Traviata alla Scala: “ourdinaria ‘mel pan gial!”

traviataHa lucrato applausi la sola Diana Damrau, in una Traviata profondamente brutta, inutile perché mal diretta e mal allestita inficiata  da tempi inadeguati, cattivo suono orchestrale, errori marchiani da teatro parrocchiale, inutili caccole di allestimento e di regia, tante incongruenze: bruttissima. Luisa Mandelli, la storica Annina della Callas, cui i novant’anni hanno restituito uno smalto e un vigore da ventenne, ha  sentenziato sulla Traviata “ourdinaria ‘mel  pan gial!”  Il pubblico, quello stesso che per almeno un lustro ha applaudito la sfilata di cappotti di muri post industriali di salotti ibseniani serviti da sfondo ad Haendel come a Janacek e che, mite come agnello davanti ai suoi tosatori,  si è fatto rieducare, ha ritrovato un po’ di coraggio ed orgoglio ed ha rispedito al mittente con forza questa Traviata, che è stata un mal assemblato massacro alla musica.
E potremmo anche chiuderla qui perché tanto oggi la stampa amica dirà che i talebani, gli oscurantisti hanno espresso la  loro deprecabile, inutile, reazionaria opinione e che hanno condannato , tipo notte dei cristalli, la vera cultura che  veniva servita.
Tutto come da copione: come da copione i fischi che hanno riguardato parte visiva e direttore oltre che l’impresentabile Alfredo di Beczala, graziando l’altra parte musicale, che era tutt’altro che irreprensibile.
L’emblema della serata di uno spettacolo “mal tra’ insema” (per proseguire in questi commenti meneghini) è stata la festa (staccata a tempi da funerale) del II atto, causa le problematiche entrate dei comprimari nella scena del tavolo da gioco e con la diva protagonista incredibilmente fuori scena al momento del primo “Ah perché venni incauta..”. Un autogoal incredibile per una macchina teatrale di altissimo livello come il palco scaligero: il panico ha attraversato la sala al momento del primo buio in sala voluto dal regista, facendo temere l’interruzione, o almeno la fuga del soprano.

Diana, vittima e complice al tempo stesso ( occorre che le stars, se tali sono, si oppongano a certe nefandezze di certi registi come in passato, smettendo anche di nascondere le loro manchevolezze dietro a questi) è stata sostenuta dal pubblico che ha voluto, prima di tutto, essere dalla parte di chi va in scena assoggettato ai voleri di chi l’opera ed il canto offende, di chi costringe i cantanti a fare ciò che non possono fare, di chi li obbliga a snaturare il personaggio fino all’autolesionismo con “trovate” che dimostrano solo insipienza, ignoranza, volgarità e mancanza di buon gusto.
Spericolata, coraggiosa e generosa, ma anche intelligente Diana, che ha accettato di mostrare se stessa e di assecondare il regista su una strada che non si può condividere, soprattutto perchè non ha portato a nulla. Diana, cantante dai limiti sostanziali nel tratteggiare un personaggio che non le sta né per temperamento, né per tipo di canto e di fraseggio, né per la ormai pingue silhouette e il volto da ex ragazza, oggi signora, dolce e perbene che  può, -al massimo, rappresentare le malizie di Norina e non la  vita della consumata Violetta. Diana, l’immagine della salute (malata forse più per iperglicemia che di tisi!)  quando muore al III atto, tanto che si può pensare che i pasticcini che ridicolmente Alfredo-Beczala le offre lei se li mangi tutti. Né pare una prostituta alla festa del II atto, quando il signor Tcherniakov la ridicolizza travestendola da Minnie Minoprio con lo skyline di Betty Midler o la scempia nella cucina stile Messeri, facendole riordinare le tazzine del thè, continuamente esibendone il lato b al pubblico. Nessun aiuto ha avuto Diana dal regista, accettando tutte le stupidaggini registiche: per questo ha avuto il pubblico con sé, ben disposto a dimenticare quello che non funzionava del personaggio, perché è stata indubbiamente coraggiosa. Un soprano leggero in Traviata non ha molte vie percorribili fuori da quelle del canto fatto di suono, legato e di piani, a costruire un accento dolente, patetico, magari anche isterico, o meglio, nevrotico. Ed è proprio sulla nevrosi che Diana non ha saputo convincere, mancando la cifra di Violetta al primo atto soprattutto, perché la sua isteria sapeva di capriccio, un infantile pestare i piedi che nulla c’entra con le manifestazioni della tisica protagonista. Il canto, quello vero, ha latitato per tutto il primo atto con un brindisi solo di inutili mossette da adolescente , un’aria incolore e senza accenti di cui non ha saputo trovare la cifra ed un valzer scolastico, chiuso da un mi bem (il motivo per cui si chiama un soprano leggero a cantare la Violetta) fisso e stonato. Un mezzo disastro sino al “Dite alla giovine” del II atto dove per forza di Verdi ha dovuto cessare il canto espressionista alla tedesca e cominciare a legare, come poi alla festa, quindi all’”Addio del passato”. Cessati gli effettini ed i parlati, usando i piani, a volte belli, a volte, troppo spesso incerti o corti, causa la fatica di gonfiare la voce sul centro per avere un suono corposo, la cantante ha innestato la marcia ed ha portato a casa la sua serata ed il successo. Peccato che non abbia cominciato a farlo prima e che il direttore non sia stato capace di suggerirglielo. Un soprano leggero ( e  tale è la signora Damrau, per giunta con la formazione ed il gusto d’oltralpe ossia il modello Gruberova) può essere Violetta alla sola condizione di creare una protagonista di mirabile acrobazia al finale primo e di lancinante strazio espresso con mezze tinte nel resto dell’opera, arrangiandosi nell’ “Amami Alfredo” e nel “Invitato qui seguirmi”. Ha affrontato il ruolo sentendosi chiaramente in debito di voce e di tasso tragico, per di più non disponendo delle risorse tecniche che potrebbe consentirle di plasmare un personaggio diverso e diversamente plausibile. Certo, per essere una Violetta vittima degli eventi e magari dell’oppressione maschilista prima della legge Merlin, occorre un sound diverso, fatto non di spessore e volume, ma autenticamente  puro e sublimato, quello delle Galli Curci, delle Ivogun, delle Hempel o di…. Beverly Sills. Questo presupporrebbe, peraltro, la presenza di un direttore capace non solo di accompagnare il canto, ma di creare un’atmosfera orchestrale capace di compensare i limiti degli interpreti e di suggerire ai protagonisti le soluzioni espressive più consone al momento scenico e al bagaglio tecnico in capo al singolo interprete. Abbiamo invece udito una direzione lenta, chiassosa e pachidermica, ora letargica ora rapida fino alla caricatura involontaria (cabaletta di Germont), priva di un senso e di una coerenza e soprattutto costantemente “contro” le esigenze degli interpreti, Violetta in primis, cui il da capo dell’aria del I atto poteva essere comodamente scontato. Nel dettaglio: un preludio atto I pesante e privo di atmosfera, un brindisi chiassoso ma senza brio, un accompagnamento per nulla soave ai duetti d’amore, tempi slentati e imbarazzanti tanto al finale primo quanto al duetto Violetta Germont, baccano orchestrale in luogo di bruciante passione all’”Amami Alfredo”, una funerea ed incomprensibile festa di Flora (anche al netto degli svarioni e delle mancate entrate dei solisti), un terzo atto di nuovo all’insegna della piattezza più assoluta e della totale inerzia espressiva. Questa non è una direzione “particolare”, come qualche sventurato commentatore ha osato definirla, è solo (solo!) una direzione che cita Giulini (nientemeno, che però diresse prima la Tebaldi e poi la Callas)) ma non dispone del controllo tecnico e delle voci in grado di condurre in porto l’operazione.

la-traviata-rosa-ponselle-as-violettaQuanto al signor Beczala, che ha imitato tutti i difetti del peggior Di Stefano senza sfoggiarne la qualità naturale e lo slancio interpretativo, può essere contento che il pubblico, severo ma giusto e soprattutto paziente, gli abbia consentito di giungere al termine della rappresentazione, perché in altri tempi le contestazioni, ben più fitte di quelle pur abbondanti piovute al finale, sarebbero cominciate dopo un’esecuzione approssimativa, soprattutto sotto il profilo dell’intonazione nei suoni in zona di passaggio superiore, di “Un dì felice eterea”. Suoni aperti, di gola purissima (si fa per dire!), gracchianti e stonati anche all’aria, in particolare alle battute di conducimento alla cabaletta “O mio rimorso”, che un direttore più attento alla realtà del palcoscenico e non alle proprie fisime avrebbe scorciato, se non cassato. Quanto poi alla scena della borsa, qui mutata in mazzetto di banconote, l’interprete, pour ainsi dire, si è distinto soprattutto per la foga con cui ha preso a calci, assieme al buon gusto e alla decenza vocale, le suddette banconote. Nuovi suoni rauchi e malfermi, dinamica assente, presenza scenica inesistente (e di questo ancora ringraziamo il signor regista!) al “Parigi o cara”, passato del tutto sotto silenzio. Mal che vada, il signor Beczala può sempre riciclarsi in qualche reality show dedicato all’arte culinaria.
Degno padre di tanto figlio, Zeliko Lucic, mugghiante e monocorde come la maggior parte dei baritoni degli ultimi cinquant’anni in una parte che esigerebbe ipocrita varietà di accenti e un minimo di ampiezza e autorevolezza al finale secondo. Il signor Lucic ha anche tentato di essere un Germont père minimamente plausibile. Non vi è riuscito, al pari della mancata nuora, per insufficienza tecnica. Peraltro già ampiamente comprovata nel recente Ballo scaligero. Nota di colore: Lucic è stato l’unico a non essere neppure sfiorato da una contestazione ai saluti finali. Il pubblico ha infatti atteso l’uscita di Beczala per iniziare la “festa”.
I comprimari, tutti indistintamente inferiori alle richieste non certo onerose dei rispettivi ruoli, forniscono l’immagine migliore dello stato dell’arte di questo allestimento e del livello musicale e di preparazione professionale di un teatro ormai assurto al rango di vetrina delle ossessioni di questo o quel metteur en scène. Una chiosa a parte per Mara Zampieri (qui parata come un incrocio tra Vanna Marchi e Giusi Ferrè), che dopo molti anni tornava in Scala, teatro che la vide protagonista di spettacoli indimenticabili (soprattutto per le reazioni che suscitarono nel pubblico!) come una celebre, o meglio tristemente famosa, Fanciulla del West. La voce, di limitato volume, fissa e stonata, è la medesima di trent’anni fa. Un mirabile esempio di coerenza e continuità. Forse è questa la tradizione che la declinante sovrintendenza Lissner intende restaurare in Scala, in luogo di una tradizione deteriore, fatta di ostentato lusso, grandi calibri vocali, sicura professionalità delle maestranze.
Dell’inesistente spettacolo di Tcherniakov (accessoriato di didascalie che potrebbero forse servire a spettatori giunti ad ascoltare la Traviata… di Mozart!) abbiamo detto. Un solo aspetto ci rimane oscuro: se il servo di Flora, che a petto nudo annuncia che la cena (verosimilmente a base di pesce) è pronta, costituisca un omaggio al Fassbinder di “Querelle de Brest” oppure un più contemporaneo riferimento alla pubblicità di un celebre profumo. Forse dovremmo consultare le note di regia, per essere illuminati su questo imprescindibile dettaglio.

Caro Lissner, dichiarare che i talebani sono dappertutto potrebbe suscitare una risposta su altra categoria, quella della ciarlatani, terribilmente invasiva delle strutture artistiche. E’ ora di ammettere il fallimento di questo modo di pensare il teatro lirico che agonizzante, causa il calo delle professionalità di base, tira solo a campare a suon di retorica sulla cultura e stampa collaborazionista, insultando il pubblico pagante che ormai a Milano, come a Madrid, a Parigi, a Berlino, dappertutto in questi giorni, rivendica dignità per l’opera lirica, il canto e i suoi protagonisti.

 

Vi mostriamo un estratto dell’Aida dal Teatro di Novosibirsk, regia: D. Tcherniakov, Amneris: I. Makarova…le conclusioni su ciò che viene scelto e ciò che viene rimandato al mittente traetele da voi.

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Giulia Grisi , Selma Kurz  e Domenico Donzelli dalla tv, Adolphe Nourrit & Antonio Tamburini live

 

Verdi – La Traviata

Atto I

E’ strano…Ah, fors’è lui…Sempre liberaLina Pagliughi (1951)

Atto II

Invitato a qui seguirmi…Ogni suo aver tal femmina…Alfredo, Alfredo, di questo coreMaria Cebotari, Helge Rosvaenge e Heinrich Schlusnus (1943)

 

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152 pensieri su “Traviata alla Scala: “ourdinaria ‘mel pan gial!”

  1. Niente da aggiungere: uno spettacolo squallido e dilettantesco, una serie continua di errori vocali, musicali, scenici, tecnici, impensabili nella Scala di qualche anno fa, e il cui apice è stato l’inaudito vuoto di scena Violetta-Barone (Atto II scena ii). Una ennesima prova del fare non come si deve o come si vuole, ma semplicemente come si può.

    Olimpici ne attendiamo la difesa d’ufficio da parte dei soliti “relativisti”.

    • Giustissimo, Lily. Ma ci rendiamo conto che nella serata inaugurale di un grande teatro internazionale abbiamo visto la protagonista mancare un’ entrata in scena, tanto da far temere che tutto si fermasse? Vogliamo dire che in un teatro serio lei ed eventualmente anche il direttore di scena si sarebbero beccati una bella multa? O della professionalità non frega più niente a nessuno?

  2. Complimenti donna Giulia, una disanima perfetta in tutti i punti della serata. Anch’io ho una domanda da porre, l’abbigliamento di uno degli invitati alla festa quella criniera di piume alla far west è tipica di Verdi ?
    imoltre è già la seconda volta che vedo morire sedute le protagoniste di Boheme con la Gasdia (macerata) e la attuale Violetta da poltrona.
    E’ di oggi la notizia lanciata in TV che il prossimo sovrintendente viene dal festival di Strasburgo. Allora andiamo a gonfie vele.

  3. bene, bene.
    E’ sempre un piacere vedere che non tutti sono rintronati dal terrorismo mediatico (grande prima, solo qualche riserva sulla regia)e si sa ancora discernere, paragonare, dimensionare adeguatamente le qualità.
    Sono un insegnante di musica in una scuola media, e ai ragazzi delle terze propongo (tra le altre cose) la Traviata di Netrebko e Villazon.
    Conosco 4-5 altre versioni, e scelgo quella (tra parentesi, ai ragazzi queste robe piacciono, e talvolta tanto) senza pretendere che sia tra le più riuscite, ma giusto per la buona somma tra valori visivi, semplici ma non forzati, e musicali. Sono più ferrato nel repertorio pianistico, qui non competo certo con voi e non mi lancio in comparazioni che voi fareste molto meglio.
    Ma ieri sera (ho ascoltato per radio) che fatica…..che tempi inutilmente lenti, che fraseggio spesso macchinoso.
    Si dice (dei maghi, dei miei beneamati pianisti, immagino anche dei cantanti e dei direttori d’orchestra) che quelli bravi fanno cose difficilissime e le fanno sembrare elementari…..beh, ieri la mia impressione è che la difficoltà e ripeto la fatica fossero addirittura scoperte, esposte, e che eclissassero i valori poetico-espressivi.
    Esagero?
    Auguri a tutti,
    S.

    • mia cara sarrasani,
      benevenuta. Ti preghiamo…..fai vedere ai tuoi fanciulli la Traviata della Scotto, quello di Tokyo con bruscantini, oppure quella della Sills, così potrai spiegare loro cosa vuol dire fraseggiare. per il loro bene!
      a presto

    • Caro Sarrasani,
      se posso permettermi, ti consiglierei di fare ascoltare l’opera ai tuoi scolari senza la parte visiva: solo partendo dal puro ascolto si possono iniziare nel modo corretto i giovani e giovanissimi alla bellezza del melodramma. Nel genere sinfonico o strumentale, infatti, le immagini non allontanano la mente dello spettatore dal contenuto sonoro, mentre nell’opera il neofita corre sempre il rischio di prestare più attenzione alle scene che alla musica.

      Inoltre, per favore, non mostrare mai più loro quell’abominio di Traviata con la Netrebko, Villazon e Hampson. Se non ti senti ferrato in ambito vocale fidati di chi lo è (non mi riferisco a me, quanto ai curatori di questo sito) e distruggi ogni copia che incontri di quella nefanda registrazione.

      Auguri anche a te, ciao!

  4. L’ho registrata perché non potevo vederla in diretta. Nemmeno sono riuscito a registrarla tutta: sarà stata colpa dela direzione?
    Confido in una replica per le parti mancanti. Vedrò.
    Un mio amico era in loggione. Ne è uscito avvilito e con la voce roca dai “vergogna” urlati e le buate di poitrine scagliate sul palcoscenico.
    Ed è tutt’altro che un “talebano”. E del suo giudizio mi fido che del mio.

    Una riflessione sui vergognosi articoli comparsi oggi sul Corriere e su Repubblica.
    A me sembra che questo magnificare ogni prima della Scala for its own sake, come dicono gli inglesi, sia il sintomo o già la piena realizzazione di un’operazione “softdittatoriale”, più o meno consapevole, di diseducazione al discernimento o educazione al rovesciamento tra ciò che è bello e ciò che è brutto. Compito affidato evidentemente a sacerdoti del nulla, tutti complici in quella cosmesi del fallimento inosservato tanto in voga oggi. I nomi sono già scritti in calce o in esergo agli articoli dei succitati quotidiani. Mi soffermo appena a definire idiote le pagelle e cretine le chiose psicanalitiche che sanno peraltro di naftalina; sulla ridicola sufficienza con cui ci si rivolge ai contestatori e sul pleonastico riportare in più articoli diversi il giusto sdegno della Fracci o il politicamente corretto commento di Napolitano. “La carta costa!” come dice un noto giornalista radiofonico.

    Il diktat comunque è chiaro: della Scala e del teatro d’oggi in generale bisogna parlar bene perché si deve; e se dici il contrario sei un disfattista. Punto.

    Su quella che doveva essere una Traviata in onore del duecentesimo genetliaco di Verdi e che si è rivelata invece una “Tranvata” alla sua musica prima ancora che alla sua memoria, non mi resta che pensare a Dostoevskij quando scrisse L’Idiota.
    Se aveva ragione, il mondo, almeno quello operistico, non ha speranza alcuna di salvarsi.

  5. Non vorrei aggiungere altro a quanto già scritto fin qui ma non posso farne a meno, sono ancora imbestialito e in qualche modo il rospo lo devo far uscire.
    E’ stata una cosa ignobile, che ha confermato, ammesso ce ne fosse bisogno dopo il calando impressionante delle ultime decadi, cosa sia diventato quello che era il più importante teatro lirico del mondo : una fucina di improvvisatori, pressapochisti, velleitari, dilettanti, presuntuosi e “ca..ari” della peggior specie.
    Violetta sembrava prima un babà, poi una cameriera in attesa di manomorta dal proprio datore di lavoro, affetta fra l’altro da ipercinesia, poi una partecipante a quei programmi dove dicono che ti rifanno nuova anche se sei un disastro, e infine una psicotica che esibisce più turbe mentali che la magrezza febbricitante e al contempo cachettica tipica dei tisici.
    Si è ricordata che doveva “fare” Violetta solo dopo un bel po’, e con i difetti che Giulia ha già evidenziato sopra.
    Se uno come il polacco di ieri sera canta alla prima della Scala, allora io, pur appartenedo al sesso inidoneo per natura alla bisogna, posso restare gravido e scodellare marmocchi come se piovesse.
    Duetti dove i protagonisti si ignorano, guardano altrove o si fanno i ca… pardon, i fatti loro, tagliano verdura e spianano pizze.
    Il baritono, be’ lassamo perde ch’è mejo.
    Gente tenuta in scena a reggere il moccolo, costretta a sorridere e guardare i protagonisti, anche con espressione ammirata, forse per il coraggio e la sfacciataggine con cui massacrano la loro parte.
    Direzione piatta, tipo ordinaria amministrazione, e con tempi letteralmente sbagliati che sottolineavano quasi al rovescio i momenti dell’opera.
    Pathos ? meno di quanto ce ne mettesse mia zia Adelina quando dava da mangiare alle galline.
    Non posso aggiungere cosa dovrebbero fare con le loro lodi quelli che hanno apprezzato ‘sta fetecchia, perchè sarebbe da querela.
    Basta così, oggi ho scelto di avere un appuntamento uditivo con la splendida Violetta di Renata Scotto, quella sì che è roba fina.
    p.s. sulla notazione di Giulia riguardo la dignità che dovrebbero avere gli interpreti se richiesti di fare cose fuori luogo, si veda la Callas (episodio che ho rivisto ieri in tv, citato da lei stessa in una vecchia intervista), che al regista che in Medea voleva il corteo funebre in scena proprio in uno dei momenti più importanti per la sua parte, disse che o il corteo restava fuori o lei non avrebbe cantato, e si impose.
    Altri tempi e altra caratura.
    Omaggi

  6. Purtroppo era tutto fin troppo prevedibile….Mi risparmio inutili commenti. Credo che “una Traviata profondamente brutta” riassuma con laconica obiettività lo spettacolo! Bruttezza è proprio il termine che ho avuto nella mente per tutto il tempo.

  7. Sarò un talebano, ma ascoltando alla radio la prima della Scala mi aspetto che buca e palco siano coesi, che tutti i cantanti vadano a tempo, rispettino i ritmi e l’intonazione di passaggi anche difficili; dalla buca mi aspetto che si riesca a mantenere inalterato un tempo preso per più di 5 battute consecutive, che si rispettino i segni d’espressione senza inventarne nuovi a ogni sistema, che i passaggi di singoli sezioni non risultino mai impastati e confusi anche ritmicamente.
    Su tutto il resto sono pronto a discutere, anche dovessi vedermi una Violetta sul gabinetto in tutte le scene del dramma.
    Noto invece che i fondamentalisti dello spartito, che spesso abusano del termine “filologo”, in certe occasioni spariscono dai media: persino le note indecise, i portamentoni da montagne russe e i vibrati modello interferenza radiofonica diventano “modalità espressive”. A questo punto anche i mancati ingressi in palco lo sono, visto che indubbiamente hanno fatto sorgere emozioni molto forti in chi ascoltava, a me per esempio è venuto il batticuore e alla radio non capivo cosa stesse succedendo.

    Da ultimo, mi par di ricordare che già nella produzione successiva alla non esaltante prima la Traviata fu oggetto di qualche sforbiciata da parte dello stesso autore. Ci sarà un perché. Se poi si vuole proprio eseguirla tutta per come è scritta (è indubbiamente interessante fare confronti ed eseguire passaggi anche bruttini) allora che sia tutta tutta, anche senza i tacet.

    Finisce l’epoca di un direttore artistico. Spero che il prossimo abbia quanto meno il dono del dialogo con il Pubblico, nel senso più generale del termine, visto che l’arte e lo spettacolo non sono pacchi che si passano da chi produce a chi fruisce.

  8. Ho visto Traviata su RAI 5 e devo concordare in pieno con i commenti. Aggiungo solo che un regista dovrebbe quanto meno insegnare ai cantanti come muoversi e cosa esprimere mimicamente: qui Violetta era una caricatura della “damazza” o “nave scuola”; Alfredo rifaceva con sfoglia e verdure la scena della pazzia di Lucia; le feste del primo e terzo atto sembravano le parodie della “signorina snob” di Franca Valeri. Ma se volete bere fino in fondo l’amaro calice, leggete la recensione di Elvio Giudici sul Quotidiano Nazionale (Resto del Carlino – Giorno – Nazione). Notate che è lo stesso Giudici che ha definito il Guglielmo Tell di Pesaro (direzione Mariotti) come il migliore mai apparso sui palcoscenici.
    In ogni modo, dopo questa Traviata, non mi lamenterò mai più delle boiate che mi rifila il mio Comunale di Bologna.

  9. Signori, volevo aggiungere una chiosa ai vostri interventi. I giornalisti e i blogger che ben conosciamo sono anni che ci fanno una capa tanta col fatto che oggi i cantanti devono essere belli e affascinanti, che non si possono più ammettere le soprano ciccione in scena eccetera eccetera pietosamente eccetera. Partendo da questi presupposti, una donna alta e robusta come l’ attuale Damrau è credibile nelle vesti di una mantenuta malata di mal sottile? Siccome tutti hanno glissato su questo punto, confermo la mia opinione: il fascino e la ficaggine sono solo una comoda scusa per giustificare i cantanti che cantano male!

    • perchè il punto è che quello che verrà è come lui se non peggio. E’ uno di quelli che scambia lo spettacolo con la massmediatizzazione e farà fare spettacoli a uomini di teatro(!) come norma foster o fuksas….. Lui la traviata l’ha fatta alla stazione di zurigo!!!! Il punto non è lissy, ma pereira…….si è scelto un nuovo sovrintendente senza considerare quello che si è capito dalla lezione lissner, cioè di quale concezione del teatro lirico siano portatori questi signori, che peraltro regnano sovrani nei principali teatri del mondo. Se questa concezione che abbiamo visto messa in atto con Lissner, che ha fatto quello che sa fare e che ha sempre fatto ove ha lavorato sinora, ed il risultato a Milano è stato quello cui assistiamo in questi giorni, ci si domanda cosa accadrà con pereira. perché le idee di fondo sono le stesse, per non dire ancora più labili e commerciali ( il lavoro di Zurigo è tutto li da vedere..). guardando la traviata in tv mi sono domandata questo…poi?

      • Diva Giulia, il punto è proprio questo, dalla lezione di Lissner l’intelighenzia italiota non ha capito un bel nulla! Non hanno capito che per una volta l’italico provincialismo ci aveva resi quasi immuni dal virus dell’opera come teatro di regia e da buoni provinciali hanno ben pensato che anche noi ci dovevamo aggiornare alla moda imperante…
        Fino a quando non capiranno che PRIMA viene la qualità musicale e POI la parte registica, per cui PRIMA si cerca un sovrintendente che ne capisca qualcosa di voci, di canto e di repertorio e POI se porta qualche regista interessante meglio, la scala non uscirà dal tunnel della mediocrità internazionale in cui si è infilata.
        Perchè il problema di questa Traviata prima ancor della regia scemotta a cui è stata sottoposta, è che è stta diretta male e cantata peggio! tutti, comprimari compresi. Ma quale logica musicale ha portato, ad esempio, chi ha fatto il cast a scegliere la Zampieri come Annina? perchè? non se ne trovava una che non stonasse? ma cosa aveva bevuto chi ha fatto il cast quel giorno?

        • il problema è che in queste griffe della regia non c’è la qualità…registica. il punto è anche questo, vanno avanti con gente che non vale i ronconi gli chereau gli Strehler…ma questi visti quest’anno erano una manica di dilettanti, scopiazzoni, riclatori di visual che hanno annoiato. e’ indigesta la messe di luoghi comuni che da anni ci mettono davanti come novità. lo scandalo Tcherniakov è che NON C’ERA LO SPETTACOLO! ma di che realismo parliamo? dell’arredo? ma che arte c’è in una cucina, se poi comunque i tuoi personaggi non esistono, non hanno senso, fanno gesti che non portano a nulla per non dire che in scena non c’è niente. ma quella scena della festa era indecorosa….non sapevano che fare…non c’era una idea da criticare, c’era da criticare un mestiere assente, la parrocchialità ed il senso di vuoto del tutto. per non dire che il regista non ha capito niente del libretto, non ha colto nulla né sviluppato alcunchè. io credo che Tcherniakov non sapesse cosa stava facendo, cosa sia e cosa significhi la traviata e che non conoscesse il libretto, le parole, quello che accade, i significati dietro alle parole…..tralasciamo poi che le dichiarazioni dell’intervista erano surreali: secondo me non sa nemmeno cosa sia la scala, quali spettacoli siano andati in scena nella sua storia gloriosa ( perché sugli allestimenti non si può dire niente sulla scala), quali e quante cose di valore siano state realizzate la dentro. credeva di fare cosa e dove?….

          • perfettamente d’accordo sull’insulsaggine del NON spettacolo di Tcherniakov, ma la parte musicale….? facciamo finta di non aver visto nulla, che sia stata data in forma di concerto. Ma la parte musicale quanto mediocre era? difficile trovare un cast così omegeneamente livellato verso il basso. Sembrà sia stato fatto apposta!

    • Citando il nostro grandissimo concittadino Carlo Porta potremmo intonare a Lissner ” Paracar, che scapee de Lombardia,/ Se ve dann quaj moment de vardà indree,/ Dee on’oggiada e fee a ment con che legria/ Se festeggia sto voster san Michee.
      Sullo spettacolo dico sinteticamente: vergognissima!

        • Giudizio sul grande Carlo che condivido totalmente. Al proposito, mentre vedevo in TV il primo atto di Traviata ho pensato che La Ninetta del verzee – a confronto della Violetta volgarissima che si vedeva in scena – aveva la nobiltà d’animo di una duchessa!

  10. anche la stampa di torino ha pubblicato articoli quasi entusiastici. non vi pare che manchi il coraggio di ammettere errori e fallimenti e di cambiare qualcosa. Penso sia un atteggiamento pericoloso che non riguarda solo la nostra amata lirica.

  11. carissimi, reduce da un ernani romano diversissimo da quello del 1983 (a volte invecchiamdo si ringiovanisce – o forse sono le mie orecchie?), mi sono voluto fare del male e ho prestato ascolto a un amico che mi ha invitato alla prima del nostro amato teatro.

    Avete già detto tutto. Aggiungerei poche cose:
    1. ARIDATECE ER PUZZONE
    2. Il punto vero e’: ma come fanno ad andare d’accordo due letture cosi’ diverse??? un regista che la vede puttana dall’inizio alla fine e un direttore che nella lezione tenuta pochi giorni fa la vede santa martire… e infatti si vede. E la povera Diana si e’ prestata (unico vero appunto che le posso muovere) mentre avrebbe potuto dire “NO GRAZIE” e tanti saluti. E infatti i BUUU a Gatti secondo me sono piu’ che altro dovuti alla palese mancanza di coerenza tra la sua lettura e il regista. Gatti ci ha abituato da anni a fare poche prove e disordinate (magari non per questa traviata) e a lasciare che delle questioni spinose si occupassero altri (vedi il caso filianoti). E quindi io fischio chi alla finfine DEVE essere ritenuto il responsabile: il direttore d’orchestra.
    3. Riascolto la traviata mutiana… la fabbricini ha la levatura della callas in confronto a quanto sentito il 7, e non tanto per colpa della Damrau quanto di chi doveva metterla “in parte”.
    4. Finisco: la Damrau dice che e’ stato il suo primo sant’ambrogio, tanta tensione etcetc. Capperi che memoria la signora! il 7 dicembre 2004 era sul palcoscenico e se lo e’ gia’ dimenticato… (a meno che il corrierino della serina non abbia riportato male una sua dichiarazione)
    5. ARIDATECE ER PUZZONE

    ciao,
    otto

    • vogliamo dirla tutta e ricordare che son stati i “Professori” d’orchestra della Scala a voler cacciar via Riccardo Muti? Per poi ritrovarsi a suonare con i babydirettori o mezzecalzette che nemmeno l’Aslico vorrebbe….ma si sa almeno gli ottoni possono continuare a cincischiare con l’intonazione e gli archi (gli archi! i violoncelli! erano la gloria dell’orchestra scaligera!) a grattare in santa pace

    • Gentile Otto,
      credere che la casuale accozzaglia di errori, carenze, fraintendimenti, ingenuità, lacune, da parte dei responsabili della Traviata in oggetto ammonti a una “lettura” è come credere che Ruby sia la nipote di Mubarak.

      La Fabbricini? Mi viene in mente una citazione.

      SERVITORE: Avvi una dama Foscari…
      IL DOGE: Altra infelice…. Venga! (Verdi, I Due Foscari)

      Un saluto cordiale.

      • gentile lily,
        dire che quello che abbiamo visto e sentito il 7 alla scala fosse una cosa voluta non è una attenuante ma una aggravante… e poi CERTO che ruby e’ la nipote di mubarak! ashad mubarak, che mi ha imbiancato con immane perizia il salotto e la cucina; il punto è che a prescindere dalle parentele la suddetta era minorenne (ma non minidotata, occorre ammettere).

        sulla fabbricini, dici il vero. ma io facevo il confronto tra il 7 e la suddetta, e forse sono stato prudente: metto assieme callas, tebaldi, scotto e tutti i soprano che le hanno precedute… e comunque a me quella traviata piacque: con tante imperfezioni vocali, ma c’era una tensione emotiva che ancora ricordo, ed erano le voci a darla.

          • Lily cara,
            ho tanti ricordi di grandi serate (per me, per carità!), in Scala e altrove. Tra i più cari, due: Turandot con la povera Dimitrova (giusto una trentina di anni fa… AAAGH), mia mamma mi teneva per le gambe e io ero letteralmente appeso sporgente da un palco di quasi-proscenio a urlarle quanto fosse brava (ricordo che l’acuto nel finale sovrastava il coro e l’orchestra che sparava “a mille”, solo come un caciarone come Maazel sapeva fare).
            E il secondo, traviata con Fabbricini e Vargas, in platea con una compagna di università appena mollata dal fidanzato che cominciò a piangere all’inizio del secondo atto e finì dopo cena alla Bruschetta, consolata nell’intervallo da Sofia Loren (seduta di fianco a me) che le dette un fazzolettino (ridiamo ancora, al ricordo). Ebbene, “Amami Alfredo”, “dite alla giovane si’ bella e pura”… mi viene ancora la pelle d’oca, con una pausa prima della “p” di pura che non so perché ma mi viene da piangere ancora adesso.

  12. Be’ io confesso che un bell’ in cauda venenum da Lissner me lo aspettavo, anche se con tutte le porcate che ci aveva già fatto ingoiare non ce ne era certo bisogno.
    Il guaio è che lui, beato, crede veramente di fare cose egregie, per cui anche se gli dai legittimamente del pirla la reazione che ottieni è un doloroso stupore per la tua incapacità di comprendere l’intrinseca bellezza del suo operato.
    Con uno così la gran boiata di sabato forse è ancora il male minore.
    Il bello è che da ora in poi ci toccherà ciò che sostiene Pereira, e mi sa che anche la pur fosca previsione che Diva Giulia ha appena fatto verrà superata in terribilia da quel che ci toccherà vedere e, ahimè, sentire.

  13. Concordo con la recensione tuttavia trovo piuttosto generico il riferimento ai:”….. baritoni degli ultimi cinquant’anni…..” che sarebbero pressochè identici a Lucic. Credo sia necessario un chiarimento onde evitare incresciosi equivoci….

  14. A proposito di talebani, ricordo una Traviata della Scotto al Comunale di Firenze. Fu criticata la regia (per dellesciocchezze) e pure la Scotto che era bravissima. C’è sempre qualche vedovo in giro che rammenta i bei tempi andati. Per me di particolare c’era, in questa Traviata, la recitazione che non era tipicamente operistica, ma di altro genere. E’ stato un tentativo interessante anche se la ragazza cicciottella era troppo agitata e scattosa. Troppe sguerguenze! quanto al resto sul piano interpretativo, alcuni, molti… momenti di intimità di intensità trasformati in dialoghi del caminetto,o della sedia, si sono persi, distrutti. E, vocalmente, oltre ai noti incidenti, intonazione compresa, tutto è scivolato via con grande scioltezza in un tubo di bronzo. Ma non ve la prendete troppo, vi rifarete! Il tenore a Milano non ci viene più.

      • è vero, notavo ora sul account facebook del noto tenore protagonista di questo gioiellino di Traviata che il giorno prima del debutto faceva gite in barca sul lago di Como! Anche solo vent’anni fa nessuno si sarebbe sognato una gita in barca sul lago il giorno prima di un debutto, fosse anche nelle più oscura provincia, alla Scala poi… e a quanto pare con poco spirito sportivo ha già annunciato che in Italia ci tornerà solo per vacanza, cito testualmente: “My last production in La Scala… I think They should engage only Italian singers … ” , bah! Italiani o no, noi ci accontenteremmo anche solo di cantanti, veri però!

        • Beczala,oltre ad essere arrogante,( basta solo che si riascolti per fare aurocritica) ha sbagliato anche i tempi,sentendo delle registrazioni di 5 o 6 anni fa non era male,forse doveva venire alla Scala in quei tempi per cantare Alfredo,comunque venga pure in Italia solo per godersi le vacanze con il cachet pagato dalla Scala anche con i soldi dei contribuenti,e ringranzi perche in altri tempi usciva dalla Scala a passo di corsa con quell’indecente Alfredo ..

  15. Povero tenorino offeso…
    “Ma mi faccia il piacere!” Ma chi si crede di essere??
    Mozart, ho seguito la diretta in televisione.
    Ero totalmente schifato. Partendo dal bassissimo livello vocalmusicale alla dilettantesca regia non ho potuto che scuotere la testa e pensare che continuando così, stiamo arrivando proprio alla fine.
    Vergogna su tutti che sostengono queste idiozie ‘artistiche’!

  16. Messaggio a reti unificate: il più lungo black-out lirico alla scala é durato esattamente 42 secondi: Flora dice “qui desiata giungi” e fino al suo “qual novità vegg’io” l’orchestra ha corso come un cavallo scosso. Si sono sentiti due interventi sbagliati che non possono interrompere il rodeo. Tanto di comunica ad ogni conseguente effetto con i miei migliori saluti.-

  17. Billy Budd mi trovo d’accordo con quello che dici, con una sola aggiunta: oramai sono troppi i responsabili teatrali che si affannano a rifilare ai melomani “boiate pazzesche” come la traviata scaligera.
    Non dimentichiamoci della feroce contestazione avvenuta solo quattro mesi or sono a Bayreuth…. quindi è in atto una terrificante epidemia di
    “STUPIDERA” presso i sovrintendenti dei teatri che credono che offrire spettacoli avariati produca nuova affluenza di pubblico. Cerchiamo si far loro comprendere che è solo la loro mente bacata che va sostituita e al più presto!

  18. Non è che sono stupidi, si fanno i conti. E’ triste da dire, ma da diversi anni la linea guida dei Teatri non è certo quella di creare e diffondere arte. Cercano contributi, sponsor, cooproduzioni facili, eco mediatico e di mantenere una fitta rete di relazioni con chi ritengono possa contare qualcosa (di qui anche l’essere supini alle agenzie); poi c’è il dover mantenere in piedi la “struttura teatro” così com’è senza ritocchi, in particolar modo riguardo al personale non artistico. Infine il riempire la sala tutte le sere, non per niente quasi nessuno rischia più, se non occasionalmente, opere contemporanee o titoli sconosciuti.
    E’ un atteggiamento poco artistico e molto politico (nel senso deteriore del termine), ma d’altronde, allo stato attuale del mondo artistico italiano, non può che essere così.

  19. Esiste o no una legge 800 che vieta ai teatri l’uso delle AGENZIE ?
    Esiste o no un direttore artistico sulle cui spalle pesa la scelta degli artisti e registi? Ed allora perchè continuare ad usare le agenzie per ottenere risultati a dir poco scandalosi. Mi sono incollato davanti alla TV sperando di vedere una Traviata “nuova e moderna” ma bella piacevole e rispettosa dell’autore del quale si festeggiava il bicentenario, invece ho assistito ad uno dei piu’ brutti spettacoli della mia ormai lunga vita. Spettacoli brutti se ne sono visti in passato, ma la masturbazione delle frasi di Verdi per scopo “registico” mai. E qui mi domando: ma il direttore d’orchestra, responsabile musicale dello spettacolo, conosce il suo mestiere o è solo un battisolfa al comando di “strani” registi ? Mi è spiaciuto anzi mi sono incazzato scoprendo che la >Damrau , pure a suo danno , ha assecondato la follia del regista. Bastava che dicesse mi rifiuto di cantare così. Ma i soprani con le palle come Callas Sutherland, Caballè non esistono piu’. Bene la buata. Ma ci volevano i forconi.

  20. Albertoemme,
    Dop, e cioe’ denominazione di origine controllata,
    sarai tu, se proprio ci tieni,(e tutto lo fa presumere),
    ad essere etichettato. Certamente non lo sono Adriano
    e Rodolfo. Vecchie conoscienze, condivisibili o no nei
    giudizi e nelle scelte, ma che , credimi, non debbono
    essere considerati a livello di un Lambrusco di
    Sorbara, o di un Fagiolo di Lamòn. Cerco anche di
    capirti, sai? Ma di scemenze ne scrivi, caro, e si’ che
    oramai anche tu non sei piu’ un bimbo… ciao, Nuvolari.

  21. A me, lo confesso, la “Traviata” scaligera invece è piaciuta molto: direzione, regia, interpreti hanno messo in scena del vero teatro. Che è poi quello che, a quanto pare, anche Verdi voleva.
    Tcherniakov mi piace quasi sempre (il suo “Onegin”, ad esempio, è un capolavoro). E mi è piaciuto anche questa volta (anche se la sua “Traviata” non è altrettanto un capolavoro). Magari i dissensi dipendono anche dal fatto che ha centrato il bersaglio, com’è stato per quelli veneziani del 1853: in fondo “Traviata” è un’opera che, oltre a commuovere, deve anche “disturbare”.
    I cantanti, anche se nessuno di loro è la Callas o Kraus o Fischer-Dieskau, sono stati bravi, oltre che perfettamente inseriti nel disegno del direttore (Gatti non è né Kleiber né Sinopoli, d’accordo, ma non mi è dispiaciuto nemmeno lui) e del regista.
    Quanto alla “tensione drammatica”, confesso che, pur essendo davanti a uno schermo e non in teatro, mi ha preso dall’inizio alla fine.
    Un saluto a tutti.

      • eppure akonkagua la lettura di brian96 peraltro compatibile con la bruttezza programmatica che ha colto ninja92 e che condivido, m pare ovvia e dimostra presenza d fosforo piuttosto che particolare propensione alla caccia dei roditori. attivita’ che ritengo non indispensabile per i giovani appassionati d opera.

      • Certo, se io ora replicassi con un invito “alla Grillo” ad andare “in quel posto”, avremmo fatto davvero un passo notevole in avanti nella discussione. Mi pare che Akonkagua non abbia una propensione a confrontarsi con punti di vista diversi dal proprio. Mi chiedo però che senso abbia discutere in modo autoreferenziale con chi condivide il proprio punto di vista e liquidare il resto con una battuta. Ma, certo, ognuno è fatto a modo suo e nessuno è obbligato a dialogare, né con me né con altri. Un saluto.

        • hai ragione per l’uscita di akonkagua….semiseria peraltro. Piuttosto io ti invito ad illustarci di quento hai apprezzato l’affermazione relativa al parallelo con la traviata della prima veneziana in fatto di scandalo. Le ritieni equivalenti in fatto di provocazione o cmque di messaggio al pubblico. Di quella oroginaria si son scritti fiumi di parole e sappiamo bene che fu. Chiedo a te di dirci perchè le ritieni comparabili sul piano del messaggio sociale…….una discussione non si fa sulle affermazioni ma sulle argomentazioni, dico bene? Ciao

          • Dici bene.
            Per parte mia, intendevo solo dire che, se è vero che il pubblico ottocentesco della “Fenice” fu – cito Elvio Giudici – “costretto a confrontarsi con una vicenda svolta non più in un’epoca archiviata in un tranquillizzante passato”, allora non escludo che le reazioni nervose e sprezzanti di una parte del pubblico di oggi dipendano anche (non solo, si capisce) dal confronto con una messa in scena che costringe ad abbandonare le abitudini (talvolta pregevolissime, sempre rassicuranti) e uno sguardo rivolto spesso più alla storia che al presente: “Addio del passato”, dunque :-).
            Un caro saluto.

          • che tu volessi dire questo era chiaro, almeno ame. Ora però ti chiedo: il pubblico di ve vedeva se stesso e specchiava se stesso nella morale del suo tempo, ossia che la prostitutta può redimersi solo con la rinucia. Ora noi oggia quale morale faremmo riferimento dato che nessun giudizio morale o moralista taglia fuori qlcuno da una società dove tutti rubano ma non pagano per i reati che commettono, i politici fanno bunga bunga, le casalinghe fanno le puttane per gioco? Chi si sarebbe scandalizzato di cosa secondo te? Di violetta che beve forse? Io credo che la constestazione, che per me è stata anche contro la politica della da e questo modo di fare teatro, sia stata contro uno spettacolo inesistente, che nonha trasferito alcunchè nella rilettura attualizzata….è’ stato il non avere dato senso a nulla, perchè il dramma di violetta resta vero e forte nella musica, assente nella scena. Che dramma si è visto a parte quello di un regista che prorpio il dramma non ha colto? Il testo non aveva nè vita nè senso alcuno rappresentato in quel modo….dunque cosa significa l’attualizzazione? Lui ha parlato di tipi di relazioni d’amore, ma lì c’era la ridicolizzazione dell’amore, di ogni genere…..dimmi tu cosa hai visto , perchè io …non vedo altro che dilettantismo del regista

          • prima, molto prima di elvio giudici lo scrisse Rodolfo Celletti, credo commentando la Traviata di Maria Callas che le novità di Traviata furono il canto di conversazione o il mettere in scena situazioni che nei palchi ( e pure in casa verdi aggiungo io) erano vissute quotidianamente, ma che dovevano essere nascoste. In una grande città, oggi, nessuno può meravigliarsi che un ragazzo di buona famiglia conviva con una prostituta, sia pure di alto bordo, ma basta andare in qualche capoluogo di provincia anche padano, quindi terra laica e pagana, per incontrare il pettegolezzo e un Germont padre che si dia da fare per cessare lo scandalo. Non serve che la Violetta di turno sia un travestito, un trans o che la relazione fra Alfredo e Violetta sia omosessuale, basta ancora l’ingrediente del buon Dumas e quindi il resto, ovvero le pagliacciate del regista di turno servono solo ad infastidire e a tradire l’autore, il librettista e l’autore del testo da cui tratta l’opera. Se poi vogliamo chiamarlo tradizionalismo va benissimo.

        • Gentile Brian96, è difficile risponderti senza che il tono risulti saccente e paternalistico, tono che chiaramente non meriti.

          Adoro essere provocata – io stessa a volte non mi faccio scrupolo di usare di quest’arma – però, quando la medesima provocazione (risalente, nel caso di Traviata, all’inizio degli anni settanta del secolo scorso, Teatro La Monnaie di Bruxelles, ad opera di Maurice Béjart, protagonista Franca Fabbri) prosegue immutata per quasi nove lustri , ecco che cessa di essere tale e si fossilizza in una tediosa accademia del “famolo strano”.

          Non ti meraviglierai, dunque, se la reazione di chi ha seguito per più di mezzo secolo i casi della lirica non sia “Che Scandalo!” ma piuttosto “Che Noia!”, soprattutto davanti a una qualità di realizzazione (da sempre il punto d’orgoglio della Scala) così scadente e, ripeto, dilettantesca.

          Mi permetto di consigliarti – visto l’interesse all’argomento – la lettura del post di M. Brandt “Come diventare regista di successo in 10 (o forse 20) mosse”: scritto, secondo me, intelligente, informato, spiritoso.

          Ciao, e Buona Esplorazione.

    • interessante articolo Sardus, come ci si aspettava, la NON regia di Tcherniakov finisce con l’essere il capro espiatorio e distrae dalla parte musicale che è stata fischiata molto più a ragione della regia.
      Macchè teatro di regia! questi poveretti e ingenuotti registi non hanno ancora capito che sovrintendenti e direttori artistici incompetendi di tutto il mondo li usano per distrarre il pubblico dall’infima qualità musicale che propinano al pubblico! Basta una qualsiasi vaccata in scena e un qualsiasi cantante cane di turno passa in secondo piano…

      • Caro Aureliano, io nel 1997 ebbi la grande fortuna di poter seguire a Torino le prove dell’ Otello diretto da Abbado e con la regia di Ermanno Olmi. Ricordo bene come il grande regista chiedesse ad Abbado prima di provare certe scene: “Scusa Claudio, possiamo fare in questo modo o disturba la musica?”. E si trattava di un regista cinematografico pluripremiato a livello internazionale. Credo che se questo genialoide russo dei miei stivali e i suoi reggicoda che in questi giorni ragliano nei forum e socialnetwork prendessero a modello l’ umiltà di Ermanno Olmi, il teatro ne trarrebbe enorme giovamento.

        • sicuramente si Mozart,
          ma questi personaggi son pagati per fare provocazioni, non regie; e quando hanno preso la loro dose di giusti, prevedibili, scontatissimi fischi, hanno espletato la loro funzione. Personaggi come Tcherniakov di mestiere fanno i facilitatori di fischi, mica i registi. L’origine della malattia nel tratro d’opera attuale sono le direzioni artistiche che hanno perso ogni competenza musicale e puntano solo ed esclusivamente a “creare l’evento”. Se sei un sovritendente o un direttore artistico e chiami Tcherniakov a fare una regia lo fai sapendo che il tuo spettacolo sarà fischiato. Spesso, troppo spesso la mission nei teatri d’opera nel 2013 non è l’allestimento di un melodramma, ma creare l’evento, la stella polare è una sola: “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”

  22. Riprendo le considerazioni di Brian circa la portata di una Traviata che ora come allora sarebbe stata “di rottura”. La riprendo perché credo – è una mia opinione – che non siano ben centrati i motivi mossi a contestazione dello spettacolo di Tcherniakov. Infatti quel che è passato come capro espiatorio o motivo di scandalo è solo un elemento collaterale e neutro alla valutazione dello spettacolo. Certamente la stampa generalista – sempre più ignorante non solo in campo strettamente tecnico-musicale, ma anche nel saper cogliere il senso della reazione del pubblico – ha attribuito alla presunta attualizzazione registica i motivi di insoddisfazione di larga parte del pubblico, facendo il gioco – più o meno volontariamente – di chi si maschera dietro la presunta arretratezza dello spettatore italico (dipinto al solito come ottuso tradizionalista, chiuso ad ogni idea nuova e sostanzialmente “talebano” nell’attaccamento al proprio ristretto orizzonte culturale). Questo fa comodo e ha fatto comodo a chi si accontenta di una lettura superficiale degli eventi, con l’ansia di trovare “colpevoli” ai propri fallimenti. In realtà il pubblico italiano è retrogrado o progressista esattamente come tutti i pubblici del mondo (magari con sensibilità diverse): dipende dal tipo di offerta. Non fa certo scandalo l’attualizzazione, soprattutto in Traviata – e non è certo una novità vedere Violetta e Alfredo vestiti con abiti attuali – così come non fa scandalo la non pedissequa aderenza alle didascalie del libretto (che, ricordiamolo, ambienta l’opera nel XVIII secolo). Quel che è mancato davvero – e che è la causa prima della mancata comprensione dello spettacolo – è il rispetto del contenuto musicale: una regia, infatti, per quanto bizzarra possa essere, per quante libertà si possa prendere non può e non deve creare uno scollamento evidente tra ciò che si sente e ciò che si vede. L’opera non è solo bella musica attaccata ad una vicenda rispetto alla quale risulta intercambiabile: ma è scritta in un certo modo proprio in virtù della precisa drammaturgia che si rappresenta. La musica, cioè, traduce situazioni e suggestioni contenuti nel testo. Se si smonta la vicenda narrata per costruire una drammaturgia alternativa – con finalità affini, ma diverse a quelle originali – si genera un gap difficilmente gestibile e si relega la musica a mero sottofondo di una vicenda che ha perso attinenza con i significati descritti sul pentagramma. Tcherniakov dunque – che pure è regista tecnicamente molto ferrato (nella gestione attoriale e drammatica) – commette una grandissima ingenuità nel voler raccontare qualcosa di diverso che stride con ciò che si ascolta (o si legge nel libretto). Questo va aldilà dell’innocua attualizzazione (pratica comunemente usata da grandi registi, da Visconti a Strehler, da Ronconi a Ponnelle). In questo senso il pubblico non è scandalizzato – come poteva esserlo quello di Venezia nel 1853 – ma è solo infastidito quando legge o sente una cosa e ne vede un’altra. La mancanza del letto su cui Violetta muore, l’assenza della tisi o la variopinta umanità che popola le due feste, sono solo fumo negli occhi che sviano l’attenzione sulla reale mancanza del regista: aver creato disagio tra testo e musica sino al comico involontario. E questo è peggio anche di Alfredo che taglia le zucchine subito dopo che Violetta l’ha mollato…

    • forse è ora che parliamo diffusamente di questi temi, modernità, attualizzazione etc…, in appositi post…sono cose da porre al centro del dibattito, in home page.
      ringraziamo brian di avere portato qui il tema, che poi ha avuto un certo spazio, anche se solo come gossip, sul corsera. modernità. attualizzazione. senso dell’opera lirica nel presente. natura e scopi del teatro di regia. ……dobbiamo parlarne, perché si dicono ( e spesso fanno dire anche a noi ) cose inadeguate. l’etichetta “passatismo” consente a questi cinici sfruttatori della musica altrui di tacitare ogni critica al lavoro incapace ed incolto di molti che prosperano nel teatro lirico di oggi.

  23. Grazie a tutti per le repliche. Provo a dire qualcosa ancora.

    A GiuliaGrisi. Ti e mi chiedi a quale morale possiamo fare riferimento, oggi che nulla sembra scandalizzare nessuno. Direi proprio all’assenza (almeno apparente) di morale e a un tempo che sembra rendere impossibile la verità del sentimento. La Violetta di Tcherniakov sembra per qualche istante gettare uno sguardo al di là del circo Barnum e dell’indecenza che ci assediano da ogni parte, e ne rimane travolta: per questo, credo, da ultimo impazzisce: la vera malattia del nostro tempo non è la tisi, ma la doppia alienazione: di chi balla nel circo col copricapo da capo indiano e di chi non regge una possibilità d’amore che non sia compromessa da questo o quel “bunga bunga”. Così il dramma di Violetta, fortissimo nella musica, prende forza anche sulla scena. Dici che il regista ha ridicolizzato l’amore. A me pare l’opposto: di fronte alla ridicolizzazione dell’amore mette in scena il rischio che è sempre presente nel tentativo più o meno consapevole di sottrarsi al ridicolo.

    A LilyBart.
    Non ho mai pensato che la messa in scena scaligera fosse una novità assoluta. Dico solo che ha un senso e che a me pare non “tediosa accademia”, bensì “vera esecuzione artistica”, di quelle che Verdi auspicava (lettera a Giulio Ricordi del 10 luglio 1871). Ciascuno poi, a seconda delle proprie esperienze e della propria sensibilità, s’annoierà o rimarrà catturato.
    Seguirò il consiglio e leggerò il post “Come diventare regista di successo, ecc.”. Ma – anche se penso che i consigli, richiesti o non richiesti, siano sempre i benvenuti, continuerò a leggere anche Elvio Giudici :-)

    A Gilbert-Louis Duprez.
    “La musica traduce situazioni e suggestioni contenuti nel testo”. Concordo: le traduce mettendole in scena e creando ogni volta un che di unico; l’opera in atto, mi verrebbe da dire. Certo, se la musica diventa mero “sottofondo” si tradiscono allo stesso tempo Verdi e il teatro (che, in un certo senso, sono la stessa cosa: in Italia non c’è mai stato uno Shakespeare, ma un Verdi sì, e questo può essere sufficiente). A me però non pare che Tcherniakov abbia “tradito” (anche se i “tradimenti”, nell’arte e nel teatro, sono più la regola che l’eccezione e svolgono spesso una funzione positiva), tanto meno che la sua sia stata una “innocua attualizzazione”. E pazienza se il pubblico s’infastidisce perché “legge o sente una cosa e ne vede un’altra”: nemmeno al “Globe” – che pure, diversamente dalla “Scala”, è un “tempio” autentico – si mette in scena Shakespeare in questo modo: la fedeltà allo “spirito” dell’opera conta più di quella alla “lettera”. Io, almeno, la penso così.; e se questo crea “disagio” nel pubblico, credo sia o possa essere un bene.
    Nota a margine: Alfredo taglia frenetico le zucchine dopo che Violetta l’ha mollato. Non ci vedo nulla di ridicolo o fuori luogo: a me pare una perfetta descrizione di una condizione psicologica reale, quella per la quale, talvolta, si reagisce a una catastrofe attraverso gesti meccanici e ripetuti ossessivamente, illudendosi di ritornare a una “normalità” divenuta però frenetica e perduta per sempre.

    Chiedo scusa se mi sono dilungato più del dovuto.
    Un caro saluto.

    • ok. la morale è la non morale, e ci sta perfettamente ( anche nel mio scherzo registico concludo con questa idea, dunque…siamo d’accordo). ma io questo sulla scena non l’ho mica visto realizzato…a me pareva che il regista dicesse: si c’è un dramma, ma no è poi così dramma….tanto che ci mangiamo i pasticcini. lei è molti nitida nella sua personalità,e ti confesso che pure sulla faccia perbene e poco traviata di diana ci avrei giocato apertamente. lei pulita, in mezzo agli amorali…questa è la scena della festa del 2 atto ( diversa da quella del primo perché più alienata, con la chermesse delle zingarelle e dei toreri, che giocano anche loro per la sua alienazione). ma nella festa non ho colto questo, anzi non ho colto la distinzione tra lei e gli altri. ma se lei è come gli altri, come fa ad essere un dramma il suo, scusa? alla fine che non morale c’è se lei muore di alcolismo o con lui hanno solo scherzato (perché nulla è parso serio in quello che si vede al terzo atto..)? perché il testo lo possiamo forzare finchè vogliamo, ma resta che lei muore redenta, lo dice la musica, è la sua positività. violetta è un personaggio positivo, ma a me non è parsa tale. e questo èl’errore di tcherny, a parte la realizzazione assolutamente cheep
      g

      • Non mi sono spiegato bene. Volevo dire che lei è come gli altri, ma, diversamente dagli altri, le capita di gettare uno sguardo al di là del niente che circonda tutti. Non riesce però a “reggere” quello che vede (forse per la consapevolezza di essere incapace di viverlo fino in fondo) e impazzisce: non muore redenta, vive pazza.
        Un caro saluto.

          • A me non è parso. Ma è evidente che ciascuno di noi, per mille ragioni, percepisce, vive, sente le cose diversamente. E dunque non faccia nessuna fatica a pensare che tu la trovi mal realizzata e, almeno in parte, a capire le tue ragioni. “Let the echo decide if I was right or wrong”, come cantava Bob Dylan :-)

          • Sì, mi piace molto anche Dylan: due passioni nate pressappoco insieme, quella “dylaniata” e quella per il melodramma.
            “May God bless and keep you allways…”
            Ciao!

  24. ma ragazzi la parola “disturbare” é centrale nell’intervento di Brian! Non siete usciti disturbati da quel mondo di individualisti, di narcisisti, di menefreghisti, di consumisti, di padroni della verità, di snob rappresentato dal regista??? Non vi siete visti con lo smartphone in mano o al cospetto dell’ultima conquista di un giorno nella chat di turno o comunque “addict” di qualche cosa? La direzione di Gatti era in sintonia con questa impostazione tutt’altro che splendente ma anzi grigia e annoiata, ma gli accompagnamenti ed il sostegno dato ai cantanti mi é parso da valente professionista e non mi ha annoiato.-

      • Infatti non l’ho trovata una “Traviata” disturbante, parola che ritengo addirittura esagerata nei confronti di questo allestimento e di questa resa musicale e vocale.
        L’ho trovata semplicemente una Non-Traviata. Gatti con i suoi tempi funerei o schizofrenici ed i suoi toni spenti, rigidi, dilatati allo sfinimento; la Damrau sfiatata, calante e perennemente aggressiva, quindi piatta, prevedibile e senza senso; Beczala che possiede solo un buon timbro ed un uso sapientissimo del non-canto e del non-fraseggio: Lucic buzzurro come al solito se non peggio; comprimari da brutta operetta; allestimento senza amore, senza scandalo, senza scossoni emotivi, senza idee coerenti, senza originalità, senza stravolgimenti o riletture o “destrutturazioni”, senza nemmeno legami con la nostra contemporaneità, senza nemmeno una rilettura delle convenzioni di allora applicate alla morale di oggi, privo di intelligenza, passione, culto della bellezza o della bruttezza, perchè ci vuole una certa cura anche per mettere in scena il grottesco senza apparire manierati o stupidi. E qui non c’era nemmeno la maniera o la stupidità.
        Una Non-Traviata gelida, rigida, banale e inespressiva, nel canto, nella musica, nella regia, come 1000 Traviate che si possono vedere in qualsiasi provincia mondiale che cerca di rifare il verso all’ormai agonizzante, perchè fin troppo sgamato, teatro di regia, che qui, appunto mancava in toto, alle convenzioni canore di oggi che puntano sull’impoverimento del timbro, della musicalità, della tecnica e del fraseggio ed ad una filologia da terzomondo musicale.
        Una Non-Traviata qualsiasi, dunque, che fa ridere… non ho infatti mai riso ad una “Traviata”, ma questa c’è riuscita.
        E non è neanche una cosa tragica, perchè ridere di questa nullità è prendere consapevolezza che questa è l’unica reazione spontanea per reggere tale (infimo) livello “artistico”.
        Grazie Lissner, Gatti, Tcherniakov e Cast per avermi fatto ridere e dimenticare in fretta questo 7 Dicembre.

        • Mah… Lily, perdonami, ma non ho trovato poi né Lucic né la Damrau così catastrofici. Io direi che hanno tenuto botta. C’è di molto peggio! Diciamo che loro due cascano interi nel giudizio della Mandelli che intitola l’articolo….

    • mi ha disturbato il non vedere niente in scena. mi ha disturbato uno spettacolo che non c’era, la sciatteria e la presunzione di chiamarlo tale. ma quei coristi che stanno in scena come se fossero li per la prima volta in attesa che il regista dica loro di fare qlcsa…non li hai visti? ma che recitazione ha chiesto alla damarau? era recitare quello secondo te?….taccio delle zucchine e dei peperoni, come pure della scena la preludio….
      quello mi ha distubato. una traviata da parrocchiale della periferia russa, come era del resto quell’orrido oneghin, con quella tavola ovale, tutti lì per caso…malvestiti…senza ne arte nè parte….
      gatti poi dovrebbe imparare ad essere in sintonia con l’autore ed i cantanti, invece di andare in giro come un pellegrino velleitario a sognare lentezze da grandi voci che non ha ( la boheme di salzburg, con beczala che sbraitava stonando la speraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaanza….e l’anja ansimante senza fiato, la ricordi?) e a dirigere fracassi grevi, orchestre che si trascinano moribonde o letargiche come se avessero ingoiato 100000 tavor. che impari ad avere un po’ di tocco, di leggerezza e soprattutto che chiarisca a se stesso cosa vuole far e dove vuole andare, perché si capisce che non sa cosa vuole. insomma, la damrau l’ha guardato tutta sera, e a me pare una cantante sicura. lei accellerava nell’aria finale e lui tirava indietro….tutti capivano che faceva tanta fatica…salvo lui! l’opera non è per direttori come lui.

  25. OK Duprez – Ringrazio Giulia per la parziale difesa del mio commento e rassicuro lei nonche il sor Brian96 : avevo perfettamente capito il senso del suo intervento.
    Sono forse apparso un po’ secco nella risposta, che però – come sa chi ha orecchio allenato alla parlata meneghina – non è una offesa ma un invito ad essere, in generale, più assennati.
    Chiariamo bene :
    – La prima uscita di Traviata poteva ben essere storicamente e sociologicamente provocatoria, per l’argomento, per come veniva trattato, e per il contesto in cui e a cui veniva proposto, la messa in scena di Tcherniakov è la solita trovata registica di chi pensa solo a far colpo e la spara più grossa e forte possibile, come se altri prima di lui non l’avessero già fatto. Metterle in relazione per presunti fini provocatòri, per me non è paragone accettabile.
    La storia degli stravolgimenti cui la povera Violetta è stata sottoposta fino a oggi è lunga….una analisi corretta non può – pardon non potrebbe – non tenerne conto, con buona pace di Brian96.
    Adesso lui mi dirà magari che avrei potuto rispondere subito chiarendo la cosa, ma una affermazione di quel tipo, basata su una analisi quanto meno incompleta, mi lascia perplesso sulla possibilità di venire inteso.
    …e già che ghe semm… quando da piccolo qualcuno mi mandava a ciapà i ratt, io non mi offendevo, mi chiedevo piuttosto che baggianata avevo detto o fatto, non so se mi spiego….

    • Ti spieghi benissimo. Io però non mi sono offeso affatto (non ci conosciamo nemmeno: perché dovrei offendermi?). Libero tu di pensare che le mie siano “baggianate”, libero io di pensare che non lo siano., anche se continuo a pensare che dare del “baggiano” a chicchessia non conduca da nessuna parte. Ma anche su questo, evidentemente, sei libero di pensarla diversamente, così come sei libero di avere le tue perplessita sul fatto che il “baggiano” abbia o meno la capacità di intendere ciò che scrivi. A ciascuno le proprie perplessità e i propri fraintendimenti.
      Un saluto.

      • Temo che il guaio tuo, Brian, sia che la metti sul personale, mentre in una normale discussione ci si confronta anche in modo acceso senza per questo aver intenzione di offendere e, se si è abituati a discutere, offendersi.
        Se ho capito bene, ti potresti offendere se mi conoscessi…,interessante punto di vista, forse “un po’” rovesciato perchè, normalmente, se ci si conosce, dovrebbe essere più facile accettare delle critiche : chi può criticarmi meglio di qualcuno che, per quel che è concesso, può dire di conoscermi più di altri ?
        Se non ti offendi perchè non mi conosci, a maggior ragione non dovresti offenderti se mi conoscessi : non per niente gli amici a volte si mandano a quel paese e poi vanno avanti come prima.
        Challenge the obvious, vedi tu.
        Quanto al mio secondo post, non deviamo : non è questione di fraintendimenti o gusti, il mio appunto si riferisce all’ argomentazione con la quale supporti la tua opinione, cioè, ripeto, alla relazione fra l’effetto che poteva avere Traviata al suo primo apparire, in quei modi e in quel contesto, e la ricerca dell’ ennesimo effettacio teatrale di quest’ultima messa in scena, ormai res cognita per chi a queste sparate ci ha fatto , anche contro voglia, l’abitudine.
        Ti rinnovo il mio invito a una analisi più ponderata, tenendo conto dell’ enorme pregresso che ha sulle spalle questo capolavoro, e dei massacri – stazioni quasi ferroviarie, cucine, bric a brac e cineserie varie – perpetrati a suo danno da aspiranti prime donne (anche al maschile) fino a 5 giorni fa’.
        Quanto al canto e all’orchestra, nota centrale e ragione di questa discussione, ho già detto che personalmente posso dire di aver visto e sentito di molto meglio, col solo rimpianto, per ragioni anagrafiche, di aver perso Maria piantata lì, sui legni, ad affascinare i fortunati presenti.
        In ossequio all’anagrafe, and to my old pal Bob…may you stay forever young !
        Cheers.

        • Scrivi che la metto sul personale. È così: le passioni, anche quelle musicali, sono per me sempre qualcosa di molto personale, anche quando provo a discuterne. Ma non trovo affatto che sia un “guaio” :-)
          Scrivi: “Se ho capito bene, ti potresti offendere se mi conoscessi…” No, quello che ho detto è che, non conoscendoti, non potrei offendermi nemmeno se lo volessi (e, credimi, sono una persona che si offende molto di rado e solo per motivi davvero seri). Quanto all’accettare, discutendo, le critiche, sono d’accordo con te, anche perché diversamente uno non dovrebbe nemmeno cominciare a discutere.
          Mi inviti a una analisi più ponderata. Lo farò. Per ora, al di là di ogni analisi, ribadisco che quella “Traviata” mi è piaciuta, sebbene anch’io possa dire di avere visto e sentito, insieme a cose di non poco peggiori, anche cose migliori (“I’ve seeen better days”, come cantava il nostro comune amico Bob :-).
          Un saluto cordiale.

        • @ako e @ brian
          io vorrei continuar a pubblicarvi. non scrivete apprezzamenti personali, please. scrivete cosa pensate, anche 100000000000 righe, ma…restate sul fatto, la traviata e cosa ne pensate. i bisticci e i condimenti extra sono inutili.
          ciao a entrambi

  26. Lungi da me il voler dare addosso a Brian96 che è in minoranza circa il giudizio sulla Traviata scaligera, mi permetto di intervenire.

    Ciò che proprio mi turba delle regie moderne e provocatorie, così come sono oggi intese, è la totale assenza di qualità estetica. Io sono conscio che i gusti sono strettamente personali, ma credo si sia completamente perso il senso del bello, o meglio, esso venga svalutato aprioristicamente per tentare di rifuggere dall’etichetta di superficialità. A regnare in quasi tutte le regie che si realizzano nei teatri è la bruttezza: essa viene ricercata con una perseveranza che è a dir poco sconcertante e, nel contempo, avvilente per chi conserva ancora una percezione del bello. E io personalmente sono convinto che siano ancora in molti a conservarla.

    La bruttezza è la Musa della più parte dei registi, che sfogano, non si bene perché, sull’opera, genere di cui spesso sono completamente ignoranti, questo desiderio di provocare.
    E qui sorgono almeno due domande: ma perché la novità e la provocazione devono per forza contemplare brutture? Come arredano costoro la loro abitazione? Io credo che abbiano buon gusto nella vita privata o che, in ogni caso, non siano così mona, per utilizzare il colorito vernacolo veneto, da trattare la loro dimora come si permettono di fare con i palcoscenici.

    Ogni opera è intercambiabile con un’altra, tanto sono tutte rese brutte esteticamente e identiche nella cerca di messaggi sempre nuovi e provocatori, che dovrebbero sconvolgere chissà chi! Basta aprire la tv o i giornali per quello, non serve il teatro o l’opera, ma questi registi sono così acculturati da non saperlo o da volerlo bellamente ignorare.

    Per concludere, riguardo allo scandalo della prima Traviata paragonato al gracidio di quella attuale, vorrei limitarmi a ribadire l’ovvio: fu la tematica scelta, non la regia, a provocare gli spettatori.
    Una regia dovrebbe essere per dovere ed onestà intellettuale fedele alla storia di cui parla il libretto, alle sue parole, altrimenti sarà semplicemente ridicola e stupida. E di certo non avvicinerà i neofiti all’opera. La mia personale provocazione (oggi tutti devono essere provocatori per piacere) alla luce di quanto ho scritto è: se proprio dobbiamo sorbirci il ridicolo e la stupidità delle regie attuali, possiamo almeno sperare in un ritorno dell’armonia e della bellezza?!

    Mi scuso per la lunghezza!

    • Caro Ninia92,
      ho letto con interesse le tue osservazioni, e in parte le condivido.
      Forse sì, è vero: si è perso il senso del bello (ammesso e non concesso che del “bello” vi siano canoni univoci e universali: la storia spesso ha dimostrato il contrario, e ciò che una certa epoca ha ritenuto “bello” per un’altra non lo è affatto).
      Forse è vero anche che alcuni registi perseguono il “brutto”, anche se, a mio modo di vedere, non sempre perché ignorano l’opera. Penso però che all’opera anche il “brutto” possa essere presente legittimamente e avere una sua funzione specifica. Ho letto di recente un bel libro di Gabriele Scaramuzza, “Il brutto all’opera” (Mimesis 2013) che apre prospettive davvero interessanti in questa direzione.
      Quanto allo “scandalo”, vorrei anch’io ribadire l’ovvio: è vero che, un secolo e mezzo fa, a fare “scandalo” fu il tema e non la regia; ma oggi quel tema, non attualizzato, sarebbe forse archiviabile come “storia” (e per parte mia sono d’accordo con quel che scrive Nietzsche, ossia che l’interesse della storia non è l’antiquariato, ma la vita).
      Un saluto cordiale.

  27. Ragazzi cari,
    Ho ascoltato commenti riguardanti
    l’inaugurazione scaligera alla
    Esselunga, sull’autobus, al lavoro,
    in posta, persino dalla Pinuccia la
    mia fidata ortolana…..
    Cari miei, alla fin fine son tutti
    schifati…e morta la’!
    Ma non dovro’ mica diventare scemo
    per capire che cazzo vuol dire un
    tipo che che vuol erudirmi su chi sia
    Violetta, o no? Ascolto, e in questo caso
    ascolto male, e oltre ad ascoltare mi
    capita di vedere delle cose che, io, faccio
    fatica a capire, (be’ ma ad ascoltare i
    commenti mica solo io faccio fatica a
    capire). Oltre a tutto anche di miserrima
    messa in scena. E poi sarei proprio curioso
    di sapere come mai la Violetta d Maria Callas
    venga ricordata come interpretazione di
    riferimento, esattamente se non capisco male,
    al Germont di Fischer-Dieskau. Direi che
    c’é certo molto da discutere, su quest’ultima
    sconvolgente rivelazione. No?

  28. la traviata decca diretta da maazel con lorengar aragall e fischer dieskau che fatica reperirla era scomparsa nei negozi italiani e la trovai in ungheria ristampata per poche lire…bei tempi e grande Ficher Dieskau che non ha certo una voce verdiana ma credo faccia capire il valore e la forza della fantasia

  29. Noto con piacere che il nostro
    Albertoemme coglie sempre,
    repentinamente, il senso di cio’
    che scrivo. Bravo!
    E’ ovvio, per proseguire, che son
    d’accordo con lo Zingarello.
    Ma che bel nome! Zingarello!
    A proposito, non e’ che lo sono
    solo i passionali in accordo con
    Ako, lo sono anche quelli che non
    vogliono sentire dei versi al posto
    delle note. Tanto per aggiungere
    una categoria. Ciao a tutti.

    • Dai Miguel ti conosco di fama fin dalla gloriosa seconda recita del Barbiere di Macerata…ho grandissima stima di te e dei tuoi gusti coerenti e mai contraddittori. La tua asticella é però altissima e credo che in questo divertentissimo blog sia giusto cercare di far valere anche voci spesso discordanti come la mia che rappresentano a torto o ragione il gusto di molti appassionati che per esempio amano (attenzione, con tutte le riserve relative al caso concreto) cantanti contemporanei come Bartoli, Kaufmann, Florez, Kunde e via dicendo sistematicamente sottovalutati dagli storici frequentatori del sito.-

    • il succo della recensione di Facci secondo me è che regista e direttore erano su due pianeti distantissimi, e che alla fine il direttore, essendo responsabile ultimo (ed unico) della serata, dato che se qualcosa non gli garbava poteva andarsene, protestare cantanti o altri, deve pagare il conto per tutti. E della pusillanimità dirigenziale (non direttoriale… mi limito al dirigenziale) Gatti aveva già ben dato prova in Scala, e infatti è stato adeguatamente premiato ricevendo in affido Traviata. Appunto.

  30. Brian96,
    tutti i tuoi ragionamenti si basano su una premessa errata dal punto di vista storico. Il fiasco della prima esecuzione di Traviata alla Fenice fu dovuto pressochè esclusivamente all’ esecuzione. Il pubblico se la prese in particolare con la protagonista Fanny Salvini Donatelli che era una donna in carne e non credibile come tisica all’ ultimo stadio. La tematica della vicenda non c’ entra nulla. Tutti i dicumenti relativi li puoi trovare nel volume di Marcello Conati “La bottega della musica – Verdi e la Fenice”.

  31. Cara Ninia, sono circa 2500 anni che si discute su cosa sia il bello. Non si è mai trovato un accordo su nulla. Sarebbe veramente singolare che si dovesse trovare ora. E in effetti non lo si trova, dato che su questa Traviata c’è quasi unanimità su questo blog, ma allargando la prospettiva questa unanimità si sfarina completamente. Dirò la verità, io questa Traviata l’ho trovata interessante, come ne ho scritto su Operaclick. Piena di difetti, ma interessante.
    Ciao a tutti
    Marco Ninci

    • Ad essere sinceri, leggendo anche i pareri su FB, sui blog e sui forum, anche di insospettabili ed i sempre entusiasti ad ogni costo, questa “Traviata”, l’hanno accolta con un malcontento spinto fino al sarcasmo, quasi unanime.
      Non parlo sono del lato visivo, ma proprio di quello vocale e musicale.
      Lascio perdere i pareri dei critici ufficiali, internettiani o patinati, li leggo solo per diletto ormai, e quei melomani che hanno provato a giustificare questa produzione con paranoie onanististiche e metafisiche capriole hanno generato l’ilarità generale.
      Mi piacerebbe sapere cosa tu abbia trovato interessante

    • Caro Marco:)
      Premessa doverosa non essendo da molto che scrivo sul blog e quindi in parecchi forse non hanno ancora avuto modo di leggermi: sono un ragazzo, quindi è meglio “caro Ninia” :) Ninia è il vero nome di Arsace nella Semiramide di Rossini che è un fanciullo guerriero, e non un ninja come mi pare abbia scritto per errore Albertoemme strappandomi una risata divertita.

      Tornando al punto, sapevo che sarei incorso nel rischio di veder sollevata questa giustissima obiezione. Io non mi riferisco al bello assoluto o ideale su cui tanti filosofi e non hanno discusso. Siamo d’accordo che la percezione del bello sia strettamente personale, eppure secondo me si può parlare di bello in senso generale, ma non metafisico, un bello secondo determinati parametri che fanno parte del sentire comune e sono frutto della storia della nostra cultura.

      Io sono piuttosto convinto del fatto che la gran parte delle regie moderne siano brutte secondo questi parametri, e ciò indipendentemente dalle idee o dalle letture che i registi sottendono ad esse.
      Per farti un esempio: ho mostrato ad una trentina di compagni di università, tutti (credo) digiuni di opera, delle foto di questa regia per un parere puramente estetico e non ce n’è uno che abbia impiegato il termine bello, semmai l’opposto. Vorrà dire qualcosa? Io penso di sì, nonostante siano studenti di antichistica e lettere moderne e non di beni culturali o architettura.

      Tu stesso dici che lo spettacolo è stato interessante (e ci sta), ma non che sia stato bello, e neppure Brian. Anche questo mi pare significativo, o sbaglio?
      Ciò che volevo dire col precedente intervento è: perché bisogna per forza assistere a 9 spettacoli su 10 al trionfo del brutto che, come è ovvio, non piace a nessuno? Io lo trovo triste e ammetto che mi rovina lo spettacolo più delle letture discutibili che i registi danno dei capolavori del passato. Cioè, se l’idiozia e la stupidità posso tollerarle a malincuore perché si manifestano chiaramente per quel che sono, non riesco a tollerare il brutto e la mancanza di armonia a livello estetico. E questo vale anche per il canto.
      Spero di essermi spiegato bene:)

      Brian siamo campioni di buone maniere mi pareXD Penso di aver risposto anche a te, o, in ogni caso, di aver chiarito il mio parere. Ti ringrazio per il consiglio e vedrò di leggere quel libro che mi pare interessante, anche se ho pile di libri da leggere e se mi sembra dalla descrizione che ho letto che parlasse di brutto con un accezione diversa da quella da me intesa.
      Sul discorso che oggi il tema non farebbe scalpore, secondo me non è vero: penso ancora oggi che alla famiglia di un ipotetico giovanotto di buona famiglia e bella presenza (indispensabileXD) darebbe non poco fastidio un eventuale fidanzamento con una escort, seppur di alto bordo. Che questa ricerca esasperata della provocazione ci faccia allontanare troppo dalla vita reale? Secondo me sì!

      PS: Ieri in libreria ho visto un’edizione di Plotino curata da Marco Ninci, ma sei tu? (scusa se mi permetto di darti del tu)

      • caro ninja,
        se vuoi scrivere qui sopra, dovrai abituarti ai suoi utenti, che come avrai ben capito, sono assolutamente variegati. marco è uno dei nostri più antichi detrattori, di cui peraltro non possiamo fare più a meno.
        play the game!
        g

  32. che la prima di traviata a venezia sia oggetto di revisione é ormai cosa nota e fra un po’ qualcuno dimostrerà che é stato un successo degno della recita offerta da Maria Malibran al San Benedetto. Io continuo a ritenere verosimile che non fu solo una questione di soprano inadeguato e baritono in declino, ma che il pubblico si vide sul palcoscenico e rimase scioccato da tanto realismo. Su questo “chiamalo pure luogo comune” si é focalizzato l’approccio di Tcheriniakov e quanto ha scritto Brian (anche a replica delle legittime osservazioni di Grisi e Duprez) é più giusto di quanto hanno scritto tutti i critici ufficiali che hanno in misura piena o parziale salvato questa produzione che lo stesso Brian giustamente non ritiene un capolavoro come effettivamente fu l’Oneghin che molti appassionati si persero. Mi viene quasi il dubbio che Brian non esista perché una velocità di lettura come la sua non immaginavo potesse prescindere da una buona dose di esperienza (a meno che 96 stia per 1896 in quel caso fammi sapere come cantava Tamagno dal vivo io posso limitarmi a dirti come cantava Joan Sutherland o Grace Melzia Bumbry…)

    • Signori,
      il ragionamento è semplice. Non si può credibilmente ambientare Traviata nel 2013, perché nella nostra epoca il presupposto che regge la trama non è proponibile nè credibile. Nessun padre di famiglia oggi si muoverebbe più per andare a recuperare il figlio che vive con una celebre mantenuta parigina, casomai gli manderebbe addirittura un’ email o un SMS di complimenti! Questo tipo di atteggiamento morale valeva fino all’ esplosione del Sessantotto, poi gli equilibri sono cambiati. In meglio o in peggio, non entra in questa discussione, ma profondamente mutati in ogni caso. Credo che un regista che voglia o sia messo nella necessità di contemporaneizzare si debba porre quesiti di questo genere.

      • Non so Mozart se ti é sfuggito il particolare (io ero in teatro) di Lucic che dal bovindo e quindi dal giardino scruta se Violetta mantiene effettivamente la promessa di lasciare Alfredo. Comportamento veramente fastidioso nella caratterizzazione di un personaggio che almeno un po’ galantuomo l’abbiamo sempre considerato…”o tempora…”

      • Caro Mozart 2006,
        magari hai ragione tu quando dici che nessun padre oggi agirebbe come Germont. Però ne dubito: ascolto e vedo e leggo ciò che accade oggi, e un padre che andrebbe a redarguire un figlio (che conviva, per dire, con un transessuale, un extra-comunitario, un integralista islamico…) lo si può trovare facilmente. Penso per ciò che il “presupposto che regge la trama” di “Traviata” sia, opportunamente attualizzato, ancora oggi perfettamente credibile.
        Un saluto cordiale.

  33. Scusa, Giulia, tu vuoi scherzare. Questo è veramente falso e di pessimo gusto. Sono stato con i giovani quaranta anni, ho accettato sempre di essere contraddetto e non ho mai provato gusti come quello che tu mi attribuisci. Oltretutto, qui in genere sono stato sempre contraddetto. L’ho sempre accettato con grande compostezza, rispondendo caso mai con l’ironia, che non è merce di cui qui si faccia molto commercio. Compostezza che per esempio difficilmente ti si può attribuire, dato che tu dai del cretino con grande facilità. Questo per la verità.
    Marco Ninci

  34. Vedi, Lily, su questa “Traviata” la si può pensare come si vuole. Sei andata a leggere la mia minuscola recensione (è già una piccola soddisfazione, tutto sommato) e hai visto come la penso. Tuttavia sembra che tu veda un’abissale caduta di livello dai miei studi a quello che io penso sull’opera. Non è così. Sembrerà strano, ma le due cose sono assolutamente identiche. Se ne può certo dedurre che il mio modo di studiare è stupido e porta a risultati stupidi. Come è possibile trarne qualche indizio che la propria convinzione che questa Traviata sia un’assoluta schifezza possa anche vacillare un pochino, sia soggetta a una certa dose di dubbio. Va bene. Tuttavia ciò che mi preme di quello scrittarello non è in primo luogo ciò che io penso della serata; ognuno ha la sua opinione legittimamente ed è molto, molto tempo che sappiamo, qualunque cosa ne pensi con una certa ingenuità Mancini, che criteri universali di giudizio non esistono. Mi sta a cuore invece soprattutto la sua parte finale. Quella in cui io dico che la nostalgia per il passato, fondata sul fatto che un certo genere ha equilibri interni impossibili da modificare ed a cui è vietato ogni genere di evoluzione, è in realtà una categoria eterna. Come dicevo, quello che è passato è stato un tempo anche presente; e, quando era presente, c’era un altro passato da rimpiangere. In questo modo qualunque artista del passato, di ogni genere, creatore o esecutore che fosse, è sempre stato rifiutato da una massa consistente di fruitori, qualche volta maggioritaria qualche volta no. Ma non è questo che importa. Rifiutato sempre in nome dell’Arte con la a maiuscola, identificata naturalmente con qualcosa che non c’era più. Con questo criterio sospetto fortemente che i detrattori dei registi odierni, che dicono di adorare Visconti, si comportino esattamente come i loro predecessori di sessanta anni fa, quando la Traviata messa in scena da Visconti suscitò obiezioni fortissime, in teatro e sui giornali. Vedi, Lily, io capisco il discorso che qui si fa, ma non lo posso accettare. Tu dici (sono parole tue) che “non ci sono più i cantanti di una volta”. Un giorno sì e l’altro ancora sento ripetere questa frase, riguardo a qualche cantante del passato non proprio di primo piano: “Avercene oggi”! Ebbene, in questi casi bisognerebbe sempre pensare che frasi di questo genere, almeno negli ultimi tre secoli, sono state pronunciate tutti i giorni che Dio mandava in terra da una quantità innumerevole di persone. Durante la Rivoluzione Francese, durante la rivoluzione industriale in Inghilterra, durante il primo e il secondo Impero in Francia, durante la prima e la seconda guerra mondiale, durante i boom e le crisi, sempre identica a se stessa. Qualche dubbio viene, no? E poi, quello che qui si è detto di questa
    Traviata, con poche, pochissime eccezioni, non assomiglia affatto ad una serie di pareri. Assomiglia piuttosto alla missione di un esercito, alla crociata volta a liberare la Gerusalemme operistica dagli infedeli adoratori di Michieletto, Tscherniakov e Carsen. E, scusa, le crociate e i moralizzatori mi suscitano più di un dubbio, anche quando la loro tesi di fondo ha diverse ragioni stimolanti dalla sua parte. Naturalmente; se così non fosse, considererei lo scrivere qua una pura perdita di tempo. Oppure lo farei esclusivamente per provocare. Ora, qualunque cosa si possa pensare di ciò che scrivo, il gusto della provocazione, che trovo una cosa stupidissima, mi è completamente estraneo.
    Con l’affetto di sempre
    Marco Ninci

    • Caro Marco,
      Attenzione! la mia sorpresa non è legata alla presunta distanza tra i tuoi importanti studi di neoplatonismo e l’interesse per l’Opera, anzi, la trovo cosa assai naturale in un amico che non esiterei a definire umanista.
      Ciò che mi ha sbalordito è il diverso livello delle sedi che hai scelto per esprimerti e comunicare: la Normale – una delle poche istituzioni rimaste, mi sembra, di cui andar fieri – e un sito che io, mediocre navigatrice, ho visitato una volta e mai più poiché ritenuto inutile. Snobismo? In parte, forse, ma son certa che mi capirai se ti dico che, con il passare degli anni, mi sono fatta – come direbbe un’accademica ex-ministra, tanto elegante quanto tragicamente pasticciona – choosy: il tempo rimasto così poco e le letture da fare (o rifare) così tante!

      PASSIAMO A TRAVIATA

      Spiacente, ma il paragone con Visconti non regge. E’ come se un’odierna (o antica, ce ne sono sempre state) sgallettata liquidasse i dissensi ricevuti a fine recita sostenendo che anche Maria Callas, a suo tempo, ne aveva avuto una razione.
      Visconti conosceva assai bene la scrittura scenica, ovvero la capacità di giostrare e organizzare sul palco gli elementi a disposizione (solisti, coro, figuranti, scenografia, costumi, luci, ecc) ai fini di articolare un racconto leggibile, coeso, ricco. Tant’è che che a Spoleto con poca seta riuscì a fare una splendida Manon Lescaut.

      Ciò che si è visto il 7 dicembre aveva tutta l’aria di essere frutto di analfabetismo; quando il coro (come durante le due feste) si dispone a semicerchio con i solisti schierati avanti vuol dire che la messa in scena si è fatta da sola, e non è sufficiente che qualcuno saluti, o si inchini, o si gratti: l’immagine non è stata composta, il racconto è assente, i rapporti tra i personaggi li interpoliamo noi che conosciamo a menadito il libretto, o almeno la trama, e i dettagli – se ce ne sono – vanno persi.
      Che cosa diresti davanti a una pubblicazione infarcita di errori d’ortografia, di grammatica, di sintassi e per di più pubblicata da una prestigiosa editrice scientifica?

      Mutatis mutandis, il mio discorso è quello di Mancini e non sarà certo un “relativismo” ignorante e a buon mercato che mi convincerà a cambiarlo. La nostalgia non c’entra; c’entra semmai la difficoltà a minimizzare cose una volta inaccettabili (se non in caso di morte istantanea) quali il vuoto di scena Violetta-Barone, con Flora e il suo “Qui desiata giungi” rivolto a una sedia.

      Mi dirai: “il regista non c’entra”. Ti rispondo: “l’Opera è un insieme di tante assurdità indissolubilmente legate fra loro, con il canto che tutto illumina e giustifica.

      L’intervento di cui mi parli io non l’ho letto – la mia sorpresa? la stessa che avrei provato se avessi scoperto nella piccola posta della Aspesi una lettera di Settis concernente una questione di cuore – ma riparerò presto.

      Con un sovraccarico natalizio di affetto. Lily

      • Nel tentativo di fare un po’ di chiarezza nella polemica – rozza, scomposta e pretestuosa – tra passatisti e progressisti, invito tutti noi popolo della lirica a non generalizzare. L’affastellamento sotto la stessa etichetta di registi tanto diversi tra loro (Carsen, Tscherniakov, Michieletto e magari l’ottimo Stefan Herheim) genera solo confusione. Il compito dovrebbe essere piuttosto differenziarli, analizzandone il lavoro con strumenti adeguati. Fulgido esempio la recensione ad opera della Pasta dei Meistersinger, Salisburgo 2013.
        Per trovare qualcosa che le si avvicini è necessario rivolgersi ad Alex Ross, in una rivista per altro non specialistica.

        http://www.newyorker.com/arts/critics/musical/2013/08/26/130826crmu_music_ross

        Un Buon Natale a tutti.

  35. e mi permetto d precisare che un grisino vissuto nell’ottoscento una volta dribblato il tasso d mortalita’ infantile penalizzante, evitato spiacevoli malattie come tifo e polmonite non avrebbe avuto remore a far morire di fame giuseppe verdi anziche’ farlo diventare facoltoso possidente d biolche, mobili ed immobili.-

  36. Cara Lily, l’insieme di registi che citi, con l’ovvia eccezione di Herheim, rispecchia esattamente il mio e quindi mi sento chiamato in causa. Chiamato in causa, devo dire, anche con un certo stupore da parte mia, visto che la triade da te richiamata non sono stato io o, meglio, la mia volontà generalizzatrice a metterla insieme; l’ha messa insieme invece quanto viene scritto in questo blog, e non certo da me. Non è un mistero infatti che Tscherniakov, Michieletto e Carsen vengono qui insultati a spron battuto, in maniera che più generale non si potrebbe; non mi pare francamente che emerga in questo caso una gran volontà di differenziarli. O mi sbaglio? L’articolo di Ross. L’ho letto. Non mi pronuncio sulle sue critiche a Castorf, ma tutto quello che scrive su Wagner e e il modo in cui è stato accolto mi sembra molto, ma molto discutibile. Dice che quello che sappiamo di lui, nazionalismo, premonizioni del nazismo etc. renderebbero impossibile una cieca idolatria nei suoi confronti (la stessa cosa che dice Marianne). Cosa che ancora non avviene per la subcultura pop americana, di cui per esempio è ancora ignoto il lato oscuro. A parte l’assurdità di un simile paragone, le questioni che solleva Ross al giorno d’oggi non hanno più alcun senso, sono state largamente superate, sono ragionamenti (?!) da provinciale. Se qualche attardato ancora pensa a Hitler o a questioni di nazionalismo stantio o a cose del genere, che può importarci? Uno che dà rilievo a queste cose a queste cose è ancorato. Un articolo che non è molto interessante, come per la chiosa sul narcisismo dei registi, ormai marcia per eccesso di impiego. E del narcisismo dei critici cosa vogliamo dire? E di quello dei direttori d’orchestra? Mah… E’ proprio vero, si può scrivere sul New Yorker e comportarsi da provinciali. Mi consolo pensando che su quelle colonne è apparso uno dei più grandi romazi del secolo, “A sangue freddo” di Truman Capote. Occorre però essere indulgenti; non si può sempre mantenersi a quel livello. Nel tuo intervento precedente, cara Lily, sollevi anche la questiione del “choosy”, dello schizzinoso. Tu dici che con l’andare del tempo sei diventata schizzinosa. Io, che pure non sono di primo pelo, col tempo ho praticamente azzerato questa caratteristica. Quando ero giovane lo ero molto. Pensavo che non bisognasse perdere tempo con gli stupidi e che occorresse non scendere mai al di sotto di un certo livello. Era un po’ la sindrome del normalista; una cosa antipatica e, tuttto sommato, molto fessa. Ora ho capito, almeno credo (non si sa mai), che tutte queste cose sono assurdità. A dire la verità, se ci si pensa bene, non esistono persone stupide; quelle che a noi sembrano tali semplicemente obbediscono a una logica diversa. Così è estremamente difficile respingere un’idea come totalmente falsa, priva di ragioni che la sostengano, fossero pure quelle di Alex Ross: al modo in cui è altrettanto difficile difendere un’idea come totalmente vera, difesa contro ogni ragione che la contrasti. In fondo, come diceva Fedele D’Amico, alla fine del suo splendido saggio su “Così fan tutte”, ogni uomo ha sempre pensato il vero, anche se questo è incerto e vacillante, sempre pronto a rovesciarsi nel suo contrario. Per cui secondo me non esistono luoghi inutili o persone non interessanti. Tutti, luoghi e persone e libri, sono pieni di spunti da cui si può prendere l’avvio per un proprio discorso. io arrivo perfino a pensare che chi si annoia denuncia soltanto la propria mediocrità; l’intelligenza non si annoia mai e non respinge mai del tutto, ricordava con ragione Tomasi di Lampedusa. Non può respingere del tutto per la semplice ragione che suo compito primario è quello di scorgere le falle e i difetti di quello che lei stessa sostiene. Ma, se questo fa per sé, il processo inverso diventa obbligatorio: non può che sotenere la validità di qualche aspetto di ciò che avversa. Tutto questo è relativismo? Sì, certo, è relativismo; relativismo ignorante, può essere. Ma in questo mondo, nel quale tutto è relativo (è difficile non essere d’accordo su ciò), l’assoluto e l’universale sono quanto si situa al di fuori del mondo, Dio, non certo ciò che al mondo appartiene. Nel campo della valutazione estetica, poi! Ogni teoria che sostenesse la validità assoluta e universale dei propri criteri è durata lo spazio di un mattino; ed è inutile il tentativo di resistenza fondato sull’accusa di incompetenza mossa a chi in quell’universalità intravede il momento storico determinato e quindi, in sostanza, l’odiato relativo. Vengo all’ultimo argomento. Che in sostanza è: Visconti conosceva il proprio mestiere ben meglio di Tscherniakov. Quindi i fischi di oggi, meritatissimi, sono ben diversi dai fischi di ieri, del tutto immeritati. Ma il problema non è questo. Il problema è l’atteggiamento del pubblico davanti a cose cui non è abituato e che non capisce: fischi sono e fischi restano, nell’un caso e nell’altro. Solo dopo, nella prospettiva storica, si potrà capire se Tscherniakov è stato un regista capace o un ciarlatano. Ma di una cosa sono sicuro: la grande maggioranza di chi oggi respinge Tscherniakov avrebbe respinto negli anni Cinquanta Visconti o, sel caso di passione wagneriana, Wieland Wagner; e avrebbe voluto a tutti costi scenografie realistiche ed elmi con le corna.
    Ciao, ancora con affetto
    Marco Ninci

    • Caro Marco,
      con gran gioia delle multinazionali del disco e DVD, dei sovrintendenti e direttori artistici mediatici, degli agenti avidi, attenderemo con ansia che la Storia ci dica se Tscherniakov sa muovere un coro, se l’orrido campo di Michieletto conserva la stessa grandeur dell’originale, se la Netrebko è in difetto di fiato, se la Norma della Bartoli si basa su una filologia farlocca, se Villazon è un cantante da osteria, se la Dessay ha dissipato un enorme patrimonio inseguendo fantasmi, se Omer Meir Wellber sa tenere insieme un’orchestra, se il narcisismo dei registi e direttori d’Opera è superiore o inferiore a quello dei normalisti.

      Non vorrei rovinarti il Natale, ma credimi: Babbo Natale non esiste. Auguri.

  37. Mi accorgo solo ora di una tua domanda, Ninia 92. Mi avevi chiesto se ero stato io a fare un’edizione di Plotino. Non ti ho risposto e non vorrei essere maleducato. Sì, sono stato io. Se mi dai il tuo indirizzo, sarei onorato di regalartelo.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Ciao Marco:) (posso darti del tu?)
      Ti ringrazio moltissimo per la gentilezza :) sinceramente non so bene come fare a mettermi in contatto con te e neppure se è lecito inserire la propria mail personale in questi post visibili nel web. Se non ci sono problemi (lo chiedo cortesemente anche a chi modererà il commento) ti posso lasciare il mio indirizzo mail qui o in chat, come preferisci (così ne approfitto per presentarmi decentemente!).

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