“Der Grisi Ring”, undicesima puntata: “Gotterdammerung”, Le tre Norne

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Dall’esaltazione erotica e amorosa del finale del “Siegfried”, veniamo ora catapultati in una dimensione in cui il vero protagonista è il tempo: il tempo che diventa spazio e luogo, come nel “Parsifal”.
In una sorta di Limbo sospeso (il libretto ci parla della Rocca delle Valkirie, ma potrebbe essere benissimo un non-luogo) le Norne-Parche-Moire, figure sapienziali, figlie nate dal grembo di Erda, lo stesso dal quale Wotan estorse le Valkirie, donne del destino che pretesero un occhio da Wotan in cambio della Conoscenza, le Norne, dicevo, tessono il filo del destino e cantano il passato, il presente ed il futuro: fanno il riassunto delle puntate precedenti con qualche anticipazione, diremmo oggi.
Figure opposte rispetto alle maliziose, giovani filatrici già diversamente utilizzate da Wagner nel “Fliegende Hollander”, certamente più macabre queste, ma forse anche quelle tessevano inconsapevoli il destino dell’Olandese e di Senta secondo una visione del fantastico ottocentesco.
Questo è il secondo Prologo del Ring, dopo il “Rheingold”, ma a differenza di quest’ultimo, si suddivide in due sole scene.
Il Tema del Risveglio di Brunnhilde principia questa prima scena, ma non ha lo splendore della giornata precedente, è più sacrale, più altero, più onirico, parola associata alla Madre Erda, che viene evocata in orchestra assieme all’Enigma del destino ed alla Fune.
La Prima Norna si desta, o meglio, rompe il silenzio sul Tema del Frassino del mondo; le rispondono le sue sorelle nell’intrecciarsi dei motivi di Loge, del Sonno, del Walhalla, della Fune, gli archi suonano lentamente con un timbro freddo e notturno.
La filatura della Fune del destino ha inizio e con essa i fili dei motivi che si accavallano nelle narrazioni delle tre dee: sono musicati in maniera feroce, mentre accompagnano un canto largo e profetico suddiviso in tre momenti, come i Tempi a cui fanno riferimento, che si increspa solo nell’alta tessitura della Terza Norna. Sono tasselli didascalici che fanno apparire musicalmente i soggetti a cui le divinità si rivolgono: ritroviamo Wotan con il Patto, il Walhalla e la Potenza degli dei, il loro Crepuscolo; Brunnhilde nell’Annuncio di morte, nelle Rune.
Il terzo episodio è più ritmato e drammatico trattandosi del futuro; un futuro cieco e preoccupante che le tre donne non sanno narrare: la Prima Norna narra dell’Anello, dell’Oro del Reno, delle Ondine e del Nibelungo avido di potenza e Rinunciatario dell’amore; la Seconda si strugge sul tema del Dominio; la Terza tende il filo con più forza, lo aggroviglia, lo spezza mentre risuonano il Corno di Siegfried e la Maledizione associati, che presagiscono sia la sua fine sia la conseguente morte degli dei.
Il filo si è spezzato, la Storia è terminata, nulla più si può narrare. Il ruolo delle Norne è finito; sono divinità inutili ormai, che possono solo compiere un ultimo gesto descritto da Wagner con i suoi motivi: tornare alla Madre, dormire con essa, sognare il Crepuscolo degli dei.

Krauss nell’evocazione del Risveglio avvolge il suono di brume misteriosissime e metafisiche, grazie agli archi che sembrano quasi suonare musica novecentesca grazie ad un suono asciutto e ovattato.
Il terzetto iniziale ha lo stesso impatto emotivo dell’Annuncio di morte; i temi hanno la stessa sottolineatura che riscontreremo in von Karajan, ma con Krauss possiedono una natura pessimista e più in bianco e nero, ma eguale ricchezza timbrica.
La von Ilosvay è la Prima Norna più umana e dalla voce più calda; spigoloso e severo il fraseggio della Malaniuk, che canta con dovizia; peculiare come sempre la Resnik, la quale possedeva timbro personale ed emissione torbida, come l’interprete, anche in questo caso movimentatissima.

Knappertsbusch ci immerge immediatamente in un Limbo di terribile intensità.
E’ un’oscurità, la sua, che si apre a qualche spiraglio di luce: una luce fredda, poco rassicurante, crepuscolare ricchissima di rallentamenti (l’accompagnamento alla Seconda e Terza Norna sono paradigmatici) che non appesantiscono la narrazione, trasformandola in suspance.
Le Norne emergono serpeggiando da questo abisso dipinto mirabilmente da Kna, solennemente, ma senza speranza.
Evocativa la voce della Madeira, chiara in natura, ma scurita gonfiando percettibilmente, pur rimanendo salda; fumosa e impastata la voce della Boese; Terza Norna di peso è Rita Gorr, mezzosoprano nominalmente, qui a suo agio in una tessitura molto acuta. La Gorr da fondo a tutta la sua ieraticità grazie ad una ampiezza di pregio.

Von Karajan possiede probabilmente l’attacco più dolce, in cui il tema del risveglio suona nella sua mestizia contrapponendosi al crescendo etereo degli archi prima messi sullo sfondo, poi sempre più in primo piano. Tempi indugianti che evocano angoscia, ma non paura, forse anche troppo lenti. Tutti i motivi wagneriani sono esaltati e accarezzati in una luce più calda rispetto all’interpretazione di Kna.
La Chookasian è contralto dalla voce fonda, ma messa alla prova da tempi così dilatati, tanto da farla lievemente ballare; più a suo agio la voce della Ludwig, statuaria come una dea velata; regge bene anche la Ligendza, misteriosa come interprete capace di sfumare, difettosa nell’emissione degli acuti che suonano metallici, ma non stonati.

Boulez si conferma direttore di spiccata sensibilità.
La filologia lo spinge a privilegiare suoni dilavati e tenebrosi, e tempi che alternano lentezze appropriate nei momenti solo musicali, a velocità repentine per i momenti cantati, senza temere l’asprezza dei toni, al contrario, utilizzandoli per creare un’atmosfera pessimista quanto ultraterrena.
Le voci si adeguano: la Wenkel ha voce contraltile un poco dimessa e indietro negli acuti; la Schnaut, quasi esordiente e qui mezzosoprano, asseconda meglio il direttore sfruttando il registro centrale timbrato, ma leggermente oscillante ed un fraseggio secco e sbrigativo; timbro chiaro, emissione fragile e fraseggio disperato per la Terza Norna della Clarke.

Marianne Brandt

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