Aspettando il cigno, ecco l’antipasto. La “primina” ambrosiana raccontata da Napoleone Moriani e Manuel Garcia

Il 4 dicembre, come da ormai consolidata tradizione, è andata in scena l’anteprima dell’inaugurazione scaligera riservata ai giovani, la “Primina”. Mentre però l’attenzione mediatica generalmente si sofferma su quanto sia bello vedere i ggggggiovani, che si mettono i loro abiti più eleganti (il famoso “vestito buono”) per andare a sentire l’opera e su quanto sia bravaMamma Scala ad offrire i biglietti scontati per gli under-30 noi, giovani traviati dalla malefica e nel contempo Divina Grisi, offriamo ai gentili lettori un nostro sintetico, ma dettagliato resoconto della serata.
La regia di Claus Guth è la solita trasposizione temporale (dal medioevo all’ottocento), densa di elementi simbolici estranei all’opera che, se a detta del regista stesso servono a dare un’interpretazione nuova e rivoluzionaria, per il pubblico restano delle incomprensibili e fastidiose elucubrazioni partorite da contorte menti superiori (?); ci riferiamo ad esempio alla voluta assenza del cigno, che non si vede mai sulla scena, all’arrivo di Lohengrin, che si materializza sdraiato in posizione pseudo-fetale, ricordando più un senzatetto alle prese con i postumi di una sbornia che l’eroico cavaliere wagneriano, alla comparsa-scomparsa, a più riprese, di Gottfried e di altri personaggi estranei alle scene (come i due protagonisti da bambini); ci riferiamo poi ad un pianoforte sempre presente sul palco durante tutti e tre gli atti, così come agli abiti ottocenteschi, che trasformano il Re in Otto von Bismark (che non era re ma cancelliere, ma son dettagli…) e la corte di nobili e principi tedeschi in un club di lord inglesi nel secondo atto e in un plotone di soldati semplici nel terzo. Inesistente la scenografia dei primi due atti, una sorta di saloon da Far-West; ma il bello viene con il terzo, quando anziché trovare la stanza nuziale, minuziosamente descritta da Wagner nel libretto, dietro il sipario compare uno stagno di campagna nel quale i due protagonisti pucciano i piedi da un pontile come due teneri amanti pre-adolescenti. Insopportabile anche la volontà di rappresentare Lohengrin come l’esatto opposto di quanto dovrebbe essere, ossia un eroe romantico: il protagonista compare infatti sempre affetto da tic nervoso-schizofrenici, volutamente impacciato e scoordinato, che addirittura tenta di sfuggire dal palco nei momenti in cui invece si rivela tutta la sua statuaria eroicità. Si potrebbe proseguire a lungo narrando le bizzarre trovate registiche: tutte queste probabilmente hanno un ben preciso significato nella mente contorta del regista e vengono anche spiegate nelle arzigogolate note di regia riportate nel libretto della serata (venduto alla modica cifra di €30), ma se veramente bisogna ricorrere a tali espedienti per comprenderle, non significa ammettere tacitamente il fallimento della regia, che dunque non è in grado di comunicare il proprio messaggio agli spettatori?
Il regista, prudentemente, non si è presentato sul proscenio a fine serata, dubito fortemente che possa fare lo stesso anche questa sera.
Veniamo ora alla parte vocale di questa fragile produzione scaligera di certo non aiutata dall’invadente regia: le continue corse e l’obbligo di cantare in posizioni, che poco favoriscono la corretta emissione e quindi proiezione del fiato hanno infatti inficiato non poco sulle ugole protagoniste di questo Lohengrin. Ugole che però sono riuscite tutte in egual maniera a mostrare un volume misteriosamente più esteso rispetto alle precedenti prestazioni nella sala del Piermarini, la cui acustica è per vox populi , infausta. Partiamo dal bismarckiano Heinrich der Vogler, impersonato dal divo René Pape, che ha mostrato una voce inspiegabilmente più corposarispetto al Wotan del Rheingold, ma non più bella rispetto alle precedenti frequentazioni wagneriane: la sua durezza e la sua emissione non facile né piacevole proprio perché ingolata continuano a renderlo ancora un perfetto e significativo modello contemporaneo della voce di basso.
Molto male, invece, Friederich Von Telramund affidato a Tomas Tomasson. Per tutta la serata, fino all’uccisione per mano del protagonista, il baritono islandese ci ha regalato una voce costantemente in difficoltà, ossia vistosamente ingolata e strozzata nei vari registri e non solo quindi nel registro acuto, cosa che potrebbe risultare ben più giustificabile . Come diretta ed immediata conseguenza di tutto ciò, la voce è risultata continuamente stonata e incapace di fraseggio e capacità a legare due suoni.
Altrettanto scomposta e fragile la sua compagna di scena Evelyn Herlitzius nei panni di Ortrud troppo impegnata a cercare tra bocca e gola un inefficace sostegno per sua voce per poter interpretare gli elementari aspetti musicali e teatrali di questo cupo personaggio wagneriano.
Ed ora i due protagonisti. Ci è spiaciuto non aver potuto applaudire Anja Harteros, ma cosiddette cause  di forza maggiore hanno costretto la povera Ann Petersen a sostituirla all’ultimo momento nei panni di Elsa. La prestazione è stata particolarmente debole, per non dire spiacevole: suoni incessantemente vibrati e ingolati accompagnati da malcelati falsetti nel registro acuto e un registro centrale e basso vistosamente scomposti, con le ovvie, scontate conseguenze del caso.
Ed ora, Lohengrin. Questa volta il Divo è venuto e non ha lasciatoper ora il palcoscenico a poveri e timidi sostituti, regalando ai giovani scaligeri una prestazione accolta da grandi applausi e ovazioni. Insomma, accoglienza da Divo. Ma la voce è stata quella di sempre, della sua Tosca, del suo Requiem verdiano, insomma la voce che lo ha reso uno dei tenori più amati di oggi: tutta tra la bocca e la gola, con un centro gonfio e pieno d’aria, ingolfato in basso e ingolato in alto. Insomma, poche novità, se non un maggiore volume della sua voce rispetto agli spettacoli scorsi: sia che fosse in piedi quasi sulla buca, sia che fosse sdraiato a pancia in giù in mezzo alla scena con la testa fra le braccia la voce giungeva quasi perfettamente senza alcuna variazione di volume. Avrà migliorato la tecnica???Ma certe prodezze mi è stato da più parti segnalato le facesse la sola signora Olivero.
Sempre incomprensibile  il gesto di Daniel Barenboim: certo, Wagner lo dirige, lo dirige meglio di Aida, meglio del Simone, sembra funzionare, ma niente di più. Orchestra fragorosa con una facile tendenza al rumoroso, talvolta fuori tempo col coro e cantanti, e con un suono non sempre pulito e bello (evidente il preludio con quegli accordi di flauti, violini lunghi e tenuti più metallici che cristallini).
Napoleone Moriani (introduzione e regia)
Manuel Garcia (canto e direzione)

21 pensieri su “Aspettando il cigno, ecco l’antipasto. La “primina” ambrosiana raccontata da Napoleone Moriani e Manuel Garcia

  1. Mi posso permettere di dire che quanto si sta ascoltando dalla diretta è un’emerita S C H I F E Z Z A (giusto per non enfatizzare il termine…), inemendabile, irredimibile, inaccettabile, insostenibile, inconcepibile e, ovviamente, inascoltabile? Grazie per lo sfogo…

  2. Trovo la voce di Kaufmann molto costruita, ma sempre ingolata
    e fastidiosissima quando vuole emettere delle mezze-voci
    alla Rai gli spettatori hanno detto che si sentiva benissimo anche quando è di schiena (?) Terrificante il Telramund, e le sue molteplici stonature. Le scene trasmesse da Rai5 sono spessissimo buie e ci si chiede a che serve vedere nero. Il terzo atto con la comparsa di una palude verrebe da ridere per non piangere che il talamo nuziale sia così malridotto. Riassumo: voci piccole e spesso fuori tono, colori e interpretazione zero+ Baremboim è apparso buono quando ha trattenuto la orchestra ad accompagnamento. Mi pare molto poco per il chiasso pubblicitario fatto.

  3. Io ho una teoria. Ultimamente prima della recita, la direzione artistica della Scala offre a tutti uno spuntino di impepata di cozze e trippa. Siasera, in aggiunta, i cantanti devono essersi scofanati anche un’ impepata di cigno, visto che c’ erano solo le piume:)

  4. Regia da incubo…Siamo ai livelli dei TOPOLONI…voci nemmeno troppo male per gli standard odierni e soprattutto a mio parere leggermente meglio che nelle ultime 2 prime (Don Giovanni e Walkure)…comunque sempre inadeguate (quelle un po’ più corrette troppo piccole e viceversa).
    Orchestra donizettiana mai troppo spinta (che ci starebbe anche visto che Lohengrin non è Parsifal o Tristano) sebbene a tratti in completo caos con il coro e in altri momenti quasi bandistica. Complessivamente una schifezza ma a mio parere musicalmente meno schifezza che per quanto riguarda la regia. Sarà il trauma sa palude+Elsa=Lucia impazzita+Lohengrin Parkinsoniani+ suicidio di massa finale :/

  5. Ne ho ascoltato solo un pezzo, e concordo con voi abbastanza, per non dire molto, deludente.
    Un informazione, devo fare un regalo di Natale, mi e’ stato consigliato un libro di una loggionista che parla di tutti gli avvenimenti dei tempi d’oro, sapreste dirmi il titolo?

  6. Ho trovato la regia bellissima, poetica e interessante l’idea di tratteggiare un Lohengrin eroe suo malgardo. A me dei cigni di palstica e cartapesta non me ne frega niente, era molto più evocativo veder cader le piume dall’alto. Le citazioni di Visconti e Herzog saranno improprie ma non scontate. Alla prima di ieri la coppia protagonista era visivamente splendida, vocalmente (ovvio) aveva mille difetti, ma raramente ho visto spendersi con così totale impegno e immedesimazione durante una recita (anche nel teatro di prosa non capita facilemente ). Poi, è chiaro , preferisco ascoltarmi l’edizione con Konya e la Pobbe (in italiano!!!) o quella con Volker , ma dubito che mi capiterà di assistere a un terzo atto più coinvolgente di quello che ho visto ieri sera . Spero che acceterete il mio parere espresso in tutta sincerità e senza nessuna voglia di fare polemica.

    • Ma certamente, se la regia ti ha coinvolto e ti ha lasciato un bel ricordo, fa solo piacere.
      Ad esempio a me la regia è parsa inesistente 😀 ed i “simboli” e la caratterizzazione dei personaggi quanto di più tradizionale (compreso il fatto di renderli spiritati ed epilettici) ed il cigno non appare più in scena da secoli ormai 😀

      Vocalmente ho apprezzato la Herlitzius, con tutti i difetti del caso (da me brutalmente stroncata nello stesso ruolo a Bayreuth) e Pape (soprattutto nel primo atto). Sul resto stendo un velo.
      Bravo Barenboim, a parte un primo atto lento e caotico, negli altri due ha portato avanti con coerenza la sua visione intima e misteriosissima di questo capolavoro wagneriano, come già fece nella, per me, bellissima incisione del ’98.

      Ma ne parleremo approfonditamente nella prossima recensione della prima 😉

      • Cara Marianne però scusa la domanda. Eri in teatro? Perché , è inutile raccontarsela, un conto è vedere le cose dal vero, un altro è la ripresa televisiva. Le rovine di Micene viste in video fanno un ben misero effetto rispetto all’impressionante senso di mistero che ti provocano dal vero… (è solo un esempio ).Se eri in teatro ieri , scusa l’impertinenza. Ciao (Ma Konya ti piace o no?)

      • Concordo per la Heritzius ! Vi assicuro che anni fa a Bayreuth fu una Brunilde accattivante e coinvolgente , disegno’ una giovane ribelle , come era nei desideri di Wagner. Certo fu aiutata dalla bellissima regia di Jurgen Flinn , al cui confronto questa del Lohengrin e’ dilettantesca.

        • Concordo: tra il 2002 ed il 2004 fu una Brunnhilde del massimo interesse sulla scia della Behrens.
          Fu anche una buona Kundry a Santa Cecilia e Sieglinde.
          Meno, molto meno, l’ho trovata altrettanto coinvolgente nei ruoli straussiani che ha interpretato (Salome, Elektra, Tintora).

          • La Salome che vidi a Berlino e’ da dimenticare , pero’ che “animale ” da palcoscenico! Ricorda Anja Silija e penso la abbia presa come esempio, nel bene e nel male . Grazie per la comprensione : sono un semplice appassionato.

  7. Devo dire anch’ io che la storia rappresentata dal regista era bella, coinvolgente e ben recitata. Ma cavolo, perchè scegliere come colonna sonora la musica di un vecchio parruccone tedesco? Herr Guth se ne facesse scrivere una più appropriata e lo spettacolo risulterà incomparabilmente migliore e più efficace!

  8. Sono d’accordo Mozart. I registi “moderni” soffrono la frustrazione della modesta diffusione del teatro in prosa, nel quale potrebbero coerentemente sfogare la loro rampante fantasia. Per ciò si rifanno sulla ben più popolare e diffusa lirica, fottendosene altamente del contesto e dell’idea del compositore. Quando lo capitanno che anche una bella regia tradizionale può dare anche spunti di riflessione sull’oggi? Strehler non ha insegnato proprio nulla?

    • Che ti devo dire? Io la regia di Strehler del Lohengrin l’ho vista e me la ricordo come noiosissima e in perenne conflitto con la direzione di Abbado. Ieri, invece, non si può negare unità di intenti fra direzione e regia. (Peter Hofmann , poi, era assolutamente insignificante come protagonista “passava fischiava e se ne andava”)

  9. Pingback: De Diciembre de 2012 | Beckmesser

  10. Premetto di aver ascoltato il primo atto e quasi metà del secondo alla radio, e di aver proseguito la visione su rai5 fino all’inizio del terzo (perdendomi quindi quella che è già famosa come “scena del pediluvio”). Ho abbastanza apprezzato la direzione di barenboim, nonostante alcuni cali di tensione e un poco di confusione qua e là; l’orchestra ha offerto una buona prestazione (meglio di quanto mi aspettavo visti i livelli attuali) e lo stesso il coro. Per quanto riguarda i cantanti, non mi sembra che l’esplosione di modestia di kaufmann (il cast ideale per quest’opera) abbia trovato conferma nella serata. I difetti del divo son quelli di sempre, mi stupisco di come qualcuno possa chiamare “mezze voci” quei falsettini…comunque apprezzabile sul lato della recitazione, peccato per la pronuncia (e sì che canta nella sua lingua) anche la Dash è quella di sempre, voce fissa – mi ricordava una teiera negli acuti – e dall’intonazione pericolante. Inqualificabile Tomasson, è un mistero d’agenzia come non abbiano potuto trovarne uno migliore per una serata così importante.
    Conoscendo già Guth non avevo grandi aspettative sulla regia: una schifezza (coerente in sé stessa finché si vuole) che poco ha a che fare con il libretto, e a volte in palese contrasto con la musica.

    Per quanto riguarda l’inno di Mameli eseguito alla fine, sembra che Barenboim si sia dimenticato di farlo eseguire all’inizio, attaccando subito con il preludio e prendendo in contropiede l’orchestra (il che spiegherebbe l’attacco non proprio preciso).

    Un complimento particolare all’inviata del Tg5 che ci ha deliziato con le news sul Lohèngrin e su Annet Blanche (ho impiegato un attimo a capire che parlava della Dasch)

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