MADGA OLIVERO 2/ Mefistofele: Margherita

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Madga Olivero cantò dopo la sua reentre nel 1951 molto spesso e sino alla fine della carriera la Margherita del Mefistofele. Per contro non si lasciò mai tentare dal personaggio, solenne e statuario, di Elena, che apparteneva a categorie vocali differente da  quella cui la cantante ben sapeva di appartenere. Non solo, ma sia pure di fortuna, come buona parte delle documentazioni dell’arte del soprano piemotese, la scena della morte di Margherita è uno dei pochi video dell’Olivero, che testimonia o almeno offre un’eco dell’arte scenica che per ammissione dell’Olivero era la sua sola preoccupazione perché problemi vocali non ne aveva. Che non avesse problemi vocali a far quel che Boito prescriveva e la Madga riteneva di aggiungere lo testimoniano molte registrazioni abbiamo scelto un audio di Buenos Ayres 1964 dove l’Olivero canta con Siepi e Labò. Basta sentire l’attacco nella nenia di Margherita dove la cantante   sfoggia suoni chiari ed infantili, mai scoperti, mai aperti mai privi dell’appoggio sul fiato  e che per tradizione e giustamente con riferimento ad un’opera della fine ottocento si riteneva connotassero la follia. Solo che il controllo del fiato saldissimo consente suoni timbrati e di facile proiezione appena la cantante sale “or per farmi delirare”, banditi effetti veristi come “e la mesta anima mia”  ed  “di me pietà” cari a molti soprani e dove l’Olivero inserisce un piano, che prepara ai brevi vocalizzi, retaggio di altre e più antiche. Qui è uno di quei casi in cui la cantante è ben conscia dei propri mezzi e quindi da bene di non disporre del colore e dell’ampiezza di altre colleghe dal colore quasi mezzosopranile. In questo senso basterebbe il confronto già con la Muzio (contenuta, ma assai più dotata in zona medio grave) o la Burzio. Poi nell’aria sia a Buenos Ayres che a New Yark ci sono i “colpi di fraseggio alla Olivero” segnalo l’attacco ancor più diafano della seconda strofe e il piacere di insistere sulla parola “attoscato”, quasi a sottolinearne la valenza arcaizzante. Se poi  queste scelte fossero volute o casuali non siamo più in tempo a chiederlo alla cantante, ma siamo sempre in tempo ad ammirarle e  considerarle uniche. O quasi perché a ricercare nei reperti archeologici a 78 giro basta sentire la Burzio di cui l’Olivero propone la versione riveduta e corretta per trovare la stessa finezza di intenti e di accento o più ancora l’esecuzione di Salomea Kruscenisky.

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Mefistofele Buenos Ayres 1964 con Labò e Siepi

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Eugenia Burzio 1910

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Salomea Kruscenididki 1906

 

 

 

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