Joyce Di Donato in concerto alla Scala

Bel successo per Joyce Di Donato in concerto alla Scala di Milano domenica sera. Un programma dedicato alla città di Venezia che la simpatica “Joyce” del Kansas ha dispensato ad un teatro entusiasta per una cantante divenuta beniamina milanese. Un programma vocalmente non molto impegnativo ( il must è arrivato al secondo dei tre bis, col rondò di Elena dalla Donna del Lago ) composto di brani più o meno noti di scrittura essenzialmente centrale, abbastanza originale, con alcuni pezzi rari, come quelli di Head, legati appunto dal tema della città di Venezia e che la signora Di Donato ha ampiamente introdotto a parole nel corso della serata. La verve comunicativa della cantante americana è la carta vincente su cui fa apertamente leva nelle sue apparizioni concertistiche come nelle interviste: brillante, volutamente antidiva, ha cercato da subito il dialogo col pubblico con uno stile intenzionalmente “easy” e screziato di sense of humor. Appare molto “Broadway” e tutta americana nel presentarsi al pubblico, il clamoroso saluto alla vecchia amica pianista in palco reale, trionfante in piedi a fare il tifo, gli aneddoti sul proprio arrivo in Scala, la scoperta dell’Italia, molto accattivante ma anche un po’ troppo insistit, come il chiasso cromatico del secondo abito. Sarà forse perché noi andiamo a teatro con le orecchie molto grandi e sviluppate, come Topo Gigio, o forse perché non è la prima cantante a mostrarsi estroversa sul palco, ma la Di Donato non ci ha distolto più di tanto dal canto. Alcuni hanno discusso la scelta degli autori e la scelta tematica. Al contrario, chi scrive ha osservato come tutto fosse pressoché perfetto o adeguato al presente, il contrasto di stile tra i due abiti, il pianista, il cotè del programma, il suo entrare in confidenza con la gente, la personalità frizzante. I risultati vocali, però, sono indipendenti da tutto questo: la “Gesamtkunstwerk” del concerto lirico è ancora fortemente legata a ciò che si canta e a come lo si canta, il resto conta fino ad un certo punto ed in misura minore rispetto ad un ‘opera lirica ove si recita, ci si trasforma in altro da sé, si interagisce con gli altri etc.
Il punto è che, archiviata la perfezione dell’aura allestita attorno alla cantante, il mezzosoprano canta con un apparato di risorse tecniche a dir poco limitato ed i risultati espressivi, oltre che meramente vocali, restano poca cosa. Joyce Di Donato manovra un voce di soprano lirico, un tempo forse anche più importante, senza l’adeguato controllo del fiato, e da qui discende tutto quanto si è sentito. La sua innata musicalità ed il suo talento comunicativo si arrestano laddove la voce, costantemente priva di appoggio, può essere emessa solo falsettando oppure dispiegata sul mezzoforte. Ha cercato di controllare l’emissione sgraziata che da sempre caratterizza il suo canto in zona grave, riuscendo più di altre volte a non suonare aperta e chioccia, grazie anche alla saggia scelta dei brani. Le salite all’acuto, peraltro, soffrono anch’esse di una mancata soluzione del passaggio superiore e quindi la voce finisce per suonare assottigliata, col colore e la lievità del sopranino leggero. Rispetto ad altre prove, come l’ultima Donna del Lago, si sono sentite fissità regolari sia nelle note tenute che nelle messe di voce, sia in tessitura centrale che in quella acuta. Inutile dire delle agilità dell’Ercole sul Termodonte o di quelle, che sarebbero di forza, del rondò di Elena, sempre falsettate, per giunta piuttosto spianate le vorticose serie di quartine rossiniane del finale. Insomma una cantante che possiede tutto quello che dovrebbe stare attorno ad un sano imposto tecnico per essere una star a tutto tondo in forza del canto. Non conosco le prove iniziali di questa carriera, quindi non so se dobbiamo ritenere questo stato di cose derivato dalla sua impostazione originaria oppure dall’adeguamento alle mode correnti, pericolose e nocive, come il caso Dessay ci ha insegnato. E’ certo che la corrente mancanza di gusto per la voce omogenea in tutti i registri, per il suono coperto e stilizzato, per l’acrobazia nitida e scintillante, concorrono attivamente a che questi cantanti, una volta divenuti famosi, finiscano per perdersi dietro le mode come quella baroccara per la voce falsettata e diseguale o l’attitudine alle contaminazioni con altri generi come il musical o il jazz etc, che, assunte come libertà individuali ed espressive o desiderio di trasformare il cantante lirico in qualcosa di più moderno ed al passo coi tempi ( la signora Di Donato mi pare lo abbia dichiarato in una bellissima intervista a skyclassica all’epoca della Donna del Lago scaligera..), finiscono in realtà per accelerare i declini vocali, al giorno d’oggi straordinariamente precoci e rapidi. A chi è abituato ad osservare i cantanti mentre cantano, non è sfuggita la fatica del mezzo americano, il suo debito di fiato in più di una occasione, su un programma, ripeto, dal tasso tecnico piuttosto contenuto. Sostenere il suono è un’impresa ardua anche per poco tempo. Da tutto questo discende il fraseggio poco variegato che abbiamo udito, per tutte la Canzone del salice di Desdemona.
Ha trionfato Joyce Di Donato, trasmettendo allegria e serenità, ma il grande canto è davvero altra cosa.

Antonio Vivaldi

da Ercole su ‘l Termodonte
Onde chiare che sussurrate (Hippolyte, atto II)
Amato ben (Hippolyte, atto III)Gabriel FauréCinq Mélodies op. 58, ‘De Venise’
n. 1 Mandoline
n. 2 En sourdine
n. 3 Green
n. 4 À Clymène
n. 5 C’est l’extase

Gioachino Rossini

da Péchés de vieillesse vol. 1
“La regata veneziana”:
n. 8 Anzoleta avanti la regata
n. 9 Anzoleta co passa la regata
n. 10 Anzoleta dopo la regata

Gioachino Rossinida

Otello, Assisa a’ piè d’un salice (Desdemona, atto III)

Michael Head

Three Songs of Venice
n. 1 The Gondolier
n. 2 St. Mark’s Square
n. 3 Rainstorm

Reynaldo Hahn Venezia
n. 1 Sopra l’acque indormenzada
n. 2 La barcheta
n. 3 L’avertimento
n. 5 Che pecà
n. 6 La primavera

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6 pensieri su “Joyce Di Donato in concerto alla Scala

  1. Non parlo della DiDonato, non essendoci stato al recital. Non mi è mai piaciuto.
    Grazie per aver messa, però, l’intramontabile, l’inimitabile e l’intensissima Judy Garland, che come fraseggiatrice, interprete e voce è tutt’altra cosa.

  2. FORSE SBAGLIO IO, forse è l’età ma io un Tanti affetti cantato così non l’ho mai sentito. La Di Donato è la migliore? se è così o si vuole che sia così, allora io ho sempre sbagliato ascoltando la HORNE, la BERGANZA, la VON STADE ecc ecc

    • Gentile domenico,
      Altrettanto ho sbagliato io, ascoltando La Anderson, La Giannattasio…

      Signore e signori, per tutta sincerità (non per iniziare la polemica), io vi domando ma cos’è il fascino della Joyce? (L’ultima volta che le ho sentito dal vivo è stata un paio d’anni fa, quando lei incarnava il Compositore nell’ARIADNE al Met… e quello bastava per me.)

    • carissimo siamo in tanti a sbagliare, tutti non abbiamo l’ età….. io però una siffatta mediocrità in quel repertorio non l’avevo mai sentita.
      Quanto alla qualità vocale la voce della Di Donato è brutta e sgradevole nella misura in cui è messa male….
      storia assai molto più vecchia di noi.

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