ROF 2014. Aureliano in Palmira: ritorna Jessica Pratt.

ZenobiaTerza opera del ROF 2014 ed ultima proposta filologica del catalogo rossiniano, l’Aureliano in Palmira è stata affidata alla bacchetta del filologo, curatore dell’edizione critica, Will Crutchfield, già ascoltato in occasione di Ciro in Babilonia.
Due “misteri” ammantano il titolo che Rossini scrisse per la Scala alla fine della stagione 1813, dopo Tancredi ed Italiana, ossia la mancanza della partitura autografa e il rapporto con Giovan Battista Velluti, ultimo dei castrati che eseguì, dice Crutchfield, solo questo titolo del catalogo rossiniano. Al rapporto Rossini-Velluti e sull’influenza di quest’ultimo ( ad onta della tradizione che vuole non buoni i rapporti fra i due causa le soverchie diminuzioni ed abbellimenti personali del castrato) è dedicato un saggio sul Bollettino del Centro rossiniano di studi e sul quale ritorneremo, in cui il direttore filologo adombra un rapporto del tipo maestro Velluti – allievo Rossini. Per il momento, e per la vis polemica del blog, diremo che se è vero che Velluti rifiutò di cantare Aureliano per quasi quindici anni e che l’opera circolò nei teatri italiani ad opera di Carolina Bassi Manna, forse lo studio avrebbe dovuto investire anche il rapporto fra questa grande primadonna ed i musicisti del tempo visto quel che Rossini e Meyerbeer scrissero per “la Napoletanina” divenuta, poi, in Cremona, la contessa Manna. Quello che appare irrisolto dallo studio, ed è quello che più ci affascina, sarebbero le ipotesi sulla sorte dello spartito. Per parte nostra raccontiamo che nell’archivio della Bassi compariva l’autografo di “Semiramide riconosciuta” che Meyerbeer le aveva donato, supremo omaggio alla grande cantante, amata in ogni senso, ed interprete.
Una cosa però è certa e riteniano che vada detta, ovvero che il ruolo di Arsace, per certi versi il vero protagonista dell’opera, guarda, come Tancredi, al passato, ovvero alle figure di musico di Mercadante (Andronico), Zingarelli (Romeo) e Morlacchi (il protagonista del Tebaldo ed Isolina). Non per nulla Arsace di Aureliano fu l’altro ruolo che, pur meno di Tancredi, Giuditta Pasta eseguì nella propria carriera. E se aggiungiamo che la Pasta medesima scrisse claris litteris a Rossini che mai avrebbe eseguito Arsace di Semiramide, ad onta degli accomodi, proposti dall’autore e che Stendhal dichiara, contrapponendola alla Colbran, che la Pasta era la cantante che massimamente richiamava la grande tradizione del “canto che nell’anima si sente”, abbiamo l’ulteriore prova che il musico dell’Aureliano appartiene ad un mondo estetico e musicale differente da Arsace di Semiramide, Calbo e Malcolm. Altro dato:Arsace fu un ruolo che i grandi contralti rossiniani (Pisaroni, Alboni, Albertazzi, Brambilla Marchisio) o cantarono occasionalmente oppure non ebbero in repertorio, e non è certo circostanza dovuta alla scrittura più acuta di questo Arsace , attese le prassi del tempo. Dobbiamo, però, precisare che se il personaggio di Arsace appartiene alla tradizione, la struttura dell’opera anticipa largamente quelle del Rossini napoletano, benché composta solo dieci mesi dopo Tancredi. Quest’ultimo, se si esclude il finale primo, non ha ulteriori ensemble, mentre in Aureliano compaiono (scena XIV del primo atto e, nell’atto secondo, prima e dopo il grande rondò del travesti, che in Tancredi costituiva il numero conclusivo dell’opera o quasi) terzetti o addirittura quartetti. Inoltre nessuna opera napoletana raggiunge la durata (ben oltre le tre ore) di Aureliano, che per la struttura drammaturgica pesa interamente sui tre protagonisti.
Dopo le dissertazioni filologiche ed estetiche arriva l’amara realtà della realizzazione.
Se l’opera del filologo risponde alla più accreditata e fondata prassi (poi si possono discutere i postulati di partenza, ma il lavoro resta molto interessante e stimolante), il direttore e concertatore è ben al di sotto della sufficienza. L’orchestra sinfonica “G. Rossini” ha suonato peggio di quelle, ben note per la pessima qualità di suono, di Genova e Torino dei primi anni ’80. Attacchi imprecisi e suono bandistico, in questo aggravato dal fatto che Crutchfield, come tutti i direttori di oggi, non accetta di dare ampiezza e solennità ai momenti drammatici dell’opera (finale atto primo, quando viene richiamato il tema della sinfonia, coro di entrata di Zenobia all’atto primo e coro dei pastori al secondo atto) o sull’errato presupposto che sarebbero sonorità romantiche. Crutchfield distribuisce, come all’entrata di Aureliano, frequenti stacchi da marcette del teatro dei pupi, mentre come sonorità le cose funzionano un po’ meglio solo ai duetti patetici fra la coppia di amanti o alle scene di Arsace, di sapore elegiaco. Tralascio strappi in orchestra ed entrate in ritardo, ora del coro ora di alcuni solisti, sia alla prova generale cui abbiamo assistito, sia alla ripresa radiofonica. Né, tenuto conto dell’onerosità delle tre parti protagonistiche, l’accompagnatore brilla per la capacità di sostenere gli interpreti in questa maratona. Metronomo sistematico come se la correttezza filologica consistesse nel mero inserimento di note e non già nelle libertà di dinamica e, soprattutto, agogica; esasperata lentezza negli andanti, tempi veloci e meccanici, privi di qualsivoglia strategico rubato o rallentando. Trovo poi molto strano il rapporto con varianti e cadenze, dove la coerenza del pensiero è stata molto latitante, nel senso che non tutti gli andanti sono stati conclusi con cadenze corpose e significative tipiche del tempo (vedi duetto Aureliano Arsace), e dove non tutte le riprese degli stessi sono state adeguatamente e coerentemente variate. La differenza fra gli interventi nell’andante di Zenobia, alquanto arricchito, e quelli di Arsace è stata di tutta evidenza. Forse, e lo diremo più oltre, la differenza sta fra i prescelti interpreti.
Perché, tanto per essere spiani, di cantante da Rossini a Pesaro in questa e nelle altre produzioni 2014, c’è solo Jessica Pratt. Credo che questa tipologia vocale, tipica dell’opera seria italiana da Mozart (con l’aggiunta di Costanza del Ratto) sino al Rossini pre napoletano, sia quella che esalta il canto strumentale e di slancio della Pratt. E questo, stando alle prove fornite in teatro, dovrebbe essere il suo repertorio ancor più dell’opera romantica italiana. Superato il primo duetto “Se tu m’ami”, dove i picchettati non sono affatto facili, la cantante e l’interprete comincia a crescere dalla grande aria (ben più lunga e complessa rispetto alla versione di Luciana Serra a tutti nota), dove il recitativo è scandito ed imperioso ed il canto di agilità preciso e fluido, nonostante – più dalla ripresa radiofonica che dal vivo – qualche fissità nei sovracuti (esibiti a perdifiato). Da lì in poi tutto è filato facile e fluido, con due vertici, ossia il duetto con Arsace alla scena XIV del primo atto ed il duetto “Mille sospiri e lagrime” e seguente terzetto all’atto secondo. Completa la realizzazione del personaggio, autoritario (leggi recitativi accentati e scanditi) nella sfera pubblica, patetico e dolce in quella amorosa (leggi canto legato di qualità). Alla Pratt è toccato, sia alla generale che alla prima, l’unico autentico applauso e dopo l’aria ed alle singole. Non sarà un caso, benché, complici difficoltà della parte, scarso aiuto dalla buca, mancanza di una partner adeguata, non fosse perfetta.
Impari al compito, pur in una parte che in sé è uno schema di parte per l’obbligo di diminuzioni e abbellimenti, Lena Belkina quale Arsace. La voce di brutto colore e grana comune non è sostenuta adeguatamente dal fiato e quindi, pur trattandosi del solito soprano camuffato da mezzo, corta in alto e limitata in basso, perennemente ingolata ed incapace di eseguire, con legato e dinamica, gli andanti e con un minimo di slancio gli allegri. Deve essere segnalato che il da capo di “Non lasciarmi in tal momento” (quello che poi finirà nel Barbiere passando per Elisabetta) batteva grosso modo una quinta, salvo uno strillo (direi si nat) alla chiusa. Quanto di peggio possa esserci per il canto rossiniano. Superata solo dalla improponibile Armida della Romeu. Cosa sarà il duetto di amorosi programmato per il 17 prossimo non osiamo immaginarlo.
Quanto al signor Spyres, il tenore ottimista, a furia di gonfiare ed ingrossare la sua voce di tenore lirico nel tentativo di imitare in ampiezza ed estensione il Chris Merritt dei tempi che furono, è sistematicamente stonato nei salti e gli acuti (che non sono mica i mi bem dell’americano, ma più banali do) suonano di limitato volume e risonanza, oltre che bianchicci. Spiace dirlo ma la sua tuttologia dilettantesca non ha giovato al suo mezzo, ma al contrario ne ha intaccato la sostanza vocale. Delle sue intenzioni verdiane taciamo, perchè già le prove sul Tell, o gli Ugonotti et consimilia ci avevano ben chiarito il suo modo, diciamo appunto “ottimista”, di pensare.
Quando si vanno a vedere gli spettacoli di Martone il gioco più divertente è andare a ricercare la paternità delle citazioni altrui con cui compone i suoi patchworks. Era capitato nell’Oberto scaligero, che riprendeva pedisseque il film Scarface, mentre Cavalleria e Pagliacci rieccheggiavano Zeffirelli, Fellini etc. Quanto a questo Aureliano, dove la scenografia era solo una serie di velari a mezza altezza, che ricordavano gli arredi del settore private banking di tanti istituti di credito, abbiamo rivisto la fila degli eunuchi (qui donne) che cuciono dall’Italiana in Algeri di Ponnelle, la Medea pasoliniana quando Zenobia sul carro si reca da Aureliano al secondo atto, il finale con le didascalie proiettate ed il ritorno alla vera storia di Zenobia ed al presente politico stile Livermore etc. Tralasciamo la banalità della rappresentazione della corte di Zenobia colorata come un mercato di Bangalore, che con la Palmyra di Zenobia non c’entrava un bel niente o l’inutile realismo delle capre (qui anche l’autocitazione del film Noi credevamo), al quadro bucolico di Arsace fuggitivo. I romani di Martone sono, poi,filologici fino alle scarpe, anfibi militari moderni mentre Zenobia sale su una biga ove viene vestita da due ancelle che si inerpicano in modo improbabile su due scalette durante il duetto con Aureliano, incredibile ridicolizzazione della Medea pasoliniana e vero simbolo di questo allestimento. Con buona pace di Martone l’opera di Rossini, e non solo Aureliano, fugge da ogni tentativo di rappresentazione realistica non essendoci nel testo e nella musica nulla di realistico. Gesti di regia, movimenti di massa: nulla. Allora, sempre per essere spiani o “crudelissimi”, come dice la signora Aspesi, lo spettacolo di Ronconi era realizzato con una economia di mezzi che confliggevano con il titolo, che richiede spettacolarità e sfarzo, ma rispondeva ad una ben chiara idea (un dramma cavalleresco ) di spettacolo ed aveva un senso logico. Qui non c’è proprio l’idea di fondo e nemmeno una coerenza di cifra, e non è certo colpa del povero librettista di Aureliano.

Gli ascolti

Rossini – Aureliano in Palmira

Atto I

Non piangete, o sventurati – Jessica Pratt (in house 09/08/2014; diretta radio 12/08/2014)

24 pensieri su “ROF 2014. Aureliano in Palmira: ritorna Jessica Pratt.

  1. Se la unica vera novità sta nella presenza della Pratt, nell’Aureliano in Palmira, viene spontaneo chiedersi a cosa serva oramai un festival dedicato a Gioachino Rossini. Mi pare di capire che il conosciutissimo Alberto Zedda abbia ancora una volta ricostruito (si fa per dire) lo spartito del Barbiere di Siviglia, ora mi domando quale sarà mai quello vero il primo o il secondo, o forse un terzo ?
    Per derimere tale angoscioso quesito il nostro paese dovrà finanziare all’infinito un festival ? I metalmeccanici sono stati interpellati? E la ANM è d’accordo ?

  2. Carissima Giulia, come non darti ragione: nella miseria di questo festival spicca davvero la sola Pratt e la domanda sorge spontanea: va bene la natura, ma che forse la signorina si avvezza allo stdio ? diciamo questo sconosciuto….
    p.s. Giulia riesco a mandarti una mail non pubblica? se si scusa ma non capisco come…
    Buona serata a tutti!

  3. Sono concorde che l’unico motivo di interesse del ROF sia stata la bella e quasi sempre brava Jessica Pratt, l’unica ad affrontare con serietà il cimento rossiniano. Mi accodo a chi nota la differenza tra generale e prima: la tensione le fa brutti scherzi e le capita ogni volta a quanto ho notato (Sonnambula, Lucia, Africana dal vivo e Aureliano dal vostro post). Spero continui così e si faccia trovare pronta per le prove future dato che ho comprato dei biglietti solo per andare a sentire lei (non certo la Ganassi che temo sarà un Romeo agghiacciante…).

    Leggendo il presente post mi sono andato a vedere i cartelloni delle stagioni del Rof nel nuovo millennio per cercare di farmi un’idea della corda sopranile degli ultimi anni, cioè, per dirla in altri termini, quali sovrani possono vantare di aver conseguito ottimi o dignitosi risultati. Può sembrare un poco infantile (Provate ad esempio a leggere tutti di seguito i programmi e i cast dei vari anni per contemplare l’assurdità di certe scelte, ad esempio cantanti chiamati un anno per Tancredi e poi Occasione fa il ladro etc…..), ma permette anche delle riflessioni non solo sul festival, ma sulle voci in Rossini in tempi recenti e presenti.

    Premetto che non considero certe cantanti-ciofeca tipo Bayo, Cantarero, Ganassi, Peretyatko, Moreno, Aleida, Romeu…

    Riporto un breve elenco di cantanti in diverse opere. Io conosco poche di queste esecuzioni, perciò mi affido alla memoria storica di lettori e curatori di questo sito. Che ricordi avete di queste cantanti e/o queste performances? Quali trovate siano le più azzeccate o le più significative? Se ne avete già discusso di ciò in altri tempi mi scuso in anticipo :)

    Siege- Ann Swenson: so che non era male anni 80 e 90, ma nel 2000 non saprei…
    Nozze teti- Ciofi
    Gazzetta- Bonfadelli
    Donna del lago- Devia
    Semiramide- Takova
    Adelaide- Pratt
    Ciro- Pratt
    Torvaldo- Dakova
    Matilde- Massis
    Cambiale- Rancatore
    Adelaide- Ciofi
    Ory- Bonfadelli
    Tancredi- Ciofi
    Maometto- Rebeka
    Tell- Rebeka

    Io personalmente trovo graziosa la Gazzetta che possiedo in cd e apprezzo la Devia (anche se certi ruoli sono troppo bassi o drammatici per lei) che è una professionista davvero di altri tempi e una vocalista, la Takova (che fino a un certo punto ha fatto belle cose) e la Massis (non quella degli ultimissimi anni, ma aveva una grande capacità di eseguire le agilità e una bella voce. Trovo molto riuscita la sua Matilde. Poi ha un certo charme francese che a me piace molto). La Rancatore all’epoca non era così intubata e vetrosa quinsi nella cambiale era gradevole, invece la Ciofi mi ha sempre lasciato perplesso perché ha belle idee, ma canta davvero male (aria a volontà, tensione estrema,…. una Traviata a Venezia di qualche anno fa mi ha letteralmente impressionato, temevo le scoppiasse una vena!) però magari nei primi anni 2000 aveva un suo perché (la Sonnambula con Morino non è così male in effetti). La Rebeka da vari ascolti recenti sul tubo non mi ha per niente colpito in positivo, anzi.

    • Caro Ninia, anche noi speriamo di non andare fino a torino per nulla……speriamo che anziche perdere il suo tempo in concertini psudodilettanteschi nelle bocciofile o in occasioni amatoriali come quella della lucia di tv, la pratt si dedichi allo studio di un repertorio che non conosce e non ha mai praticato come haendel ma che le potrebbe essere congeniale. Ha una maestra che fu una grande haendeliana e mozartiana, maestra nel canto patetico oltre che in quello acrobatico. Il dominio di un repertorio richiede tempo, e non lo studio distratto che ci ha ammannito in meyerbeer o cmq nei mesi passati.su di lei c’è aspettativa ed interesse, perche puo fare cose di valore assoluto, mentre sulle altre no, destinate a a passare dimenticate molto presto. Del resto la gestione dei talenti da parte di questo ambiente è tale che finisce per perderli o deviarli su terreni ove vengono consumati, usati e gettati. E la cultura vocale corrente è tale che se non ti adegui al malcanto generale sembri un panda, come era la devia.oggi tutti cantano sovraimpiegati, con la voce gonfia, ingolata, scurita e sorda sottto, corti e urlati sopra, le agilita farfugliate, e gli si chiede di essere caricaturali nell’ espressione e sguaiati. Chi li sceglie è sordo o audioleso. Quindi chi sa fare è piu impegnato a resistere a cio che ha intorno che a cantare, anzi per piacere a volte devi cantar male perche chi ti sceglie non capisce nulla.
      circa gli altri soprani, vorrei solo dire che la romeu ha fatto il piu grande errore nella scelta xel titolo, ma non è poi inferiore alle peretyatko del turco etcc….cantano tutte male allo stesso modo.

      • Divina Grisi sono assolutamente d’accordo (come si potrebbe non esserlo!).

        A leggere dei suoi impegni futuri Cleopatra e Amenaide paiono due ruoli che potrebbero starle a pennello se si applicasse seriamente, non come per quella Ines né carne né pesce che giustamente ricordavi e che mi deluse leggermente. Non capisco proprio perché non cerchi di debuttare, oltre che in certo barocco (filone che meriterebbe almeno un cantante che si possa definire tale), in Mozart (penso ad Aspasia, Giunia, Konstanze, ma anche Susanna potrebbe farla bene) oppure tentare qualche ruolo di coloratura nel repertorio francese (Offenbach, Lakmé, Ophelie, certo Massenet e così via) che sarebbe bello poter ascoltare ogni tanto.

        Speriamo che la maestra Cuberli (è a lei che accennavi vero?) venga ascoltata dato che sono certo dia ottimi consigli, ci metterei la mano sul fuoco. L’allieva per ora è lontana da raggiungere i risultati delle maestre (ci metto pure la Scotto) e non perché le manchino le doti, ma forse perché tutto il marcio del sistema che evocavi in modo tristemente veritiero, spinge a confrontarsi con un livello minimo vergognoso e a fare il minimo indispensabile per stare comunque a galla. Eppure così a perdersi sono le voci, consumate e distrutte in breve tempo da tecniche fallaci o da repertori inadatti, e la qualità, elemento agognato disperatamente da quei pochi spettatori che ne capiscono qualcosa e vorrebbero semplicemente buon canto e non la resurrezione di cantanti morti oppure in pensione come certi disonesti (intellettualmente) accusano. Il passato esiste e nella memoria delle persone e nelle registrazioni: evitare i confronti è un comportamento profondamente ottuso, oltre che pericoloso, e serve solo a mistificare a seconda dei comodi di ciascuno o ad accontentarsi in modo acritico di tutto ciò che il presente cerca di promuovere e inculcare con palese mala fede.

        • No, parlando del sistema parlavo in termini assai generali….anzi, a dire il vero pensavo a quelli cui fanno fare il repertorio pesante solo perche hanno un po di suono. Si parlava ieri della harteros, gia sfatta dopo 2 stagioni verdiane, a hui he che dice che fara la norma ed ha cantato gioconda questo inverno. E un uso assurdo che tocca tutti, penso a florez sul tell. Sono usi folli e dementi delle voci. Alla pratt per ora è toccata solo quella giovanna d arco……l altra sera mentre cantava zenobia mi sono anche chiesta come ad uno possa venire in mente, sentendola cantare, di offrigliela. Del resto la agresta fa la norma di nuovo…tutti sovrampiegati ed esposti ad un rapido declino…..ad orange .a prossima stagione avevano gia annunciato la yoncheva su trovatore, che poi non fara per fortuna….e tutto cosi…

  4. Volevo scrivere qui i miei complimenti a Jessica Pratt, che ho ascoltato martedì sera a Pesaro. Era molto bello vederla avanzare negli insieme e quasi “affrontare” il teatro.
    L’unico marginale appunto riguarda, secondo me, i sovracuti distribuiti a man bassa anche in momenti in cui non era necessario. A proposito di sovracuti, come dovrebbe funzionare in Rossini? Il loro inserimento è un arbitrio della cantante?

    Spiace un poco per Spyres, che non avevo mai ascoltato dal vivo. Mi aveva quasi convinto al primo atto: anche se appunto c’era poco volume mi sembrava andasse tutto bene. Purtroppo durante la grande scena del secondo atto è velocemente naufragato; chissà cosa deciderà di fare, se continuare la sua carriera oppure se provare a riorganizzare la sua struttura vocale. vedremo. magari lo incontriamo di nuovo nella donna del lago dell’anno prossimo!

    grazie dell’articolo, è sempre utile confrontare quello che sento e poi penso con quello che scrivete e pensate voi!

  5. All’ultima recita del 22 due minuti e mezzo di applausi dopo l’aria di Zenobia del primo atto (si è fermata la recita praticamente). Ho trovato la Pratt anche brava – scenicamente oltre che vocalmente – nel rendere le colorature finali dell’aria. Impressionante il volume di vari acuti lanciati nel primo e secondo atto.

      • L’aria è stata assolutamente perfetta, forse ci si aspettava qualcosa in più sull’ultima nota, che fosse tenuta più a lungo, ma solo perché parliamo di un’esecuzione davvero eccellente, eccellenza esibita per tutta l’opera. Tra l’altro la Jessica era perfetta anche come physique du rôle, molto bella e altera: l’unico problema era il fatto di essere il doppio rispetto ad Arsace, e non solo di altezza… Ma questa Belkina dove l’hanno trovata? L’ennesimo sopranino scialbo a cui permettono di fare il mezzosoprano rossiniano… Non dico che non si sia impegnata, soprattutto nel II atto si è sforzata ed è risultata meno disastrosa che nel primo, ma è stato un continuo di aggiustamenti, evidenti quanto non richiesti abbassamenti di tono, spianamenti vari ecc. Terribile. Per il resto, al contrario dell’Armida, almeno in questo spettacolo si aveva l’impressione che i cantanti avessero una vaga idea di come si canta Rossini (a prescindere dall’esecuzione). Al contrario della trasmissione radiofonica, è migliorato Spyres, che tradisce continuamente una tecnica carente e una fragilità intrinseca nell’emissione che alla radio arrivava come una serie ossessiva di stonature, ma che dal vivo andava decisamente meglio. Nel senso che si percepiva la fragile emissione, ma non si è sentita una stonatura totale. Meglio anche Crutchfield, anche se in generale concordo con i vostri giudizi negativi su orchestre e direttori, un festival su Rossini degno di questo nome dovrebbe proporre qualcosa d’altro a livello musicale, oltre che di voci. Che poi è un peccato, rispetto a Salisburgo, dove tutto è più pretenzioso e spocchioso (per la serie ho pagato 400 euro per la platea quindi è il meglio del meglio), l’atmosfera di Pesaro è familiare e rilassata, nonostante i dubbi sul futuro a causa della fuga degli sponsor. Si dovrebbe puntare su questo aspetto sano della provincialità e non imitare Salisburgo nei cast improbabili e nelle ovazioni e negli applausi inconsulti a prestazioni scadenti.

        • Grandissima finalmente in questa recita e non ha fatto rimpiangere la Serra! Questa è la Pratt che piace e che si vorrebbe sempre sentire, anche se purtroppo nelle prime recite tende ad avere un rendimento basso ho constatato in varie occasioni.

          Unico neo proprio il sopracuto finale un poco tirato, ma non è certamente cosa fondamentale. Speriamo continui così per molto tempo :)

          • Eddai col sopracuto finale….canta una cosa diffficilissima prima….sempre la in alto….vogiamo anche il sopracuto lungo da lei mentre le altre cantano tutte di m..a? ?…..pretendiamo il dovuto, che basta e avanza.

          • Boh, il mib finale mi sembra la parte piu` circense del tutto…un unico appunto piuttosto [altrove, non in quel pezzo] possono essere i centri da ampliare. anche se lo si avverte relativamente agli acuti che come ho detto hanno un volume impressionante dal vivo!

  6. In attesa di approfondire l’argomento, due soli appunti alle riflessioni su Aureliano:
    1) verissimo che Arsace guarda al passato, all’ormai morente tradizione del musico, ma non certo all’Andronico di Mercadante o al Tebaldo e Isolina di Morlacchi, entrambi composti diversi anni dopo l’opera di Rossini (1821 e 1822, senza contare che Mercadante era più giovani di 3 anni del Pesarese e Morlacchi era poco più vecchio). Distinguerei anche il personaggio en travesti dal castrato (e quindi Tancredi – opera che trovo meno conservatrice di quanto sembri – dall’Arsace di Aureliano);
    2) non so che tempi abbia tenuto Crutchfield, ma l’Aureliano non dovrebbe superare le 2 ore e 50, più breve, dunque, Armida e, soprattutto, Ricciardo e Zoraide entrambe scritte per Napoli.

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