Aida a Verona: almeno le dune gonfiatele dopo!

Che le gonfino dopo il “Ritorna vincitor” le dune . Che le gonfino dopo la grande aria di Aida, al cambio di scena delle mezze luci, invece di mancare di rispetto alla protagonista, sig.ra Hui He e colleghe delle repliche future, oltre che al pubblico. Un cantante professionista ha il DIRITTO di eseguire senza disturbi di fondo la propria scena accompagnato da un’orchestra senza essere infastidito da rumori di scena. Ed il pubblico ha il DIRITTO ascoltare la voce del cantante accompagnato solo dall’orchestra e non dai flogisti delle scenografie. Il CANTO, la componente principale che i registi e chi li scrittura ritengono ormai un accessorio inutile all’opera lirica, non è più nemmeno degno di svolgersi indisturbato. Siamo arrivati al punto che il pubblico non può più contestare una cattiva prova di un cantate, men che meno chiedere un bis perché è comunque ritenuto cafone , mentre i registi, dall’altra parte, possono schiacciare i cantanti in ogni modo, dire l’ultima parola sulla loro scrittura, obbligarli a gesti di ogni tipo manco fossero saltimbanchi, l’altra sera vestirli come cabine del telefono o mucchi di stracci, obbligarli a sdraiarsi a terra mentre eseguono un pianissimo ( primo dei tre, forse quattro, gesti registici di una produzione senza regia che passerà alla storia solo per i fischi del pubblico alla scena del trionfo ), ficcargli in testa un casco integrale con il caldo soffocante, caricarli su scalette da aereoporto e portarli in trionfo come “Madonne dei rottami”, far cantare il dramma di una donna lacerata dall’amore per l’amante e quello per il padre mentre sulla scena si banchetta ridicolmente con le carni di uno dei tanti coccodrilli di plastica bianca che si aggirano per la scena. Ai registi nessuno si oppone, non c’è più idiozia che non venga avvallata, mentre chi canta pare non contare più nulla.  Si parla solo del  lavoro dei registi, delle loro idee: sabato il Corsera ha dedicato una paginata a questa malriuscita Aida della Fura, mentre i cantanti venivano solo elencati, col nome del rispettivo personaggio tra parentesi. I registi  tutto dirigono, tutto organizzano, tutto decidono per allestire poi obbrobri visivi con cui i cantanti si ritrovano a lottare, perché ormai ogni effetto che tentano di creare, ogni sforzo per restituirci col canto gli intenti dell’autore è vanificato da situazioni che confliggono apertamente con ciò che allestiscono e spesso disturbano il lavoro del cantante, rendendolo più complicato di quanto già non sia. Oltre a sbancare le casse dei teatri naturalmente! Anche in questo caso i cantanti erano gli “accessori” di un caotico agglomerato di brutture, gli scarti di un film di fantascienza, ed il compositore colui che ha predisposto il sottofondo sonoro di una gigantesca macchina aliena ed indifferente a ciò che sulla locandina si annunciava. Aida, musica di Giuseppe Verdi, parole di A. Ghislanzoni! Qui il problema non è quello di una produzione moderna, di un confronto tra ieri ed oggi, di accettare o meno l’ambientazione in un mistico futuro ( tra l’altro contraddittorio con l’idea infantile ed olegrafica, degna di “The Mummy”, di archeologi che scoprono, al preludio, una stele che racconterebbe la storia cui assisteremo..), di capire che i numeri stampati sui vestiti e le pettorine di carta (!) delle comparse o i simboli portati sui pili vogliono rappresentare l’Egitto antico rievocandone la mistica numerologica etc (fin lì ci arriviamo anche noi senza leggere le istruzioni per l’uso nei giornali !), il bottino di guerra che si trasforma nella costruzione dell’electrum che dominerà poi il finale. Con buona pace degli imbonitori che ancor prima che lo spettacolo si fosse concluso avevano già starnazzato gli slogan sul futuro, stigmatizzato i passatisti e dipanato il rosario delle stupidaggini e delle ovvietà e mille altri bla bla bla, il problema è la DISTANZA che regolarmente separa le parole dai fatti, tra ciò che si dichiara di perseguire ed il MODO in cui lo si realizza, tra le ciance dei Dulcamara affiliati e quello che si vede in scena, tra le bellissime immagini del rendering dei bozzetti ( dategli un ‘occhiata anche voi nel web..) e le scene poi costruite. Quel disgraziato trionfo che pareva una sfilata di rifiuti urbani ( tossici direi ), fatto di scatoloni issati sui tralicci (!) ed animali-meccano a metà tra le macchine di Storaro e i cartoni animati, men at work con tute antinfortunistiche arancioni, bidoni rotolanti, la bicicletta che guida l’assurda sfilata degli etiopi, quelle miserrime impalcature su si trovava il trio regale, era al di là di ogni libera ed autonoma concezione interpretativa dell’opera: semplicemente era tutto…inguardabile. Colori, movimenti, tutto affastellato, incoerente e gratuito, assolutamente brutto. Il solo futuro che sono riusciti ad allestire è quello ultimo che attende l’opera lirica grazie al loro modo di approcciarne la messa in scena, figlio poi di un modo presuntuoso di guardare e giudicare il teatro musicale. Il cinema, anche quello di seconda scelta, ci ha regalato fantascientifici scenari da Dune o Stargate o Star Wars o Alien o altro  infinitamente meglio realizzati di questo, che scopiazza dal cinema, oltre che dal Cirque di soleil, ma che col cinema non può nemmeno pensare di competere.
Non ci si può sottrarre al confronto con ciò che si è già visto nella storia dell’allestimento di Aida solo perché si esula dalla tradizione teatrale, anche quella delle rappresentazioni stilizzate, quando poi ci si cimenta con la fantascienza cinematrografica. Uscendo dal teatro lirico per entrare nel cinema la Fura ha scelto di rapportarsi ad altro, ed è parsa men che dilettantesca di fronte agli hollywoodiani repertori di mostri, architetture immaginarie, abiti impossibili, congegni di ogni tipo cui si sono applicate la fantasia grafica, il gusto per il design, l’ingegneria robotica, l’hot couture futurista dei maghi del colossal cinematografico americano. L’architettura necessaria al colossal scenografico non c’era, nonostante fosse stata annunciata dagli operatori (ecologici), dimentichi della storia esemplare dell’Arena, qui sfruttata come già in mille altre occasioni meno pretenziose in modo limitato, con le teorie di comparse che reggevano luminarie e le dune sulla gradinata posteriore. Ciò che serviva ai personaggi per essere credibili sul piano del look, a meno forse della protagonista, risolto in scarsa misura se non fallito. La regia televisiva ha evidenziato impietosamente la latitanza nel vestire e nel truccare, in varia misura, Radames-Sartori, Amneris-Casolla e Amonasro –Maestri, mentre la regia era quella della lirica dalle scene dipinte, i protagonisti fermi al proscenio o poco più. I signori cantanti potevano essere lì per la prima volta in quella produzione, bastavano due comparse ad indicare a tenore e mezzo le strutture su cui salire al trionfo; la Casolla ha recitato se stessa, come Maestri, la He e gli altri. Niente di più stonato di una recitazione convenzionale, adeguata solo alla lirica più passatista ( adesso il termine lo usiamo noi! ), all’interno di uno spettacolo marcatamente extraoperistico, che presumeva di essere astratto ed anticonvenzionale. Quei coccodrilli di plastica che popolavano lo sfondo del duetto di Aida e Amonasro, come se i due si fossero ritrovati in un allevamento, erano solo ridicoli di fronte a quelli sorprendenti, fucsia, con cui Cracking Art decorò qualche anno fa alcuni palazzi celebri di Milano. L’acqua vera, servita soltanto a mettere  a bagnomaria i piedi della He, Maestri e Sartori, non portava a nessun Nilo, nessuna mistica perché a lato alcuni disgraziati facevano arrosto un coccodrillo di plastica!  Per non parlare della povera tenda del bouduoir di Amneris, con l’ingenuità della lanterna magica, le ombre dei cani sacri durante la scena dei moretti etc…Il nucleo scenografico pensato della Fura, l’electron delle piramidi,  una struttura rozza e poco sviluppata: il volume che ruota in avanti all’ultima scena coprendo i due amanti che si spengono, è poco più di uno scatolone con le pareti di stagnola, che però immagino sia costato tempo, fatica e…denari. Insomma, l’impressione era quella di un  tutto abborracciato, come se il team non fosse andato oltre l’idea originaria, che necessitava di essere più sviluppata e curata: il trionfo, con quel carosello attorno alle due torri traliccio, movimenti immediati ma banali come un girotondo, è stata la punta di diamante dello scarso sviluppo scenografico, coreografico e registico dell’idea chiave.
Inutili le interviste ai cantanti, che vorremmo sentire parlare liberamente del loro lavoro ( e non costretti ai clichè come i calciatori ), della vocalità di ciò che stanno interpretando, di loro stessi… Sono stati, invece, crudelmente interrogati sulla bellezza di questa produzione, su quanto ne fossero entusiasti. Già… spontaneamente entusiasti di partecipare alla trasformazione dell’opera lirica in una specie di luna park estivo per turisti in fuga dal brutto dove loro vengono trattati come optionals !
Questa produzione ha messo, mio avviso, molta  distanza tra palco e platea, tanto che alla fine gli applausi sono stati ben poca cosa rispetto alle trionfali passerelle da destra a sinistra, da sinistra a destra cui un tempo erano chiamati dal pubblico esaltato. La produzione del ’13 ha uno smalto ed una forza che costringerà la dirigenza areniana a mantenerla viva a lungo e a rottamare subito  questa, ne sono certa.
Quella contro l’opera lirica sembra una congiura di gruppo tra sovrintendenti, direttori artistici e registi privi di idee e riferimenti fondanti, che anziché fare per salvare il teatro lirico, si ingegnano ad accelerarne la fine. Non si capisce perché non sia possibile innestare la retromarcia da questo stato di cose, anche perché l’opinione del pubblico è già scritta sul face dell’Arena come nel web, e non v’è dubbio su come sia stato giudicato questo novello mostro registico . Forse ci si adatterà, perché da tempo si forza la mano alla gente, facendole digerire lo scadimento della qualità visiva, delle idee, oltre che del canto. Procedimento solo in apparenza senza conseguenze, perché l’applausometro in calo è segno di un crescente distacco e disinteresse.

Detto ciò, il cast, composto da cantanti tutti rodati. Su tutti una ritrovata Hui He, che fa ormai apertamente (ed eccessivamente) leva sul lato più dolce e tenero del personaggio. Mi è parsa l’unica che abbia messo in mostra elementi di fraseggio, alcuni anche eleganti, seppure a tratti. Piuttosto, preoccupa il suo continuo ricorso a pianissimi e “pianini” negli acuti, come se la soluzione a voce piena le fosse impedita. Maniera pericolosa quella di fare il verso all’aurea Montserrat, per giunta non disponendo delle medesime qualità timbriche, un po’ perché il personaggio di Aida finisce per sembrare quello di Mimì, un po’ perché il vezzo del falsetto, certamente la risorsa espressiva più accattivante in Hui He, finisce per impedire un uso corretto del registro superiore, come la sfortunata salita al do dei “Cieli azzurri” ha dimostrato. Un’Aida comunque eccellente per il giorno d’oggi. Fabio Sartori Radames ha dato una prova perfettamente in linea col suo standard. Cantante regolare, alle prese, anche lui come il soprano, con una parte più grande di lui, si rifugia nel canto piatto quando le frasi sono difficili o battono una zona scomoda della voce, cercando di fraseggiare solo nei momenti “da passeggio” della parte, come all’inizio della scena della tomba. E’ un Radames privo di squillo, con gli acuti anche indietro, seppur preferibile a certi tenori afflitti da becerismo congenito in cui si può incappare oggigiorno, essendo incapace di volgarità e rozzezze. Giovanna Casolla è stata semplicemente…Giovanna Casolla. A. Maestri è stato in difficoltà continua nelle salite al registro superiore, barcamenandosi malamente con portamenti, contrazioni di gola e suonacci indietro. Ingolati i due bassi Tagliavini e Sampetrean, un filo meglio forse il primo nel ruolo del Re. Taccio della sacerdotessa. Sul podio era O.Meier Wellber, sulla cui arte direttoriale questo sito si è già abbondantemente espresso. Ha diretto un po’ meglio che a Milano, ma sempre con alcune imprecisioni e scollamenti buca palco, sonorità altalenanti e soprattutto accompagnamenti scolastici.

24 pensieri su “Aida a Verona: almeno le dune gonfiatele dopo!

  1. Posso dire : io c’ero ! Totale concordia con quanto detto dalla Divina Grisi , un po’ meno sull’aspetto visivo ( sempre meglio della comparsa di elefanti e cammelli da cui il pubblico attende trepidante l’esibizione scatologica ) Ma una domanda vorrei porre al competente staff ” grisino “. Era il mio debutto ( come spettatore , of course ) all’Arena , in buona posizione ( a dire degli esperti : gradinata centrale) ed ho sentito poco . Colpa della mia ( solo incipiente ) otosclerosi , oppure perche’ all ‘Arena si va a vedere , non a sentire l’Opera ? Perche’ Hui He, dispensatrice di pianissimi e filati si sentiva benissimo , mentre la Casolla , dalla possente stazza vocale , no ?

  2. Le dune gonfiabili e i tralicci? Roba già vista decenni fa. Più precisamente, per quanto mi riguarda, nel 1977 a Zurigo durante un concerto dei Pink Floyd. Oh gente, sono passati 36 anni! Ma sti sedicenti avanguardisti non sanno connettere i due neuroni a testa di cui dispongono per immaginare almeno qualcosa di nuovo?

  3. Non amo particolarmente Aida e in generale il Verdi “senza cabaletta” e quindi non riesco ad appassionarmi troppo alla discussione sugli aspetti tecnici. Tuttavia, trovo saggia opportuna e totalmente sottoscrivibile la perorazione iniziale di Giulia Grisi contro l’invadenza peraltro sterile, infantile e soprattutto dannosa delle regie contemporanee. In particolare concordo con la centralità accordata al pubblico che ha il pieno diritto anzi io direi il dovere di fischiare, zittire e dedicarsi, in caso di bisogno, al lancio di primizie orticole. Allo stesso modo il pubblico può esaltare, incoronare, chiedere bis e dispensare fiori. Questo ferale vezzo di usare in modo improprio i cantanti e di mortificarne il canto, così come il tentativo di anestetizzare il pubblico andrebbero censurati sempre e con forza contrastati.

    • ……beh, dai, lanciare orticole no. Nè insultare. Le parole non vanno bene. Credo che buu basti e avanzi
      Come sia lecito il bis. Credo che ai cantanti vada restituita la priorità di sempre sui registi. Il regista oggi è il primo mentre deve trornare ad essere un ………coadiutore di buon gusto?

  4. imparato non ti offendere, sei un neofita: perchè i luoghi per l’ascolto migliore in arena sono in ordine: a) quelli che sono tra i cantanti e l’ala illuminata della sinistra, perchè i cantanti al buio guardano e li’ lanciano le note, b) la prima gradinata e la seconda gradinata a sinistra, per le stesse ragioni. Peggiori sono quelli di destra (tutti) E’ vero che quelli citati non consentono una visione ottimale, ma dal punto acustico, sì. Daltronde agli amatori del canto interessa meno la scena specialmente se cinematograficamente. Ci sono già troppi critici (musicali, si fa per dire) che scrivono volumi di recensioni quasi esclusivamente sul lato scenografico.

  5. Concordo totalmente con l’escursus di Giulia.
    Bisognerebbe rimandare a scuola tutta la classe registica attuale, e mandarli poi tutti dallo psicanalista, a farsi togliere di testa il delirante complesso di onnipotenza che li pervade e li possiede (belli anche i “due neurini due” mozartiani).
    Quanto al pubblico, panem et circenses in primis, brusca e striglia e/o bastone e carota in secundis, tanto è lì solo per tirare la carretta dei proventi e accettare ogni tipo di fesseria, e va bene così altrimenti gli si possono sempre rifilare un po’ di schiaffazzi fantozziani.
    A differenza di Don Pomponio Storione a me il Verdi di Aida piace, e soffro come un dannato ogni volta che vedo questa meravigliosa opera trattata come una fetta di carne da impanare.
    Confesso che ricordo un paio di occasioni in cui la voglia di tirar ortaggi marci è venuta anche a me che, solitamente, cerco di essere composto anche nel disapprovare.
    Le Aide postate le conosco tutte, quella del ’63 è buona, quella del ’66 è uno sballo, Bergonzi, Gencer, Fiorenza al massimo…, è vero la scenografia e da uovo di pasqua, però si canta eccome !
    Il buon Martinucci nell’81 forse el vusa un cicinin di troppo, però anche quella edizione si fa sentire.
    Tra la direzione di Oren e il grezzo Josè, quella del ’99 è uno scherzo da prete,….d’altronde è il nome del protagonista…
    Ho sentito anche Pavarotti, massacrator di celesti, e il buon Alagna che solitamente la tira là con voce “grossa”, (poi va alla Scala, scivola su un ossicino e si fa fischiare, e non c’ero altrimenti l’avrei buato anch’io), ma qui sono di parte, perchè a me lui non piace.
    Questa la dimentico volentieri, anche perchè le dune gonfie non mi procurano alcun sollievo, e men che meno piacere.
    Quando ho nostalgia mi faccio una flebo di Caniglia, Ebe e Beniamino, senza timore sempre ascoltabili.
    Aspetto ancora sempre che qualcuno canti davvero Radames…
    e mi sa che dovrò pazientare parecchio.
    Saluti a tutti.

  6. Selma : per me ci sono, e son dovuti allo scadimento qualitativo
    degli interpreti. Io la Cossotto, la Kabaivanska, la Scotto, la Caballè
    le ho ascoltate, e quando qualcuna si girava un pò troppo a destra, o a sinistra, capivi che la voce era loro, si affievoliva un poco.
    Oggi cantano anche di lato e forse anche un poco girati, ma il volume non cala mai…..ahi-ahi!.
    Selma vorrei che tu facessi la stessa domanda per certi eroi di palcoscenico, un nome a caso..Kaufmann.

  7. Premessa – durante il viaggio di andata a Verona Radiotre trasmetteva un intervista al direttore O. Meier Wellber che definiva lo spettacolo che stava per andare in scena un Aida ”che rimarrà nei prossimi 100 anni”.
    Aida opera in quattro atti di La Fura dels Baus – La parte visiva è già stata ampiamente descritta dalla Divina Giulia, io vorrei solo informare chi ancora non avesse visto lo spettacolo che lo stesso inizia 10 minuti prima con un prologo muto in cui una squadra di archeologi scovano i resti di una stele che si presume narrante le vicende di Aida e Radames. Ho trovato la cosa particolarmente divertente, a luci accese, con l’andirivieni degli ultimi arrivi alla spicciolata, le urla “bibite, “panini , libretti dell’operaaaa….” il fracasso del calpestio delle gradinate. Buona metà del pubblico li ha scambiati per macchinisti in allestimento scenografia e quindi ignorati. Ingenuo e inutile.
    Quello che colpisce è la totale sfiducia che i registi hanno dimostrato nei confronti della musica; il loro impellente bisogno di “riempire” i tempi della dramma in musica di persone, gesti, cose prive di utilità come se Aida non si reggesse in piedi da sola, come se il teatro musicale fosse per sua intrinseca natura un genere handicappato, minore, da sostenere con immagini forti, da attualizzare, da tradurre.
    E così le dune si gonfiano come enormi metastasi facendo rumore durante “Ritorna vincitor” per poi rimanere li immobili fino alla fine! …e già! ma se le gonfiano prima, tutti quei 7 minuti di musica sarebbero così noiosi! Bisogna riempire quel tempo e siccome “il fin del teatro è la meraviglia” le gonfiamo mentre Aida canta.. e il pubblico stupisce; e la Siri “…numi pietà, del mio soffrir….”
    E così durante “Nume custode vindice” 132 figuranti (il mio vicino di posto si è preso la briga di contarli) escono dalle gradinate e dalla platea con delle sfere luminose in mano e il pubblico stupito e coinvolto corre a fotografare la meraviglia con l’I-Phone.
    E così durante tutto il trionfo con il bottino di guerra 2 gruisti costruiscono una specie di Tetris gigante, e mentre ti domandi “ma quando la finiscono?”…Vratogna “Suo padre! Anch’io pugnai, vinti noi fummo…”
    E così durante il duetto Amonasro-Aida i coccodrilli continuano avanti e indietro e indietro e avanti e quando finalmente parcheggiano a pettine a bordo piscina, un manipolo di etiopi che fino a qual momento se ne erano stati seduti in proscenio attorno ad un fuoco senza neanche tanto disturbare, ne scuoiano uno e lo fanno arrosto; e Sartori “…sacerdote io resto a te”
    E così quando durante tutto il finale il Tetris/fatal pietra scendendo a schiacciare gli sfortunati protagonisti, copre e fa riverberare le voci in modo fastidioso ti dici “mica potranno dei registri che non si sono fatti problemi con le dune del “ Ritorna vincitor” pensare a come influisce la scenografia sull’acustica?”
    C’è un temine che tecnicamente definisce tali trovate registiche e le descrive nel loro più pregnante significato: ruffianate. Ruffianate fatte solo per ingraziarsi i semplici d’animo tra il pubblico. E questa sarebbe regia d’avanguardia? Mah!

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