Emilio Perea: No, non pensarci più (Giordano-Marcella)

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Dopo Osaka ecco un’altra parte creata da Fernando de Lucia, Giorgio nella Marcella di Umberto Giordano: seduttore incallito e impenitente quello, seduttore innocente, ma non meno fatale alla sfortunata protagonista, questo, che ricorda un poco il Carlo della Linda donizettiana. Proprio con quest’ultimo titolo ebbe inizio nel 1904 la carriera di Emilio Perea, che per vent’anni cantò nei teatri italiani, come nell’Europa dell’Est, nella Penisola iberica e in Sudamerica, i titoli del repertorio verista (Iris e Fedora i più duraturi) e, ben più spesso, Mefistofele, Lohengrin, Parsifal e soprattutto il Barbiere di Siviglia, proposto fra l’altro alla Scala nel 1916, in occasione delle celebrazioni per il primo centenario dell’opera, accanto alla de Hidalgo, Stracciari, Antonio Pini-Corsi e Cirino, sul podio Marinuzzi. Ascoltando “No, non pensarci più” viene da pensare che nessun wagneriano post 1950, men che meno tra gli esponenti dell’odierno star system, abbia sfoggiato una comparabile solidità nel passaggio dalla zona dei primi acuti al medium della voce (si ascolti la frase “La lor purezza il pianto non mi veli”, che dal sol diesis scende al fa diesis centrale). Del pari ben pochi specialisti del Conte d’Almaviva hanno dato prova di analoga disinvoltura nella gestione del legato in prima ottava, nello sfumare e colorare il canto, nell’uso della sprezzatura: si ascolti in particolare “Finor non conoscesti che tristezza e fatica” e la transizione a “Or vo’ che tu conosca”, in cui si ritorna al tempo iniziale, ben più solenne ed estatico del previsto Allegro moderato, scelta che probabilmente è all’origine di un suono non proprio a fuoco sul sol diesis coronato di “E ti fiorisca il core”.

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