E’ arrivato il cigno: il Lohengrin della Scala, dal vivo.

Si potrebbe proporre una recensione che  parta dal fondo, atteso che la serata inaugurale si è conclusa anziché aperta con l’inno nazionale. E dovremmo, quindi, cominciare dalle scomposte urla con cui  Evelyn Herlitzius ha invocato ed evocato gli dei  del passato. Trionfatori alla fine almeno nella perversa mente della signora di Radbod.
Davanti all’allestimento scenico proposto ci siamo identificati con le nostalgie di Ortruda e non perché vorremmo a  tutti i costi cigni , elmi piumati, dame  e cavalieri e quel lusso da corte medioevale vista con gli occhi dell’uomo dell’800 , ma perché avremmo desiderato rispetto e coerenza verso Wagner e la sua poetica. Hanno sbandierato che al mito si sostituiva la psicanalisi. Psicanalisi lo diciamo subito da mutua perché  trasformare Elsa in una psicopatica epilettica, Lohegrin ipostasi dell’incarnazione della Divinità o quasi in un adolescente insicuro e turbato  non è un pensiero alternativo, è semplicemente un’inutile superfetazione del testo inutile e ripetuta alla noia. Possiamo poi divertirci a trovare le incongruenze e le bruttura dalle casse da morto modello 1990 in un allestimento ottocentesco che ammicca all’Amleto di Kenneth Branagh, i cavalieri del Brabante trasformati nei camerieri e negli  sguatteri della taverna di Mastro Lutero, i guanti da passeggio delle signore applicati all’abito da sera (Zeffirelli e Visconti avrebbero avuto una sincope!), la camera nuziale trasformata in un campo di canapa con i protagonisti, che evocano Gassman e la Mangano di Riso amaro od i fiocinini di “Il mulino sul Po”, visto anche come il protagonista abbatte il rivale, o ancora gli spodestati Ortrud e Telramund, che ricordano Maddalena e Sparafucile nella taverna, per tacere della pioggia di piume che ricorda la spennatura di oche, capponi e tacchini. Ma tutto questo, e ciascuno degli spettatori fosse in teatro o in televisione ha trovato e ammirato le rispettive incongruenze, ci dice solo una cosa, regia ed allestimento privi di idee, modello di pseudo cultura, che può essere apprezzata da chi voglia per moda od ignoranza essere à la page. Ma se Lohengrin propone la visione ottocentesca del mito e il testo letterario, prima di quello musicale nonché  le maniacali didascalie del libretto, i commenti dei coreuti ai personaggi questo ci dicono, con la realizzazione scaligera di ier sera siamo davanti ad una presa per i fondelli. Se non dell’autore, certamente del pubblico, della sua intelligenza e del suo portafoglio, perché pagare anche il maestro d’armi per un duello da teatro dei pupi o il drammaturgo (invenzione da teatraccio tedesco) significa solo profittarsi del danaro pubblico. Ed i fischi sono toccati moderatamente a  chi abbia allestito ovvero al signor Guth, ma dovrebbero essere abbondanti e sonori  verso chi “maneggiando la cassa” abbia consentito siffatti, indegni sperperi di pubblico danaro.
Naturalmente con sommo disdecoro di pubblico à la page e critica abbiamo anche una parte musicale e vocale. Per non dover compiere operazioni di discernimenti che implicherebbero l’uso di facoltà di cui non sono in possesso tutti si sono gettati nell’osannare l’ultima arrivata, la “salvatrice della patria” Annette Dasch, che giunta a Malpensa nella notte di tormenta, all’alba di oggi è già tornata a Berlino per cantare la Finta giardiniera. Opera a lei più consona, malgrado la precoce usura del mezzo.
Il cast sarà anche il meglio del canto wagneriano come ha imbonito il direttore, ma questo non significa che sia cast degno non già del teatro, ma del titolo. I difetti tecnici sono egualmente diffusi nella compagine maschile ove nessun sa da che parte si emetta un acuto e come si sostenga il canto con il fiato. Per cui abbiamo risposta differenti al medesimo vizio di fondo ovvero le urla lancinanti del signor Tomasson quale Telramund in una parte dove non si deve urlare, ma squillare, i suoni rochi e malfermi in prima ottava di René Pape, nominalmente basso (per l’araldo di Zeljko Lucic vale il motto d’Oltralpe “tel maître tel valet”), e i falsettini fra gola e adenoide dell’osannato protagonista. Un cantante come Jonas Kaufmann che non leghi il suono nella cosiddette arie, che non sia in grado di cantare piano al duetto della camera ovvero di svettare al finale del secondo atto ( e si tratta di ben poche battute) e che esibisca un volume che è la metà di quando due inaugurazioni or sono fu don José, ad onta della leggerissima orchestra che gli stava sotto, è il giusto coerente protagonista di questo allestimento. La circostanza, che impavido assuma posizioni fetali, simuli convulsioni, sguazzi nello stagno si bagni dell’acqua potrà destare simpatia ma non consente ad un ascoltatore in buona fede e dotato di minima esperienza di riconoscere un’esecuzione di livello.
Non che le cose andassero meglio con le protagoniste femminili. Evelyn Herlitzius nella parte di cantante attrice (anche se la affrontarono grandissime cantanti, fra quelle documentate dal disco in primis la Grob-Prandl) è nella migliore delle ipotesi una passabile attrice. In alto urla vedi invocazione agli dei ctoni del secondo atto e degli dei pagani in chiusa d’opera al centro, chiamato in causa soprattutto nel duetto con Elsa e le poche battute di sfida con Lohengrin al secondo atto, afona e con il peso specifico di un normale soprano lirico, che correttamente impostato potrebbe essere una normale Elsa. In effetti il rapporto proporzionale fra le voci delle due donne c’era anche perché, a prescindere dal fortunoso e salvifico arrivo della Dasch, quest’ultima ha timbro colore e volume da soubrette. Nessuna magia nel timbro, nessun colore, nessuna dinamica persino negli assoli: una Elsa lamentosa e bamboleggiante. Ovvero, didascalia e musica alla mano una non Elsa. E per fortuna c’è stato un sostanziale “sconto di pena” nel concertato dopo il racconto del Gral, in cui Elsa dovrebbe toccare più volte il si naturale.
Bisogna sottolineare che l’emissione sistematicamente bassa e gonfiata degli interpreti principali che provengono tutti dalla scuola neotedesca di canto è qualcosa che sembra sia applicata e professata con rigorosissima metodicità dagli insegnanti dell’area nordica. Questo con lo scopo di avvicinare l’emissione vocale alla fonetica tedesca e rendere più chiara l’articolazione verbale dei “sacri versi” del Meister. Invece, l’ingolamento della voce a cui si aggiunge una tecnica di respirazione completamente sbagliata (che spesso si confonde con la sua totale assenza) causa la perdita completa di qualsiasi limpidezza di fonazione sia delle vocali che delle consonanti. Vedi in particolare, ma è solo uno dei molti possibili esempi, l’ultimo monologo del signor Kaufmann. 
E poi c’è la bacchetta. La quale viene da quasi tutti (penne dei quotidiani in primis, con eccezioni sporadiche quali Paolo Isotta sul Corriere di oggi) descritta e osannata quale autenticamente wagneriana. A questa concordia o quasi di giudizi non corrispondono una direzione d’orchestra e soprattutto una concertazione dello spettacolo, che siano all’altezza ancora una volta non del teatro e del suo preteso blasone, ma delle esigenze del titolo, che coniuga la grandiosità delle scene d’assieme (debitrici, e quanto, del grand-opéra) e la dimensione più raccolta (ma non per questo inferiore per magniloquenza) dei passi in cui dominano i solisti. Dal preludio e sino alla scena finale abbiamo udito, perdonate la franchezza e forse la brutalità, sempre la stessa minestra, di magro per essere esatti, e non solo perché il volume della musica che proveniva dal golfo mistico faceva pensare a un Donizetti comico o all’Auber del Fra Diavolo (ricordiamo en passant che i grandi Lohengrin fino al 1925, prima che trionfassero le dubbie esigenze dello “specialismo” wagneriano, affrontavano regolarmente quelle parti), ma perché non c’era differenza tra l’incedere glorioso delle schiere brabantine, la disperazione e la furia degli scornati e spodestati signori di Telramund, il tripudio della festa nuziale e la malinconia della scena conclusiva. Oltre a questo abbiamo udito archi di faticosa e slabbrata tenuta nel preludio all’atto primo, ottoni dai suoni duri e sgraziati vuoi nelle fanfare reali vuoi all’introduzione del terzo atto, in cui dominava il napoletanissimo principio del “facite ammuina”, il coro (specie nella sua sezione femminile con particolare riferimento all’entrata dei paggi nel corteo nuziale al secondo atto) in sistematico décalage non solo con l’orchestra, ma con i presupposti di una corretta intonazione. Il momento più riuscito, sotto il profilo della direzione, è stato forse l’interludio al secondo atto, seppure funestato da entrate sistematicamente in ritardo di una parte dei signori coristi. Comprendiamo benissimo come sia difficile conciliare le esigenze poste da un titolo come questo con le limitate risorse (vocali e non solo) a disposizione, ma davvero si sarebbe potuto fare un poco di più almeno sotto il profilo della tenuta complessiva dello spettacolo, ad esempio staccando tempi più rapidi e stringati, anche per venire incontro alle evidenti difficoltà di un cast nel quale non si rinvenivano certo non dico una Rethberg, un Melchior o una Branzell, ma la potenza vocale e soprattutto l’onesto, solido mestiere di un Windgassen, una Marton o una Zajick.

 

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302 pensieri su “E’ arrivato il cigno: il Lohengrin della Scala, dal vivo.

  1. Kaufman che ha avuto un vero trionfo (meritato) era penalizzato all’inizio dalle posizioni in cui veniva fatto cantare (per cui ha stonato qualcosa) ha scelto di eseguire in fernem land a mezza voce per almeno 4 minuti e mezzo dei 9 in totale e forse ha esagerato. Non aveva però volume (anzi ampiezza e sonorità si deve dire ? 😉 ) ridotto rispetto all’ultima sua performance scaligera (requiem del 27.8) era la scenografia che penalizzava le voci quando dietro i cantanti non c’era nulla di riflettente. Evelin Herlitzius credo si sia sentita miracolata per il successo avuto a pochi giorni della gazzarra Bartoli ma sono contento per lei perché ha lottato con i suoi difetti e anche con i suoi pregi :-).-
    Pape é un altro Cecilio Bartoli (bravissimo ma poco volume (anzi ampiezza e sonorità si deve dire?). Tomasson dopo Nimsgern e Fox (edizione Gatti) é rimasto senza voce. Mi viene il dubbio di portare sfiga al Telramund di turno. Non conoscevo (appositamente) il Lohengrin di Barenboim. E’ molto 1848 ma c’é dentro tutto e mi ha stimolato perché la ricetta wagneriana aveva un sapore differente rispetto a Tristano e dalle tre quarti di Ring sin qui ascoltato. Della regia non ho capito un tubo, ma credo sia irrilevante visto che per molti di voi io non capisco comunque un tubo. E’stata in definitiva una produzione di cui si può essere fieri e che ha stimolato l’appetito della mia ottima compagnia che ha lasciato il ristorante alle 2 e mezza di notte quando anche la neve aveva smesso di cadere.

    • Ho visto la prima solo in tv, sarò in teatro la prossima settimana e l’ascolto tv non fa molto testo, anzi, forse lo fa fin troppo (in negativo), perché solitamente la tv, con i vari microfoni, riesce a dar voce anche a chi dal vivo non ne ha…e io personalmente, già in tv, non ho proprio sentito nulla, non dico di notevole, ma di decente. Quanto a Kaufmann, se il suo volume era ridotto rispetto al Requiem di agosto stiamo freschi, perché io al Requiem c’ero e posso assicurare che di volume (ma anche solo di un canto accettabile) non ce n’era proprio, è stato in assoluto il peggiore, terrificante. Ieri sera già via tv non ho sentito nulla di promettente da Kaiser Jonas, il che non mi fa ben sperare per la rappresentazione in teatro….ovviamente ammesso che non dia qualche forfait last-minute, mi fido poco del re dei pacchi.

  2. Premetto che ero presente in sala e in una buona posizione.
    E’ stato uno spettacolo indecoroso che non ha reso giustizia alla musica, a Wagner e a Milano. La compagnia di canto era ben al di sotto del requisito minimo per un canto professionale, vale a dire: fonazione in maschera e appoggio sul fiato. Una vera indecenza. Ma il peggio è venuto, secondo me, dal pubblico che, oramai incapace di giudicare suoni e voci, nella sua ignoranza non si è accorto di nulla e ha trangugiato questa pietanza musicale avvelenata senza scomporsi, anzi, osannando alla fine. Che un Lohengrin svociato scantoni nel falsetto nei passi più scabrosi (altro che mezzavoce… quella corre), non abbia fiato e letteralmente non si senta, la dice lunga sul teatro d’opera oggi. Ho abbandonato la Sala del Piermarini al dissolversi dell’ultima nota.

    • e come faceva a rinforzarli se erano falsetti? Certo le mezze voci non erano liquide come quelle del suo modello (cioé Vickers) del quale però ha acuti molto più facili e timbrati. Comunque sulle sue mezze voci non ci sputerei sopra. Piuttosto va lodato l’aver cercato di evitare il più possibile le ingolature che, é vero fanno parte del suo dna, ma risultano difetto di entità tale da non soverchiare il resto dei suoi pregi. Sarà interessante leggere quanti altri utenti saranno d’accordo sull’accusa d’ignoranza del pubblico presente che a me pare molto disinvolta.-

          • Infatti qualsiasi urlatore ruttante arriva tranquillamente al livello di Mr. Suonospoggiato, credimi.
            Alberto, diamine, come diavolo fa a piacerti ‘sta gente!!??
            Dai, cacchio: un minimo di onestà!! Son gente che della tecnica di canto non hanno la minima contezza!

          • Scusa Alberto, senza volere a tutti i costi dare addosso a Kau, ma paragonarlo a Vickers, mein Gott!!!

        • ma chi lo paragona? Carmencita ho detto che lo imita chiaramente nel colore ma non ho detto é meglio questo di quello. Anche perché Vickers non l’ho sentito dal vivo. Aveva delle mezze voci stupende e mi piaceva in Wagner e Otello (molto in quello con Risanek e Gobbi ma anche in quello di von Karajan nonostante le stecche) anche il Pollione di Orange era efficace

    • Anche se da solo, potevi protestare tu; così come ho fatto io l’altra sera a Roma: ho protestato clamorosamente ed ho dovuto combattere anche con il pubblico che mi dava addosso.
      Con il pubblico… il pubblico…
      Quello del pubblico secondo me è un discorso complesso, che non sono troppo in grado di affrontare: senz’altro non ha più coscienza. Ma perchè non ha più coscienza? Secondo me, brevemente, il tempo dell’opera è finito: quindi il decadimento riguarda sia chi la fa che chi la fruisce.

        • Farcene una ragione. Però allo stesso tempo dobbiamo continuare per la nostra strada, vuoi di amatori, vuoi di studenti: io so che l’opera è morta, come muore tutto ciò che è; ma, appartenendo a quel mondo, continuo a studiare il canto e la musica sperando un giorno di poterlo fare: come ho già detto, il canto è morto ma non possiamo ammazzarlo noi.

  3. Bella recensione. Io personalmente ho già espresso la mia opinione su voci e orchestrazione in questione. Vorrei aggiungere delle osservazioni sulla regia, riallacciandomi anche a quanto detto da Mozart2006 e Napoleone Moriani in risposta al post precedente. In realtà sulla regia non ci sarebbe bisogno alcuno di intervenire perché il catalogo Brandt è legge, ma in ogni caso vorrei condividere con voi delle perplessità.
    Non sono contro le regie iperattualizzate, ipercontemporanee, avveniristiche ecc. per partito preso. Certo, mi annoia il fatto che praticamente sempre sovrastino le istanze musicali e vocali delle opere, ma il fatto che io pensi che quasi sempre rappresentino un’arma di DISTRAZIONE DI MASSA dalla mediocrità di voci e musicisti è evidentemente un problema mio. La questione è un’altra e scusate se mi dilungo un po’ per esporla. Anni fa a Friburgo ho assistito a una rappresentazione dell’Antigone nella strepitosa versione tradotta da Hölderlin. Insomma, non un’opera, ma di sicuro uno dei vertici della cultura occidentale di tutti i tempi. Il fatto che fosse ambientata nella Foresta Nera non mi disturbava, anche se non arricchiva di certo l’insieme, ma il fatto che il coro fosse composto da scoiattoli l’ho trovato a dir poco stomachevole perché inutile. Non so se a questo punto siano venuti prima quegli scoiattoli o prima i topi di Bayreuth (che almeno non proferivano parola…), ma secondo me questa versione futuristica in chiave ecologistica per cui la tragedia del genere umano è sempre stato in realtà il buco dell’ozono non aveva alcun senso. Molti colleghi filologi classici scelsero di andarsene durante la rappresentazione e alla fine ci furono civilissime ma ferme contestazioni, dopo le quali il regista si mise a discutere con i contestatori (queste cose – ovvero lo spaccamento, a volte estenuante, del capello – dei tedeschi le adoro!). Alla domanda sul perché attualizzare forzatamente qualcosa che giocoforza non può essere attualizzato in pieno lui rispose che le regie contemporanee sono rivolte a un pubblico non di soli specialisti e quindi devono cercare di attrarre anche chi non conosce propriamente Sofocle e compagnia bella. Il pubblico odierno fa sincera fatica a comprendere qualcosa che non sia smaccatamente attualizzato, a immedesimarsi o anche solo tentare di capire le ragioni e le dimensioni spirituali di epoche più o meno passate. Per questo l’attualizzazione diventa non solo un vezzo, ma anche una necessità nei confronti di chi ha capacità limitate di comprendere, come nel caso del Lohengrin, un’ambientazione medievale o un gesto titanico di gusto romantico.
    Questo è solo un esempio, la regia di ieri, alla fine, su questo punto poteva anche essere più molesta… Ma non mi si venga a dire che Guth ha scoperto la fragilità dell’eroe romantico, perché chiunque mastichi un po’ di Streben e di Sehnsucht sa benissimo che è la lacerazione interiore il vero spirito dell’uomo romantico che guarda all’oscura profondità del mondo medievale. Per me la musica e la voci eseguite in maniera giusta sono già capaci di rendere attuale un’opera anche se lontana del tempo, non ho bisogno della pappetta liofilizzata per capirci qualcosa. Anzi, è proprio la distanza temporale a rendere più avvincente una dimensione artistica,e non il suo banale appiattimento al contemporaneo, che poi alla fine si riduce al solo gusto, quasi sempre limitato, di registi dotati di ego ipertrofici. L’inconscio è un’invenzione del Novecento, applicarla a opere precedenti significa quasi sempre fare un puro esercizio onanistico di narcisismo, per di più fossilizzato su un concetto insignificante di attualità. Non è l’opera che deve fare un passo verso gli spettatori, ma sono gli spettatori che devono fare un passo verso l’opera.
    Scusate la lungaggine, ma davvero un’opera d’arte ha bisogno di essere attualizzata o, in quanto opera d’arte, è già sempre attuale?

    • “L’inconscio è un’invenzione del Novecento” perché, a tuo avviso, i Miti greci sono la proiezione di cosa? ………………………………………………………………………..
      Che chic citare Streben e Sehnsucht …………

    • E’ partito dallo stesso concetto di Chéreau (ambientare l’opera all’epoca della composizione) con un po’ dell’allestimento di Herzog (il bambino-cigno, la natura nell’ultimo atto) ed uno spruzzo di Kupfer e Lenhoff (Biografia wagneriana, Elsa e Lohengrin folli, il pianoforte come oggetto feticcio, la scena fissa); ha mischiato “Senso” (gli abiti) ad un po’ di cinematografia; ha tolto il cigno, che in realtà c’era 😀 ; ha voluto infilare Freud e Jung… che in realtà erano del tutto assenti; ed alla fine è venuta fuori una regia … tradizionale 😀

      Per quanto mi riguarda Kaufmann l’ho trovato uguale a se stesso: ingolato, falsettato, sbadigliante, adenoideo, emissione inelegante, piatto proprio perché le nuances e le sfumature del fraseggio sono in realtà mezzucci farlocchi per modulare una voce scurita artificialmente che nulla ha di libero e naturale; la Dasch ha il pregio di aver salvato la serata, ma sottodimensionata era a Bayreuth e con Janowski, ancora più sottodimensionata in Scala: invece di Elsa dovrebbe cantare Serpina; agghiacciante il Telramund solidamente svociato e poggiato su raucedine e stecche oltre che vociferante; rozzissimo, becero, ma si sapeva, Lucic.
      Meglio per me le cose sono andate con Evelyn Herlitzius: la sua Ortrud nonostante la voce acida, ballante, urlata, dimostra una certa importanza oltre al pregio di aver creato in scena un personaggio vivo e sfaccettato (e l’avevo stroncata nello stesso ruolo a Bayreuth: qui era molto più controllata); buona prestazione per Pape, ma solo al primo atto, anche se dobbiamo fare i conti con un organo duro e più chiaro di quello dello stesso Kaufmann.
      Barenboim dopo un primo atto lentissimo e poco coerente in orchestra, si riprende con un secondo tenebroso ed enigmatico, ed un terzo, con poco fuoco, poco cristallo, poca passione, poca sacralità, ma dalle sonorità delicate, morbide.
      Coro fuori tempo e fuori intonazione.

      Aspetto le recite dal vivo.

      • E’ partito dallo stesso concetto di Chéreau (ambientare l’opera all’epoca della composizione) con un po’ dell’allestimento di Herzog (il bambino-cigno, la natura nell’ultimo atto) ed uno spruzzo di Kupfer e Lenhoff (Biografia wagneriana, Elsa e Lohengrin folli, il pianoforte come oggetto feticcio, la scena fissa); ha mischiato “Senso” (gli abiti) ad un po’ di cinematografia; ha tolto il cigno, che in realtà c’era 😀 ; ha voluto infilare Freud e Jung… che in realtà erano del tutto assenti; ed alla fine è venuta fuori una regia … tradizionale 😀

        PERFETTO! Lo incornicio! :-)

        • Io sto guardando ora lo spettacolo, visto che ho optato per l’ascolto radiofonico in diretta. Condivido il commento per quanto riguarda la regia, ll cui nodo centrale sembra essere più l’autismo, con annesse gestualità e occhi sbarrati, che il mito di Lohengrin. Ah, aggiungo anche: non ho mai visto tante cadute a strapiombo sul palco, della serie “A terra…e piangi”.

      • Marianne, sottoscrivo punto per punto quanto esposto così bene qui sopra. Anche a me la Herlitzius è piaciuta abbastanza nonostante le urlate, a livello di personaggio ha secondo me dominato la scena. Pape mi è sembrato più in voce del solito (al Requiem bofonchiava, non si sentiva), di Tomasson ho sentito un gran numero di acuti steccati, grande affanno.
        Vediamo un po’ che succede dal vivo….e staremo a vedere anche se il virus della pozza d’acqua si propaga…

  4. Serata assolutamente triste, con un successo a mio parere ingiustificatissimo.

    Brevemente dico che Elsa poteva al masimo cantare Mozart (cosa che ha sempre fatto, dato che il suo unico ruolo in Scala oltre a questo è stato Donna Elvira, che non ha certo un peso vocale da Elsa), e che quindi non poteva sfruttare le sue doti (?????) al massimo.

    Kaufmann correttino, non è stato il peggiore e francamente non mi è dispiaciuto. Sarà stato il livello infimo generale…Parte malissimo, si aggiusta con il passare del tempo, anche se i suoi difettacci si sentono sempre.

    La Herlitzius bisogna stimarla: urlare così per quattro ore e cinquanta senza morire al primo atto è sicuramente prova lodevole, ma non consona al teatro. Io le proporrei lo show dei Record. Mi è piaciuta molto la sua recitazione.

    Non ho voglia di spendere parole per Pape (che al massimo può essere stato buono secondo mio parere solo al terzo atto, quando io e i miei amici avevamo già abbondato di vino :D), nè per Lucic e Tomasson, che non sono cantanti, e quindi non meritano un commento.

    La regia: non posso dire che l’idea sia brutta, ma posso sicuramente asserire che sia INADATTA a quest’opera, e che Guth volesse a tutti i costi fare un allestimento del genere, anche a patto di forzarlo dentro le note del Lohengrin, con cui ha veramente poco a che fare. Devo dire che dopo la Frau nell’ospedale psichiatrico, però, c’è un miglioramento. Troppi clichet copiati da regie di tutto il mondo. La scenografia non mi è piaciuta affatto, anche quella abbastanza copiata, dato che nel primo atto avevamo un lampadario rubato alla Traviata di Zeffirelli e nel secondo (omaggio al Gattopardo..boh!) il vestito da sposa di Elsa era probabilmente lo stesso della Cenerentola di Ponnelle 😉
    L’unica parte che mi è piaciuta è stata quella all’inizio del terzo atto, dove si vede il “lido d’amore” (che poi risulta più una palude) di Lohengrin ed Elsa. Eccellenti le luci.

    Barenboim non mi piaciuto affatto, ma a mio avviso l’orchestra ha fatto un buon lavoro.

    Le ovazioni alla fine non le ho capite, o non voglio farlo; perchè che la Scala diventi il teatro dei fans e delle case discografiche, con il passato che ha avuto, proprio non mi sta bene, quindi fingerò che la serata sia stata abbondantemente fischiata 😀

    Cordialmente.

  5. Cara Dionisopiùapollo, l’inconscio non è un’invenzione, è una realtà. Come tale, agisce e impronta di sé tutte le epoche e tutte le opere d’arte di tutte le epoche, non certo solo quella in cui è stato scoperto. Scoperto e studiato, non inventato. C’è una certa differenza fra i due termini, no? Tant’è che grandissimi studiosi, fra i più grandi di tutto il Novecento, hanno potuto analizzare il modo in cui l’inconscio si rivela nella struttura linguistica dell’opera d’arte. Ovviamente, dell’opera d’arte di tutte le epoche, dal teatro greco al teatro seicentesco francese. Sarebbe abbastanza ingenuo pensare che l’analisi psicanalitica dell’opera d’arte, oppure anche una regia che a questa faccia riferimento, si potesse applicare solo a partire dall’epoca di Freud.
    Un saluto
    Marco Ninci

  6. Caro Stefix, che tu tema che il Teatro alla Scala diventi il teatro dei fans è un fatto abbastanza bizzarro. La Scala è sempre stato il teatro dei fans, di un fanatismo talmente esasperato da raggiungere tantissime volte livelli desolanti di stupidità.
    Ciao
    Marco Ninci

  7. Qui rispondo sia a Billy Budd che a Marco Ninci che mi hanno giustamente sollecitato contestando la scelta dei termini da me usati. Il termine “invenzione” vi è sembrata un’espressione infelice, a me rileggendo è sembrata più che altro incompleta e allora cerco di spiegarmi meglio. Il problema di cui parlavo non è Freud, ma è Guth. L’inconscio a cui fa riferimento quest’ultimo è SOLO ED ESCLUSIVAMENTE quello inventato da Freud in poi. I suoi personaggi sono uomini visti in una declinazione esclusivamente moderno-contemporanea. Poi volete dirmi che anche in Sofocle e in tutte le altre epoche c’è l’inconscio? Mi può star bene, ma di sicuro io preferirei definirlo abissale scandagliio interiore; se voi lo volete definire inconscio, non mi offendo (non so Sofocle… :)) .

    • Cerco di spiegarmi meglio, perchè credo di non esserci ancora riuscita. L’inconscio come realtà sovratemporale è una cosa, l’inconscio come identità dell’uomo contemporaneo è un’altra: quest’ultima, intesa come fondamento non solo del pensiero di Freud, ma anche di quello di Nietzsche e di Marx (Marco perdonerà il mio “inconscio” riferimento ricoeuriano…), basata su una lacerazione tipicamente contemporanea impensabile senza i meccanismi di forza culturali, sociali, politici ecc. di fine Ottocento-inizio Novecento, è secondo me un’nvenzione – non solo clinica, ma anche culturale e filosofica – che si deve ricondurre esclusivamente a Freud. Guth ha declinato in maniera arbitraria, noiosa e soprattutto trita e ritrita, questa seconda accezione.

  8. No, Dionisopiùapollo, quando parlo di inconscio non voglio dire lo sguardo che Sofocle rivolge ai suoi personaggi, come tu sembri intenderlo. Voglio indicare invece il modo in cui linguisticamente si esprime nell’opera quella struttura profonda che è l’inconscio. Il quale, quando si tratta di grandi scrittori, non si limita a formularsi in sogni o sintomi nevrotici, ma dà voce alle pulsioni collettive storiche. In questo modo, vedi bene che si può parlare di inconscio, proprio nel senso novecentesco, per qualsiasi grande opera del passato.
    Marco Ninci

  9. Cito: “le regie contemporanee sono rivolte a un pubblico non di soli specialisti e quindi devono cercare di attrarre anche chi non conosce propriamente Sofocle e compagnia bella. Il pubblico odierno fa sincera fatica a comprendere qualcosa che non sia smaccatamente attualizzato, a immedesimarsi o anche solo tentare di capire le ragioni e le dimensioni spirituali di epoche più o meno passate.”

    E’ un discorso che ho sentito infinite volte; la cosa che più mi infastidisce è che parte dal presupposto di offrire un prodotto a “una manica di coglioni” (perdonate il francesismo), ipotesi che andrebbe quanto meno dimostrata prima di farne la base di un progetto artistico. Inoltre logica vuole che le persone dotate dei mezzi culturali per “immedesimarsi nelle dimensioni spirituali di epoche passate”, facciano invece fatica a sostenere l’operazione di semplificazione e attualizzazione; ne risulta insomma un teatro che abbandona il proprio pubblico per attrarne uno nuovo che, per esplicita convinzione e richiesta, parta dalla condizione di “tabula rasa”. Ne segue una domanda: come fa il nuovo pubblico, nella condizione di cui sopra, a distinguere un progetto artistico valido da una buffonata? Ma soprattutto, che senso ha un’arte appiattita su un pubblico privo di strumenti per valutarla? Far piacere a qualcuno qualcosa su cui non abbia la benché minima preparazione si chiama marketing, non arte.
    L’arte, in chi non ha strumenti per accoglierla, basta che susciti sincera meraviglia; sarà poi questa a stimolare la mente ad avvicinarsi a quell’arte stessa.

    Scusate la parentesi. Ora aspetto di vedere questa regia: ma devo dire che il commento di EnricoS è un’ottima sintesi di quanto ho finora letto o mi hanno raccontato.

    • Caro Veriano, la tua citazione rimane “anonima” ma per quello che si è letto e sentito solo a due critici lo spettacolo è piaciuto senza “se” e senza “ma” avendolo trovato “teatro vivo” “vero teatro” e non quello “delle marionette” o delle “casse da morto” e via dicendo.
      Del resto la nostra cara amica Marianne ha già codificato tutti i vezzi e vizi delle “regie moderne” ed a la page che noi “cretini” non sappiamo interpretare nè cogliere nella loro essenzialità in quanto, sempre secondo i suddetti, non “pensiamo”.
      Io ho nella mia modestissima rassegna per la Spagna, scritta sulla base della “generale” ed in attesa di essere pubblicata previa verifica della recita di martedì 11, ho elencato situazioni che, sempre a mio avviso, il pubblico “normale” cioè quello che non macina una media di tre opere alla settimana in teatri e città diverse e che a teatro ci va magari con una certa assiduità, ma non rientra nella categoria degli “operainomani” (rubata al Mattioli) deve affrontare specie se si reca a vedere un’opera di Wagner, mettiamo pure il LOHENGRIN.
      1) Non lo ha mai visto (in teatro o in dvd fa l’istess) o se lo ha visto non se lo ricorda quasi.
      2) E’ opera lunghetta assai, specie il secondo atto che dura quasi l’intera BOHEME.
      3) E’ cantata in lingua straniera (e non mi si venga a dire che uno può passare la serata guardando lo schienale della poltrona anzichè quanto avviene in scena).
      4) La trama, apparentemente semplice, presuppone peggio del TROVATORE una serie di antefatti che sfuggono nei pur dettagliati racconti che fanno i vari interpreti. Non parliamo poi del conflitto religioso, tra cristianesimo e paganesimo, del Montesalvato, del padre Parsifal ecc. ecc. poicè tutto si svela alla fine.
      5) Possibilmente dovrebbe partecipare della costruzione dei motivi e del loro intersecarsi. Di solito si sente un sospiro di sollievo, della serie “Ah ma questa la conoscevo”, quando attacca la marcia nuziale al terzo atto.
      Non vorrei sembrare banale, ma credo che sommare a questa realtà una regia, indipendentemente dal fatto che sia “tradizionale” o “moderna”, le fantasie malate di un supposto “drammaturgo” (parola e figura funesta) cui non basta evidentemente rispettare quanto l’Autore esige, probabilmente perchè quello che non ha capito una mazza è lui in buona compagnia del regista.
      Ecco dove sostengo che ha mille ed una volta ragione Donzelli. Questa è una maniera di prendere per il fondo la gente comune che si sente in debito di cultura perchè non potrà cogliere le dotte citazioni cui si appellano questi personaggi. In cui includo anche coloroi che difendono queste scelte e che poi, magari, in un BARBIERE esigono la filologia nei recitativi e si scandalizzano se un Don Bartolo fa un’intonazione bolognese. Ma già, questo non è “vero” teatro.
      Scusate lo sfogo.
      PS un’ultima cosa, ma i continui portamenti ascendenti (genere ascensore che sale dalla cantina al solaio) di Kaufmann, li ho sentiti solo io?
      Saluti

      • E tu stai ancora dietro agli onanismi di Giudici e Mattioli 😀
        E’ sempre preferibile ascoltare e pensare con il proprio cervello piuttosto che con loro e se una regia per essere compresa o tradotta ha bisogno di uno o due intermediari, vuol dire che ha fallito.

          • La “moda” e la “tendenza” infatti prevedono una omologazione, una banalizzazione di pensiero e di intenti e noi, tu ben sai, siamo “fuori moda” :)
            Loro pensano di noi con terrore e raccapriccio, noi con grasse e sonore risatazze 😀

          • Madame Brand, le rispondo qui ma riferendomi al suo post che viene di seguito: le risatazze me le faccio pur’io.

        • ehhh! Non l’ho sentita la “detersivo nel fustino” 😀
          Ieri ero a un NABUCCO isolano: il 7 dicembre io scappo sempre da Milano e faccio le mie “prime” controtendenza a Sassari o piuttosto a Sofia (l’alternativa era infatti un WERTHER bulgaro diretto da Pino Sabbatini :-) ) alla Scala mi tocca la seconda dell’11 e mi auguro con una ristabilita Harteros che alla “generale” non mi era sembrata malaccio. Purtroppo confermo quanto scritto sopra da altri, l’appiattimento timbrico. Ortruda ed Elsa (Harteros ed Herlitzius) da un lato due soprano quasi identiche, dall’altro Lohengrin-Telramund-Heinrich-Araldo più o meno tutti baritoneggianti. Che barba che noia.
          Se apre la posta, Divina Giulia, dovrebbe esserle già arrivato un mio doveroso omaggio 😉
          Buona serata

    • Caro Veriano, non sono io a pensare che il pubblico sia intellettualmente ipodotato, ma i registi cervellotici alla Guth che da un alto pensano che i vecchi fondali ottocenteschi si superino SOLO con il lettino dello psicanalista o tutt’al più con una piazza per lo spaccio e non con idee veramente originali – ovvero capaci di esaltare il libretto e non di affossarlo in una fumosa autocelebrazione –, e dall’altro pensano che “attualizzando” si attragga in maniera più incisiva il pubblico. Poi anch’io ritengo che abbiano ragione quelli che la pensano come EnricoS: non c’è niente di più vecchio di un finto, forzato modernismo, senza anima e senza idee.

  10. In effetti, il personaggio Herlitzius ha movimentato un po’ la serata a partire dal secondo atto. Ha catturato almeno l’attenzione con la sua sguaiataggine vocale ma, almeno, l’attrice c’era, come c’erano le intenzioni interpretative, anche se mal realizzate. Un po’ di colore non guasta, meglio questa “cantante” sbracata ai due stitici protagonisti. Diversamente, forse, me ne sarei uscito a metà dell’opera come mi capita assai spesso… purtroppo.

  11. A mio modesto avviso l’esecuzione in generale ha risentito molto della mancanza della Sig.ra Harteros che era indubbiamente la voce migliore di tutto il cast quanto ad eleganza, tecnica e volume. Inoltre si può immaginare che il dover interagire con una collega che di fatto improvvisa una regia che le è stata spiegata in fretta e furia la mattina stessa non abbia messo nella migliore delle condizioni per cantare liberamente gli altri artisti.
    Concordo pienamente sulla prestazione disastrosa di Tomas Tomasson (Friedrich), voce spinta fuori tutta di fibra, inesistenza di qualunque parvenza di fraseggio. A sua difesa possiamo dire che è una parte baritonale davvero impervia e può anche starci di avere un piccolo calo dopo il duetto con Ortrud ma lui si scava la fossa da solo. Concordo abbastanza anche con il giudizio sulla Herlitzius che in effetti dimostra una certa tendenza all’urlo che la porta peraltro ad essere spesso crescente di intonazione; sicuramente sul pubblico fa colpo la massa di voce che riesce ad emettere dal suo corpicino.
    Renè Pape è un po’ duro sugli acuti ma il ruolo è tanto bello quanto impervio (pronti via e si spara un bel MI). Fisicamente però è nobilissimo e secondo me anche il colore della voce è abbastanza nobile per un Re.
    La Dasch secondo me è ingiudicabile: conosceva la parte e niente più. Ha fatto quello che ha potuto anche se effettivamente il ruolo non le sembra molto adatto.
    Capitolo Kaufmann: se lo si giudica con il metro tradizionale è vero tutto quello che avete scritto; a nessuno studente di canto sarebbe permesso di cantare così…..almeno qui in Italia dove ancora ci riteniamo (non so più con che diritto) depositari della tecnica del canto legato e sul fiato. Posso però dire che in qualche modo il signor Kaufmann la sua voce la appoggia dal momento che mi dicono abbia fatto tutte le prove in voce e non sarebbe umanamente possibile (vedere il Sig. Tomasson per riprova) avere ancora la voce in perfetta salute.
    Comunque, Kaufmann va preso così com’è e a me, personalmente, è sembrato molto credibile ed efficace come Lohengrin.
    Per quanto concerne il direttore io credo che sia stato un miracolo che orchestra, solisti e coro siano riusciti in un qualche modo a stare insieme perchè per quello che ho visto ha un gesto indecifrabile…..

    • così ti rispondo:
      1 non vedo che c’entri assenza harteros col canto degli altri. La sign dash non ha sbagliato nessun attaco o che mentre la regia non c’entra nulla col canto
      2 le prove in voce sono sempre state tali dalla nascita del canto. La sutherland notoriamente provvaa in voce sempre ed era sempre se stessa. La tecnica sul fiato che ieri sera nessuno conosceva era mirata a poter cantare ogni sera per molte sere. Le prove sfiancano chi canta di gola
      3 noi italiani non siamo più depositari di niente ma kaufmann non ha la voce a posto, sempre appannata e fuori fuoco. Oggi è anche ridotto in sonorità.. Canta scorrettamente e basta. Che poi piaccia perchè ha un generico timbro personale sta bene in scena, è altro affare. Stai certo che se fosse un grassone brutto lo buerebbero e non avrebbe alcuna carriera.
      Tomasson non ha alibi, canta male e la parte di Pape non è affatto impervia. I ruoli impervi sono ben altri. Gli acuti sono sempre stati ndietro sin dalle origini. La herlizius ha urlato meno che a bayreuth questa estate, dove o stata duramente buata, ma resta una urlatrice. Di certo era il personaggio più riuscito, glialtri direi non personaggi. Della dash, ringraziata per il salvataggio ed complimentata per i nervi, resta una cantante inadeguata e che canta con la voce tutta malmessa, posto che già mozart è troppo per lei. Edita gruberova ierisera sarebbe stata di ben maggior peso ed accento, ed avrebbe coperto tutti con l’ampiezza e la sonorità del suo centro…sul fiato. Non possiamo continuzre a giustificare gente superpagata che canta in questo modo…..

      • Concordo con Donna Giulia quasi su tutto.
        Vorrei aggiungere che (anche se inadeguata) preferisco Dasch a Harteros…Almeno nel suo essere piccola e monocorde è abbastanza corretta. Herlizius la migliore del cast senza dubbio (almeno più adatta al ruolo sia come voce che come recitazione) anche se Ortrud come personaggio in se giustifica l’urlo…nel senso che un’urlatrice finchè canta Ortrud risulta più accettabile perchè si può pensare “la solita strega urlatrice che urla Ortrud…non tutte sono la Ludwig”.
        Sarebbe interessante ascoltare herlizius in altri ruoli…

        PS Kau chi???????? A quello che abbaia e cala tutti gli attacchi???? Per Lohengrin ci vuole un tenore potente ma anche lirico, perchè no anche con timbro chiaro (che non significa leggero)…invece ci tocca subire il finto tenore ingrossato…E la regola Netrebko-Stemme-Kauffman-etc.etc. non sbaglia mai!!! Ingrossiamo artificalmente il centro per brunirlo e renderlo più papabile al disco yuppie!!!

        • hei hei…..ho detto che asssenza di harteros secondo me non ha inflienzato gli altri. Preferisco però la harteros alla dash…senza dubbio. Posto che quello che penso della harteros l’ho scritto sul don carlo…..

        • Dal vivo la Dasch (voce che più bianca non si può, ça va sans dire) sembrava un trapano senza punta. Imbarazzante e non aggiungo altro. Però deve essere davvero una grande attrice, visto che, arrivata a Milano poche ore prima del debutto, si è inserita alla perfezione in uno spettacolo che ha richiesto lunghe e complesse prove di regia…
          La Herlitzius un normale soprano lirico (se sapesse cantare), con la prima ottava dei soprani lirici d’oggi, quindi vuota.
          Vedendole e soprattutto sentendole viene da pensare che sarebbero forse accettabili come sorelle nell’Arabella (la Herlitzius ovviamente nel ruolo del titolo). In una sala di contenute dimensioni.

          • Non so la Harteros non mi convince….Anche Fustina per carità (anche se ottima attrice)…Però almeno mi sembra meno sguaiata…Anche se il mezzo è quello che è…un lirico leggero ingrossato a morire poverina…

      • a me non sembra tanto stupida la sintesi di kleombrotos sulla vocalità di Kaufman sopratutto per chi come me l’aveva sentito nel Così fan Tutte postumo di Strehler. Il pubblico quando decreta un trionfo a un cantante lo “prende così com’é” anche per i suoi contenuti di novità e di comunicativa. Per questo che l’opera e il canto non sono assolutamente morti. A kleombrotos però consiglierei di giudicare solo quello che si sente e non gli assenti. Dico ciò in riferimento alla Harteros che non é cantante priva di difetti (vedi suoni fissi e una certa genericità interpretativa) e che non é detto avrebbe superato una cantante che ha un peso medio persino a Bayreuth (la sentii proprio in Lohengrin) ed é riuscita a difendersi (non certo ad esaltare) con onore ad onta dell’acustica della scala e della scenografia assai penalizzante per le voci

        • @albertoemme: ho sentito la Harteros alla generale. Secondo me non c’è paragone con la Dasch. Nettamente più brava. Posso riconoscere però a quest’ultima l’handicap non indifferente della recente gravidanza che può inficiare notevolmente sulla voce

          • ah beh allora non dico nulla. Pensavo che fosse un giudizio astratto. Spero d sentirla anch’io la harteros l’11 perché ho un biglietto. Così faccio un confronto con la Dash che avevo già sentito dal vivo a Bayreuth

      • Secondo me il successo è giustificato, oltre che dalla presenza fisica che oggi (putroppo) è un elemento che conta molto, dal fatto che ha una voce molto, molto particolare che evidentemente piace ai più. Si può essere dei draghi nella tecnica ma se si ha una voce anonima non si va da nessuna parte…lui ha trovato la sua strada che evidentemente funziona. Poi per carità, è assodato che sia impossibile piacere a tutti. L’importante è non lasciare indifferenti.

        • La presenza scenica del signor Kaufmann è pari a zero (parlo di capacità di riempire la scena, non di quella di contorcersi come un tarantolato o correre da una quinta all’altra stile Charlot dei poveri). La voce poi può essere definita “molto particolare” nel senso che più che una voce lirica ricorda il verso di qualche animale. Di funzionante c’è la macchina del marketing, ma l’esito artistico è molto più aleatorio.

          • Su questo non sono d’accordo. I cantanti da te sopra citati (a cui se ne potrebbero aggiungere molti altri) pur non avendo voce migliore di Kaufmann e fisico senza dubbio con taglie più forti, cantano tranquillamente nei teatri.

          • Certo, ma non hanno, ne converrai, lo stesso impatto a livello mediatico o, per meglio dire, da copertina!

          • Beh…. Loro dentro una copertina……non ci entrano. Al massimo un poster….. :-)
            Però cantano tranquillamente e vengono scritturati tranquillamente: affermare che Kaufmann canti ed abbia successo solo per l’aspetto fisico, mi sembra un po’ esagerato…..

          • Certo, ma immagina Stuart Neill con la voce di Jonas… a mio modesto parere molti cambierebbero idea sulla sua “vocalità particolare” e certamente non lo troveremmo languido, patinato e photoshoppato su riviste o poster pubblicitari … magari mi sbaglio e poi la storia non si fa con i se 😉

        • ecco, tu tocchi un punto chiave.
          quello che tu definisci “voce particolare” come ragione del successo è fatto verissimo. oggi tra una voce bene impostata ma qualunque, ed una voce male impostata ma che abbia un quid timbrico che la rende riconoscibile ( bruttezza inclusa…) il pubblico sceglie la seconda. peggio, di quello che un cantante sa fare con quella voce, ossia cosa esprima o sappia esprimere, non importa nulla a nessuno. Che l’interpretazione viaggi ormai “a due vie”, sia cioé un sistema “binario” come lo chiamo io, dove si numera 01010100001011101010, ossia forte e piano, senza relazione nella frase, ed in modo astratto ed indipendente dal senso delle frasi e dal singolo personaggio, è fatto che nessuno rileva. La noia di queste serate viene anche da queste non trovate all’identique ove non c’è fraseggio sul palco per limiti tecnici ( la voce è duttile se la voce è messa giusta…), ma sempre la mera interruzione con momenti di stasi, di clima rarefatto nel generale cantare canozenittistico sempre uguale e monotono. Ma che differenza c’è tra francesco meli che ci ha fatto sentire in pianissimo il Dalla sua pace del don giovanni e l’esecuzione di In fernem land di kaufmann? NESSUNA! ….e la stessa trovata l’abbiamo sentita mille volte in voci maschili e femminili su questo come su altri palchi.sono stereotipi passati per fraseggio, ma sono invece artifici,. manierismi generici, come le altalene, gli sturi inscena, i pianisiti, i bambini ombra dei registi.Si fraseggia e si canta SULLA PAROLA, ed in relazione al TESTO.

          Non si può fraseggiare veramente se non si ha la voce messa diversamente da come la mette KAufmann. Il punto pèerò è che se la mettesse correttamente il buon Jonas sarebbe quel tenore lirico appena che abbiamo sentito mille volte nei video su YouTube, dove il cantate è irriconoscibile. Per diventare cantante famoso ha dovuto ingrossare artificiosamente la sua voce e inventarsi questo timbro che molti definiscono lupino, ma che fa, per il vasto pubblico,….personalità vocale! Poi è un bell’uomo, simpatico e decisamente intelligente quando parla, allora il gioco è fatto. Ma con la sua voce naturale non sarebbe mai diventato questo superdivo…..nemmeno se avesse fraseggiato come pertile, perchè oggi un fraseggiatore non viene udito da nessuno. per essere uditi occorre URLARE…….urlare come nella foresta, a discapito della penetrazione e della timbratura del suono.

          I veri fraseggiatori, quelli veramente vari, sono tutti cantanti che cantano con la loro VERA voce.
          grazie kleo dello spunto

    • Il metro tradizionale nell’antica Arte del Canto è l’unico metro valido. Kaufmann non è un cantante. Punto e basta.
      In Italia non sanno più nulla del canto. Io sono in conservatorio a Roma (non per canto) e ti dico che su 8 insegnanti non ce ne uno che si salvi. Solo una arrivata quest’anno promette bene, perchè cantava a regola d’arte… vedremo.

  12. Come ormai è la regola, i solisti erano raccapriccianti: non c’è bisogno di aggiungere altro a quanto già detto. La qualità del suono di orchestra e coro era incomprensibile perché la qualità del suono di Radio 3 era pessima.
    Non so nulla di regia, ma dico solo che secondo me una regia è valida quando appare tutto normale, quando non ti devi domandare il significato di ciò che sta accadendo. Il problema altrimenti è che, oltre a non avere senso ed essere negativa (dallo stupido al brutto, al vergognoso ecc.), il tentativo di comprendere il significato della regia distrae l’attenzione dalla musica, che è ovviamente la cosa più importante dell’opera; anzi, secondo me l’unica cosa importante dell’opera.

  13. Parte visiva orribile; parte vocale decorosa. Kaufmann, concordo con Isotta, semplicemente superlativo. Quanto alle voci wagneriane, sono sicuro che Wagner non s’è mai nemmeno sognato una Nilsson, e visto che stravedeva, oinoi, per la Patti, passi pure la Dasch….

    • Patti, la cui voce era amata anche da Verdi.
      Patti, le cui registrazioni sono state effettuate quando era anziana e con alle spalle almeno 40 anni di carriera (un po’ come se giudicassimo la Gruberova oggi senza ascoltare ciò che fece 30 anni fa) e che suonano del massimo interesse se le contestualizziamo, diamo loro la giusta importanza storica e non le usiamo per le “Perle Nere” del Lunedì.
      Wagner che aveva a disposizione Lilli Lehmann, Marianne Brandt (di cui restano testimonianze splendide, anche se anziane come nel caso della seconda, ma che fanno sentire voci integre, duttili e solide), che ammirava Amalie Materna, Pauline Viardot, Marie Wilt, Therese Vogl e Therese Titiens le quali avevano repertori che partivano da Gluck e passavano da Meyerbeer, Rossini, Bellini, Weber, Donizetti etc. cosa che la Dasch può solo immaginare…
      Quindi di Nilsson, ma anche di Flagstad, Leider, Larsen-Todsen, Varnay, Grob-Prandl, Mueller ce n’erano una caterva anche ai suoi tempi.

    • piano con la patti…piano…….che quella ha inciso dischi da ritirata, a quasi dieci anni che non faceva più un’opera e quattro o cinque che nemmeno faceva concerti. E ciò nonostante è incomparabile con la dash…smettiamo di dite sciocchezze sui cantanti di wagner e del suo tempo, soprattutto quando non si conosce ciò di cui si parla

    • Isotta ha scritto una recensione dello scandaloso Simon Boccanegra di Roma di un falso e vergognoso inauditi. Ha detto che Petean è da annoverare tra i grandi baritoni… uno con una voce tutta ingolata da fare schifo.
      Ma poi che vuol dire che Wagner non s’è mai sognato una Nilsson? All’epoca di Wagner c’erano immensi cantanti… come la Patti.
      Invece Kaufmann non è proprio un cantante; è un’altra cosa: che cosa? Va’ a capire! La Dasch sembrava uno zombi che cantava.

    • la parte visiva non era “orribile”, era noiosa, già vista e banalotta, orribile vorrebbe dire già riconoscerle del carattere, che non aveva; quella musicale è già stata benissimo descritta da altri, Io ho evitato interventi in chat ieri sera perchè ero troppo depresso. Depresso dal sentire una musica così bella massacrata dalla gola di Kaufmann; ma per favore ma di cosa stiamo parlando… “Kaufmann superlativo”? Kaufmann non è neanche un cantante; Kaufmann è un attore che una volta salito sul palcoscenico intona il testo all’accompagnamento orchestrale, ma non ha niente a che vedere con il canto; e non sto parlando di scuola antica, di scuola italiana, tedesca o russa, sto parlando semplicemente di canto. Non c’è traccia di organizzazione vocale in quella gola. Kaufman sta al canto come Fantozzi a una finale olimpica dei 100 metri. Ne esce vivo solo perchè al contrario di Tomasson, riesce a non stonare troppo. Poi è ovvio che un pubblico che applaude le urla di Tomasson, in modo direttamente proporzionale decreti un trionfo a Kaufmann, ma questo non vuol dire che ieri sera si sia rasentata la decenza.

    • Consiglio a ratcliff di sentirle bene le registrazioni della Patti, perché quanto a controllo del fiato, seppur con tutti i problemi dovuti all’età e al logoramento del mezzo, mette scopa a quasi tutti i cantanti d’oggi. E poi vorrei ricordare che i mezzi di registrazione dei primissimi anni del ‘900 avevano qualche impercettibile differenza di presa audio rispetto agli odierni studios.

      • la patti anche se scassatissima nelle sue registrazioni è di facilissima lettura. In pratica è una voce che assomiglia alla Caballè con ancora più corpo. Si riesce poi a presumere una capacità virtuosistica di grandissimo spessore che le permetteva di essere molto chiara nel fraseggio anche nella zona siderale del pentagramma

      • … studios (un nome una garanzia) dove tutto è costruito. Solo il live (magari ripreso dagli “impiccioni” piuttosto che da radio compiacenti agli afonoidi con tecnici che tagliano gli armonici a chi ne ha troppi e ne aggiungono a chi non ne ha quasi) o la vecchia bachelite ed il primo vinile possono dare un’idea abbastanza vicina alla realtà.
        Sui “discos de piedra” come si chiamano in Spagna anche nelle registrazioni elettriche post anni ’20 dello scorso secolo, le voci venivano obbligatoriamente messe in primo piano e di solito era sempre “buona la prima”.
        Per cui, contestualizzando come ben dice la Divina Giulia, quelle registrazioni fanno comunque testo. Ed è innegabile che i supposti divi odierni avrebbero da imparare anche dall’ultimo dei comprimari di quel bel tempo andato, sorpassato e jurassico fin che si vuole, ma che sapevano fare una cosa essenziale: emettere i suoni.
        Non cambierei un Nessi con un Kaufmann, per intenderci. Poi certo, in scena il bel jonas fa la sua porca figura: io fossi stato il regista e per la gioia del “respetable” lo avrei pure spogliato nudo. Visto che si doveva immergere nello stagno, scemenza più scemenza meno, ci stava pure 😀

  14. lo spettacolo era davvero brutto, francamente sono stufo di queste regie che non aggiungono nulla al nulla…ma provare a fare un’opera senza regista no?????
    comunque per me la magia della serata di Sant’Ambrogio rimane….sarà per il fatto che inizia il periodo natalizio, sarà per la neve, sarà per il freddo….ma la prima della Scala è sempre la prima della Scala…….è il giorno in cui la mia passione per l’opera rinvigorisce ancora di più….con buona pace di tutti

  15. Sarebbe buona regola, prima di dedicarsi al commentario e alle note, redigere il testo.

    Il primo grado della scrittura scenica (ossia del lavoro del regista) dovrebbe consistere nella chiarezza e nella ricchezza del racconto.

    Ora, lo spettatore digiuno di Lohengrin trovatosi ad assistere alla rappresentazione in oggetto avrebbe avuto tutto il diritto di credere che la storia ivi narrata (per noi il testo) fosse quella di una infelice fanciulla che – in risposta alle angherie della sua sadica maestra di piano – abbandona lo studio dello strumento per darsi al canto, con esiti per altro disastrosi.

    Tale travisamento od offuscamento della trama, dunque, può essere sormontato solo da chi l’opera la conosce a menadito. Ecco la prima mistificazione: lo spettatore cui il nostro regista si rivolge non è il neofita – che di fronte a tanta messe di elucubrazioni drammaturgiche non può che rimanere frastornato e forse per sempre allontanato (“nun ce venghe chiù”) – bensì la vecchia volpe di teatro capace di districarsi nel ginepraio di rimandi e di riferimenti (per noi il commentario e le note) più o meno azzeccati.

    La bottom line è comunque quella tracciata da Giulia: davanti a una tale deriva vocale e musicale non ci sono Meyerchold, Stanislavskj, Felsenstein, Strehler o Visconti che tengano.

  16. La regia dello spettacolo non era brutta ma stupida! Il terzo atto si svolge in parte nella stanza nuziale…quì in un canneto con acqua..ciò è solo STUPIDO! Gli interpreti mi sono parsi in gran parte inadatti (ricordate le polemiche feroci sulla Connel 1981 ?)
    Ciò che mi mortifica è la prestazione di Kaufmann che DEVE esprimere un giovane di valore (non un epilettico) quindi canto pulito chiaro (infatti tenorile) .Cosa abbiamo visto ? L’opposto e allora
    le damasse della scala si sono accontentate di un Toy Boy.
    Buon divertimento, ma non spacciatelo per il Lohengrin, per favore!

    • Non concordo interamente: certe parti, oltre che stupide, erano indiscutibilmente brutte (il secondo atto, dove tutto finisce in una casa di ringhiera nemmeno troppo bella); la recitazione era insensata, ma ben eseguita dai cantanti (forse il loro unico pregio), in particolare dalla Herlitzius.
      Dal punto di vista del piacere visivo ho trovato interessante solo la prima parte del terzo atto, dove si vedeva solo il canneto: bell’idea, realizzata con gusto, ma totalmente inadatta al Lohengrin, per le ragioni che hai elencato qui sopra.
      Per cui secondo me questo allestimento era proprio inadatto all’opera. E brutto.

  17. Dimenticavo che è tempo di segnalare che la Rai trasmette in audio in una qualita pessima: basta ascoltare la radio austriaca, quella bavarese, la spagnola o la francese per rendersi conto dell’abisso qualitativo…Quindi a che prò pagare questa tassa sul macinato che è il canone Rai ?

  18. Nelle ambasce dell’insonnia, posso buttare giù qualche pensiero sparso?

    Semplicemente stupendo scorrere la recensione e trovarsi i faccioni degli intramontabili Laurel e Hardy; ho pensato ad un velato accenno alla coppia regina scaligera, la L&B Company. Sono troppo malizioso?

    Sul pubblico, è vexata quaestio, ma quello di Sant’Ambrogio è molto particolare. Io l’ho sempre pensato come una passerella di vip e vippetti, ministri, tromboni, trombati, starlettine, e via discorrendo. Ci saranno anche solidi e veri appassionati, ma molti stanno all’opera come i cavoli alla merenda. Non volendo apparire rozzi e incolti, applaudono e si sdilinguano, sognando in cuor loro che la serata-penitenza finisca presto.

    Un utente kaufmaniano ha fatto precisazioni circa le difficoltà dovute alle posizioni cui la regia costringeva a cantare il Gran Fico: ma se la demenza del regista impone posture incompatili col canto, l’artista dovrebbe avere gli attributi per dire: “No, perché così non riesco a cantare”. Ma è veramente solo questione di postura? A metà anni Settanta, a Genova, ho visto una Magda sessantacinquenne cantare da par suo “Vissi d’arte” sdraiata sul canapè (per la cronaca, con Lei cantava anche Protti). Se non ricordo male, però, al kaufmaniano non piace la Olivero; de gustibus…

    Per chi ha visto il Simone romano: io ho il biglietto per martedì, Simon Boccanegra, complice l’interpretazione che ne diede Cappuccilli, è la mia opera preferita, canterà Salsi, non sono un devoto di Muti; che dite: andrò a farmi del male?

    • Se hai superato indenne questo LOHENGRIN, credo che il SIMONE ti risulterà un balsamo per le orecchie. Un amico spagnolo, molto entusiasta devo dire, mi ha appena detto che gli è parso “de lo mejorcito que he escuchado en mi vida”. Sicché :-)
      PS la sola Agresta, secondo me, vale già il costo del vaiggio 😉 e Muti nel SIMONE se potessi non me lo perderei…

      • A me l’Agresta non dispiace per niente. Anzi è una delle poche che sappiano ancora cosa voglia dire usare la voce.
        Magari non adesso, ma con un po’ più di maturità vocale non la vedrei male come Elsa…

          • D’accordissimo, però bisogna vedere se riesce già a cantare tranquillamente Maria/Amelia con pieno governo della parte. Sicuramente mette sotto tante altre che si fa torto all’Agresta a definirle “sue colleghe”, però Amelia come Elsa sono dopotutto grandi personaggi: ne rifinisca bene bene una e poi passi pure all’altra.
            Comunque una come l’Agresta è segno che il canto non è morto. E nemmeno la Yamaha riuscirà ad ucciderlo del tutto. (Ho troppa fede, lo so).

    • Sei sicuro che canterà Salsi? Quando l’ho visto io, cantava un certo George Petean ed era previsto un solo baritono nella distribuzione. Salsi l’ho ascoltato una volta sola e mi è piaciuto tantissimo.
      Cmq ti posso dire che lo spettacolo è molto bello, lo definirei “equilibrato”. Lo scenografo Ferretti è una garanzia. Magari non dici “whow”, per l’assenza di qualcosa di eclatante (in bene e in male), ma è in ogni caso un gran bello spettacolo.
      Su Muti non commento, visto che tutti conoscono la sua maestria. La Agresta molto molto brava. Certo, avevo nelle orecchie la Freni…però è un’interprete veramente di livello. L’unica critica che posso muoverle è che forse risultava non troppo disinvolta ma questo è sicuramente colpa della regia un po’ troppo statica. Bravo anche Meli, voce giovane, generosa, fresca, trasmette tutto l’ardore e l’entusiasmo degli anni giovanili verso l’amore come verso le idee politiche.
      Secondo me, di livello appena appena più basso Petean (però avevo nelle orecchie Cappuccilli…); tuttavia, anche la sua è stata un’interpretazione di tutto rispetto e soprattutto si percepiva che l’interprete aveva studiato il personaggio, facendo uno scavo psicologico notevole. Molto buone anche le sue qualità di attore.
      Non male gli altri interpreti.
      Ti auguro un buono spettacolo! Facci sapere le tue impressioni!
      Luigi
      P.S.: altro spettacolo che secondo me merita il viaggio è “I due Foscari”

      • Sorry, è vero, il programma annunciava a suo tempo Petean/Solari, ora è rimasto solo Petean. Salsi dovrebbe cantare nei Foscari e nel Nabucco, alternadosi a Solari.
        Comunque non devo viaggiare perchè sono un genovese trapiantato a Roma; ho già il biglietto per i Foscari.

        • Meglio così cmq. Solari lo ascoltai qualche anno fa e mi piacque tantissimo. Poi lo riascoltai lo scorso anno nel Macbeth (sostituì il primo baritono indisposto) e non mi avevo convinto fino in fondo. In un ruolo altrettanto complesso come Simone…

    • Ed allora vi dico io del Simone romano, al quale mi sono recato in data 6-XII (parlerò del cast perché se non c’è quello non c’è l’opera): Simone-Petean, vergognoso: voce tutta ingolata, tanto per non cambiare; Adorno-Meli, vergognoso: tre voci diverse, spoggiato, strilli, suoni orribili; Amelia-Agresta, male: dalla Signora mi aspettavo di più, ma invece: pessimo registro grave, urla in acuti, suoni indietro; Fiesco-Dmitry Beloselskiy, abbastanza buono: onestamente non sono stato in grado di capire se era abbastanza buono in virtù di doti naturali più che di tecnica (sicuramente le I erano ingolate): l’aria senza dubbio è stata sufficiente, non di più; forse a dimostrazione della mancanza di una buona tecnica (necessaria per cantare bene frasi tipo “il serto a lei dei martiri” ecc.). Insomma, un pessimo spettacolo.

  19. Domandina semplice semplice agli ammiratori del Divo bavarese. A parte l’ intonazione sempre, diciamo così, ballerina, nessuno di voi ha notato che nel Gralserzählung il MI sulla parola “Taube” calava di un quarto di tono abbondante? Va bene che alla Scala ormai si stecca e stona in piena libertà, vedi il caso della Netrebko e del suo sonoro scrocco sul si bemolle prima del Rondò di Donna Anna, però…

          • kaufman é uno che lavora molto sul pezzo. Io la prima volta lo sentii nel requiem (quello di tre-quattro anni fa) e mi impressiono’ molto per questa voglia di curare i dettagli. La corona su taube é chiaramente un punto che stimola qualsiasi cantante. Lui l’ha tenuta lunghissima e come sua consuetudine ci ha lavorato molto. Controllerò ma é probabile che tu abbia ragione però t faccio presente che dal vivo m ricordo una nota tenuta dal ppp al p di una certa efficacia. Poi se leggi sono stato il primo a dire che metà “in fernem land” cantato piano é troppo, Ricordiamoci infine che siamo dal vivo e arrivare alla romanza ancora abbastanza freschi é già un grande risultato. Pensiamo al Jerusalem che nella edizione ufficiale di Abbado non ci riesce in studio e forse si può capire il successo (meritato) di Kaufmann

          • “kaufman é uno che lavora molto sul pezzo.”
            Ma per favore Alberto! Dovrebbe stare più sulla sua voce invece invece che sl pezzo, viste le gravi lacune tecniche pressoché assolute a cominciare dall’emissione!
            K è l’alfiere di un malcanto indifendibile: fattene una ragione.

    • Sì sì Mozart, su quel mi naturale l’intonazione dilettantesca è molto evidente, ma del resto ogni attacco era calante, poi lui aggiusta alla bell’e meglio l’intonazione mediante le contrazioni di gola. Sai che ho dovuto leggere in una recensione ufficiale che questo sarebbe un canto sempre sul fiato?

    • Bravo Mozy! Stavolta il suono calante su Taube l’ho mancato al primo colpo: forse perché si salva in corner? In compenso ho sentito bene quella su “herab”, la grattata su “gebracht” e la calata su “den rüstet”.
      D’altra parte è comprensibile: una fonazione orrenda come questa fa ponti d’oro ad una intonazione traballante.
      Alberto: paragoni tra giganti e abitanti di Lilliput lasciamoli perdere per cortesia.

  20. no no se fossi un tenore non canterei così…però lo rispetto molto. Ha una enorme passione per il canto (altrimenti non avrebbe imitato Vickers quando ha deciso di cambiare voce) e una notevole cura del dettaglio. Ad agosto lo avevo sentito molto affaticato e temevo che nel L. mi avrebbe deluso. A proposito Fazzari, ti ho preparato la risposta che mi chiedevi sulla bartoli, appena le acque si calmano o si ri-scatenano la pubblico. Altrimenti se non temi advances (visto quello che mi dici su Jonas) dammi mail che ti mando anche un regalo

  21. Sulle questioni vocali non entro nel merito, ma davvero è inaccettabile che un pubblico così ingessato non abbia distrutto il regista. Peraltro, le presunte “novità” di tale lettura inguardabile erano già presenti nell’ultimo Lohengrin scaligero diretto da Gatti: il solito Lohengrin antieroe; il solito coro militar/ottocentesceo; la solita identificazione Wagner/Lohengrin; c’era perfino il pianoforte in scena!!! (questa volta verticale, l’ultima volta era a coda…); la solita rinuncia al fiabesco. Questa lettura registica è molto più vecchia, banale, manierata e prevedibile di una qualsiasi imitazione di Zeffirelli – che se non altro non irrita e non costringe i cantanti a pose circensi, inutili alla drammaturgia e dannosi per la fonazione. Non se ne può più.

    • Altro spunto da Paolo: la NOVITA’. Uno spettacolo non deve essere adeguato, bello, significativo, stimolante, ma solo nuovo. Ed il nuovo è una categoria a se stante, sganciata dal testo, dove chiunque, dal genio al cretino, colloca il suo ego, il suo senso estetico ( ormai parliamo di gusto per il brutto sterile), le sue intuizione ma anche qualunque cazzata già vista altrove, magari, ma mai in quel titolo, ed ecco prepdisposto il “nuovo”. basta che sia nuovo….che poi n on c’entro nulla, che sia insignificante o ridicolo o brutto o volgare o gratuito o scemo…….l’importante è che sia nuovo!

      • Io penso che la necessità del “nuovo” nasca dalla fossilizzazione del repertorio: siccome non si rappresentano più opere nuove, o almeno se ne rappresentano pochissime, e siccome quelle che si rappresentano sono vecchie e risapute, l’unico modo per rinfrescarle un po’, dando così qualcosa di diverso dal solito al pubblico, è cambiarne la regia; ovvero l’unico cosa che si può cambiare.

  22. Per prepararmi adeguatamente alla rappesentazione 😀 ho acquistato il DVD allegato all’espresso Lohengrin (DVD): Claudio Abbado, Plácido Domingo, Robert Lloyd, Cheryl Studer, Hartmut Welker, Dunja Vejzovic, Georg Tichy … mi ha colpito Ortrud Vejzovic … ha un timbro strano, ma non mi e’ affatto dispiaciuto … anzi …alnche König Heinrich,Telramund e l’araldo mi sono sembrati all’altezza dei ruoli … Elsa non mi e’ piaciuta e Placido Domingo Lohengrin in alcuni tratti l’ho trovato comico … le parti corali ottime cosi’ come la direzione … Non so se e’ la migliore direzione di Abbado …. Vorrei ascoltare una registrazione di Jochum e poi mi preparo ad assistere allo spettacolo …. sempre che riesca a farmi largo t
    tra i rubizzi turisti russi e i ridanciani fotografi giapponesi ….:-)
    cmq mi potreste indicare le grandi Ortrud del passato ?

    • purtroppo delle grandi ortrud del passato non c’è traccia alludo alla schumann-heick ed alla stignani . Sai che siamo molto nostalgici per guardare a quello che c’è ti suggerirei la nicolai in italiano con la tebaldi, la ludwig ed eva marton di cui c’è un video dal met

    • Bisogna premettere comunque che la scrittura vocale di Ortrud è l’ideale per cantare male e urlare. Io non sopporto un simile trattamento dello strumento vocale, una tale percussiva insistenza sull’acuto è la negazione di ogni buona maniera vocale. Le frasi che insistono su quella tessitura diventano solo versacci belli o brutti ma solo suoni, le bocche forni spalancati, l’articolazione della parola fisicamente impossibile. E’ proprio questo modo criminale di scrivere per le voci che ha prodotto la prima fase della decadenza vocale nel secondo Ottocento.

      • Credo che piu’ che brutta la partitura vocale di Ortrud sia problematica … richiede grande abilita’ per non inciampare nelle trappole che hai indicato … il personaggio mi sembra piu’ interessante della solare Elsa … e’ affine a lady Macbeth … mi sembra … cmq affinero’ l’orecchio per quanto posso :-) che disastro doversi solo affidare a delle registrazioni …. le vostre critiche mi aiutano ad addentrarmi sempre di piu’ nel fantastico mondo del canto grazie

      • Aggiungo che ho ascoltato il preludio eseguito da Jochum (bayreuth 1954) e Furtwangler 1936 ….fantastici … non credo si possa fare di meglio ….. inoltre come si puo’ eliminare il cigno dalla rappresentazione ? il tremolio dei violini nel preludio non richiama forse quello delle ali del cigno di Lohengrin ? … e poi il mistero dell’arrivo dal mare … che tristezza :-(

        • Tanto per essere chiari e in attesa dell’immancabile avvento delle predicatrici sempre pronte a stracciarsi le vesti (sotto le quali per il solito c’è ben poco da esibire), preciso che Mancini ha parlato di scrittura vocale “criminale” nel senso di “irragionevole, assurda”, come del resto è evidente per chiunque sappia leggere (quindi, non per le predicatrici di cui sopra).

          • beh tamburini allora usa i “termini assurdi e irragionavoli”
            criminale vuol dire crimine fare un reato per me non è logico usarla in questo contesto tutto qui

          • senti pasquale, mai sentito dire …musica scritta bene per voce ….musica scritta male?…ecco, la scrittira di ortrud ha dei passi dove non gridare è davvero dura…dunque, se parliamo tra persone intelligenti,ok,andiamo avanti. Se invece vogliamo darci alle cosa pretestuose e demenziali tanto per rompere, forse questo non è il posto giusto, no?

        • La parola criminale caro Pasquale se serve a qualificare una delle cause principali della decadenza del canto, della rovina delle voci, ossia del loro progressivo indurimento nella folle corsa a declamazioni sempre più acute, la uso finché mi pare. Sia chiaro a te ed ai tuoi amici di là, che non mi abbasso a commentare.

          • ma dai mancini cerca di essere ragionevole.,rifletti quello che per te è decadenza,in qualche caso è evoluzione,tutto si evolve anche la musica, anche il modo di cantare,sempre sottointeso che si canti in maniera ortodossa,cerca di essere un po piu elastico,e ricorda che io sono amico di tutti quelli che amano discutere e dialogare,penso che ormai mi conosci.

    • Marjorie Lawrence, Kerstin Thorborg, Karin Branzell, Margarete Klose, Astrid Varnay, Christa Ludwig, Rita Gorr (live da Bayreuth), Gwyneth Jones, Grace Hoffmann, Elena Nicolai, Waltraud Meier, Evgenia Smolenskaya, Eva Marton…
      Interessante Ursula Schroder-Feinen, ma nel live da Bayreuth dei primi anni ’70

        • Grazie Olivia!
          Oltre alla Zajick, davvero sorprendente che giustamente Giulia (e Judy) hanno ricordato, mi sarebbe piaciuto ascoltare le Ortrud della Bumbry, della Verrett, della Casolla, della Cossotto, della Dimitrova…
          Magari la Casolla è ancora in tempo :)

          • direi che urge un post riparatorio sulla vocalità di Ortrud! :)
            Mi permetto una piccola richiesta: mi piacerebbe capire cosa significa che ci sono passi in cui è difficile non urlare, dal punto di vista di quali sono le note scritte nello spartito…

          • ragazzuoli, urge…disvergersi. Ossia , datevi una mossa. Come detto, la pasta fece un post a suo tempo su ortrud della zajich. Comincizte da lì. Il nostro planning è stracolmo….

          • Una scrittura sillabica, quindi non vocalizzata, che insiste di continuo su note come fa, sol, la, come avviene in certi momenti nella parte di Ortrud, è la negazione di ogni buona maniera vocale, prima di tutto perché non si capirà mezza parola, e difatti non si capisce MAI mezza parola di ciò che strilla qualsivoglia Ortrud, e d’altronde è fisicamente impossibile – per le donne in particolar modo – riuscire a dire le parole a quelle altezze (chiunque sappia scrivere minimamente per le voci sa che è nel centro che il cantante dev’essere chiamato a cantare e ad articolare la parola, l’uso del declamato su tessiture acute e acutissime ha prodotto l’alzamento delle voci, sempre più piccole e buone solo a fare acuti, ed il loro indurimento, basta leggere quel che scrive Francesco Lamperti), e poi è una scrittura pesantissima che premia prima di tutto il superdotato e che non si presta ad un canto espressivo ma solo a rudi dimostrazioni di atletismo. E’ un trattamento strumentale, astratto della voce che non tiene conto dei suoi limiti fisici. Questo modo di scrivere ha trasformato soprani e mezzosoprani nelle attuali strillone dalla pronuncia incomprensibile, la peggiore caricatura del canto che il teatro d’opera abbia mai partorito.

          • Non sono d’accordo, o meglio non del tutto.
            La scrittura di Ortrud è molto frastagliata, è vero, e se sei una strillona (e ce ne sono tante) non farai capire nulla, appoggerai la voce in gola, l’emissione senza appoggio inizierà a ballare, il timbro diventerà aspro e acido e urlerai gli acuti e la parte sembrerà partorita da un Berg o uno Schonberg sotto i fumi dell’assenzio.
            Cantanti di rango che ho menzionato in altri post hanno fatto semplicemente ciò che Wagner voleva: cantare sulla parola, senza urlare o inasprire la voce, ma cantando sempre e facendo capire tutto.
            Wagner nelle lettere a Lizst ad esempio impone che i cantanti si esercitino prima con il testo leggendolo ad alta voce (ed il suo pensiero, e lo scrive, va ai cantanti italiani campione di dizione) e poi con il maestro associare il canto (perchè Wagner parla SEMPRE DI CANTO) alla parola ed ai tempi che egli ha previsto in partitura.
            Se sei una cantante preparata non urlerai una nota, nonostante la tentazione; se non hai i requisiti sarai una strillona e avremo il panorama da te descritto.

            Per questo mi irrito molto quando mi dicono “Vabbé, ma in Ortrud qualche urlo ci sta!”
            NO, troppo facile; perché le note ed i desideri del compositore sono messi li apposta a ricordare che TUTTO va cantato; se ci deve essere un urlo i compositori ed i librettisti lo hanno sempre scritto, ma quando ci sono le note esse si cantano… come Wagnerm, appunto, voleva!

          • Sì ma cantare sulla parola una frase che si dipana tra il fa ed il la acuti non è fisicamente possibile. In acuto le donne possono solo spalancare la bocca ed emettere vocali larghe tendenti alla A, non c’è possibilità di fare le diverse vocali né quindi di pronunciare con chiarezza. C’era un motivo ben preciso se i compositori più antichi facevano sillabare solo nel centro e sfogare nel settore acuto solo mediante il vocalizzo.

          • Grazie Mancini per l’impeccabile convincente spiegazione. E’ esattamente quanto immaginavo.

          • Grazie Giuditta del magnifico post con relativi ascolti strepitosi a me sfuggiti, e grazie al facilitatore Aurelio.

            x Marco.
            Reputo che Mancini abbia fondamentalmente ragione, senza nulla togliere alla grandezza di quella che è, a mio avviso, la più sublime piazzata nella storia dell’opera lirica.

            Un inchino devoto alle signore Ludwig e De Los Angeles (artista sovente in affanno nel registro acuto dopo un certo periodo, ma non in questa occasione).

  23. per Der Krlkoenig: a mio modesto avviso puoi comiciare con Astrid Varnay (che aveva anche interpretato Elsa), poi la Ludwig che interpreta Ortrud in modo molto diverso dalla Varnay e per questo e’ interessante ascoltarle entrambe. Mi rimetto poi, ovviamente al parere dei molto piu’ esperti curatori di questo sito.

  24. Caro Pasquale, non c’è davvero da meravigliarsi se Mancini coinvolge Wagner nella decadenza del canto. Per lui tutto è decadenza, a partire da un’ipotetica età dell’oro che non si sa cosa sia o quando sia mai esistita. Le sue gelide dissezioni vocali, vere dichiarazioni della propria competenza e dell’incompetenza altrui, possono avere un vaghissimo sentore di ragionevolezza; ma proprio vago, basate come sono sull’arroganza con cui sono espresse. Ma quando si esce di lì, il mare magno dell’irrazionalità la fa da padrone; e tutto vi affoga. A proposito. Fra i responsabili della decadenza dell’arte del canto non esiterei a porre, accanto a Wagner, anche quel mediocre compositore che fu Carl Maria von Weber, la cui “Euryanthe” tratteggia nei due personaggi di Eglantine e di Lysiart i progenitori diretti, anche dal punto di vista vocale, di Ortrud e Telramund. Non sarebbe male riservare pure a lui una giusta e meritata “damnatio memoriae”.
    Marco Ninci

  25. Il problema è sempre quello. Una scrittura che non permette il tipo di canto che piace a Mancini per lui appartiene alla decadenza. Ma questo è assurdo, appunto perché il canto non è e non può essere uno.
    Marco Ninci

  26. Mamma mia che stress con sto Lohengrin! Tanto per cambiare un po’ il discorso : ho visto ieri in video di Traviata da Napoli con regia di Opzetek, regista i cui film mi piacciono quasi sempre, ebbene che noi e che banalità! fedele fin che si vuole (o quasi) al libretto ma a parte qualche idea decente (per altro scopiazzata da Visconti e Zeffirelli) non ditemi che questo è il modo di fare regia d’opera. Quante Traviate abbiamo visto fatte così? Consideranto il mediocre livello musicale a chi verrebbe più voglia di andare a teatro e cacciare un sacco di soldi per sta banalità? Meglio sentirsi un Cd e sognare….

    • beh l’ha detto anche la Gianattasio se non vi va ascoltatevi i dischi ( e qualcuno in un sms alla radio ha scritto “cominci tu ad ascoltarli prima di cantare”)
      comunque di scenografie strambe sulla Traviata ne hanno fatto tante come quella alla stazione ferroviara con la Mei .
      manca solo che la facciano morire appesa a un lampadario,è cosi siamo completi
      scusate il fuori tema.
      tornando in tema Lohengrin,ma perche si grattavano tanto i protagonisti,e la causa delle assenze per indisposizione dei due soprani,forse era dovuta alla scena del canneto,dove c’era l’acqua,magari quel furbone del regista ha fatto le prove obbligandoli a stare con i piedi in ammollo con l’acqua fredda …ah ah

  27. Mi ricollegavo in parte al discorso di Antonino, ovvero considerata la bassissima qualità musicale degli allestimenti che ALMENO la regia proponga qualcosa di interessante (opinabile e discutibile fin che si vuole, ma non il museo delle cere per carita! guardavo il programma di sala della Scala e al vedere certe foto di passati Lohengrin con un grottesco Windgassen travestito da leghista in cotta medioevale , mediocre cantante anche lui per altro con acuti orrendi e mezzevoci tutte “indietro”, mi son detto meno male che alla Scala ho visto Kau se non altro è carino e si muove bene in scena!) Ciao

  28. Dispiace che Wagner prima di scrivere il Lohengrin non abbia incintrato Mancini, qavrebbe avuto molto da imparare ed evitato di scrivere quella robaccia. Comunque fa piacere che – nell’inesorabile declino vocale in corso, propiaziato dal Lohengrin – abbiamo trovato qualcuno che si salvi. Crozza.

    • no, una storia del canto o dell’opera lirica basta e avanza. Il belcanto ossia il comporre ad hoc per la voce. La fine del belcanto. L’opera di verdi e wagner. Mai letto verdi quando dice che siccome non ci sono più i grandi belcantisti , cambia il modo di scrivere il canto? O wagner quando parla della sua idea di canto, del nuovo canto tedesco? La differenza tra come e a quali fini componga rossini, ad esempio, rispetto a verdi o a awagner la conoscete? Ne avete mai sentito parlare? Se non siete in grado di capire, forse dovreste, prima di mandare post cretini e da completi sprovveduti, informarvi……almeno domandarvi se state davvero capendo il senso dei discorsi o delle battute che leggete qui. Andate ateatro parlando di cultura……ma voi ne avete davvero di cultura? Perchè una cultura vocale non mi pare traspaia da quanto scrivete. Eppure andate all’opera….che è fatta di canto anche con wagner e verdi……..

      • guarda verdi e wagner non erano meno pieni di se di g.b.m. credevano d scrivere bene per le voci e pure d intendersente. poi uno diceva che rubini belava laltro ce l aveva con fancelli che poi veniva difeso dalla moglie che forse se ne intendeva piu d lui e che forse non le avrebbe aperto quella linea d credito che grazie a nabucco ed ernani le fece perdere la voce…

      • Grisi, il belcanto – inteso quale fenomeno storico – non è “comporre ad hoc per la voce”.
        ( Aggiungerei che mi sfugge completamente il senso di tanta tua animosità. Siamo forse tra tifosi allo stadio?)

        • gianmario, mancini ti ha dato una spiegazione vocale. Ci sono scritture che portano all’urlo chi non è fenomeno ( immagino concorderai con me che ci sono fenomeni che riescono a cantare sempre senza mai urlare e cantanti normali….) . Ti ha detto che quella è una parte dove è diffcile non urlare per ragioni di scrittura. Punto. Ma siccome gli scopi drammaturgici del musicista sono di un certo tipo, la scrittura è quella. E cmq wagner quante volte ha scritto pensando alla voce ?…..praticamente mai, posto che non ha mai detto o ammesso l’urlo nel suo canto…..avanti, smettiamo con le gratuità e parliamo in modo costruttivo.

          • Donna Grisi ha scritto riferendosi a Mancini “Ti ha detto che quella è una parte dove è difficile non urlare per ragioni di scrittura. Punto. Ma siccome gli scopi drammaturgici del musicista sono di un certo tipo, la scrittura è quella.”

            io ho chiesto a mancini in un commento precedente “mancini te lo sei chiesto perche wagner ha composto la musica sul personaggio su Ortrud in quel modo,cosa voleva ottenere?”

            la risposta glie la dai tu adesso,non che Wagner si divertiva a scassare le voci,comunque da diversi ascolti è dimostrato che questo ruolo si può cantare senza urlare come per chiamare la gente per comprare pesce .

          • Capisco che il canto wagneriano possa piacere o meno. Un vostro critico prediletto parlava di “berci nibelungici” e non ha mai mai amato davvero Wagner ( legittimamente, del resto: ma perdendosi molto ). Però – scusatemi – trovo ci sia del comico involontario quando si pretende di dare lezioni perfino a Wagner. Anche la scrittura vocale di Berlioz – per fare un esempio – è maledettamente infida. E quella di Beethoven. Ma la loro non era la sensibilità del maestro di musica italiano. E non credo abbiano da ricevere, tanto più postumamente, lezioni da nessuno. L’ideale sarebbe scambiare idee senza che qualcuno, che tra l’altro non capisco da dove derivi legittimità per farlo, s’impanchi a giudice e maestro. Spesso facendo anche un po’ sorridere.

          • La decadenza del canto va saputa inquadrare secondo diverse prospettive una di queste è senz’altro il modo di scrivere per le voci che si affermò con il Romanticismo. Non lo dico solo io ma anche un certo Francesco Lamperti.

          • ma non si da lezioni a wagner….ma dai!….si parla di modi diversi di scrivere e di cantare. Quanto al critico, lo tirano sempre in ballo gli altri, soprattutto quelli che non hanno letto lui nè noi. Ci sono fior di differenze e ci riteniamo parecchio indipendenti, nonostante si dica, in malafede, il contrario. Qui di wagner se me ascolta tanto, prima cosa. E su molti fenomeni generali del canto siamo assai diversi di opinione….come pure su certi cantanti. Stasera ridevo pensando al tuo primo post, perchè in efffetti qui si va dall’ideale di mancini a crozza come argomenti dialettici. Un contrsto che mi fa molto ridere. E ti lascio con una cosa assai ridicola e divertente ma serissima al tempo stesso. Sul tubo, cerca kimchilia bartoli, che canta agitata da due venti. Poi cerva l’originale. Riderai molto a vedere e sentire il bravo kim….altro che crozza. Poi rifletti un po come ho fatto io….perchè se la caricatura è uguale all’orignale, allora …uhuhuhui……mi sa che c’è un problema nell’originale. Ti prego, ascolta e poi dimmi perchè……c’è da pensare davvero!

          • no no, non hai capito, a venire sacrificata da una scrittura che insiste in quel modo sugli acuti prima ancora della fonazione è proprio la parola. Sfido chiunque a capire cosa diavolo stia dicendo Ortrud mentre bercia i suoi acuti.

    • Invito a leggere le lettere wagneriane per capire meglio. A Wagner interessava la fonazione, interessava la parola, interessava la dizione ed il canto e statene certi che non sacrificava nulla, ma anzi accentuava attraverso la summa di tutti questi aspetti l’espressività e gli effetti che voleva ottenere.
      Quando canta Ortrud io capisco tutto e senza libretto e credo che bisogna approfondire meglio il compositore e l’argomento e vi invito a leggere l’intervista Grisi-Brandt di qualche anno fa con la bibliografia apposita.

      • Aggiungo che Wagner ha scritto pensando alle voci quando ebbe a che fare con il tenore Tichatschek (Rienzi e in certa parte Tannhauser), la Schroeder-Devrient (Adriano, Senta, la prima Venus), Albert Niemann (sempre in parte Tannhauser, ma anche Siegmund), Johanna Jachmann-Wagner (Elisabeth), Amalie Materna (Kundry), i coniugi Vogl e von Carolsfeld che divennero dei modelli…

        • In linea generale quel che dice Marianne è vero, dal punto di vista storico; non, però, per le coppie Schnorr e Vogl, che Wagner ammirò (più la prima, invero), ma che non poterono ispirargli alcunché, dato che Tristano era già stato scritto, all’epoca in cui Schnorr e Vogl interpretarono la parte; anche un’ampia porzione di Siegfried era già stata scritta, ed è francamente difficile dire se proprio alla vocalità di Schnorr si ispirino il terzo atto di Siegfried, la Goetterdaemmerung e Parsifal.
          Sul discorso Ortrud, vale la pena di precisare che in musica non è mai l’arte che si adegua alla tecnica, ma la tecnica che si adegua all’arte; ciò è vero per la voce come per lo strumento (*quante* tonnellate di studi furono scritte per ovviare all’apparente ineseguibilità delle sonate di Beethoven? E quanti scogli tecnici e quanti rischi di tendinite possono presentare i lavori di Chopin e di Liszt?). La parte di Ortrud (come quella di Florestan, di Abigaille e di Turandot, giusto per fare un paio di esempi) è stata scritta per rispondere a determinate istanze artistiche; per eseguirla, evidentemente, serve la giusta tecnica: Frida Leider fu un’eccellente Ortrud, per nulla strillona, e ben lontana dal guastarsi la voce; e così, in tempi più recenti, la Ludwig, le cui parole si comprendevano perfettamente.

          • Intanto io non ho parlato di tecnica ma di voce. La voce ha dei limiti che non dipendono dalla tecnica ma semplicemente dalla sua natura. Pretendere una pronuncia perfetta e poi far declamare la voce femminile sugli acuti, dove pronunciare le diverse vocali non è possibile (e vorrei essere contraddetto su ciò con ascolti che dimostrino il contrario), è una contraddizione che indica scarsa sensibilità verso le esigenze fisiche dello strumento voce. L’arte non è un mero ideale e deve pertanto adeguarsi ai mezzi, agli strumenti con cui viene eseguita. Io non ce l’ho con la Ludwig o con la Leider, loro fanno tutto il possibile. Ma se sostieni che le parole pronunciate sugli acuti siano comprensibili significa che ascolti per finta.

        • purtroppo la voce ha dei limiti (dati dalla fisica, da qualche equazione che si potrebbe scrivere e studiare) che le impediscono di adattarsi in ogni situazione all’arte.
          è vero invece che la tecnica – seguendo Mancini – deve adattarsi all’arte del canto (ma ad un’arte che deve essere pur sempre “ragionevole”).
          dopo gli ascolti dal post-Pasta vorrei però omaggiare la signora Ludwig: (libretto alla mano) capivo tutto quello che diceva. discussione molto interessante e stimolante!

      • Le lettere a mio avviso lasciano il tempo che trovano… D’altronde a chi sulla carta non dovrebbe interessare la buona fonazione, la pronuncia chiara, l’espressività? Chi mai direbbe che non vuole che si canti bene?!?!? Poi si tratta di vedere come le cose vengono messe in pratica. Qui si parlava di Ortrud, ruolo che ha richiesto non pochi compromessi vocali anche alle migliori cantanti che l’hanno eseguito, come evidenziato anche nell’articolo della Pasta. E la colpa, suggerisco io, non è sempre tutta dei cantanti, ma anche di chi scrive certe cose… E se mi dici che tu riesci a capire le parole che Ortrud istericamente starnazza nel Fahr heim devo concludere che hai una immaginazione ed un intuito a dir poco formidabili… Io oltre a non capire una sillaba la giudico una scrittura irrispettosa dei limiti naturali dello strumento vocale.

        • Le lettere sono una testimonianza diretta e vanno contestualizzate, come tutto del resto.
          Se Wagner ha preteso durante il primo allestimento del Ring a Bayreuth un logopedista e studioso dei linguaggi onde correggere i difetti di pronuncia e di dizione dei cantanti, se ha preteso che un direttore di scena a Weimar imponesse ai cantanti uno studio meticoloso del testo e delle partiture (mentre Wagner era in esilio), se ha preteso la presenza di determinati cantanti, credo siano dei fatti che chiariscono meglio delle lettere ciò che intendesse fare con la propria musica.
          Ortrud non starnazza nulla nel Fahr heim e non sono la mia immaginazione o il mio intuito a farmi capire cosa CANTA, ma le mie orecchie ed il mio cervello. Come sempre.
          Non trovo nulla di irrispettoso nella scrittura di Ortrud, altri sono i ruoli incantabili (prova con la Marie de “Die Soldaten” di Zimmermann e ne riparliamo 😉 ) piuttosto trovo irrispettoso che la si starnazzi.
          Tannhauser e Siegfried (o il terzo atto del Tristan) ecco quelli si che sono ruoli al limite delle capacità umane e che rappresentano la composizione di un ideale spinto all’estremo per troppo entusiasmo.

        • Ripeto, poco mi importa che lui pretendesse dizione perfetta e ottimi cantanti, quando leggendo la parte di Ortrud osservo una scrittura sillabica che insiste in quel modo sulla zona acuta. Wagner poteva pretendere quel che voleva, ma una parte scritta così resta impossibile da risolvere senza compromessi, e anche il miglior maestro di dizione non potrà mai far sì che un soprano su la acuto possa riuscire a fare una vocale diversa da una generica A. Questo è l’abc della vocalità. Del Fahr heim infatti checché tu ne dica non si capisce NULLA ogniqualvolta la voce superi il fa acuto (né potrebbe essere diversamente, con una simile scrittura: se pretendeva pronuncia perfetta era meglio imparasse prima di tutto a scrivere per le voci…).

          http://www.youtube.com/watch?v=_fJoeRS83cM

          http://www.youtube.com/watch?v=9VCxrJQ4oxY

  29. Decadenza del canto o decadenza del belcanto ( cioè del canto in una sua fase storica )? Personalmente tutto l’armamentario belcantistico mi entusiasma meno di un declamato drammatico di epoca tardoromantica. E capisco bene che chi ama un certo tipo di virtuosismo possa vedervi una decadenza. Chi privilegia le ragioni dell’ “opera as drama” no. Da questo punto di vista – per esempio – il raffronto che Kerman fa tra Otello di Rossini e Otello di Verdi è impietoso. O quando Mila parla di declamato drammatico contrapposto alle forme chiuse che strappano l’applauso volgare. Ergo: coltivare certezze marmoree può portare soccorsi esistenziali, ma la realtà è più varia e complessa di quello che le nostre semplificazioni possono far credere. Si può parlare di decadenza del canto solo se si prenda un particolare stile e tipo e lo si assuma – metastoricamente – a categoria platonica. Cosa che oggi, evidentemente, non può farsi.

        • Non sai sostenere un contraddittorio in modo logico. Io ti sto dicendo che chiunque ci sia a cantare la parte di Ortrud resta sempre impossibile capire le parole nei passi declamati in zona acuta, e tu mi obietti che la Sutherland aveva dizione confusa, osservazione che non c’entra niente con il discorso che si sta facendo. Dimostri ancora una volta che sei qui solo per provocare non per discutere. Madama Grisi però è assai più liberale di me, ci tengo ad informarti che i tuoi commenti io li butterei nella spazzatura tutti dal primo all’ultimo.

          • Io invece le opinioni altrui – comprese le tue – le rispetto anche quando non le condivido.

          • Sì sì sì io sono brutto e cattivo tu sei un santo. Io rispetto l’intenzione seria di discutere, non la provocazione sterile e pretestuosa.

    • dai gianmario, così non vale! Quesro non è un colpo ma un time out. Il gioco è andare avanti rispondendo nel merito. La joan non è un buon argomento con mancini perchè la sua dizione è stata già deprecata da lui. Come da molti in passato. Però nel nobile declamata d jonas, che canta wagner che i tedeschi vogliono eseguitocon grande e pura dizione, nessuno osserva che ha una dizione tedesca che fa schifo ( perchè il tedesco non losanno in germania?)
      dunque, il duello riprende ma stoccata non era valida……..attenzione, pronti…via!

  30. Su internet intanto si leggono perle del genere: “Evelyn Herlitzius è stata straordinaria. Nonostante qualche rumor su una sua scarsa forma vocale, gli acuti sono sfolgoranti (l’Entweite Götter è stato letteralmente da brivido) e la caratura è quella di una delle più grandi Hochdramatische degli ultimi vent’anni, l’ultima Brunnhilde degna di tal nome apparsa a Bayreuth, nonché Elektra trascendentale: il secondo atto è letteralmente dominato dalla sua personalità stratosferica, una di quelle che mandano definitivamente in cantina le vecchie urlatrici del passato remoto tipo Grob Prandl; o di quello prossimo, come Gabriele Schnaut.”.
    Poveri noi.

  31. Ormai è sempre la stessa solfa. Dirette televisive operistiche, cantanti cani e soprattutto regie stomachevoli.
    Cercasi lampade per geni. Troppi stanno vagabondando, è ora che si trovi loro casa.
    Nulla di personale, ma sono diventato allergico a tutti coloro che utilizzano la parola “genio” per i registi d’ opera che pensano di essere le reincarnazioni progressiste dei musicisti e dei librettisti e la parola “Divo/a” per bonazze da copertina e fusti da palestra con un po’ di voce.

  32. certo proprio è al di fuori dalla mia portata,leggendo in giro ancora un po vanno in delirio per la voce” viscerale” del bel Kaufmann. io lo vedrei come attore di prosa,e commedie sex per signore attempate…

  33. Su Kaufmann in questi giorni se ne sono lette tante, ma il Premio Pulitzer della baggianata va senza ombra di dubbio a quel tale che ha scritto che il tenore tedesco canta sul fiato.
    Ora, Kaufmann può essere apprezzato dai suoi estimatori per le qualità interpretative, per la musicalità, per la presenza scenica, ma scrivere che canta sul fiato significa non avere la minima idea di quello che si sta dicendo o voler prendere in giro la gente. Tertium non datur.

  34. Ho visto la recita del 18, praticamente la “prima” con il cast della “prima”.
    Partiamo dalle cose inutili:
    Tomasson e Lucic: voci piccole, stonate, vociferanti, urlanti, fisse in acuto, emissione buzzurra e volgare, il primo sovente coperto dall’orchestra.
    L’allestimento di Guth è insignificante, nemmeno brutto, proprio vuoto, scialbo, glaciale: mentre lo guardi pensi ad altro, perché la regia non c’è, è inesistente. Soldi sprecati.

    Kaufmann: voce di medio calibro (non piccola, ma nemmeno un cannone) corre bene e non viene mai coperto dall’orchestra.Ha una discreta personalità scenica (non è ‘sto attore di travolgente intensità: sa stare in scena e sa come muoversi STOP). L’emissione è rozza e tutti quei falsettini, quei sbadigli, quei suoni gutturali e manierati innervosiscono e spinge quando sale, anche se non stona.
    La voce me l’aspettavo più ingolata e indietro, mentre il timbro ammetto abbia una certa suggestione.
    A mio parere se ne parla troppo nel bene e nel male perchè ha tutti i pregi ed i difetti dei tenori di oggi.
    Canta più che discretamente SOLO il duetto d’amore trovando l’accento giusto ed una voce più libera e naturale che non sforza. Il racconto del Graal sembra “ErlKonig” cantata da Cura con il fraseggio strappacore di Alvarez e diventa noioso e pensi alla tua vita: davvero sembrava che dovesse esclamare “Mein Vater, Mein Vater” tante sono le voci ed i manierismi che ci mette.
    Anja Harteros ha 4 volte la voce di Kaufmann: è ingolata, in basso fatica un po’, il timbro è freddo, ma mi piace molto, la voce corre benissimo in sala, si sente ovunque, azzecca l’accento e tutti gli acuti, piazza 3 pianissimi splendidi e sia l’interprete che la cantante, rispetto alle prove di Monaco in cui sembrava un manichino, sono convincenti e commoventi.
    La Herlitzius nel concertato del primo atto non esisteva: nel secondo la voce è come quella di Kaufmann, ovvero di medio calibro nel volume. E’ diseguale nei registri, acida nel timbro, sarebbe un soprano lirico che in virtù del timbro “stregonesco” e di una certa importanza diventa “drammatico” (ma nell’espressione); è una divertentissima strillona ed una interprete varia e mi piace il suo fraseggio. Ed era molto più misurata e quindi sottile.
    Pape ha senza dubbio una voce piccola e chiara, ma non strilla, ha una certa compostezza, corre bene senza farsi travolgere, sgarra un acuto al terzo atto che va indietro, ma nel complesso incarna una buona prova.
    Barenboim a parte qualche lentezza nel primo atto dirige un bellissimo Lohengrin enigmatico e nervoso.
    Ottoni da fustigazione in piazza.

    Serata che mi ha divertito molto.

    • beh mi pare che la recensione sia sovrapponibile alla mia della prima (avevo sentito anche la seconda con la modesta Pettersen). Circa la Harteros di cui circolavano pareri sulla sua prova generale, fa piacere che abbia fatto tre buoni pianissimi e che la voce fosse ben proiettata, tuttavia non credo che in lei si possano nutrire grandi aspettative per il repertorio italiano (ovviamente giudico il suo requiem con suoni fissi e scarso dinamismo e la sua Amelia sempre scaligera poco duttile e flessibile). L’aggettivo “divertente” per la Herlitzius me lo hai fregato perché é calzantissimo anche se sono fiero di aver scritto nel mio post che é una che lotta sempre con i suoi pregi e i suoi difetti. Su K. apprezzo la tua onestà e penso che potrai confermare che un baritono come Zeliko Lucic (vi ricordo non solo Scarpia alla Scala ma persino Macbeth a Salzburg) era sfuocato e soverchiato dal volume del tenore. Nel 1981 come araldo c’era Welker che probabilmente costava un terzo ma risuonava il doppio….

      • La Harteros dovrebbe cantare ruoli come Contessa, Donna Elvira, Elettra (Idomeneo), Agathe, Elsa, Elisabeth, Eva, azzarderei anche Sieglinde, Arabella, Capriccio, Marescialla… seguire cioé il percorso di una Della Casa, di una Grummer (pur non potendo contare sulla loro purezza e sulla loro raffinatezza… e poi non erano ingolate :D, ma possiede un gran temperamento, più convincente rispetto alla sua Elsa-manichino di Monaco ), ma il repertorio italiano fossi in lei lo lascerei perdere. La sua Elisabetta nel “Don Carlo” di Monaco era un fallimento e la metteva alla frusta.

        Lucic non ne ha presa una. Già è un pessimo interprete verdiano, come Araldo dimostra semplicemente che l’unico modo di farsi sentire è urlare dannatamente stonando e vociferando in maniera volgare.

          • Comunque, la Harteros non aveva cantato male neanche nel Simon Boccanegra, a mio modesto avviso. E’ che in questo Lohengrin ha finalmente tirato un po’ fuori le unghie, cancellando l’impressione di nobile gas inerte che mi aveva lasciato soprattutto nel Tannhaeuser.
            Anche a me è venuto i n mente Schubert ascoltando Kaufmann cantare In fernem Land, ma in senso positivo! L’ha proprio cantato come un Lied, sostenuto da un orchestra morbidissima! E uscendo dal teatro ho cominciato a fantasticare, canticchiando, sul programma del recital previsto per giugno: Das Maedchen sprach von Liebe, die Mutter gar von Eh’…

            U

          • Il problema è che In Fernem Land non è un Lied e non è stato scritto da Schubert 😀
            E per cantarlo devi tirar fuori anche il lato eroico, non solo quello manierato-intimista-strappacore a metà tra Schopenhauer ed il micidiale duo Freud-Jung: stai raccontando la storia della tua stirpe, l’orgoglio di essere un Cavaliere asservito a DIo ed al Graal, non stai meditando e patendo indicibili sofferenze sulla condizione della razza umana o sulle domande cosmiche del creato (e questo sarebbe troppo noioso e arzigogolato anche per interpretare Erlkonig) 😀

          • il problema è che la vuoi fare come un lied, un grande liederista non canta così!!! Il fatto che oggi iliederisti parlino con vociacce sgraziate non significa che il lied si canti così. I grandi liederisti sanno legare e cantare piano tenedo la voce avanti. Giustificare il malcanto rapportandosi ad un genere devastato dai cani di lingia tedesca francamente è cosa assai peggiore che dire che questo tenore canta bene. E’ accettabile in wagner, perchè wagner aiuta a sentire meno i difetti sui fondamentali del canto lirico.

          • Come ben sai la Rethberg, la Leider, la Muller avevano tra le varie doti, anche quella di padroneggiare stili e tessiture di vari autori. La Harteros, non essendo nessuna delle tre, purtroppo è più limitata ed in Verdi non riesce ad avere la stessa sicurezza dimostrata in Wagner perché non ne padroneggia tessitura e stile.
            Se coltivasse il suo orticello saremmo tutti più lieti e grati.

          • Mozart, Wagner e Strauss, i miei tre autori preferiti, non sono poi certo un orticello! E come Kaiserin nella FroSch? Tecnicamente dovrebbe poterla cantare , no?

            U

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