalla prodigiosa carica espressiva.
Fu la celebrata bellezza della ragazza, raffigurata in un dipinto nelle vesti della biblica Regina di Saba, a ispirare la fantasia del compositore, il quale decise di comporre un’opera modellandola sulle capacità vocali della sua Musa e allieva, affidandosi ai versi del poeta e maestro Klein, piuttosto famoso per la raccolta di storie brevi pubblicate su alcune riviste e giornali viennesi.
Infruttuosa, però, si rivelò tale collaborazione poiché i versi di Klein poco soddisfacevano le esigenze musicali del compositore che di fatto accantonò il progetto.
Sarà il successivo e fortuito incontro con il librettista Hermann Salomon Mosenthal che permetterà a Goldmark di trovare il soggetto di cui aveva bisogno rielaborando gli spunti lasciati incompiuti da Klein.
Mosenthal prenderà i considerazione, romanzandoli ed ampliandoli con l’introduzione di nuovi personaggi come i fondamentali Assad e Sulamith, i famosi episodi biblici sull’incontro tra la Regina e Salomone narrati nel primo libro de “I Re”, nelle “Cronache”, combinandoli con alcuni spunti tratti dai “Salmi” e da quel capolavoro della letteratura erotica rappresentato dal “Cantico dei Cantici” che secondo la tradizione Salomone dedicò alla Regina di Saba.
L’insoddisfazione di Goldmark investì anche il suo nuovo librettista: se i versi dei primi due atti trovarono un buon riscontro nei gusti esigenti del compositore, il terzo, e forse il più debole, fu oggetto di aspri scontri che portarono lo stesso Goldmark a riscriverlo di suo pugno. Non maggiore fortuna ebbero gli atti successivi: da cinque furono ridotti a quattro ed il finale dell’opera che Mosenthal voleva lieto, fu modificato nuovamente dal compositore che pretendeva un climax tragico in odor di redenzione e santità. La versificazione e la composizione dell’opera durarono ben cinque anni, dal 1867 al 1872 funestata da una serie incredibile di ritardi, viaggi improvvisi, problemi familiari, inviti.
L’opera (o brani di essa) fece la sua primissima apparizione durante un concerto di beneficenza, in cui Franz Liszt era stato chiamato a partecipare, per testare l’efficacia della composizione sul pubblico e in caso positivo farla accedere all’Hofoper di Vienna.
Goldmark non era d’accordo con questa scelta, ma venne convinto dal regista Joahnn Herbeck e dal direttore del teatro dell’opera ad accettare questa possibilità.
Nonostante le critiche perplesse di Eduard Hanslick l’opera ebbe il successo del pubblico e soprattutto l’approvazione di Liszt che si disse entusiasta del suo autore.
Le prove furono lunghe, difficoltose e frustranti, eppure fin dalla sua prima assoluta all’ Hofoper (oggi Teatro dell’Opera) di Vienna, il 10 marzo 1875, “La Regina di Saba” fu salutata da un trionfale successo che le ha garantito fino ai primi anni del ‘900 un innumerevole messe di riprese a livello internazionale, ovviamente tradotta, diventando in breve l’opera di maggiore successo di Goldmark.
Al posto dell’agognata  von Gomperz-Bettelheim il ruolo centrale della Regina fu interpretato dalla più grande cantante wagneriana della sua generazione: la leggendaria Amalie Materna, prediletta di Wagner stesso e temprata da un repertorio che alternava Wagner a Verdi, Meyerbeer, a Beethove, Halevy a Gluck, fino a Cherubini.; Assad fu affidato alla voce robusta e argentina di Gustav Walter, beniamino di Vienna, dalla carriera lunghissima e ricca di autori  eterogenei se pensiamo a Donizetti, Schubert, Verdi, Meyerbeer, Wagner, Thomas, Gounod, Beethoven, Boildieau, etc.; l’infelice, tragica Marie Wilt, altro leggendario soprano di coloratura e Brunnhilde benedetta da Angelo Neumann e Richard Wagner in persona, ebbe l’onore di sostenere il ruolo di Sulamith; i bassi-baritoni Johann Beck e Hans von Rokitansky, famosissimi ed interpreti eclettici completarono degnamente il cast.
Il successo dell’opera, funestato dalle recensioni al vetriolo di Hanslick e Johannes Brams, fu garantito anche dai tagli che il compositore, su suggerimento del Direttore del teatro, effettuò durante la prova generale.
Il lungo viaggio de “La Regina di Saba” iniziò ad aggiungere tappe sempre più prestigiose come l’Italia, Polonia, Inghilterra, America, Ungheria garantendosi rappresentazioni costanti fino al 1910 e poi via via sempre più sparute fino al ’35, qualche ripresa nel ’60, nell’ ’71, nell’ ’81 e poi negli ultimi anni a Torino ed in Germania nel 2002.
La Trama:
All’interno della Reggia di Salomone, Sulamith, figlia del gran sacerdote, ed il coro attendono il ritorno di Assad, favorito del grande Re biblico e promesso sposo della fanciulla, al quale è stato dato l’incarico di ricevere la misteriosa Regina di Saba, sovrana di un non meglio precisato paese arabo o africano, curiosa di entrare in contatto con la saggezza di Salomone stesso.
Quando il giovane finalmente giunge alla Reggia si dimostra scostante nei confronti della futura sposa e spiega al suo sovrano di aver conosciuto, quasi come in un sogno, una splendida donna all’interno di un bosco e di essersi perdutamente innamorato di lei.
Salomone tranquillizza i turbamenti di Assad e dispone che le nozze con Sulamith vengano celebrate il giorno successivo.
Scortata da una carovana di schiavi, soldati e doni preziosi destinati al sovrano, arriva la Regina di Saba, la quale nel mostrare il suo viso a Salomone viene riconosciuta da Assad che resta sconcertato e confuso da tale visione, smentita prontamente dalla donna la quale lo respinge.
Quella notte la Regina, sola nei giardini del palazzo con la sua schiava Astaroth, ricorda l’episodio avvenuto nel bosco con il giovane sconosciuto e convinta dalla paura di perderlo a causa delle nozze, attraverso il canto ammaliatore della sua serva, attira a se Assad e lo seduce dopo un primo tentennamento del giovane.
Il giorno successivo nel Tempio, davanti al Grande Sacerdote ed a Sulamith, Assad reso folle dall’intensa passione per la Regina, la quale continua ad ignorarlo davanti al popolo e a Salomone, rompe i voti che lo legano alla sua sposa e proclama la sovrana sua unica dea rinnegando la fede in Dio.
Colpito dall’anatema del popolo e dei sacerdoti Assad attende la sua punizione per la profanazione del tempio: la morte.
La Regina implora Salomone, senza successo di commutare la pena di Assad, ma è respinta dal Re; soltanto le preghiere di Sulamith e delle sue compagne muteranno in pietà l’ira di Salomone: Assad verrà esiliato nel deserto e predice che solo in quel luogo ospitale troverà il suo vero amore.
Assad, ormai ramingo e allo stremo delle forze, si rifugia presso una palma e qui affronterà un ultima volta la Regina venuto, nuovamente, a sedurlo.
La caccerà, solo per accogliere l’amata Sulamith tra le braccia della quale morirà redento.

 

L’atmosfera che si respira nell’opera è sicuramente debitrice del Grand-Opéra di Meyerbeer e degli influssi wagneriani soprattutto post-tristaniani, riconducibili alla presenza e all’utilizzo dei leitmotiv; permangono, tuttavia, pezzi chiusi come arie, duetti e concertati di grande effetto, poiché la presenza dell’orchestra è imponente e per certi versi anticipa lo stile più decadente e novecentesco di Saint-Saens, non solo; l’esotismo misterioso e mistico dell’opera si confonde con l’erotismo, in più sono evidenti nei cori, nella figura di Salomone e del Grande Sacerdote alcune citazioni stilistiche proprie dell’antica musica ebraica tradizionale, il cui ripristino e utilizzo in quegli stessi anni era stato agognato da Salomon Sulzer, ma filtrate da un sapore di marca mozartiana per quanto attiene il ritratto delle figure maschili che quasi rammentano certe solennità del “Flauto Magico”.
L’opera esige voci autentiche soprattutto capaci di far fronte ad una orchestrazione densa e dilatata: in più occorre muovere masse corali maestose ed un corpo di ballo nutrito per le danze ed i baccanali.
La Regina è certamente il perno di tutta l’azione: creatura mistica, senza anima e senza nome, conflittuale nel carattere ed estrema nelle azioni, provocando sciagure psicologiche e terribili ripercussioni drammatiche.
La sua seduzione deriva dal perenne oscillare tra romanticheria da fine secolo e lucida egocentrica perfidia (Belle Dame sans Merci, appunto), amore sensuale per Assad e attrazione politica e intellettuale per Salomone, quasi perversa e necrofila nelle battute finali, quando non contenta di aver annullato la dignità di un uomo, tenta ancora una volta di trascinarlo con se nella corruzione nonostante il ragazzo sia prossimo alla morte!
Assad è la vittima: non è un eroe, ma non è nemmeno quella figura passiva che alcuni critici hanno voluto identificare. Per la Regina arriva a rivoltarsi contro la legge, l’ordine e Dio, diventa una marionetta senziente nelle mani della sovrana, arriva a degradarsi e autopunirsi, morendo redento solo grazie all’amata Sulamith, ennesima figura femminile salvifica.
Più convenzionali gli altri personaggi: Salomone è la forza saggia e morale della storia; Sulamith  l’innamorata casta e fedele dalla forza interiore prodigiosa e dall’amore semplice e disinteressato.

Dopo un inizio solenne, l’orchestra intona una una melodia lenta e distesa, sacrale e soffusa, quasi in lontananza, che ripercorre citandole certe sfumature delle cerimonie ebraiche, sulle quali, in crescendo, ma dolcemente, iniziano ad innestarsi i temi più sensuali e lussureggianti della Regina e di Assad: l’arpa e gli archi creano una sospensione tardoromantica e per contrasto si innesta quella suggestione sensuale e delicata che rappresenta la cifra stilistica dell’opera.
Le suggestioni dal “Venusberg” e dal “Tristan” sono evidenti, soprattutto nell’uso degli archi suddivisi in due sezioni: la prima portata ad eseguire un brano dolce e brillante; la seconda insegue la prima variandone la melodia.
Gli ottoni sono squillanti alla maniera del “Lohengrin” quando introducono il primo atto, l’atmosfera è festosa ed il coro introduttivo è opulento.
Più vicina alla solennità ebraica, distesa e seriosa, si staglia la figura del Grande Sacerdote verso cui Goldmark riserva un canto spianato, centrale, tranquillo con qualche rinforzo nella parte acuta.
Entra Sulamith, promessa sposa di Assad, che freme nell’attesa di rivederlo.
Intona un recitativo acutissimo in cui il La ed il Si naturale devono essere toccati più volte a voce fredda, accompagnata da un coro muliebre tenerissimo che la conduce all’aria vera e propria, un inno bellissimo all’amore in cui la voce dal centro deve gravitare, sempre legando, verso una tessitura che raggiunge il Do e insiste soavemente verso il registro centrale, con brevi arpeggi accompagnati dal coro.
Una breve marcia, introduce il personaggio di Assad, che subito inneggia a Salomone, ma si scontra con Sulamith, trasformando il terzetto in un concertato drammaticissimo a 4 voci accompagnato in seconda fase dal coro, in cui le voci devono svettare su un’orchestra quasi sempre in fortissimo.
Con l’arrivo di Salomone l’atmosfera ed il canto tornano ad assestarsi sui livelli del Gran Sacerdote e la sua presenza colora di mistero la sublime aria di Assad attraverso la quale spiega come ha incontrato la misteriosa Regina. La tessitura insiste sul registro centrale e sul passaggio, soavissima e sostenuta da un arpeggio davvero ricco di sfumature dell’orchestra; la seconda parte dell’aria è più declamatoria e l’armonia si fa più ritmata, martellante ed in crescendo; la terza parte dell’aria si colora di cupezza, i violoncelli rendono tutto più minaccioso, mentre gli archi accarezzano la voce di Assad e la sostengono con le loro variazioni incalzanti addensandosi: il tono resta affettuoso, voluttuoso.
Geniale poi la marcia che accompagna l’ingresso della Regina di Saba: dapprima fredda, cadenzata dalla ripetizione sempre più secca degli stessi accordi durante l’ingresso degli schiavi e dei soldati; ma all’apparire dei gioielli della sovrana ecco che gli arpeggi dipingono un qualcosa di sensualissimo, una danza che si porta dietro un esotismo vivace e visionario, elegantemente selvaggio e sofisticato: all’apparire della misteriosa regina si riprende il tema della marcia iniziale, ma accompagnata dal coro  rendendo la scena pompieristica, ma non stucchevole.
Il canto della Regina è anch’esso centrale, raffinato e gelido al contempo mentre mostra i doni.
Un concertato a sette voci, a cappella, accompagna lo sgomento di Assad nel riconoscere nella Regina; lentamente mentre le voci si rincorrono e si sovrappongono, mestamente alcuni strumenti le sostengono senza sovrapporsi; l’inserimento del coro accentua la drammaticità che esplode quando la Regina afferma di non riconoscere Assad; quest’ultimo ed il coro prorompono all’unisono fino a quando Salomone riappacifica gli animi e avvia un concertato finale che vuole citare la marcia, ma variata con colori più accesi e altisonanti.

Il secondo atto è introdotto da un Notturno in cui i legni ed i fiati formano un eco formidabile, mentre gli archi si abbandonano ad un suono morbido, che nella ripresa diventa invece violento e marcato, vibrando nervosamente; gli ottoni risultano in primo piano ed i piatti ritmano abilmente i differenti strati sonori dell’orchestra.
Nei giardini della Reggia di Salomone, la Regina espone i suoi dubbi in un’aria di intensa, una languida analisi interiore in cui vibra il centro della voce abbandonato a dolcezze espressive miste a rapidi accenti ricchi di passionalità, che benissimo esprimono le indecisioni della donna.
Nella seconda parte dell’aria, l’accompagnamento dell’arpa e degli archi in pianissimo fanno galleggiare la voce ricreando l’effetto iniziale del notturno. L’ultima parte dell’aria si configura come qualcosa di selvaggio, di più ritmato, cadenzato, in cui la voce deve saltare agilmente di ottava fino al Si naturale su un’orchestra che diventa sempre più invasiva.
Entra Astaroth e canta la sua aria, e siamo immersi nuovamente in una spirale misteriosa, voluttuosa in cui l’orchestra ripete lo stesso tema ascendente più volte mutandolo in maniera sempre più soffice e sottovoce. Astaroth pretende un soprano, o un mezzosoprano, che sappia avere un legato preciso ed una coloratura discreta, una variazione dinamica ed espressiva che nei vocalizzi a cappella sappia smorzare il suono e renderlo sonoro e impalpabile.
Entra Assad attirato dal canto di Astaroth ed intona l’aria giustamente più famosa “Magische Toene” in cui descrive ciò che la meravigliosa melodia gli ha trasmesso: la scrittura è lieve e soavissima, la voce deve restare morbida per sostenere una tessitura che sollecita il centro ed il passaggio spingendosi fino al Do acuto, nota scomoda da emettere con un controllo perfetto della dinamica e della musicalità e soprattutto legando ogni suono con precisione e leggerezza.
Inizia il duetto d’amore tra Assad e la Regina il quale ricorda da vicino il “Venusberg” ed il secondo atto del “Tristan”, perché da una parte la Sovrana usa tutte le armi della seduzione con una melodia ripetuta e variata, mentre il tenore resiste inizialmente roso dal dubbio e dalla rabbia: solo in un secondo momento, mentre la musica diventa più lussureggiante, le due voci si fonderanno completamente.
Il cambio scena ci porta nel Tempio di Salomone dove Sulamith attende Assad per il matrimonio, l’atmosfera riprende i temi sacri dell’ouverture alternando gli interventi corali con quelli del Gran Sacerdote e con il canto dolce e spianato di Sulamith.
Quando Assad rivede la Regina, come impazzito, interrompe la cerimonia, bestemmia contro Dio e rinnega tutto ciò che è dando inizio ad un lunghissimo ed un po’ ripetitivo concertato in cui tutti partecipano alla catastrofe umana.

Il terzo atto si apre con il balletto che sfocerà in un Baccanale: siamo in un territorio vicinissimo a Saint-Saens e prossimo alla colonna sonora dei film biblici, quanto a costruzione melodica e modernità di stile.
Il seguito è probabilmente la parte più debole dell’opera, poiché il dialogo tra la Regina e Salomone sul destino di Assad è privo di quella tensione sia drammaturgica, sia musicale che occorrerebbe in un momento tanto concitato e nervoso, mentre l’arrivo di Sulamith e del coro finalmente da modo alla musica di esprimere commozione e pietà e di permettere non solo alla fanciulla di dimostrare la propria forza morale, ma anche a Salomone di brillare nell’intervento profetico a lui dedicato, il tutto mentre un’orchestra distesa concede una pausa dai suoni turgidi e sensualeggianti assecondando il raccoglimento del momento mistico e illuminandosi letteralmente negli impasti timbrici spinti verso un forte catartico e commosso.

Il quarto atto è ambientato nel deserto, dove Assad ha trovato esilio.
In una atmosfera onirica e sofferta, Assad e la Regina di Saba si affrontano per l’ultima volta.
Sorprende che Goldmark abbia voluto riproporre la stessa situazione del secondo atto: la Regina nuovamente intenta a sedurre l’uomo, stavolta ad un passo dalla morte, un ultimo atto di corruzione, che diventa estremo atto di una passione distruttiva e feroce, mentre Assad stavolta reagisce disprezzando la donna.
La Regina riprende parte della melodia con la quale sedusse Assad, ma il tempo è più lento, più adagiato, più “malato” nell’aria in cui viene trasformata: stiamo parlando di una donna gelida e sensuale che sta cercando di sedurre un moribondo!!!
Assad non cede e la scaccia definitivamente da lui.
Rifugiatosi sotto le palme vive una sorta di sospensione temporale ricca di pentimento, un delirio interiore in cui finalmente si confessa e cerca il perdono… in lontananza, come un miraggio, intravede per l’ultima volta la carovana della Regina, viene investito da una tempesta di sabbia che gli sarà fatale condotta sui suoni minacciosi di fiati, legni e ottoni quasi all’unisono ed in splendido caos espressivo, e mentre ormai la vita lo abbandona Sulamith lo raggiunge introducendo un doloroso duetto d’addio tra i due.
Un misterioso coro femminile che si conclude silensioso in morendo, sancisce il trapasso dell’uomo e la riconciliazione con l’altissimo.

Goldmark – Die Königin von Saba

Trift ohne zagen – Wilhelm Hesch (1907)

Da platschert eine silberquelle – Leo Slezak (1905)

Kommst du endlich – Elsa Bland e Leo Slezak (1908)

O susser traum – Elise Elizza e Leo Slezak (1909)

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5 pensieri su “Polpettoni III: La Regina di Saba, di K. Goldmark

    • Ovviamente si :)
      Anche io amo molto quest’aria delicatissima che sembra inserita quasi a voler sospendere l’azione, quando in realtà è una poeticissima espressione delle proprie emozioni e si amalgama perfettamente all’incanto procurato dall’incantevole intervento di Astaroth.
      Insomma “La Regina di Saba” mi piace da matti

  1. ahh si Marianne, che bel post e che ascolti; “magische tone” poi è un aria veramente difficile e trovare il giusto l’equilibrio tra voce piena e i suoni di testa dell’ultima parte è un impresa riservata a pochi; magnifica la pulizia della linea musicale che riesce a tenere il Gedda postato da Billy Budd ma dovendo scegliere, Slezak!!!

  2. molto molto belli gli ascolti! e selma kurz!! (devo ammettere che, pur frequentando da lungo tempo questo sito gli ascolti pre-1930 non mi avevano mai convinto, fino ad oggi…) per “magische tone” punterei su gedda…

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