En attendant l’Africaine IX: Titta Ruffo.

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Voce, voce e poi ancora voce, e una sbalorditiva sicurezza in acuto. Poi i passaggi vocalizzati non sempre (anzi, quasi mai) hanno la fluidità richiesta e si ravvisa, specie nella seconda parte, una tavolozza dinamica abbastanza limitata (laddove lo spartito prevede ben altro). Ma l’accento, al tempo stesso minaccioso e gaglioffo, è decisamente centrato.

17 pensieri su “En attendant l’Africaine IX: Titta Ruffo.

  1. un conto la qualità, un conto la proposizione di titta ruffo. che questo possa essere il paradigma della scuola del muggito nessuno lo nega. Dato il tipo di brano, dato il personaggio e la visione di sapore verista, che permeava in ogni titolo o quasi il baritono pisano non poteva che essere eseguita in questo modo la ballata di Adamanstor. Ma siccome lo scopo non è solo quello di far sentire bei e perfetti suoni (quali quelli di Battistini), ma anche le evoluzioni o involuzioni la proposizione di Titta Ruffo si imponeva. Per utilizzare un paragone abusato ossia la Gioconda di Eugenia Burzio, costellata di cadute di gusto e svarioni di tecnica, ma immagine del gusto del tempo. Gusto che non siamo tenuti ad apprezzare, che possiamo censurare e non solo con il criterio della perfezione del suono, ma che DOBBIAMO conoscere e documentare.

    • Mi sembra ingiusto usare come paragone la Burzio, cantante che spesso è esemplare anche tecnicamente. Ma non vedo il bisogno di documentare questo gusto per un canto baritonale così cagnesco, dato che purtroppo sopravvive ancora oggi.

  2. Voce, voce e poi voce e nient’altro però in questo tardo Ruffo…suono bofonchiato, fraseggio pesante. No, non è questione di gusto d’epoca che in questo Ruffo non mi pare peggiore di altri grandi contemporanei, qua il problema è che in quegli anni la voce di Ruffo era già diventata monocorde e catramosa; dell’interprete di un tempo rimane un vaghissimo accenno e risolve il brano solo con l’impressionante potenza degli acuti; certo si deve conoscere, ma non mi piace.

    • Esatto, bofonchiato, catramoso, sono aggettivi che colgono nel segno. Io non sopporto di sentir cantare così, è davvero pessimo senza se e senza ma. Non ho controllato la data di incisione, è già nella fase finale di carriera forse? Ruffo è cantante che non ascolto quasi mai perché so che non rientra nei miei gusti personali, ma anche nei miei peggiori ricordi non lo facevo inascoltabile come è qui.

      • si aveva già preso la china, calcola che nato nel ’77 debutto ventenne, natura straordinaria, prese lezioni di canto da Lelio Casini e poi se non ricordo male passo fugacemente dal cionservatorio di Roma, praticamente autodidatta; a ventuno anni cantava Trovatore a ventidue Rigoletto, Nel 1920 aveva già più di vent’anni di carriera e con quell’emissione esserci arrivato è già un risultato strepitoso, poi si trascinò ancora qualche anno, ma la voce fu sempre più ingolfata e il fiato più faticoso.

  3. Titta Ruffo come Enrico Caruso, due cantanti dal successo incomprensibile e inspiegabile. Tra i primi della lista dei cantanti più sopravvalutati della storia del disco. Concordo con Giambattista Mancini, Titta Ruffo è cagnesco e aggiungo volgare, anzi volgarissimo.

  4. Per Antonio Cotogni –

    Caro Antonio,
    Sai che hai postato una gran bella incisione?
    Un’incisione che rientra ancora nel periodo buono
    del grande baritono toscano. Non ho detto nel periodo
    d’oro, per carita’, il periodo d’oro finisce nel 1910
    esattamente quando inizia il suo mito e si accentuano i
    demeriti, ma insomma, questa del 13, ripeto,
    e’ incisione che secondo il sottoscritto, ancora appartiene
    al periodo buono. Hai fatto benissimo a postarla, rende l’idea
    di chi fosse questo cantante. Ognuno di noi preferira’ in
    Nelusko questo o quell’artista, ed e’ ovvio che sia cosi’,
    ma, non penso che al di la’ dei gusti o delle personali
    predilezioni questo tuo post sia poi molto criticabile,
    figurarsi, mentre l’ncisione postata da Tamburini e’
    vera sciattezza vocale, ed irritante interpretazione.
    Basta ascoltare. Le mie di orecchie, dicono del brano
    da te postato, che il Nelusko di Titta Ruffo e’ un superdotato,
    dalla voce meravigliosa, in possesso di un fenomenale
    registro superiore, dall’accento piu’ che scandito e
    tutt’altro che ignorante riguardo al corretto metodo di canto,
    anzi anzi anzi. Qualcosa di meglio, per un verso o per l’altro,
    da questo o da qull’artista certamente si puo’ trovare,….qualcosa,…da questo o da quello,….ma
    nell’insieme, caro Cotogni hai postato esattamente
    quello che dovevi postare, e ti diro’ che se Serafin e
    la prozia Concha ne dicevano un gran bene almeno
    fino a prima della grande guerra, non avevano poi cosi’
    torto. Si parla ovviamente di Nelusko, e’ chiaro, no?
    Non di Malatesta o di Falstaff. Ah, che bell’ascolto!!
    Ciao caro. Miguel.

    • Caro Miguel, sono contento che hai colto benissimo il mio intento nel postare quell’incisione. Se Ruffo è diventato Ruffo, dei motivi c’erano… Non eravamo all’epoca dei Kaufmann e delle Netrebko. Ruffo se la vedeva con Battistini, Amato, Stracciari, De Luca, Scotti, Sammarco, Ancona, Magini Coletti, Giraldoni e compagnia cantante, per non parlare dei colleghi francesi. Era un vero superdotato, con in più un grande carisma come interprete. Pare che lui fosse il primo ad ammettere di non “sapere” come si canta (il che non significa che non lo facesse istintivamente bene, almeno nei primi 10 – 15 anni di carriera) ed infatti non ha mai tentato una carriera da insegnante, dimostrando rara onestà. Non è colpa sua l’essere diventato un modello idolatrato dalle generazioni successive, che sono state capaci al massimo di diventare caricature dell’originale.

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