Maria Callas in Norma, Londra 1952. La prima moderna o…….. l’ultima del passato?

Questi giorni coincidono con il sessantesimo anniversario del debutto londinese di Maria Callas in Norma, con Vittorio Gui, Ebe Stignani, Giacomo. Vaghi  e Mirto Picchi. Una produzione che viene ricordata come la più bella Norma della Callas in teatro, ma anche per l’assoluto valore dell’edizione.

A Maria Callas si attribuisce il mito moderno dell’ineseguibilità di questo titolo, per altro e da sempre nel repertorio di pochissime cantanti di caratura eccezionale o addirittura storica ( incluse quelle  giudicate inadeguate stilisticamente ) e  la cui storia interpretativa recente è nota, ed annovera a pieno titolo solo pochi nomi oltre al suo, Cerquetti, Sutherland, Caballè ( con i necessari distinguo sull’anno della produzione.). Altre celebri furono al massimo dei buoni compromessi.

Le categorie oggi in voga per la storia del canto mitizzano l’esecuzione di questa grande artista e la individuano come la Norma della modernità, perfetta e compiuta declinazione del belcanto tragico mai raggiunta da un soprano prima e dopo, e ne fanno l’autrice di un ripristino stilistico del ruolo a cavallo fra tardo belcantismo ed estetica romantica, dopo decenni di protagoniste urlatrici.
Se il dopo Callas è noto a tutti, molto meno lo è il prima, per giunta gravato dalla tara che le sacerdotesse druidiche ante Maria, documentato da cilindri e 78 giri acustici od elettrici, fossero donnone brutte, recinte nei loro busti ottocenteschi, con vocione pletoriche al centro, sforzate negli acuti, dalle espressioni stereotipate ed agilità grossolane; attrici sempre in posa a braccia tese nei ritratti in bianco e nero. Insomma una vera palestra del fuori stile belliniano.
Sappiamo bene che la mitizzazione è in realtà figlia di una storiografia distorta, perchè nulla può nascere dal nulla, ma è frutto di un accumulo progressivo di esperienze che, in questo caso, sono profondamente connesse a questioni prima di tutto vocali, in misura secondaria stilitiche, come la parabola della stessa Callas ci dimostra. “La Maria” amministrò con frequenza questo titolo sino al ’56, e, perduta l’originaria forma vocale, andò diradando le sue Norme non senza incidenti, dalla prova romana sino al naufragio parigino del ’64. Un ruolo che non perdona quello di Norma, che non consente di barare né di essere approcciato da chi tecnicamente si arrabatti o non sia più nel pieno dei propri mezzi ( una riflessione sulle miserande condizioni vocali delle Norme di questi ultimi anni basta e avanza per dimostrare che col canto lirico siamo arrivati al fondo dei fondi..), come accadde alla stessa Callas nella prova del ’60 ad Epidauro descritta da Mirto Picchi, con cui aveva debuttato l’opera nel ‘48 al Maggio, diretta da Serafin: il problema più  grande era l’impoverimento del mezzo, la voce asciugata e priva di quel corpo che nell’audio delle recite di Londra si percepisce chiaramente (già alle recite scaligere con la Simionato la cosa era percepibile, da cui l’aneddoto “ la te’ va ben Maria che ‘ghe la Simionatina, minga la sciura Ebe..” ). Poi le oscillazioni e tutto quanto conosciamo del suo declino, tragicamente fotografato nell’incisione del 1960.

La produzione londinese è il documento che più di altri ci parla del prima e del poi, che ci colloca la Callas, ancora in versione “Menegona”, esattamente dove deve essere posta nella storia esecutiva di quest’opera. Storia che possiamo leggere grazie a  due degli altri protagonisti di quelle serate, Gui e la Stignani.

La Norma, morto Marinuzzi, visse sino agli anni cinquanta essenzialmente per mano di Tullio Serafin e Vittorio Gui, che avevano diretto tutte le grandi Norma del preCallas, il primo più preparatore ed accompagnatore di cantanti, il secondo più completo come  direttore. Come nessun altro del suo tempo, Gui colloca l’opera di Bellini esattamente a metà strada tra la fine del belcanto ed una drammaticità nuova, pienamente romantica e sentimentale. Una direzione a tinte forti, caratterizzata da tempi lenti e sospesi nelle parti liriche o elegiache, un certo descrittivismo orchestrale ( penso agli effetti prospettici dei druidi che si allontanano alla fine del primo coro o il ritmo marziale dei Galli prima dell’”Ah bello a me ritorna”) e da fiammate irruenti nei momenti di slancio e di ira di Norma. Metafisica neoclassica e romanticismo sono i due poli entro cui si muove questa direzione con l’interpretazione forse più sfaccettata del testo belliniano mai documentata nei dischi. Senza elucubrazioni filologiche, ma per mera per tradizione, istinto di musicista e personalità interpretativa, Gui fissa quello che Norma rappresentò da subito per il pubblico del tempo, la rivisitazione e riproposizione in “salsa romantica” del mito della primadonna classica, da Vestale a Medea, che vive tutti gli stati d’animo, dall’amore alla furia, secondo la nuova accezione romantica dell’uomo proiettato nella natura circostante,  del soggetto “primitivo”e agreste, dell’impulso sentimentale.

Una lettura straordinariamente completa dove non solo le parti femminili ma anche i due uomini, sono collocati perfettamente tra la fine di Rossini e l’inizio del poi ( i tempi lenti, aulici e “donzelleschi” o forse da Francesco Merli della sortita di Pollione colpiscono perché Gui gli impone il passo della canto delle grandi scene per baritenore di Rossini, ascendente evidente del personaggio belliniano…).

Il clima sospeso ed arcaico dei duetti Norma Adalgisa, su tutti lo straordinario “Mira o Norma”, lentissimo, sono la vera particolarità di questa produzione, perché la bacchetta sembra far rivivere intenzionalmente il clima del “Giorno d’orrore e di contento”di Semiramide. E se alle due donne manca un po’ di quella capacità di fondersi in una voce sola che l’Ottocento richiedeva a questi passi ( P. Escudo lo attesta con chiarezza nella Revùe Musicale quando rimarca, per l’edizione scaligera del 1859, il timbro troppo contraltile di Barbara Marchisio rispetto a quello della  sorella, ad alterare il gioco timbrico che Bellini aveva previsto scegliendo un secondo soprano per Adalgisa… ), questo accade per la minore ampiezza ed omogeneità timbrica della voce della Callas a fianco di quella della Stignani, che vent’anni prima si era perfettamente fusa, invece, con quella di Giannina Arangi Lombardi.

Eppure l’atmosfera delle due esecuzioni è lo stesso, l’obbiettivo è il medesimo clima sospeso e senza tempo dove il canto esprime non sentimenti ma rappresentazioni ideali degli stessi come nei grandi duetti del tempo precedente Bellini. Il belcanto come mera capacità  virtuosistica è un’immagine riduttiva alla luce di quanto richiesto da Bellini negli andanti dei duetti, nell’ampia e straziante nenia cantata da Norma nel concertato finale, nella mistica dalla preghiera di sortita. Il belcanto è anche e soprattutto la perfezione dell’emissione stilizzata e del legato, obbiettivo a cui la Callas, con quella voce “brutta” tanto criticata dai suoi detrattori, mira durante l’intera serata come in tutte le sue prove da belcantista. E lo sforzo, chiaro e nitido, è quella perfezione strumentale delle grandi e leggendarie Norme, che la precedettero e che il disco attesta solo in parte e per parti di opera, dall’Arangi Lombardi risalendo alla straordinaria Russ, alla Raisa sino alla Siems e alla mitica Lilli Lehmann. La memoria storica corrente risale al massimo alla Cigna, alla Caniglia  (di cui non ci è rimasto nulla a documentarne la sporadica frequentazione con Norma) o alla Milanov, soprani non di età verista in senso stretto, ma più tarde e che del verismo ereditarono molti vezzi e difetti, soprattutto quello di esagerare nei passi di ira e di slancio, ad onta delle loro voci eccezionali ( Gui è la bacchetta dell’edizione Cigna – Stignani del 1937, che sortisce, ad onta della direzione molto simile nei tempi a quella londinese, esiti assai diversi, causa il canto spinto e caricato della protagonista ). Di quel tempo dimenticano anche interpreti stilisticamente più adeguate, perché più contenute, come la meno nota Maria Pedrini, liquidando unilateralmente il preCallas come “verista”  naturalmente nell’accezione deteriore del termine.

La ricostruzione del prima passa di fatto per il riascolto di documenti che privilegiano il canto fiorito, i duetti, oppure la Casta diva comprensiva di allegro successivo. Non esistono ensemble, solo qualche duetto eccezionale col tenore, come nel caso di Ester Mazzoleni ed il finale di Eugenia Burzio Occorre attendere gli anni ’30 della Cigna per documenti integrali.
Eppure quello che esiste basta ed avanza, perché la prova del gusto nel canto spianato e patetico molte di queste signore dimostrano di possederlo anche in altri passi di altre opere, per giunta più tarde, come la straordinaria e modernissima Giannina Russ, la cui grande scena di Abigaille resta un monumento di perfezione tecnica, accento drammatico e compostezza congiunte o  una Celestina Boninsegna, che dopo una grande “Casta diva” sfoggia un allegro da fare impallidire la Sutherland; per tacere di Margarete Siems, prima Adalgisa della Lehmann, poi Norma, capace di un canto acrobatico praticamente perfetto ( variazioni di Proch docet..) e di esecuzioni altrettanto perfette sia sul piano del fraseggio che dell’emissione nelle opere di Verdi, Wagner o di Strauss. E il discorso non è molto diverso per Rosa Raisa, di cui ci resta una “Casta diva” con interpolazioni personali (probabilmente della Grisi per mezzo della Marchisio) che ne documentano l’abilità di virtuosa o la leggendaria Lilli Lehmann, Norma ed Isotta al tempo stesso, anche lei perfettamente documentata, seppure in tarda età, come stilista, fraseggiatrice e virtuosa, capace di accenti nobili e drammatici. Lilli Lehamnn per la quale nessuna fonte rimarca, che cantasse diversamente o in discontinuità con la tradizione ottocentesca, ma che ne fosse, anzi, la più bella rappresentazione fissata in aeterno dalla tecnologia fin de siècle di quanto aveva saputo fare Teresa Titjens.
Alcune Norme leggendarie, penso alla Ponselle, certamente si sono arrangiate nelle fioriture del primo allegro ed in misura minore nelle strette dei duetti, come ben provano gli audio, ma che siano entrate nella storia in forza di voci straordinariamente belle e di pienezza ed adeguatezza di accento è certo. Il verismo delle Scacciati o delle Cigna è quello di cantanti che si facevano prendere la mano nei passi drammatici e che esageravano nella gestione dei celebri acuti scoperti, innovazione tutta belliniana per il soprano tragico e nei quali, evidentemente, la Pasta era molto abile. Non necessariamente la coloratura era cempennata, come sentiamo nella prova inattesa dell’”Ah bello a me ritorna” della Cigna in disco, assai preferibile alla sua “Casta diva” o all’esecuzione dei passi di agilità dei duetti con Adalgisa.  Eppure il verismo era anche quello delle Muzio, che è passata alla storia come una grandissima Norma di grande stile e compostezza, pur nelle poche recite effettuate, sotto la direzione di Serafin e Marinuzzi, ma che proprio di Norma non ci ha lasciato incisioni impressionanti come per altre opere.

La storia ci dice, al contrario di quanto spesso si afferma per sentito dire, che Maria Callas non fu la prima grande Norma moderna, né creò un mito, perché il ruolo da sempre è stato un mito, prima con la Pasta, poi con la Grisi, sino all’Alboni e alla Lehmann.
Maria Callas fu piuttosto l’ultima cantante completa ad incarnare Norma, senza mai risparmiarsi nell’impeto e nello slancio anche quando l’estetica belcantista, non ancora del tutto abbandonata da Bellini, le avrebbe consentito di rifugiarsi in una certa astrazione espressiva. I suoi “Romani a cento a cento” eseguito di slancio e quasi ruggendo, come ben si sente dall’audio, possono essere fatti rientrare in quella varietà di effetti espressivi, che appartenevano ai grandi fraseggiatori del tempo di Bellini ( penso al  racconto di Stendhal sulla Pasta nel Tancredi ) ma sono anche l’ultimo dazio pagato al retaggio verista ed alla sua estetica interpretativa, che auspicava che il canto aderisse alla realtà delle espressioni. Estetica naturalista di cui la Callas era intrisa per motivi generazionali e di formazione ( la ricerca di una voce chiara e anche sbiancata nei ruoli di Lucia o di Amina mi pare figlia di questa medesima estetica novecentesca, per cui il colore di una voce muta al mutare del carattere del personaggio).

Ed in questo la sua compagna di produzione, Ebe Stignani, l’Adalgisa di tutte le Norme del prima, dalla Poli Randaccio alla Russ, alla Mazzoleni, alla Muzio, alla Cigna sino alla Caniglia ed alla Pedrini,. è la prova degli assunti di cui sopra. All’inventario delle Norme della Stignani mancano solo la Ponselle del Met  o la Leider di Berlino per essere come Serafin, il più completo testimone della tradizione esecutiva del prima, tradizione che non si è modificata nella Callas, ma che nella Callas si era certamente trasfusa per mezzo del coaching di Tullio Serafin.
L’audio londinese testimonia ancora una prova straordinaria, che incrina le attuali categorie circa il nuovo ed il vecchio canto. Fenomeno tra i fenomeni, perché apparentemente mai intaccata dall’usura del tempo, la Stignani canta sempre in sourplesse nei duetti ( mentre la Callas è sempre costretta sul suo massimo per esserle a fianco, anche e soprattutto negli andanti..) ed impressiona per l’omogeneità del mezzo, costantemente uguale, ricchissima di armonici, bella e perfettamente emessa. Se la Sutherland è ritenuta la perfetta declinazione della tecnica vocale per il suono purissimo, l’emissione extracorporea, non capisco perché la Stignani non sia universalmente nota per la stessa ragione, essendo ancor più perfetta della Sutherland quanto ad ampiezza ed omogeneità tra i registri. Sono queste le prerogative che in quell’audio impongono la Stignani sulla Callas, il suo “Mira o Norma” o i “Soavi quall’arpa armonica” non sono affatto degni della zia della protagonista, come un noto “critico” ha scritto, ma il modello mezzosopranile adeguato alle grandi voci del prima, dalla Lehmann all’Arangi Lombardi alla Pedrini.. Nè le fa difetto il canto fiorito, che la Stignani affronta  nella sezione conclusiva del prima duetto senza alleggerire un solo suono, a differenza della Callas. Forse si può dire che è più pesante rispetto alla più giovane collega o che taluni acuti estremi non sono più belli come un tempo, ma nel 1952 Ebe Stignani vantava una voce più importante ed una carriera più lunga fuori dal repertorio belcantista.

Maria Callas fu, dunque, l’ultima delle grandi Norme, e non credo abbia aperto ad alcuna modernità interpretativa; per me rappresenta la fine di un modo di cantare e di costruire cantanti. La completezza del suo fraseggio unitamente al canto, cui si giustappone solo Anita Cerquetti ( limitata però nella gamma acuta ), non ha più trovato confronti in nessuna ma solo compromessi oppure un limitato numero di recite di alta qualità. La metafisica Sutherland, che per cantarla spessissimo ne stemperò le componenti tragiche, amministrando la parte in teatro in forza degli acuti e con tempi spediti (il finale in particolare) assai diversi dal disco e da quelli della tradizione, e le due straordinarie prove di Orange e del 1972 alla Scala della Caballè. Il resto è solo parzialità, dignità, capacità di brave cantanti che quest’opera ha regolarmente messo alle corde, perché, piaccia o meno ai signori della moderna filologia vocale d’Oltralpe ( quella che, tanto per intenderci tenta di farci credere che nell’Ottocento non si cantasse poi così bene, che le grandi dive dei ritratti della Restaurazione avessero due o tre voci, salissero fisse all’acuto, stonassero, sbracassero nei gravi in omaggio alla poetica tardosettecentesca del “contrasto” tra i registri, insomma, vociassero ), la Norma è scritta per una grande voce, grande a cominciare dal centro laddove la parte più pesante del fraseggio insiste, dotata anche di un ‘ottava bassa vera e sonora,  educata anche al canto fiorito ed in grado di gestire gli acuti senza urlare o spingere. Con le sue ampie arcate di suono da eseguire legate, le sue nenie interminabili e sfiancanti, i da capi ( non dimentichiamo che la Callas, come tutte, è andata in teatro facendosi tagli non solo sul da capo dell’”Ah bello a me ritorna”, ma anche nel duetto con Pollione, nelle code di prammatica etc….), le terribili impennate ai do5, le continue richieste di variare il fraseggio nei recitativi, la Norma spinge ai limiti umani la voce femminile, in modo diverso da quanto aveva fatto Rossini, ma pur sempre ai limiti. Lo slancio, la vis tragica che Bellini mise in questo ruolo ne fanno qualcosa che per forza di cose impone un grande mezzo tanto educato da flettersi con facilità. Più la voce è modesta e più è difficile accentare in quel modo ancora metaforico che Bellini pretende;, impossibile mantenere la caratura aulica della sacerdotessa, la magia dell’invenzione melodica belliniana, la purezza di emissione della fine del belcanto e delle sue atmosfere senza tempo.

Il mito della Norma della Callas, dunque, non è quello dell’ineseguibilità, ma quello del canto ottocentesco al crepuscolo, della tecnica unita alla grande voce ed al fraseggio. Con lei i soprani spinti hanno cessato di avere un registro centro grave ( e proprio sul suo ci sarà da discutere qui sotto come già altre volte ) su cui cantare accentando con forza, le voci grandi hanno smesso di praticare la coloratura. Non parliamo dell’oggi, con le voci che hanno o il centro o gli acuti, mancando del necessario legato come di tutta l’organizzazione del fiato: quelle importanti sono rottami sonori, quelle leggere dei cinguettanti uccellini prese dalla smania di credersi.

Ci piace che il ruolo di Norma continui su tutti, nel repertorio femminile, a non cedere alla corruzione del presente e a dar luogo ai naufragi delle voci di oggi, brade ed ineducate; ad essere lo scoglio su cui si arena ogni mistificazione filologica. La pietra di paragone del canto tragico continua a resistere. Ecco, questo è il mito vero di Norma, che la MARIA, ultima e non prima, testimonia al suo esordio in quello che, allora, era uno dei più grandi teatri del mondo, accanto ad una partner che non poteva non metterla in difficoltà e con una guida direttoriale di esperienza, gusto e testimonianza della continuità. Mito che oggi nel solo nome del marketing si vuole distruggere per ottenere in cambio il nulla.

* Questo post é dedicato a G.B. Mancini

 

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178 pensieri su “Maria Callas in Norma, Londra 1952. La prima moderna o…….. l’ultima del passato?

    • articolo molto interessante. Voglio scrivere due piccole cose pro-Callas ad uso e consumo di chi giovane é (anagraficamente e di fatto: io sono giovanissimo ma sono nato vecchio…). Quando iniziai a frequentare la Scala i grandi vecchi del loggione ci precisavano come la grande sfiga per noi ultimi venuti era non aver potuto “vedere” la Callas ma solo “ascoltarla”. Il disco le renderebbe parziale giustizia tanto é vero che i pochi intenditori viventi che l’hanno sentita riferiscono testimonianze fra loro incompatibili (ad esempio su come arrivasse la sua voce: tutti concordano che nel 60 al Poliuto la voce era diventata la metà).-
      Sarebbe interessante che gli ultimi ascoltatori lasciassero su questo blog il loro ricordo. Ad es. un mio amico del 1940 sentii da giovanissimo le ultime due produzioni di Medea trovando l’ultima molto inferiore alla penultima. Seconda cosa: a chi come me ama la Norma della Callas del 1960, consiglio di recuperare un’interessante articolo di Celletti apparso su Discoteca HiFi in cui le tre Norme per eccellenza del dopo guerra sono poste a confronto. Perché la famosa stroncatura presente nel “teatro d’opera in disco” viene un po’ ridimensionata.

        • lo la Maria l’ho conosciuta vista e sentita,da ragazzino e poi da liceale.Non solo lei,dopo alla Scala mi son goduto anche la Joan e la Montsy e la Verret abbadiana.In breve se è diventata un mito per Sartre,Montale,Bejart,Muti etc etc doveva avere parecchio.Sapeva stregare,senza gigioneria.Ma ha anche avuto la fortuna di essere il centro di produzioni storiche.E di condividere il rispetto per l’autore senza filologismo.Non invidiatemi,annovero la Lucia,laNorma 55,due Violette,una Sonnambula e una strana prova della stessa,Medea I e II,Alceste e Ifigenia,Ballo e i tre ripescaggi Bolena Pirata e Poliuto,no Vespri,no Lady,no Gioconda,no Turco,no Chènier sì Fedora e Barbiere.La vociaccia di cui parla Serafin era tanta,lo disse anche la Tebaldi,meravigliandosi che una big voice potesse fare la coloratura.Ma tutti amici e no concordavano che quei 50 kg persi all’improvviso avessero impoverito la voce alterandone il nobile metallo.In via M.Napoleone dal 53 appariva l’eleganza fatta persona.Non voglio annoiare:fino al 60 con Poliuto,dove si confrontava con vocine tipo Corelli e Bastianini,non aveva problemi di volume.Esiste una live decente.Raggiungeva il re6 alla fine del trionfo,l’oscillazione delle note alte stava aumentando. Allora i detrattori dicevano che gridava troppo,un altro scrisse che nel grave era pesante come un baritono.Non era certo un leggero.
          Avrei un materiale non trascurabile per qualche osservazione musicale,ma l’inflazione di libri tipo Signorini mi ha distolto. Due particolari non noti.Durante la prova di Amina,credo il maestro Toni le facesse capire di non sovrastare Elvino,N.Monti,col la scala che segue “timori mai più” e lei rideva di cuore.Invece al termine di una Fedora,non la prima,alla fine una voce isolata ripeteva “Corelli solo”,lei coglieva il veleno e il gentiluomo la prese a braccetto impedendole di andarsene.
          Infine,leggo avidamente i tutti i commenti,consentendo o no,;mi sarei aspettato tutto,tranne un parallelo con la Dragoni.Ciascuno a suo modo.

      • il famoso episodio “te va ben maria” viene dall diretta testimonianza di chi la callas la sentì in tutte le esibizioni scaligere. So anche benissimo chi sia il nato nel 1940 che vide la callas solo in medea. il mondo è piccolissimo. uno degli scopi del blog sin dagli inizi è anche conservare questa memoria. Impossibile conservare il resto perchè al 95% gli over 70 che stanno in loggione danno ragione a chi vorrebbe chiudere i teatri (sono infatti Flamini e Vestali di un culto ormai inutile) e allora tocca a chi ha testimonainza indiretta cercare di cavare dalla testimonianza, dall’episodio folkloristico il senso delle cose. Ne aggiungo un altro la famosa rina, pesera (italiano pescivendola) quando cantava la maria commentava “l’è una stria la fa el malefizi”. Stria= strega. In effetti siccome lei gli spettacoli li sentiva e siccome il primo soprano che aveva sentito in scala era stata rosa raisa….. il resto non dico

    • Egregio Sig. Del Lago, io che ho un gusto straordinario le assicuro che Norma é l’opera più bella che sia mai stata scritta. A parte gli scherzi ha veramente tutto musica cori e parti cantante che nella protagonista necessiterebbero di una grande virtuosa e di una grande attrice dotate sia l’una che l’altra di tanta fantasia (virtù principe di chi é intelligente)

      • Sa, signor Teoemme, il fatto è che quell’edizione di Norma fu la prima opera completa che acquistai (anzi, che mi feci regalare a dir la verità), quindi dopo aver quasi consumato il supporto e conoscendo a memoria quasi ogni accento della protagonista la si è lasciata da parte per passare ad altro… Ebbene dopo un po’ di tempo è davvero bello tornare a riascoltarla, a riscoprire un po’ l’acqua calda!
        Sono però d’accordo con stefix, non credo sia l’opera più bella mai scritta… ammesso che ne esista una! 😉

        • E’ tutta una questione di gusti. Io posso dire che è la mia preferita (nel mio caso lo è l’Italiana in Algeri), ma non che è tassativamente la più bella, perchè innanzitutto le opere sono praticamente tutte meravigliose, e poi non c’è un parametro universale per decidere quale sia la migliore, e una che può piacere a te magari a non mi attira, e/o viceversa.

          • certo é un gioco (peraltro anche per me l’Italiana é la più bella di tutto Rossini) e per compositori come Verdi Wagner e Puccini é difficile individuare la più bella, perché le loro opere sono come i figli…piezz’ eo core (si scrive così?)

  1. ho ascoltato solo oggila Norma del 52, che non sentivo da anni. Come ho detto altre volte non sono sempre (raramente!!) d’accordo con le vostre critiche, ma rispetto la vostra professionalita’. Adoro la Norma della Callas, non amo Picchi e trovo la sig.ra Stignani un po’ querula nel suono, ed aveva solo 48 anni. Quello che mi ha sorpreso in assoluto e’ la splendida direzione di Gui. Una vera meraviglia…..per me. Io vado a teatro da 45 anni ma non sono mai diventato un esperto ne senso tecnico del termine. Giudico con le emozioni che mi vengono date.
    Grazie ancora. Giiovincore

    • SOLO 48 anni?: cantava adalgisa dal 1926, ossia da 26 anni. conosci qualcuna più durevole tra un’Azucena, una Eboli ed un’Amenris e l’altra? Querula poi mi pare aggettivo inadeguatissimo ad una voce come la sua….querula!!!!!! uno scrive che è matrona e l’altro che è querula, aggettiv del tutto opposti….relatività delle orecchie!

    • Giovincore,
      perdonami: querulo è un aggettivo non utilizzabile per il suono; può essere querulo il fraseggio, l’espressione, l’accento, ma non il suono. Quindi hai tutto il diritto di sentirla querula, ma non è il suono. Quanto a questo, la Signora Ebe ne aveva una cura preziosistica -Che meraviglia!-.

  2. Grazie Giulia,
    bellissimo articolo.
    Posso chiedere alcune delucidazioni ed approfondimenti?
    1) Che cos’è il “mito moderno dell’ineseguibilità di questo titolo”?
    2)Quali sono le categorie oggi in voga per la storia del canto?
    3)Che significa “la te’ va ben Maria che ‘ghe la Simionatina, minga la sciura Ebe!”? Ccà simmo ‘e Napule paisà: ‘o Mmilanese non ‘o ccapimmo!
    4)Celebri acuti scoperti, innovazione tutta belliniana per il soprano tragico.
    Grazie.

  3. Premettendo che per me il parametro più importante è il suono, riguardo alla Callas voglio dire ciò (come ho già detto altrove): per me la sue emissione è abbondantemente ingrossata in tutta la tessitura, nonché spinta e tirata al limite (e ciò, assieme ad un repertorio completamente sbagliato ne ha causato la rapida rovina). Per cui, se alcuni gravi dei primi anni mi risultano anche appaganti (ma parlo di altre esecuzioni: Aida e Gioconda degli anni ’51-’52; non di questa Norma del ’52, di cui ho ascoltato solo i duetti con Adalgisa), non sopporto assolutamente la sua voce, ovvero il sono da ella prodotto; né prima della rovina per i suddetti motivi, e perché comunque anche prima i suoni brutti si sprecavano (Norma ’54), né dopo per la bruttezza della voce rovinata. Sento certamente tutta la varietà di fraseggio, la varietà di accenti e di espressione e tutta la sua grandezza espressiva ed interpretativa: ma il fastidio per il suo suono è tale che per me la Callas è insopportabile ed inascoltabile. Con immenso rispetto, naturalmente.

  4. E proprio perché il parametro più importante per me è il suono, il mio più grande amore è proprio la Signora Ebe. Naturalmente voglio precisare che al suono devono seguire fraseggi, accenti e quant’altro serva per creare la musica: solo del suono non te ne fai nulla, ovviamente.
    Vorrei anche ricordare la grandissima Maria Dragoni.

      • Preciso innanzitutto che a me Maria Dragoni non piace; ma volevo ricordarla ugualmente perché secondo me è stata una grande cantante a prescindere dal mio gusto. Della Callas imitava l’emissione; ma aveva un tonnellaggio di voce superiore, la quale poteva meglio reggere quel tipo di vocalità.

        • che la dragoni facesse giustificare il costo d un biglietto d galleria ok. m pare strano pero’ il riferimento al suo tonnellagio
          che sarebbe superiore a quello della callas m piacerebbe leggere un parere d chi. le ebbe. a sentire tutte e due

          • Io dal vivo non ho sentito nessuna delle due: è quello che sento dalle registrazioni (per cui potrei sbagliarmi). In più, la Callas si è rovinata giovanissima, la Dragoni no: la voce adesso è parzialmente rovinata (la prima ottava), credo a causa di motivi non imputabili al mal canto; ma il resto c’è ancora, eccome: il mio maestro di direzione d’orchestra mi ha raccontato che a Maggio, in occasione di un lavoro insieme, gli ha cantato in camerino l’aria della Regina della Notte con dei fa sovracuti grossi come le cannonate.
            Una precisazione: secondo me la Dragoni usava della Callas l’emissione scura; ma non ingrossava nulla, come quest’ultima faceva.
            In ogni caso, richiederò al maestro della voce della Dragoni; nell’attesa che qualcuno che le abbia sentite entrambi confermi o smentisca quanto ho scritto: perché, naturalmente, potrei sbagliarmi.

  5. Complimenti, Donna Giulia,
    bellissima illustrazione. Posso chiedere anch’io due delucidazioni?
    1. Che significa “celebri acuti scoperti, innovazione tutta belliniana per il soprano tragico”? — “Il belcanto è anche e soprattutto la perfezione dell’emissione stilizzata” — appunto: acuti coperti, “in maschera” (?)
    2. “in omaggio alla poetica tardosettecentesca del “contrasto” tra i registri” … non tardoottocentesca: “voce di petto”, suoni aperti, Boninsegna, Burzio ecc. ?
    GRAZIE

    • 1)Nella parte di Norma sono scritti alcuni do scoperti, per tutti il do di “Trema per te fellon”, una delle massime espressioni di ira della protagonista. Sino ad allora mai un musicista aveva usato l’acuto estremo scoperto. Ogni salita all’acuto in Rossini la realizzava attraverso scale, volate, mai l’acuto solo isolato. E’ una novità che cambia molto sul piano drammatico. Emissione stilizzata, quella del canto in maschera, libero da contrazioni di gola, nasalità, gutturalità, per gli acuti ma per tutta la gamma in generale….

      2) Cito direttamente da uno dei testi più noti e metodologicamente più ascientifici che io abbia mai letto in vita mia ( un diabolico mix di assunti positivisti, suggestioni antiquarie e ruiniste, postulati che no hanno risocontro nelle fonti, riletture maliziose quando non errate delle fonti, tese ad indurre anziché dedurre quanto l’autore pensa aprioristicamente…), P. Beaussant, “ Vous avez dit baroque? Musique du passé, pratiques d’aujourd’hui” ( 1988 ), che ben rappresenta le posizioni dei moderni « baroccari », che scambiando il mezzo vocale con il fine estetico della musica, o meglio, finiscono poi per formulare una piena adesione alle poetiche più deteriori del naturalismo vocale per epoche dove lo strumento è sempre indipendente dal fine artistico .

      Cap. Un art du contrast ( pg. 120-123)
      [..]..Le Baroque commence lorsque la peinture, de maniére soudaine, va découvrir le pouvoir “dramatique” del l’ombreOu plus exactemente le duo inséparable de la lumiére e de l’ombre, conçu comee une sorte de tragédie. […] …la peinture baroque se nourrit de ce contraste, qui n’est pas la coexistence d’un universe de la lumiére et d’un universe de l’ombre, mais bien l’entité constituée par deux elemens opposés « dramatiquement »..[..]
      Mais la musique , plus encore que les autres arts, se saisit alors avec délices de toutes les manieres possibles de jouer sur les oppositions ert les contrastes […] de dynamique et de couleurinstrumentales, oppositions des masses, instrumentales ou vocales… [….]
      Le XIXe siécle a cherché par tous les moyens à atteindre un ìdeal d’unification de la couleur vocale, la monochromie sur la totalité du registre : cela aurait étè le plus grand défaut pour un chanteur baroque, qui recherchait la différenciation des registres, les changements de couleur vocale, afin de souligner les contraste et les oppositions.
      C’est en ce sens que le style vocal progressivement édifié par la musique romantique pour elle meme, et qui est toujours en usage, n’est pas du tout approprié à la musique du XVIIe et du XVIIIe siécle…..[…]

      Costoro dimenticano, opportunamente, al fine di avvallare cantanti incapaci, dalle voci rotte in più tronchi, falsettate in alto e “ruttate” nei gravi, con buchi tra i registri ed incapaci di proiettare il suono in sale più grandi di una cameretta, che la letteratura settecentesca parla della necessità di uniformare ed omogeneizzare i registri, esattamente come parlano con chiarezza di “voce ferma”, ossia saldamente sul fiato, e non di voce “fissa” come và in voga oggi tradurre.
      Quanto alla voce di petto cui tu accenni, questa non coincide con la voce “sbracata”, o “ruttata”, come oggi generalmente si ritiene a causa della diffusione di queste teorie che accompagnano i falsettisti e tutto l’apparato che gli và appresso. Esiste una buona voce di petto, che si omogeneizza con il resto della gamma, ed una cattiva voce di petto…
      E’ dal dogma dei baroccari che discendono poi i vari assunti che vogliono leggere nelle fonti che ci descrivono la Pasta, o la Malibran etc..come cantanti dotate di due voci, col buco etc..come ho detto sopra. C’è un noto libercolo scritto da un tal professor Beghelli circa la voce di mezzosoprano che è un monumento di metodo induttivo ( ascientifico dunque..) e di postulati baroccari francesi applicati al belcanto italiano che arriva a concludere che il mezzo per forza di cose da sempre è una voce rotta in due col bucco, che rutta sotto e sale fissa. Ce ne occuperemo presto!

  6. E allora, antonino, scusa il letimotiv, non parlare di cose che non sai se non le hai sentite!!! IIl peso di una voce lo senti solo dal vivo! 😛

    la Dragoni a 45 anni e la voce è tutta scassata, non appoggiata ed urlata … http://www.youtube.com/watch?v=D6bgdDWSnrU

    Io non sto intervenendo nella discussione sulla Callas perché leggo in te, Antonino, tanto imprecisioni tecniche e tanto considerazioni semplicione sulla Callas per mancanza di ascolto vero e completo.
    Trovo molto incoerente da parte tua, che critichi coloro che fanno critica, parlare di cose tecnico-critiche con molte carenze tecniche.
    Non c’è l’ho assolutamente con te, sia chiaro, ma eviterei spesso certi commenti azzardati salvo poi smentirti con gli ascolti o testimonianze di chi la Callas l’ha sentita, dall’ascesa alla caduta 😉
    Che la Callas non fosse un leggero peraltro è stato ampiamente smentito dalla solita mamma di Stefix, da LilyBart e da MiguelFleta.

    • Mister,
      1) Io parlo di quello che so a 25 anni; se tu ne hai 40 o 50 è ovvio che ne sai più di me; come chi ne ha 80 ne sa più di te.
      2) Io ho detto sulla Dragoni quello che sapevo, sapendo (e l’ho scritto) che poteva essere sbagliato proprio perchè dal vivo non l’ho sentita. Ma quello che so di lei viene anche dal mio maestro, che direi proprio che non è uno stupido: qualcosina ne sa.
      3) Nella registrazione da te proposta è vero che la Dragoni a 45 anni ha la voce tutta scassata (è inascoltabile): come la Callas a 35!
      4) Non puoi leggere in me “tante imprecisioni tecniche” perchè di tecnico sulla Callas non ho detto nulla: ho soltanto parlato della sua voce, ovviamente dovendo perciò ricorrere ad alcuni termini quali emissione, spingere; ma di tecnico non ho detto nulla. Altrimenti dimmi dove stanno le imprecisioni e confutale e correggile.
      5) Non c’è nulla di semplicione in quello che dico perché non ho fatto considerazioni specifiche: ho parlato della sua voce che è sempre la stessa. Quindi non ho bisogno di ascoltarla chissà quanto: non l’ho fatto e non lo faccio perchè non la sopporto.
      6) Io ascolto veramente.
      7) Ripeto: non parlo di cose tecniche.
      8) Con tutto il rispetto per la solita madre di Stefix, Lily Bart e Miguefleta, io credo alla mia maestra che oltre ad aver ascoltato la Callas è stata ella stessa una grandissima artista; che tu la conosca o meno; che tu ci creda o meno. La Callas era un leggero.

          • Caro la mia maestra è stata una grandissima artista; che tu la conosca o meno; che tu ci creda o meno. Si chiama Alessandra Gonzaga (maestra di Fiamma Izzo D’Amico, tra gli altri); il padre era il maestro Giuseppe Ruisi, direttore d’orchestra e preparatore (tra gli altri di Tucker per la Gioconda areniana); la nonna era il soprano Aida Gonzaga. Ti basta?
            Tu invece, chi sei?

          • Questo per il punto 8 (la faccina), quando parlo della Callas. Per il punto 2, della Dragoni, parlo del maestro di direzione d’orchestra.

      • Ripeto e chiudo perché è un discorso a senso unico ma dire che la Callas è un leggero è una fesseria (dire “la Callas è un leggero” è un giudizio tecnico per me e veramente strampalato dal mio punto di vista). D’altronde, sappiamo bene che la Simionato diceva che la voce di petto non esiste, che Kraus diceva di ridere cantando, che Pavarotti diceva che la messa di voce non esisteva come termine in italiano e che esisteva la mezza voce … Un sacco di fesserie tecniche!
        Tranquillo comunque per l’età, siamo coetanei 😉 e se può metterti il cuore in pace, non ho la più pallida idea di chi sia la tua maestra e sono molto irritato dalla laudatio che ne fai perché io non ho mai sentito niente di lei quindi non posso esprimere nessun giudizio di contro rispetto ai tuoi commenti incensanti.
        Ovviamente mi astengo dal fare l’albero genealogico del mio maestro perché trovo veramente sciocco e che non porta a niente stilare queste genealogie: i cantanti bravi e asini hanno tutti gli stessi maestri!
        Per questo passo e chiudo 😉

        • beh se é stata la maestra della Izzo d’Amico toccati i…perché ha avuto una carriera brevissima. Io per fortuna l’ho vista almeno una volta a Salisburgo quando fece Tosca con Karajan, aveva una bella voce ma molto indietro e veniva coperta dall’orchestra (cioé i Berliner) che col predetto suonava sempre forte. Per cui,come peraltro successe un’altra volta ad un concerto con la Norman (finale di Tristan und I.), non si sentiva e nota che ero in platea appena dietro i posti gold (cioé i vecchi silver che costavano un casino -praticamente i primi soldi guadagnati li spesi per quello spettacolo-)

          • E tu sturati le orecchie. La Izzo D’Amico sapeva cantare come Dio comanda ed ha avuto una carriera davvero breve per altri motivi (io non li conosco). Oggi ne parlavamo con la Maestra: di errori di repertorio ne ha commessi parecchio; ed ella mai è stata d’accordo con le sue scelte sbagliate.
            In Tosca non sentiva perché non era voce da Tosca e per il motivo che tu stesso dici; ma la voce indietro proprio no; ammenoché non le andasse indietro perché cercava di non farsi mangiare dall’orchestra e quindi spingeva.

          • Er Gatta,
            (scusa, ma come è brutto sto nome romanaccio che hai!)
            la Izzo tecnicamente cantava come Dio comanda. Che poi abbia commesso errori di repertorio è altro discorso.

        • Quindi se la Simionato, Kraus e Pavarotti dicevano una sacco di fesserie tecniche immagina quante ne dici tu (ed io)!
          Non t’avrei detto mai una cosa del genere: ma mettendo in mezzo quei signori te la sei tirata dietro tu stesso.
          La laudatio della mia maestra la faccio perchè tu hai citato persone (la solita madre di Stefix, Lilybert e Miguelfleta) che, pur se rispettabilissime, non conosco e quindi posso scegliere di ignorarne i resoconti: conosco la mia maestra e voglio fidarmi di quello che ella dice. Ma ti prometto che appena avrò una sua registrazione tra le mani te la farò sentire: sempre che tu voglia.
          L’albero genealogico in un arte di tradizione come il canto ha un valore.
          In fine, la realtà è che tu veneri la Callas e non sopporti che io la detesti; al contrario, io la detesto ma ciò non impedisce di capire che sia stata un’immensa artista (come detto già altrove).

          • beh non prendertela, probabilmente spingeva (io ho la registrazione) comunque di scelte di repertorio la Izzo d’Amico ne ha fatte poche perché avra cantato al massimo tre anni (o sbaglio) ma se sai qualcosa di più rendilo pubblico perché il caso della d’amico é veramente singolare. D’altronde bisogna ricordare che in quel periodo la gloria veniva dal disco e entarare nelle grazie di von karajan era indispensabile, per cui lei sarà stata la prima ad essere perplessa. La voce ad un primo impatto ricordava un po’ la Freni e quindi von Karajan si sarà innamorato un po’ di lei, poi in scena era elegante e aveva un aspetto estetico non indifferente. Infine è molto interessante che non ti piaccia la Callas perché sei veramente uno dei pochi, anzi mi sa che sei l’unico. Non é grave io sono l’unico qui dentro a cui piace Cecilia Bartoli per cui….

          • Io mica me la prendo; mica sono l’avvocato della Izzo! Sulla Tosca siamo tutti d’accordo che non avrebbe proprio dovuto. I motivi per i quali abbia cantato poco (ma non soltanto tre anni) mi sono ignoti; ed in generale non ne so molto. So soltanto che di errori di repertorio oltre a Tosca e Don Carlo ne ha commessi altri.
            Per piacere Alberto, “D’altronde bisogna ricordare che in quel periodo… la prima ad essere perplessa.”: che hai voluto dire?
            Infine, non credo di essere l’unico che non sopporti la Callas. E se lo vuoi sapere non sopporto nemmeno la Sutherland.

      • Mi spieghi cosa vorrebbe dire “soprano leggero”, per favore? Perchè con tutto il rispetto per la tua maestra, vorrei proprio sapere cosa intendi/intende con questa definizione, in quanto io i ruoli migliori della Callas (Bellini, Donizetti drammatico e Verdi) non li classifico di certo nella tessitura da te indicata.

        • Non potrò essere esaustivo perchè non sono un cantante, quindi non ho coscienza e competenza tecnica: posso solo dirti che secondo me la Callas era in natura un soprano leggero, cioè con la voce piccola, leggera, di poco peso, di ampiezza limitata che ha costruito artificialmente una vocione che non aveva. Aggiungi alla sua vocalità innaturale il repertorio sbagliato (Verdi, Wagner, Puccini). Per questo si è sfasciata in poco.

          • Ma la Gioconda del 1952 la conosci? La TRaviata dello stesso anno? Hai provato a confrontarle con le stesse opere cantate anni dopo? Come puoi sostenere che la Callas avesse trasformato il vocino in vocione? La voce precedente ai suoi trent’anni era di colore nettamente più scuro di quello diafano del periodo successivo.

          • Posso passarti Wagner e Puccini, ma in Verdi è sempre stata validissima. Traviata, Macbeth, Aida, Trovatore, Ballo in maschera, per citarti solo alcuni dei ruoli verdiani in cui eccelleva.
            Non sono nemmeno io un cantante, non preoccuparti, però Norma, Anna Bolena o Lady Macbeth (tutte sue interpretazioni eccellenti) non mi sembrano da soprano leggero.

          • P.S. scusami, ma la vocalità innaturale dove??? Cosa avrebbe dovuto cantare, una con la voce della Callas, la Regina della Notte?

          • Er Gatta,
            e tu hai provato a capire le ragioni del confronto? Ti sembra che ci sia un confronto da fare sulla voce della Stignani nel ’37 e nel ’55 (parlo di Adalgisa; a parte i cerottini dell’età)? Perchè qualche anno dopo non era più la stessa? Forse che il vocione fosse un’invenzione (visto che tecnicamente è possibilissimo inventarsi una voce)? Forse che l’artificio dura poco e che dopo non rimane che la vera voce? Per giunta tutta scassata?

          • Stefix, conosco poco del Verdi della Callas (come tutto il resto perché non la sopporto, quindi non la ascolto abitualmente); ma quel poco che conosco è ovviamente validissimo musicalmente; e non mi è difficile capire ed intuire che lo sia anche quello che non conosco. Quello che per me non e verdiano assolutamente è la voce. Lo stesso discorso valga per Norma (anche se una intera ne ho sentita, quella del ’54) e per Puccini.
            La vocalità innaturale dove? Dappertutto: tutta costruita la voce, in particolar modo centri e gravi. Se ascolti con attenzione ogni tanto la vera voce viene fuori anche prima dello sfascio.

      • Antonino guarda, non voglio essere maleducato, ma per piacere evita di dire fesserie!
        Qui la Callas ha 35 anni http://www.youtube.com/watch?v=4VRRLMDAH28
        Comparare un suono così a quella urlatrice della Dragoni è una pura offesa nei confronti della Callas, che per quanto non ti possa piacere, non giustifica il fatto che tu dice scemenze e dil fatto che la Callas sia innanzitutto una straordinaria vocalista e VERA cantante e artista!

          • ecco hai scatenato la yutubite del ragazzino!!! ma non prendertela con la tua maestra che ti ha detto una cosa fuori luogo (ma forse intendeva dire che la Callas cantava parti come Lucia, Sonnambula, Gilda che da cinquant’anni venivano cantante solo da sopranti leggeri) e se studi canto non c’é bisogno di essere o diventare un esperto di canto. Anzi potrebbe forse essere controproducente. Pensa ai grandi tenori degli anni trenta: Gigli, Lauri Volpi, Pertile, Merli e Schipa, non credo avessero la possibilità di ascoltare (come é possibile adesso) i colleghi del loro passato e quindi di sviluppare un particolare senso critico, ma cantavano meglio di adesso ed erano meno portati ad imitare i pregi di questo o quello così che finivano per avere una personalità unica. In uno spartito tra note e segni d’espressione c’é già quasi tutto e l’unico obiettivo per te deve essere quello di eseguire quello che c’é scritto come dice il Mancini senza far fatica
            …togliendo tutto quello che potrebbe appesantire l’emissione. Come diceva Tucker (Richard) il giorno che canti tutto senza forzare hai imparato a cantare.

          • bisogna anche capire cosa intendeva la maestra di Antonino sulla Callas come soprano leggero,forse si riferiva a dei ruoli specifici cantata dalla Callas,poi ha ragione Mozart dare etichette ai soprani è relativo.

          • @ALBERTOEMME: potresti chiarire il senso di quello che hai detto? Perchè non ho capito nulla.

        • Certo, in questa registrazione i suoni belli abbondano! Come si faccia a sentire che la Dragoni sia un’urlatrice e non sentire che la Callas carica a mille non lo capisco proprio.
          Ripeto cosa che ha già scritto ieri poco più sotto: detesto la Callas ma penso e capisco che sia stata un’immensa artista.
          E finiscila di dire che io dico scemenze perchè mi irrita; o almeno abbi la creanza di rivelare la tua vera identità.

          • scusa Antonino ma come fai a detestare la Callas,e al tempo stesso dire che è stata un immensa artista?
            forse sulla sua persona,su i suoi comportamenti extra musicali?
            comunque ai suoi tempi la Callas ha subito delle critiche feroci,e cattive,poi il tempo le ha dato ragione.

          • La detesto perché non sopporto assolutamente il suono della sua voce: mi provoca fastidio fisico alle orecchie; nonchè fastidio allo spirito, perchè non risponde alla mia idea di canto. Del personaggio extramusicale non mi curo; anche se, per esempio, il suo aspetto del tutto costruito (era in natura grassa, grossa e brutta: è diventata artificiosamente abbellita; ma non bella, perché bella è chi di natura è bella!) ha un’analogia di intenti con la sua voce del tutto costruita.
            Questo è il mio personale sentire che non mi impedisce di capire, essere cosciente e di affermare che la Callas sia stata un’immensa artista: temperamento strabordante, interprete sensibilissima e ricchissima di sfumature ed accenti, varietà di fraseggi e dinamiche, perizia tecnica; insomma tutto ciò che fanno di una cantante un’immensa artista.
            Ma, se per me la cosa più importante è il suono, capisci che tutte le qualità della Callas non poggiano su una base valida.
            Infine, perché ti risulta difficile capire la mia distinzione tra il mio sentire soggettivo e considerazioni oggettive? Non mi sembra difficile!

      • io cmq sono dell’opinione che gli acuti scoperti Bellini e Donizzetti li mettevano per valorizzare la voce della Pasta, una coincidenza resta una coincidenza, due indizi fanno un indizio, tre una prova no? Mi pare di aver letto che la Pasta aveva difetti evidenti ma che molti ci passavano sopra per il suo carisma e personalità e anzi, alcuni di questi, scrivevano che i suoi difetti li avrebbero rimpianti. Io penso di essere fortunato ad amare i difetti dei grandi e ad aver curato la sindrome del critico feroce. Certo c’é difetto e difetto e non voglio generalizzare. Direi che il difetto che ci può stare é quello che non rompe un atmosfera. Faccio due esempi. Uno appropriato a questo articolo (si dice post?) la Callas del 1960 non rompe mai l’atmosfera quando latra o oscilla. La Ricciarelli dal 1978 (ma pure prima) rovinava tutto quello che di buono riusciva a costruire con quel tremendo passaggio sul la bem la naturale dove la voce le si allargava in maniera molto fastidiosa. Che ne dite?

        • ….donizetti però non li scrive come bellini in norma. nemmeno nella beatrice, per la pasta in declino, ci sono…….anche io credo che se li ha scritti vuol dire che alla pasta venivano bene. lei quando voleva qualcosa lo chiedeva al musicista….ci sono le lettere tra i due. di quegli acuti mi pare no si lamenti per nulla..

          • ma guarda che é più facile emetterli così…vedi anche in sonnambula quanti ce ne sono. Donizetti meno ma per esempio nell’anna bolena il do di “infiorato” (é nella parola ma in pratica lo attacchi scoperto) anche in maria di rudenz ricordo qualcosa…controllerò

      • La Dragoni in serata “sì” era cantante in grado di sbalordire, per estensione, agilità e, certo, anche potenza. Il colore della sua voce in certi momenti ricordava tantissimo quello della Callas, peraltro senza darmi l’idea di esser frutto di imitazione, a differenza di quello di molte altre nipotine Callas.
        I problemi principali di questa cantante, dotata di potenzialità quasi illimitate da autentico drammatico d ‘agilità, sostanzialmente sono stati questi: una certa instabilità emotiva che l’ha portata più volte a farsi terra bruciata intorno; un gusto non dei più sopraffini; la tendenza a abracare inutilmente e assai sgradevolmente nel grave, zona nella quale era un po’ meno a suo agio rispetto alla Callas

        • Quanto al paragone fra le due, bè a dispetto delle analogie tra le due (lievemente più sbilanciata verso l’acuto la voce della Dragoni, come suggeriscono le sue sbracate in basso e la sua predisposizione ai sovracuti) non può che essere impietoso. Stiamo paragonando la più grande di sempre (o almeno dal primo dopoguerra ad oggi) con quella che e stata in sostanza un’ncompiuta. Ciò che e stato con ciò che sarebbe potuto essere.
          Una cosa è certa per me: entrambe sono state quanto di più lontano io riesca ad immaginare dall’idea di “soprano leggero”. 😀
          La sua prima maestra disse che la voce della Callas adolescente sembrava una tromba, enorme e ancora da imparare a controllare. Altri, nei primianni ’50, dissero che sembrava “un enorme soprano leggero”… definizione che mi pare l’opposto di “voce ingrossata artificialmente”. 😉

    • Infatti è un’ipotesi tua su quello che ho scritto io: che la Dragoni fosse superiore alla Callas non l’ho scritto, non lo penso ed il giorno che lo penserò mi andrò ad autoricoverare.
      Ho solo parlato delle loro voci.
      La Dragoni a me non piace; ma penso che da giovane abbia dato grandi prove. Detesto la Callas; ma penso che sia stata un’immensa artista.

  7. Vorrei fare solo un appunto riguardo a questo concetto:

    “Emissione stilizzata, quella del canto in maschera, libero da contrazioni di gola, nasalità, gutturalità, per gli acuti ma per tutta la gamma in generale….”

    Ora, non è la prima volta che scrivo quanto segue… io vorrei che si smettesse di parlare del belcanto e della sua emissione come di qualcosa di particolare, come di un canto speciale, diverso dal canto normale… Vorrei non dover più leggere che il belcanto è “il canto in maschera”, come se fosse solo UN canto tra tanti altri canti, come se fosse possibile un modo di cantare diverso, come se esso fosse solo una scelta arbitraria tra tante, un trucco inventato chissà da chi. Non finirò mai di ripetere che il CANTO E’ UNO e non si può che cantare nell’unico modo possibile, stop. Il concetto di “maschera” poi va usato con prudenza e coscienza (io personalmente non lo uso mai). Esso non indica nessuna strana alchimia tecnica, nessuna speciale invenzione acustica, nessun interruttore della “impostazione lirica”, nessuna particolare commutazione vocale… Semplicemente quando la voce è ben emessa, libera e a fuoco, timbrata, sonora, pulita, squillante, si dice, con una metafora, che essa sia “in maschera”. Ma questa è e deve restare solo una metafora che descrive l’EFFETTO prodotto da una corretta emissione, non certo la causa, non certo il presunto pulsante magico della speciale emissione lirica………………………. IL CANTO E’ UNO E NON PUO’ CHE ESSERE UNO, IERI OGGI E DOMANI.

    • questa rimane comunque una tua personale opinione. è un concetto che NESSUNO ha mai sostenuto in questi termini. il canto dei tenores sardi è diverso dal canto dei maori neozelandesi che è diverso dal canto di Lucio Battisti, che è diverso a sua volta da quello di Ebe Stignani. se poi per te solo il canto di quest’ultima è degno di essere definito tale, la cosa dipende esclusivamente da tuoi limiti linguistici. a questo proposito riporto quanto scritto sulla Treccani:
      CANTO:
      a. Movimento ritmico della voce dall’uno all’altro grado della serie dei suoni; con sign. concr., espressione vocale della musica, l’atto del cantare. Si dice propr. dell’uomo: il c. è un mezzo per esprimere i proprî sentimenti; riempire la casa di c. gioiosi; Sonavan le quiete Stanze, e le vie d’intorno, Al tuo perpetuo c. (Leopardi); una sera d’estate è una sera d’estate E adesso avrà più senso Il c. degli ubriachi (Vittorio Sereni). Per estens., di uccelli canori, voce modulata (distinta dal richiamo o dalle voci o dal verso o dal grido) consistente in una frase composta di suoni simili o differenti, emessa in particolari condizioni fisiologiche o climatiche: il c. dell’usignolo, del canarino, del gallo (solo in senso fig., c. del cigno: v. cigno); per analogia, il caratteristico stridio di alcuni insetti: il c. del grillo, della cicala. Anche, il suono di alcuni strumenti musicali in quanto sviluppano una melodia: ascoltare il c. di un violino; Vagliami il dolce canto Di questa nobil cetra (Rinuccini).

      • lasciamo don ferrante nei promessi sposi e rimaniamo molto molto più modestamente al corriere della grisi. e qui si parla di canto lirico quello che gergalmente si chiama voce impostata, quello del tosi, del mancini, del garcia, del lamperti e non dei friggitori di oggi i cui prodotti durano un lustro nella più propizia delle ipotesi, quello per cui o meglio in forza del quale madga olivero la diva del verismo, canta come ebe stignani, la magna voce del canto verdiano, che canta come alexander kipnis o lilli lehmann o magari certi cantori di sinagoga che “figliarono” jadlowker, tucker, peerce e basta…. mica shicoff.

  8. il canto é uno ma l’approccio belcantistico esiste e mi pare che molti qui lo introducano a proposito. Non dimenticherei poi che c’é in molti grandissimi una componente autodidatta che é stata e può essere al di fuori delle regole. Faccio un esempio pratico: Edgardo é ruolo che penso tutti qui ritengano riconducibile al belcanto. Analizziamo l’interpretazione di Bergonzi che é unanimemente riconosciuto un grande tecnico. A mio avviso in questa tecnica ci mette molto di suo e la teoria che il canto sia uno e non può essere che uno, ieri oggi e domani é concetto che può essere rassicurante per chi lo studia ma risulta confutabile alla prova del campo di battaglia.

  9. Forse occorre solo mettersi daccordo. Ovviamente quando si parla di canto su questo blog si intende il CANTO OPERISTICO, melodrammatico. Punto. Mi sembra poi evidente che per cantare il rock o il jazz si possa far ricorso a tecniche fra loro diversissime (senza applicare scale di merito, ottuse oltre che inutili e discutibili).

    • No che non mi avete capito, evidentemente non è abbastanza chiaro ciò che ho scritto. Il canto è uno, è già sbagliato parlare di canto “impostato”, di canto operistico, come se esso fosse solo un canto tra tanti e non invece l’unico possibile canto, come se ci fosse anche un altro canto, “non impostato”. E poi, cos’è questa impostazione di cui tutti parlano? Una invenzione? Un artificio? Chi se l’è inventata? C’è solo il canto, ed io parlo solo dell’unico vero canto. Ribadisco, IL CANTO E’ UNO.

      • Caro Mancini, qui si parla di Opera, quella nata con la “Daphne” e l’ “Euridice” di Peri e del canto che l’ha resa grande.
        Lo dirò solo una volta, poi puoi battere i piedi e impuntarti, gridare e piangere, non mi importa, ma soltanto perchè Garçia, Tosi e Lamperti non si sono occupati del Rock, del Jazz, del Soul, del Pop, del Metal, della Disco, dell’R&B, della Musica Leggera e del Musical (per ovvi motivi anagrafici), non vuol dire che questi generi musicali, diversi per impostazioni ed esigenze dall’opera, sono figli degeneri, sbagliati, che non esistono, che sono osceni e inaccettbili.
        Questo lo dici tu e nessun altro, solo perchè non li capisci, non hai gli strumenti per giudicarli o più semplicemente apprezzarli, e soprattutto non li ascolti.
        Poco male.
        Il mondo va avanti anche con questi generi musicali di cui noi non ci occupiamo, ma che, stanne certo, ascoltiamo tranquillamente in privato senza farci troppi problemi.
        Questa musica ci ha deliziato e commosso con autentici riconosciutissimi e storici CAPOLAVORI che purtroppo o per fortuna tu non ascolterai mai.
        Lo so, il microfono ha distrutto il mondo e bla bla bla…
        Se può interessare, moltissimi compositori con i quali abbiamo riempito le pagine di questo blog hanno tranquillamente tratto ispirazione per le loro composizioni direttamente dalla musica popolare (Wagner, Mussorgsky i primi che mi vengono in mente, ma credo anche Rossini sia vissuto con quest’onta).

        Quindi grazie di ricordarci in ogni post qui pubblicato che PER TE il canto è uno e uno soltanto, perchè Tosi-Lamperti-Garçia dicono questo, ma credo che tale concetto sia ormai limpido a tutti e, grazie al cielo, il TUO pensiero non cambierà i nostri gusti per altri generi musicali e non ci impedirà di ascoltarli senza troppe paranoie 😉
        Tranquillo, tu non ascoltarli: a questo ci pensiamo noi 😉

        Passo e chiudo, con amistà ^_^

        • Il canto può declinarsi in diversi generi, io riconosco dignità anche a generi non colti, che importa, non è questo ciò di cui parlo. Purché però non ci sia microfono. Dove c’è microfono non c’è né canto né tantomeno arte musicale. Ascoltala fin che vuoi, che ne sai che anche io non ascolti occasionalmente roba simile. La differenza è che io so bene che tale roba non va chiamata col nome di musica. Diamine, mica tutto ciò che fa rumore è musica, solo per il fatto che in qualche modo suona…

          • Infatti parlavo di grande musica extraoperistica non di “rumore”.
            Quello, vivadio, ancora lo so riconoscere ;).

          • L’uso dell’amplificazione elettronica falsa il suono, falsa ogni rapporto con l’ascoltatore e sbarra l’accesso al mondo della vera musica. Le canzonette possono essere anche carinissime, possono emozionare, tutto quello che vuoi, ma non si può dire che sia musica ciò che esce da un altoparlante. E’ intrattenimento sonoro… l’arte musicale è qualcosa di ben diverso.

          • Non sono d’accordo, perché semplicemente non demonizzo il microfono in quanto tale, ma solo l’uso, in molti casi scorretto, distorto e falso, che se ne fa in studio o a teatro.
            E mi riferivo anche alle canzoni al microfono quando parlavo di capolavori storicamente e universalmente riconosciuti.

        • concordo con Marianne,magari semplificando il canto è come un albero,dove dal tronco si dipartano tanti rami,forse il ramo più importante,è il canto piu antico,quello come lo intendiamo noi in questo blog,altri rami sono gli altri genere che man mano sono cresciuti evolvendosi in altri modi, tecniche e culture con base magari popolari come il canto che cantavano gli schiavi neri nei campi di cotone ecc ecc, Mancini devi allargare gli orrizzonti,ascoltati ogni tanto altri generi musicali ,l’opera, la musica classica, “attualmente” è solo una fetta del pianeta musica

          • aggiungo tutti i generi hanno pari dignità,a me l’unico che non mi piace..lo odio è il rap

  10. Quello che dice Mancini metodologicamente non ha nessun senso. Significativamente, qualche post fa ha parlato del principio di non contraddizione, facendone un uso quanto meno disinvolto. Per lui il canto autentico ha delle caratteristiche che sono sempre le stesse e che lui elenca. Se in un canto storicamente determinato qualcuna di queste caratteristiche manca, allora, per il principio di non contraddizione, questa cosa non sarà più canto. Appunto perché nella concezione di Mancini manca qualunque dimensione storica. C’è solo l’oppisizione fra canto e non-canto. Orrori saranno Vickers, Cappuccilli, Ghiaurov, la Moedl, la Varnay, la Schwarzkopf e via discorrendo. Da giovani, da vecchi, in età di mezzo, sempre. Questo procedimento è stato già usato. C’è chi ha detto che l’unica filosofia possibile era la metafisica e il resto era solo chiacchiera. C’è invece chi ha confinato nell’ambito della chiacchiera proprio la metafisica e ha invece detto che l’unica filosofia possibile era la logica. Tutti osssessionati dal dogma dell’unicità, quando invece nel mondo di unico non c’è niente, ma proprio niente. Non c’è poi da meravigliarsi se di alcuni fra i più grandi spettacoli degli ultimi cinquanta anni non si capisce niente, ma proprio niente.
    Marco Ninci

  11. No, ho proprio descritto prefettamente il tuo metodo, che è completamente assurdo. Prendiamo il caso Schwarzkopf. Se uno non si pone il problema del perché personalità immense come Furtwaengler o Karajan se la litigassero, non capirà niente, non potrà mai capire niente. Se uno non capisce il motivo per cui dopo Abbado e Strehler il Simone è stato visto in maniera diversa in tutto il mondo e la sua fisionomia è completamente cambiata, darà solo un esempio di ristrettezza mentale. Non esistono ideali di perfezione ed è bene che non esistano, perché il mondo non li contempla. Non esiste attività umana, e il canto è fra queste, che abbia ideali di perfezione. Io ti faccio un esempio. Uno si può divertire, partitura alla mano (io l’ho fatto per la quinta di Bruckner), a contare tutte le sbavature, gli attacchi sporchi, i passi non limpidi delle esecuzioni di Furtwaengler. Questo le diminuisce? Certo che no. Queste cose a Furtwaengler non interessavano, perché lui perseguiva il fuoco interiore e la perfezione e la precisione non lo interessavano minimamente. Non era un buon direttore d’orchestra? Era solo un pagliaccio vanitoso? Difficile da sostenere. Mi ricordo nel ’72 la Sesta di Mahler diretta da Abbado a Salisburgo con i Wiener Philharmoniker. Fallosissima e meravigliosa insieme. Caro Mancini, la sindrome del Beckmesser spero che ti abbandoni, perché non porta molto lontano.
    Marco Ninci

    • Anche qui, son d’accordo con Marco. Con la riserva del limite di decenza: vale a dire che dir che non esista perfezione, non deve lasciar adito ad accettare ogni orrore perpetrato all’onore di Euterpe (sperando di ricordarmi quella giusta).

  12. Certo, Enrico, è chiaro che in alcuni, in molti casi si resta al di sotto della decenza. E questo non lo si può accettare. Volevo solo dire che il metodo di Mancini mi sembra ristretto; per il suo rigore veramente eccessivo, porta a non capire tante cose e il vero carattere di alcuni fenomeni di grande importanza. Con tutto il rispetto e l’amicizia possibili, naturalmente.
    Marco Ninci

    • Sì, la mia osservazione voleva essere retorica; ma poi non troppo… Ché se lo fosse davvero questo posto non esisterebbe.
      Invece oggi spesso si vuol fare passare per gusto moderno molta roba cattiva. Per non dire pessima.
      Sì anche io penso che Giambattista usi spesso troppo rigore nel definire il recinto. Dentro di esso però è uno dei pochi nelle cui idee sui fondamentali del canto si rispecchiano le mie, fin dove arrivano potersi sovrapporre.

  13. comunque il Sig. Mancini ha creato molta confusione io pensavo che il suo intervento fosse limitato all’opera e oltre alla negazione del concetto di belcanto come categoria a sè, volesse sostenere il classico discorso da maestri che cioé il canto é uno e la tecnica per cantare bene é solo una. Teoria rassicurante per chi studia il canto che spera che a forza di volontà sacrifici e soprattutto costose lezioni se ne impadronirà. Nella realtà le cose vanno diversamente come ha descritto il Sig. Ninci ricordando il canto di Ghiaurov, Cappuccilli, Skf ecc. e quello che hanno dato in termini di emozioni espressività originalità a prescindere dalla loro tecnica più o meno buona. Io ho introdotto l’esempio di Bergonzi e delle possibilità autodidattiche su un potenziale vocale correttamente impostato, che mi pare sparigli ogni tentativo di sostenere che per cantare bene non si possa uscire dalle arcinote regole tecniche del Garcia e via dicendo. Peccato non mi abbia risposto sul punto

    • Ti risponderei se il tuo intervento fosse pertinente con ciò che ho scritto. Non c’è cosa che mi infastidisca di più del vedere che ciò che scrivo viene letto con scarsa attenzione, superficialità, interpretato arbitrariamente finanche a fuorviare il mio pensiero. D’altronde, è uno degli aspetti più caratteristici dei nostri tempi, il non saper ascoltare, il non saper leggere. O forse sono io che scrivo in modo oscuro, chissà…
      Ciò di cui parli è questione che ho già trattato. Non è la tecnica ad essere una, è il CANTO ad essere uno. Ogni cantante di fatto ha la sua tecnica personale… chi spinge qui, chi tira là, chi manda il suono lì, chi lo mette qui, chi omogenizza tutte le vocali sulla A, chi sulla O, chi sulla E, chi schiarisce, chi scurisce, chi apre, chi copre, chi respira con il ventre, chi respira col torace, chi con la bocca fa così, chi fa in quest’altro modo, ecc… Ma il canto, non la tecnica, il CANTO è uno solo. Le tecniche sono solo mezzi, metodi, alcuni validi ed efficaci, altri meno, per scalare la montagna e raggiungere l’obiettivo dell’unico vero canto.

      • mancini, risulta molto oscura anche a me la tua definizione di canto.
        io dubito si possa parlare di unicità del canto. unicità in che ambito? nello spazio e nel tempo? unicità nel senso che esiste un solo repertorio all’interno del quale si possa parlare di canto? o intendi forse una unicità che contiene dentro di sé infinite declinazioni, (dalla “norma” cantata dalla callas a “waiting for my man” dei velvet underground, tanto per fare un esempio)
        sostengo ninci, di unico non c’è più niente!

        poi non mi convince neanche la tua frase sul microfono, non mi ricordo se ne hai già scritto: vuoi dire che la musica non è tale quando è mediata da un microfono? io su questo sarei proprio contrario! non potrei ascoltare qualsiasi registrazione…

        • La musica si ascolta dal vivo, esecutore e ascoltatore devono condividere la stessa acustica, lo stesso spazio, senza mediazioni elettroniche. Il disco ha valore documentario, ma una registrazione non è certo musica.

  14. Mancini, ti consiglierei di darti un po’ una calmatina. Considerare il fatto di non essere capito un segno dell’universale odierna incapacità di leggere, comprendere, ascoltare è un po’ eccessivo, non credi? Meno male che c’è quel debolissimo accenno alla lontanissima possibilità che tu possa non scrivere chiaramente. Ma è una possibilità remota remota remota, cui ovviamente sei il primo a non credere. Sei bravo, sei interessante, ma la strada per diventare Paul Bekker o Hermann Abert è ancora lunga. Storici della musica che per altro mai e poi mai avrebbero considerato il fatto di essere criticati o non capiti il segno di una decadenza universale.
    Marco Ninci

  15. m hai dato cmq una risposta soddisfacente temevo che con l asserto il canto e’ uno volessi sostenere che la tecnica nel canto lirico fosse una. Detto cio’ m e’. incomprensibile la rilevanza della definizione che il canto e’ uno. fondata o non fondata e’ aria fritta.

  16. E’ un’obiezione tanto prevedibile quanto completamente fuori centro, dal momento che l’enorme differenza fra me e te è che io non ne faccio il segno di una decadenza universale. Tutto qui. E’ questo che io trovo ridicolo nel tuo atteggiamento.
    Marco Ninci

  17. Perfetto. Non c’è definizione positva di canto. Si può solo dire che cosa non è il canto. Eccoci arrivati al punto: il canto è Dio, può essere oggetto solo di teologia negativa. Siamo al più assoluto misticismo o, per dirla con Hegel, alla notte in cui tutte le vacche sono nere.
    Marco Ninci

    • Non solo, ma l’emissione corretta, in termini tecnici, è sempre il risultato di un togliere, è un qualcosa di passivo, non certo una manovra positiva, attiva. Il suono giusto è il suono mondato dei difetti, il suono puro, incorporeo, libero, vero. Non si può definire positivamente che cosa sia l’emissione del belcanto, è questo che obiettavo all’analisi di Donna Grisi che parlava di “emissione in maschera”. L’Arte è sempre un labor limae. Togliere il superfluo, come Michelangelo con il blocco di marmo. Non credere di potermi innervosire, sai, con i tuoi sarcasmi e le tue ironie… se non ti convinci è peggio per te. Ti lascio all’adorazione acritica dei tuoi grandi nomi della direzione d’orchestra, idoli ai quali hai abdicato la ricerca di qualsivoglia criterio obiettivo di giudizio… ed in nome dei quali non senti neanche quando ti viene propalata una ciofeca. Buona giornata.

  18. Gli esempi che fai sono gli esempi classici del neoplatonismo. L’aphairesis, il togliere, è la via per giugere all’Uno, a Dio, al principio. Il fatto che tu definisca il canto come uno è poi significativo. Io non ti voglio far innervosire, Mancini, dico le mie ragioni. Ragioni che a te mancano completamente, tant’è che sei costretto alla visione mistica. Una cosa quest’ultima che è ben difficile far passare come criterio obiettivo di giudizio.
    Ciao
    Marco Ninci

  19. mi sembra che il sig. mancini sia in estasi da generalizzazione. la teoria del togliere non persuade completamente. in molti abbellimenti tipici del belcanto s deve piuttosto aggiungere. Esempio: il trillo. anche quello non ribattuto. Pare che Rubini trillasse sul sol. Pensate c arrivasse solo togliendo?

  20. Bellissimo post che non so nemmeno da dove incominciare. La mia Norma preferita è la Callas ma riesco ad ascoltarla solo fino al 1955 che fu a mio parere l’ ultimo anno nel quale il suo sistema vocale era ancora quasi del tutto integro (e, senza andare fuori tema, per me il declino non fu causato dal repertorio ma dalla famosa dieta). Tra l’ altro non capisco come mai la divina negli anni 60 si ostinasse a riproporre un titolo come Norma che è già una faticaccia anche quando hai la voce integra.
    Divertente la citazione in dialetto milanese sulla Ebe che probabilmente quando ci cantavi era come cantare con una cooperativa di mezzi come fu detto di … Tittaruffo! E non capisco nemmeno perchè molti criticano le sue Norme anni 50 visto che a parte magari gli acuti non più limpidi come 10 anni prima ma per il resto la Ebe era sempre la Ebe.
    Ho anche grandemente apprezzato la citazione della Cerquetti come grande Norma perchè lo fu. La Cigna è una Norma troppo verista ma talvolta mi diverte riascoltarla anche perchè pure la signora Cigna era una specie di cooperativa di soprani per quel che si può percepire dall’ audio

  21. ha ragione titta ruffo non si sa da che parte cominciare in queste risposte.
    però il dubbio che la Callas non fosse un autentico soprano drammatico ( se per soprano drammatico prendiamo ad esempio una Cerquetti, una Leider, una Ponselle) è più che fondato, soprattutto per il repertorio dal tardo Verdi in poi, che la cantante divenuta la CALLAS abbandonò. Certo che integra come nella Norma o nell’Armida se proprio non era un drammatico ci andava abbastanza vicino. Certo il confronto con una voce importante come la Stignani la mette a dura prova. E’ raccontato dai fans della Callas che nel famoso don Carlos del 1954 quando la cantante stava uscendo e la Stignani attaccava “ah più mai non vedrò”, la Callas si voltò con il viso esterrefatto per tanta potenza di suono ed ampiezza da parte di una vecchia signora over 50.
    ciao dd

    • La Callas l’ho sempre considerata un soprano lirico spinto con una bella estensione in alto ed in basso e non sono d’accordo sul fatto che abbia cantato un repertorio da lirico leggero: Norma, Amina sono stati creati per la Pasta, che non era un soprano leggero, Imogene e Elvira per la Meric-Lalande e la Grisi che erano lirici spinti. Lucia è stato creato per un soprano lirico leggero come la Tacchinardi Persiani, ma è un errore considerare Gilda un soprano leggero d’agilità visto che fu cantato da una Brambilla che aveva in repertorio parti pesanti. Non trovo nulla di male che abbia interpretato 3 ruoli wagneriani (Brunnhilde della Walkure, la più “facile”, Isolde, massacrante, Kundry, fattibile) o Kostanze assieme al Fidelio, al Verdi primiero e più maturo (l’unico ruolo che non le è venuto bene è Leonora della “Forza”, per me) per non parlare di Puccini (Manon solo in disco, Butterfly poche volte mentre Tosca in ogni dove) o Ponchielli.
      Insomma il suo repertorio non era così diverso da quello di una Lehmann, da una Llacer, da una Kruschenisky e compagne: era da soprano ottocentesco.
      Non trovo nemmeno così corta la sua carriera se consideriamo gli esordi greci in piena guerra mondiale e, quella che per me, è l’ultima recita (Medea in Scala nel ’61, con qualche appendice: Carmen in disco e la Tosca con la regia di Zeffirelli).
      Che poi la dieta, la salute e la storia con Onassis (durante la quale smise di studiare) abbiano contribuito al suo declino, questo è innegabile.
      E da quello che si sente nei Live e dai resoconti di coloro che la ascoltarono in loggione ed all’aperto non doveva avere una voce così piccola e di poco peso.
      Certo non un cannone come la Stignani 😀 ma che importa?

    • ma caro Donzelli nel Don Carlo anche la Obratzsova del 1977 prendeva uragani di applausi é una parte che dal vivo se hai voce ti da grandi possibilità di successo e agli ascoltatori analoghe possibilità di emozioni. Cantare Elisabetta é invece sempre una rogna…comprendo la Callas che pur nel pieno doveva fronteggiare la mitica Stignani

    • beh hai preso un esempio molto calzante. Qui Maria Callas riesce a rendere affascinante e meravigliosa un opera che non amo per niente. Non conosco l’edizione con la Bartoli. Ho sentito quella della Devia alla radio che mi é piaciuta ma resta molto fredda (una Grisi del 2000 insomma). La Callas del 1955 era forse la migliore…forse a parte le caviglie si sentiva veramente bella e affidale la parte principale del Turco in Italia ed il gioco é fatto. E’ comunque incontovertibile che la Callas stupisse tutti con la sua agilità ed espressività su una voce che credo avesse debutato con Cavalleria Rusticana e che quindi non era per nulla leggera anche se era una delle poche in grado di modificarla in relazione al carattere del personaggio. Voglio dire la mia sul declino della Callas. Non durò tanto é vero però dal 1940 al 1960 ha cantato molto dal 1960 al 1965 é riuscita ancora a fare qualcosa di molto valido (le Tosche). Quindi una carriera di vent’anni é tuttora una carriera media. Il repertorio variegato non l’ha aiutata ma quanto é stato detto su una patologia che l’ha portata ad una sclerosi delle corde vocali mi pare attendibile. Nelle registrazioni in studio del 1967 e nei concerti live del 1974 si sente una voce malata più che una voce finita perché consumata. Consumata era la voce della Souliotis quando cantò Norma in Giappone con i complessi della Scala. Se si ascolta Norma della Callas a Parigi non si sente una voce consumata ma una voce malata.

      • che io cantassi come la devia oggi è falso. Piaaaaaaaaano con questa confidenza. Gradirei che grisi fosse preceduto dal SIGNORA. Diversamente va bene la formula breve DIVINA. Io avevo una voce assai importante e molto bella, di tmbro. Grande tecnica, virtuosismo sopraffino di forza ( mai letto quando dicono che parevo Liszt?) e grande interpret tragica. Dunque, non mi paragoni più a quell’uccelletto !!! G

        ps. Ero anche bellissima, almeno questo lo sa?

        • ma é ancora bellissima signora Grisi glielo assicuro (io ho un gusto straordinario ad eccezione della mia simpatia e stima per la sua collega Bartoli). Ciò premesso, e a difesa del paragone con Mariella Devia, voglio dire che io mi riferivo a quelle cronache che la descrivevano (anzi si permettevano di descriverla) assai fredda. Per il resto aggiungo che la Signora Devia ha innumerevoli meriti. La vera custode del belcanto femminile post generazione nata dal 1929 al 1935 é stata lei, più della Gruberova, della Dessay, della Serra che forse vantavano una personalità più spiccata ma non un gusto, una misura ed una musicalità paragonabile. Io -forse a torto- ho sempre considerato la voce della Devia leggermente indietro (anche perché amici che l’avevano ascoltata prima di me mi dissero ciò, forse condizionandomi) ma tale difettuccio le ha consentito fino ad oggi di essere sempre intonatissima: Non replicatemi sostenendo che i suoi mi bemolle da due tre anni non sono più intonatissimi perché é vero, ma tenuto conto che cantava nel 1977 la Lucia all’arena di Verona, ne ha anche il diritto…

          • il difetto della devia nonè mai stato il suono indietro ma il fatto che almeno sino al 1990 come tutti i soprani leggeri subisse il pessimo e nefasto influsso della toti ed emettesse suoni aperti al centro….. tutto qua

          • Nella Bolena che ho sentito lo scorso marzo andava indietro spesso invece. Il centro della Toti (ossia la prima ottava) se lo sognano tutte le cantanti degli ultimi sessant’anni, e ci sarebbe solo da imparare. Il suono avanti è quello della Toti, mica quello della Devia.

          • parlando sul serio, non credo che quanto tu dici sia vero. indipendentemente dal gusto, che non amo affatto perchè la trovo stucchevole, tecnicamente la custode del canto antico è piuttosto la gruberova. Una cantante col centro messo come la devia nel prima di cui tu parli non si ammetteva sui grandi palcoscenici. avevano il centro ampio brillante e sonoro come la gruberova. l’imposto antico è quello, poi potremmo discutere sui portamenti sugli acuti e le agilità, ma io la vedo così.
            il centro, è lì che il passato costruisce i cantanti differentemente da oggi………………….

          • Beh, io non so cosa intendiate voi con “centro”, ma il medium della voce femminile è la quinta fa3-do4, e non è che la Gruberova sia un asso a gestire quella zona della voce… e non si tratta di avere “ampiezza”, ma voce avanti, proiettata, leggera e galleggiante, e al fine di tenere il suono alto e chiaro non è affatto un errore ricorrere al color chiaro di una Dal Monte, ossia alla voce da bambina, come faceva la prima Devia, assai preferibile a quella odierna che nel voler liricizzare il centro va indietro sui primi acuti e non ha più l’agilità… Son difettose invece quelle emissioni fosche, sfocate, indietro, maldestramente imbolsite e scurite, come la prima ottava tutta ingolfata di una Netrebko che da un disco della Toti avrebbe solo da imparare.

  22. Dato per assodato che la Callas di prima della dieta di voce ne teneva comunque assai, visto che casualmente in quel periodo cantava anche in teatro ruoli “pesanti” che poi fece solo in disco o non fece più affatto, tornando alla Norma, a mio modesto giudizio, sino al 1955 ella era la Norma ideale del presente, del passato e del futuro per tutta una serie di ragioni che persone più competenti di me hanno già illustrato. Le Norme del 1955 con Del Monaco sono da molti considerate come le migliori e se la vediamo da un punto di vista interpretativo lo furono mentre da un punto di vista vocale, anche se nel 1955 la voce della Callas era ancora quasi perfetta, non lo furono perchè già i segni della dieta si erano fatti sentire. Dal 1956 in poi le Norme Callassiane sono a mio avviso Norme declinanti. Interessanti perchè la Callas sarebbe stata interessante anche se le avessero dato da cantare l’ elenco del telefono, ma vocalmente declinanti

    • Sono assolutamente d’accordo con tittaruffo e marianne: la Callas è un soprano puro, con una buona estensione nel grave e nell’acuto.
      Sono assolutamente d’accordo sul fatto che la rovina della voce sia stata dovuta dal dimagrimento, e sopratutto dal fatto che non avesse riorganizzato la sua base tecnica con il nuovo corpo (mancanza di tempo? mancanza di volontà per non brusciarsi? non lo sapremmo mai). Peraltro, non ho l’ardire di appiopparmi questa ipotesi: la Sutherland fece palese ammissione di questa VERITA’
      http://www.youtube.com/watch?v=llJDRA9Mb4w
      La Sutherland parla di un suono grande prima del dimagrimento e che dopo il dimagrimento, probabilmente la Callas non riusciva più a sostenere il suono “grosso” in seguito al fisico gracile e “fragile”. Questo è quanto dice la signora Joan Sutherland 😉

  23. Concordo con misterpapageno. Non è ovviamente scontato il fatto che una corporatura grossa ti dia automaticamente un vocione, perchè ad esempio la Caballè che magra non fu mai, non aveva comunque di certo il “cannone” di una Nilsson, però, pur non essendo un esperto, penso che passare da una corporatura grossa a una magra come fece la Callas non possa non andare a influire sul diaframma e tutte le altri parti del corpo che collaborano per la “creazione” della colonna di suono, perchè la voce della Callas venne subito “svuotata” nei centri. Poi il successivo declino può anche essere stato dovuto a una malattia e accelerato dalla bella vita che intraprese quando conobbe Onassis. Molti però dicono che il dimagrimento permise alla Callas, liberata da un pò di peso nella voce, di affrontare meglio i virtuosismi dei luoghi belcantistici, il che è a mio parere vero ma è altrettanto vero che già nella bellissima Lucia di Berlino del 1955 alcuni mibemolle che solo l’ anno prima alla Scala profuse senza problemi, vennero omessi. Preciso anche che poi è pure una questione di gusti: interpretativamente parlando trovo ad esempio molto più emozionante la Traviata di Lisbona del 1958 rispetto a Traviate degli anni d’ oro anche se ovviamente la Callas del 1958 non aveva più la sicurezza vocale del periodo aureo

    • la Callas sbagliava qualche sopracuto d’effetto anche nei tempi d’oro mio zio ricorda la sua Lucia (mi pare del 54) a Bergamo dove aveva steccato. Ma a volte la stecca dimostra che sei in possesso di una buona tecnica. Hai il coraggio di fare quella nota e per motivi contingenti (pensate al si naturale di Pavarotti nel don carlo “sarò tuo saAalvator….) non ti riesce. Sul volume dimezzato della Callas 1960 ho sentito tante testimonianze concordanti. Successe anche alla Dimitrova a mio avviso verso il 1990. La sua Turandot e il Nabucco erano ben cantati ma la voce sembrava essersi ridotta in volume. Le orecchie me le lavavo anche all’epoca e ho le registrazioni a dimostrazione di ciò. Infine voglio condividere quanto scrive il Signor Ruffo sul fatto che anche la Traviata di Lisbona aveva passaggi molto ma molto emozionanti e diversi dalle precedenti edizioni che pur essendo evidente il declino della divina erano molto efficaci

    • Avevo sentito anche io di questa storia di una malattia o di una menopausa precoce, ma il suo medico di fiducia non fece molto per chiarire la situazione, parlandone ma sempre ermeticamente – d’altronde, erano affari personali della signora Callas!
      Quanto al gusto, anche a me piace tantissimo la Callas nella Sonnambula, nella Traviata e nella Lucia del ’55 perché a mio avviso la sua voce si screzia, e sono stra-convinto che una Lady nel 1956 l’avrebbe resa la migliore Lady della storia dell’opera!

      Concordo anche con quanto dici, caro tittaruffo, sulle agilità: la De Hidalgo dovette lavorare molto per alleggerire il suono della Callas quando studiava con lei ad Atene – testimonianza diretta della De Hidalgo e Callas entrambe, quindi a mio vedere una ulteriore prova (qualora vi fosse dubbio alcuno) che la Callas aveva sicuramente un certo peso vocale. Trovandosi dimagrita e quindi dovendo avere a che fare con un suono più “alleggerito” – non leggero! – la coloratura, che già le veniva bene, è diventata un fiume!
      Peraltro, nessuno mi toglierà mai dalla testa che la Callas nel 1974 avesse ritrovato una certa salute vocale che le avrebbe consentito se non altro tantissimi recital per il mondo – non di certo come quelli con Di Stefano – se non un ritorno alla scena nei ruoli mezzosopranili acuti
      “Ritorna Vincitor” 1951 http://www.youtube.com/watch?v=Xk0fg67qXuc
      “Ritorna Vincitor” 1974 http://www.youtube.com/watch?v=sg6ESlimzQU

      • Quel ritorna vincitor non può essere una registrazione del 1974 potrebbe essere una 1963 (mi sbilancio e non vado tanto distante perché già nel 67 mi sembra impossibile potesse esseguirla così). Volevo ricordare al Sig. Mancini che la Netrebko é comunque una cantante russa e nell’ottava bassa quel senso di ingolfato ci può stare. Anche in certi Wiskhy retrogusti torbati ci possono stare. Non voglio sempre far la figura di voler difendere anche questa cantante dell’ormai sparuto manipolo di cantanti protetti dalle Major ma non si può buttare tutto alle ortiche quello che fa la Netrebko. Lei deve star lontano dal belcanto di appannaggio ai lirici e drammatici d’agilità, ma nei ruoli facili é una signora cantante che ha alcune qualità che anche le grandi del passato da me ascoltate le avrebbero invidiato.-

    • questa sulla inquisizione come “disinformazione propagandata dalla canaglia illuminista” me la ero proprio persa! spero in una boutade…
      mi verrebbe da citare l’ultima frase del testamento politico di giuseppe garibaldi…

      @mancini, attendo con curiosità la prossima puntata del tuo ciclo “imparare ad ascoltare”! per non andare fuori argomento, quando è che fai una puntata con protagonista la callas?

  24. La stecca sul sopracuto ci sta e nemmeno mi scandalizza. Mi pare che anche nei famosi Vespri la Callas ti fa una mezza stecca ma nulla toglie a tutto il resto che è invece molto bello. E’ indubbio che però dal 1956 in poi i suoi sopracuti si fanno più piccoli e in alcuni casi omessi anche se ad esempio viste le Lucie del periodo potrei dire che il mibemolle nel 1957 l’ aveva perso ma poi ci sono le recite della Sonnambula dello stesso anno dove te lo mette. Poi come ho già scritto è anche un questione di gusto. La Lucia Berlinese del 1955 è vocalmente più insicura di Lucie passate ma interpretativamente, forse anche grazie a Karajan, molto interessante. Tornando alla Norma e pensando alla famosa serata romana del 1958 mi azzardo però a scrivere che la Cerquetti nel 1958 era da un punto di vista puramente vocale una Norma più opulenta e migliore della Callas

  25. Rispetto le vostre argomentate opinioni. E’ tuttavia difficile stilare una classifica fra Gruberova Dessay Serra e Devia, io non saprei farla. Nel complesso però ribadisco che l’ultima all’esito di una carriera che spero continui, non risulta inferiore alle altre tre. Almeno sulla mia personale esperienza che, a parte la Dessay che ha cantato pochissimo in Italia, conta su decine e decine di performaces documentate. A proposito di documenti nessuno ha il recital di Asolo della Sutherland e il Mosè del 1978 alla Scala e magari i recital di Peter Schreier e di Fischer Dieskau alla scala del 1979 ???

    • Ecco qui … Mi mancava ora anche la Dessay XD
      Dai albertoemme … La Dessay era una promessa luminosissima fintanto che aveva la voce!
      Ora non le è rimasto niente se non un vociare insulso, un suono non appoggiato e quasi roco! Non so se hai letto ma la signora aveva il desiderio di iscriversi in una scuola circense, cosa che le consiglia perché sta meglio in un circo che non su un palco!
      La Gruberova, la Devia e la Serra sono vocaliste superiori alla Dessay, a mio vedere!

    • Poi se permetti, la Gruberova ha un voce proiettatissima, oserei dire fluviale nella sua tessitura ottimale nonché sempre intonata (in giovane età, ora cala ogni tanto).
      La Devia aveva una voce proiettata ed ora, come dici Mancini, a serate c’è, altre no; la voce è cmq appoggiata e sempre intonata, sebbene le colorature siano spesso meccaniche e poco fluide.
      La Dessay AVEVA la voce avanti anche se non sempre appoggiava e sosteneva bene – le prese di fiato plateali ed i “prosiugamenti” dell’addome fanno pensare ad una pessima gestione della respirazione – sebbene avesse una voce proiettata, omogenea e colorature veloci!
      La Serra è quella che delle 4 ha un timbro meno bello – oserei dire legnoso – sebbene come vocalista la accosterei alla sola Gruberova, mentre la Devia e la Dessay stanno un gradino sotto.

  26. la decadenza vocale della Dessay,è cominciata dopo la sua operazione alle corde vocali,all’inizio ha ripreso bene,limitandosi sul registro alto,ma poi la voce si è degradata,adesso va avanti piu che a cantare a …recitare,ma era una grande promessa,è all’inizio era veramente brava.

  27. tranquillo misterpapageno io mi riferivo a quella Dessay che Pasquale ha ricordato. Fino al 2000 circa é stata veramente grande, anche in Mozart nelle super arie mi sembrava molto originale ed espressiva. Quando l’ho sentita in Sonnambula dal vivo (l’unica volta) aveva dei centri molto penetranti e la voce saliva saliva assotiliandosi si ma in maniera molto plastica e suggestiva. Alcune variazioni vennero definite dai presenti di gusto liberty ma io le trovai espressive quanto fantasiose. Resta poi a molti il ricordo della sua Olympia che io ho sentito solo alla radio ma che mi sembro pari a quella della mia adorata Sutherland. Sul gusto della Gruberova e sulla grinta della Serra ritorneremo. Preciso che l’elogio dell’importanza dei centri che mi pare leit motiv dei più assidui frequentatori del blog, mi intriga molto e ci rifletterò su anche se leggendo la nota della Signora Grisi che lamenta la preparazione dei cantanti d’oggi sui centri, ho pensato “beh la povera Serafin Martina ha dei buoni centri, mi pare che le manchi altro”. Io per il momento continuo a ritenere che una carriera si fa soprattutto con l’ottava alta.-

    • Siamo d’accordo allora! Anche se devo ammettere che guardando una recita della Dessay – io l’ho vista solo in streaming, mai dal vivo – ti coinvolgeva e ti prendeva proprio! Se la senti senza vederlo, noti molti difetti, tra cui l’intonazione! Cmq sono d’accordo su Olympia: credo sia uno dei suoi personaggi più riusciti.

      Per contrasto, posso citarti la Rancatore, che ha dei centri falsi e gonfiati, e la voce è bella solo dal sol4 al re5. Il resto è tutta aria inesistente 😉
      Come diceva Santa Marilyn Horne da Bradford “Se non hai i gravi e i centri, dimenticati gli acuti”

      • Beh dai la Rancatore…non dico che non mi piaccia però alle sue recite sembra che ogni tanto non si ricordi nemmeno che sta cantando davanti a milleduecento persone (oltre xe dura per lei). Come quei calciatori che si prendono le pause per poi tirare fuori qualcosa di buono…

  28. Volevo dire ad Antonino D’Emilio che la Callas dopo la dieta dimagrante era bella (caviglie a parte). Artisti del calibro di Visconti, Zeffirelli o Pasolini che si sono nutriti del bello come Leonardo, Michelangelo o -nei pianisti Benedetti Michelangeli- non avrebbero fatto di tutto per lavorarci insieme e Onassis per…

  29. Vorrei fare una battuta per i non cantanti sopratutto 😉 “La laringe non è nata per cantare” come recita un famosissimo saggio di Mauro Uberti, quindi io personalmente trovo fuorviante definire un canto “naturale” o voce “naturale” perché la voce ed il canto di un professionista è tutto tranne che naturale 😉

  30. Vorrei dire che quello che dice Mancini riguardo ai microfoni è assolutamente vero per la lirica e per il canto non concepito per i microfoni. Ma se c’è una musica concepita per essere eseguita con i microfoni, allora non c’è problema. Che poi si possa ritenere o piuttosto sentire spiritualmente più nobile e valido il canto senza microfoni è un modo di essere, non un assoluto.

  31. Buongiorno a tutti. premetto che sono una semplice ascoltatrice di opere (da quando ero bambina) ed ho quindi dei giudizi che non sono sapienti come i vostri — perché non conosco le tecniche del canto — ma che definirei di viscerali: mi entusiasma, mi emoziona, mipiace o non mi piace, non mi dispiace, sopportabile, insopportabile., etc..
    Sono contenta di aver letto qui il giudizio di Antonino d’Emilio che contrariamente al pubblico plauso osa dire che la voce della Callas è insopportabile ed inascoltabile. Da misera ascoltatrice — ma conoscitrice di opere e di innumerevoli versioni delle stesse – condivido pienamente questo giudizio. Trovo la voce della Calla estremamente sgradevole e difficile da ascoltare. E purtroppo la poverina non ci poteva far niente. L’unica opera che riesco a sentire cantata dalla Callas è appunto la Norma ma anche per questa ci sono vari passaggi che mi fanno male allo stomaco. Mi dispiace dirlo ma veraente non capisco tutta questa passione per la Callas e la mania di chiamarla la Divina quando per me è piuttosto una Rovina

    • Vabbè a Natale siam tutti buoni e non commento come meriterebbe la tua sparata: sei in buona compagnia tra quelli che sostengono essere Michelangelo un mediocre imbianchino, la Nona di Beethoven un bluff e Mann uno scribacchino da quattro soldi. Bye byee curati lo stomaco…

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