Sorella radio: I Capuleti e i Montecchi alla Fenice di Venezia. Molto fracasso e poco pathos

La-Fenice-Opera-House-Main-EntranceIntervistato durante l’intervallo tra primo e secondo atto il maestro Omer Meier Wellber, cui era affidata la direzione di questa nuova produzione veneziana dei Capuleti e Montecchi di Bellini, ha proclamato che, a suo avviso, opere come questa meritino di essere più considerate sia dai direttori che dai performers (cioè i cantanti) per il loro intrinseco valore musicale, ricordando altresì la nota passione di Wagner per il compositore siciliano; passione che, a suo dire, avrebbe solo recentemente compreso nell’ambito di un percorso artistico all’interno del belcanto italiano. A parte alcune banalità sul tema dell’identità delle fazioni dei Capuleti e dei Montecchi che si fronteggiano nell’opera, tema a suo dire molto attuale, dalla buca abbiamo udito…il nulla. Perché nulla ci è parsa, almeno stando agli esiti direttoriali, la comprensione di questa opera di Bellini dimostrata dal maestro, che, munito solo delle sociobanalità dei correnti Dramaturgen tedeschi, ha dimostrato, nei fatti, come gli sfugga il vero senso del tardo belcantismo italiano, ignoti a lui gli stilemi del canto di matrice post rossiniana, le forme degli accompagnamenti al canto, il ruolo stesso del direttore rispetto al canto. Fedele a sè stesso, come ampiamente dimostrato in questi anni, il maestro Wellber si è prodotto in una direzione ora chiassosa e fracassona, ora pesante e stanca, con alcuni stacchi di tempo nemmeno troppo adeguati ai cantanti in alcuni momenti, un coro sempre sbraitante oltre la decenza, che hanno prodotto un generale senso di pochezza bandistica dell’opera di Bellini. Ignora certamente lo sprovveduto maestro come questo titolo sia stato assai frequentemente rappresentato in questi ultimi decenni ed abbia visto edizioni anche nei più importanti teatri del mondo oltre che di buona provincia, dalla Scala a Torino, Bologna, Ginevra, Londra etc..conoscendo fior di esecuzioni di altissimo livello da parte di soprani, mezzosoprani e direttori anche molto importanti. E soprattutto ignora, il maestro Wellber, che gli accompagnamenti nel belcanto ( e non solo ) non possano essere quelli mortiferi e pesanti con cui ha ammorbato la serata, a cominciare da buona parte del duetto Romeo Giulietta “Cedi cedi…” al primo atto, per non parlare di quello tra Romeo e Tebaldo, “Svena svena o disperato..” al secondo. Per non parlare del fragore bandistico e della grevità di quellli con cui ha gestito il concertato finale del I atto o di certe strette, come appunto quella dello scontro tra i due antagonisti, riuscendo a conferire a tratti anche una cifra volgare che non appartiene comunque a questo Bellini, seppur giovane, come l’inizio dell’opera o l’introduzione, quasi ridicola, all’entrata in scena di Romeo. Il belcanto italiano non sopporta i fragori da banda, presuppone ampiezza di respiro negli accompagnamenti, e anche laddove l’invenzione musicale non è magari di prim’ordine, restano indiscutibili, soprattutto per questo compositore, la componente elegiaca e malinconica, che non sono affatto fiacchezza o meccanicità degli accenti, come invece la sua orchestra ieri sera ha esibito con frequenza. Ho sentito mille volte i Capuleti, diretti in vario modo, da Zedda a Pritchard, da Muti a Campanella a Gatti, ma mai l’opera di Bellini, ammettendone tutti i supposti limiti che conosciamo, mi è parsa tanto volgare, plebea e noiosa. Se poi passiamo alla gestione dei cantanti, avrei qualcosa da dire sotto questo aspetto, seppur marginale ieri sera. Alcuni cantanti arrivano e fanno da soli, in grado di procedere autonomamente, come le due protagoniste femminili. Altri no, ed alludo al tenore Mukeria, che ha sofferto con evidenza la tessitura centro grave di tante frasi, per tutte quelle della sfida con Romeo, cui una bacchetta perita nelle prassi del belcanto avrebbe messo mano, con qualche trasporto o puntatura. Anche nella cabaletta della cavatina questo Tebaldo avrebbe dovuto e potuto fare di più, sia nel da capo che in chiusa, dove si esegue normalmente una cadenza ( giusto per parlare di stile del belcanto..), e invece…nulla. Il cantante annaspava sotto, con una voce marcatamente da tenore contraltino, sonora ma scarsa di armonici, e avrebbe meritato un autorevole intervento del direttore che non c’è stato…….ma forse questo è fantacanto, perché in effetti solo da Dano Raffanti prima maniera ( di ben altra natura vocale, tra l’altro ) sotto l’egida di quel genio della variazione di nome Alberto Zedda, ho potuto in vita mia udire tali abbellimenti, che trasformavano Tebaldo in un personaggio veramente compiuto.
Data l’impostazione di fondo impressa alla serata dall’ingenuo maestro le due protagoniste hanno combattuto con onore la loro battaglia, tutta vocale, per far decollare l’opera che però, almeno stando a quanto trasmesso alla radio, non ha convinto fino in fondo nemmeno il pubblico in sala.
Ha convinto solo Jessica Pratt, a mio avviso, delineando una Giulietta a metà tra la creatura fragile e diafana, che fu straordinaria incarnazione della sua maestra di canto ( la cavatina, dal recitativo all’aria ricalcava esattamente gli accenti di Lella Cuberli, pur senza il palpito che era dei suoi passaggi aerei, nel legato etc.. ) ed una esecuzione tutta strumentale, ma senza palpito stile Devia. Ha cantato bene, solo qualche peccato veniale nell’aria e nel finale, con alcune fissità o forzature di certi passaggi, evitando finalmente il ricorso ad eccessive puntature all’aria del secondo atto, che dopo i personali accomodi della Devia, si è trasformata in un esercizio di riscrittura con passaggi iperacuti, ma senza quegli accenti malinconici che, invece, caratterizzano la scena. Il soprano australiano, si sa, sta anche lei a suo agio in tessiture acute e acutissime, nel canto di slancio e acrobatico, nella pirotecnia e nel mordente, mentre qui si cimentava sul terreno che meno le appartiene, ossia l’accento romantico e nostalgico della fragile Giulietta, ma ne è uscita comunque abbastanza bene. Certo, il pathos di Giulietta è un’altra cosa, ma tant’è, dato il livello medio di oggi, una bella prova.
Diversamente Sonia Ganassi, che da sempre fa della musicalità e della varietà di fraseggio le sue punte di forza, a compensare mende vocali che ormai sono presenti in ogni zona della voce. Il timbro è veramente compromesso, nei gravi la voce si sganghera, in acuto soffre tantissimo, stenta a legare in ogni zona e perciò la sua serata è stata un duello continuo con sè stessa per mantenere, come possibile, il controllo del suono. Difficile non cogliere da subito, alla cavatina di sortita, le cattive condizioni vocali, i problemi di legato appunto, lo sfogo verso l’acuto ottenuto con contrazioni di gola, la disomogeneità continua tra un suono e l’altro, i gravi di petto ineleganti. Canta con la sua ferrea forza di volontà, ma ogni nota arriva risolta da un escamotage, da un accomodamento, un vero duello da inizio a fine serata, che è, in fondo, la cosa più ammirevole di questa cantante. Occorre osservare come le intenzioni espressive chiarissime ed appropriate ( le stesse di quel monumento ineguagliato che fu il Romeo di Martine Dupuy, va detto anche per lei come per la Pratt ) e la musicalità innata la salvino da quelle deserte esecuzioni di imbarazzante piattezza di cantanti come la Garanca. Certo che il risultato, con questo bagaglio tecnico e siffatta condizione vocale, non si può centrare, perché il belcanto è impietoso, richiede che la voce venga manovrata senza problemi, che l’emissione sia stilizzata e composta, le note omogenee tra loro, il porgere elegante. Il suo Romeo ha oscillato tutta sera tra quello che avrebbe voluto essere, giovanile e malinconico, lirico ed irruente, e ciò che risultava nella realtà del canto, vecchio e sgallinacciato, talora perentorio ma anche manierato causa bisbigli e sospiri vari, come al finale della tomba, con cui la cantante cercava di simulare una dolcezza di emissione, che non possiede.
Di Shalva Mukeria ho in parte già detto. Da lui si vorrebbe una maggiore forza di convinzione, un canto meno timido e minimale, perché anche se in una tessitura a lui scomoda, che richiederebbe un altro voce al centro, il belcanto consente margini di manovra per l’esecutore che voglia metter mano fino in fondo al proprio ruolo. Gli accenti mi sono parsi pertinenti, ma sempre….poco convinti.
Pessimo il Capellio di Ruben Amoretti, davvero censurabile.

Insomma, una serata poco convincente, come anche gli applausi hanno fatto capire e a cui una diversa bacchetta avrebbe potuto portare un utile upgrade. Per quanto i cantanti abbiano percorso le vie giuste, al Bellini di questa produzione mancavano alcune prerogative irrinunciabili, pathos, malinconia, nenia, il pianto nell’accento del più puro e vero belcanto.
Presto dedicheremo una puntata de “La provincia italiana” ad una grande esecuzione di Capuleti dei tempi che furono, quando Bellini si commuoveva il pubblico e non per generica ed autosuggestionata emotività, come ci tocca leggere oggi nel web, ma perché l’espressione, il moto interno degli affetti, il “ canto che nell’anima si sente”, può toccare il pubblico solo laddove la perizia professionale degli esecutori è la più alta e perfetta. Solo là anche i Capuleti assurgono al rango di capolavoro del giovane Bellini.

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53 pensieri su “Sorella radio: I Capuleti e i Montecchi alla Fenice di Venezia. Molto fracasso e poco pathos

    • Attendiamo però che tu dimostri quello che dici, sennò sei solo un troll che insulta gratuitamente. Ti definisci genio e la mail , PASTRAMI non so se vuole indicare qualcosa o far credere di indicare, ma in ogni caso …ti qualifica male. Se poi asserisci cose che non sono nemmeno vere…..ed aspetto i tuoi argomenti per capire quanto vale la tua opinione…..se così si può chiamarla…già hai dato il tuo biglietto da visita. Puoi iniziare dalla disamina dei soprani che eseguono bellini oggi con alta professionalità. …

  1. Ma quali sarebbero i limiti di questa splendida opera di Bellini? Opera, peraltro, molto lontana dai rossinismi (si veda lo squilibrio quando l’ego canoro tracima e si inseriscono le variazioni di Rossini, in sé molto belle, ma lontane dal carattere dell’opera). Non ho sentito questa edizione, ma che il melodramma (e soprattutto Bellini) dovrebbero essere affrontati con più rispetto dalle bacchette e non lasciati in pasto ai praticoni di ieri e di oggi, è sacrosanto. Quanto a trasporti o modifiche io resto assolutamente contrario: si tratta di interventi che non guardano alla riuscita complessiva, ma al mero dettato del singolo e che spesso compromettono l’equilibrio generale (spesso poi sono fatti in modo maldestro e antimusicale). Quanto a Mukeria – che leggo aver avuto seri problemi con una parte del genere – credo vi sia molto da rivedere: qui si parla di difficoltà nel registro centrale (che dovrebbe essere il fulcro di ogni buon cantante), nei Troyens era in seria difficoltà con quello acuto… Ma un tenore che si propone come interprete del romanticismo italiano (Donizetti e Bellini) non dovrebbe avere questi problemi.

    • Insomma l’opera viene ritenuta modesta, e piace poco oggi soprattutto. E si dà la colpa a bellini per serate giacche che hanno negli esecutori il vero limite. Il giudizio ha una certa fondatezza anche in virtù delle robuste manipolazioni cui la sottoposero gli interpreti sin dalle prime esecuzioni e non solo per il finale vaccai.

    • Magari il maestro Wellber (che dopo Verdi e Puccini riserva ore le sue ‘cure’ al belcanto…) fosse al livello di certi praticoni di ieri (e non certo di oggi), di quelli che in pochi giorni (non settimane o mesi) sapevano “mettere su” un titolo di repertorio con orchestre e cori di provincia e magari il concorso di solidi professionisti vocali (non necessariamente divi, ma spesso habitué di teatri anche importanti). In questo senso il nostro ciclo di ascolti provinciali riservirà, credo, qualche bella sorpresa nel giro di qualche giorno.

  2. Caro genio, invece di scrivere sciocchezze..e ti invito a leggere recensione di Lucia di lammermoor alla scala, perché e chiaro che sei me informato…..ti invito nuovamente ad argomentare quanto hai scritto. Con fatti e non pettegolezzi. Inutile che ti agiti, il tuo identificativo mail, senza dominio tra altro, non è un nome e cognome, ma certo un simbolo . Siccome poi hai scritto una cosa infondata per insultare, il risultato è quello che hai ottenuto.scrivi di canto e argomenta ciò che dici, illustraci gli scempi dell pratt in bellini,è sarai pubblicato, diversamente non scriverci piu ….per i troll non c è posto qui

  3. Condivido la recensione sulla base dell’ascolto radiofonico: direzione bandistica, cantanti con buone intenzioni, ma risultati interlocutori specie Mukeria, che difetta di personalità e sicurezza pur avendo una tecnica di fondo corretta (avendolo sentito con Edgardo e Elvino questa sensazione è stata confermata) e la Ganassi per i motivi già chiaramente esposti. La Pratt è un caso a sé: per quanto la ammiri e la stimi tra le cantanti odierne è vero che le manca qualcosa per centrare pienamente il bersaglio e non solo in questo caso. Purtroppo la differenza da Scotto, Gruberova, Cuberli, Devia e Sills emerge davvero impietosamente… eppure non le mancano bravura e tecnica (anche se quelle citate sono dei veri mostri di tecnica)! Forse deve ancora maturare come interprete o trovare qualche direttore serio che la diriga con cognizione e appropriatezza…
    Spero di trovare miglioramenti nella recita di domenica e, magari, vedere l’opera a teatro per la prima volta me ne farà avere un’opinione più alta.

    Sulla questione del valore più o meno alto dell’opera io, pur non conoscendola bene come le altre opere belliniane, sono dell’idea che effettivamente sia un poco debole di suo e abbia bisogno di buon direttore e cantanti eccellenti per rivelare davvero il suo potenziale. Non per denigrare, ma il confronto con Puritani e Norma non si può porre e anche Straniera, Pirata, Sonnambula risultano più compiute dal mio punto di vista. La metterei insieme alla Beatrice ecco.

    Sulla questione di trasporti, variazioni e aggiustamenti credo sia assurdo volerli negare o limitare al minimo quando erano una prassi assolutamente naturale e permetterebbero di rendere l’ascolto molto più gradevole perché i cantanti potrebbero soffrire di meno e far sentire ciò che meglio riescono a fare.

    • ciao ninia
      sbalordirsi per trasporti proprio sui capuleti cui le dive tipo pasta o malibran sostituivano l’ultimo atto con quello di vaccai è ridicolo. Non solo cernendo fra libretti d’opera ho scoperto che al teatro ricciardi di bergamo nel novembre 1835 la sortita di giulietta era sostituita con la pazzia dei puritani. Splendido, sarebbe un trionfo di filologia soprattutto per una giulietta più incline all’assalto che alla nenia come è jessica pratt. poi con principianti della bacchetta che cianciano di riscoperta del bel canto (l’assedio delle scala è vecchio di quasi mezzo secolo) come puoi pensare di avere una guida a dare senso a certi recitativi come quello di giulietta al secondo atto quando ferve la pugna ?

      • Ciao Donzelli!
        Io come quasi sempre capita mi trovo d’accordo coi tuoi giudizi :)
        La filologia va applicata, ma con una certa elasticità. Credo sarebbe interessante e filologico rappresentare alcune opere che oramai conoscono esecuzioni filologicamente curate con le varianti dell’epoca secondo le ricostruzioni. Sarebbe filologia anche quella.
        La scena della follia dei Puritani come cavatina di Giulietta con un testo variato credo sarebbe assolutamente deliziosa :) Dubito che qualcuno lo farà mai…
        Il repertorio belcantistico è fatto di ruoli creati su misura sui cantanti come farebbe un sarto con un abito e quando gli interpreti cambiavano il vestito veniva modificato o addirittura cambiato: filologia è accettare tutto ciò e cercare di riproporlo anche oggi (applicando modifiche dell’epoca o creandone di nuove per l’occasione nel rispetto della prassi), non seguire un’ideale di filologia che io, personalmente, trovo tanto rigido e positivista quanto fuori luogo in contesti simili. Poi a ognuno i suoi gusti :)

        • caro ninia
          tanti tanti anni quando un mezzo soprano lagnava che la rosina del barbiere fosse una brutta parte ridendo suggerimmo (la grisi ed io) una simile soluzione ossia
          a) cavatina secondo l’ordinario
          b) cantare la linea di berta nel finale con tanto di do acuto
          c) scena della lezione cambiata ovviamente , ma tipo concertino con le variazioni di nel cor più non mi sento o quelle di rodhe
          d) aria della Fodor ” ah se è ver che in tal momento”
          e) almeno una strofa di rondò, come fece Geltrude righetti giorgi……
          ti posso aggiungere che ho scoperto oggi che a trieste nel 1838 Tebaldo cantava una grande aria all’inizio del terzo atto. Devo verificare se si tratti di aria dell’opera di vaccaj o altro
          ciao

          • [Mi scuso preventivamente per l’eventuale disordine espositivo, ma purtroppo sono di fretta e la carne al fuoco è anche troppa]

            Donzelli,
            ma il mezzo in questione era poco mezzo e tanto soprano per caso? XD Credo che i vostri suggerimenti fossero ottimi e né più né meno di quanto si usava fare senza grandi scandali un tempo. La Sills probabilmente è stata una delle ultime a fare tutte le cose che nomini e faceva benissimo avendone i mezzi.

            Purtroppo la filologia, in sé giustissima, se applicata con troppo rigore rischia di uccidere l’opera. Oggi si sentono quasi sempre Barbieri integralissimi e filologicamente curati, ma la vitalità e il godimento spesso sono a livelli non pervenuti. Poi si ascoltano “aberrazioni” filologiche tipo il Barbiere con la Pons, con la Sills, con la stessa Horne (che inseriva arie varie nella lezione) e senti che l’opera è davvero viva e palpitante, fa ridere,…. Dipende dai cantanti in primo luogo, ma anche dal fatto che la libertà dell’interprete è spesso molto limitata dai direttori e da ragioni filologiche. Io sono contrarissimo ai tagli, però bisogna anche scendere a patti con la realtà: se il cantante non è in grado di reggere la parte o renderle giustizia è ridicolo imporre che canti male ogni singola nota, meglio tagliare! Se della Callas possiamo rimpiangere la presenza dei tagli, credo che oggi sarebbero invece da auspicare visto l’andazzo.
            Lo stesso vale per trasporti e inserimenti di brani da opere diverse che erano la normalità in questo repertorio per venire incontro alle esigenze degli interpreti. Schifare tutto ciò è oltremodo schizzinoso.

            Duprez dice che modifiche varie sono curiosità, neanche troppo legittime. Secondo me invece sono più che legittime: se di molte opere si allestiscono edizioni complete e filologiche in teatro e in studio, perché non dar suono anche a varianti e pratiche dell’epoca proprio per toccare con mano lo spirito di quell’epoca e vivacizzare l’opera stessa, che diventerà anche più curiosa per gli appassionati? Opera Rara spesso aggiunge appendici dove fa sentire varianti tipiche dell’epoca: credo sia uno degli aspetti più interessanti tra i tanti meriti di questa casa discografica.

            Il paragone con le regie moderne è, a mio avviso, fuori luogo, non sussiste se non come curiosa provocazione.

            Pasquale dice che preferisce il finale di Bellini a quello di Vaccaj anche se non ha mai ascoltato quest’ultimo. Mi pare un atto di fede esagerato. Neppure io l’ho mai visto o sentito questo benedetto finale Vaccaj che tutti nominano (persino le Radio) e personalmente trovo sia una vergogna che non sia più rappresentato visto che esiste e probabilmente non è neppure brutto se lo eseguivano di continuo un tempo, ma sarà semplicemente diverso. Se ci devono essere paragoni e confronti, questi devono essere operati con una certa serietà: come facciamo a preferire l’uno all’altro se prima non si sentiranno e conosceranno entrambi? Questo è colpa del fatto che questo finale è nominato un numero di volte inversamente proporzionale a quanto viene eseguito. Io posso dire che preferisco il finale tragico del Tancredi a quello lieto proprio perché li conosco entrambi e, a mio gusto, è preferibile l’uno all’altro; questo dipende dal fatto che, per fortuna sono ben noti entrambi. Mi viene provocatoriamente da chiedere: se il finale alternativo fosse stato scritto dal compositore che più ti piace, avresti risposto allo stesso modo (meglio a prescindere Bellini) oppure no?

            Sul fatto che è un peccato che Bellini sia morto giovane credo siamo tutti d’accordo: visti gli esiti dei Puritani (opera tra le mie preferite in assoluto) chissà cosa potrebbe aver composto! Mi sento di aggiungere però che lo stesso ragionamento si adatta bene anche a molti altri, in primis al Rossini operista.

          • Opera Rara fornisce versioni alternative e varianti tutte d’autore, non propone i pasticci che facevano nelle piazze operistiche del tempo.
            Ilfinale Vaccaj è stato inciso, ma credo che non sappiate ciò di cui state parlando. Non si tratra di un finale alternativo scritto da Vaccaj per l’opera di Bellini, ma il finale scritto da Vacxaj per una SUA opera sullo stesso soggetto. Iniziò a circolare nell’opera di Bellini perché molto più tradizionale rispetto al drammatico finale belliniano e molto più gradito all’ego delle primedonne. All’ascolto è un brano molto banale, nè migliore nè peggiore della media delle opere minori del tempo (Pacini, Mercadante etc…). Non ha senso riproporlo se non come curiosità.

          • altre due parole sul benedetto finale vaccaj:
            pare addirittura che il finale dell’opera di vaccaj venisse interpolato nell’opera di bellini ‘tagliato’ di una scena finale di delirio di giulietta, dietro richiesta delle primedonne che eseguivano la parte di romeo.
            pare anche che il resto dell’opera di vaccaj non sia più stato eseguito a dieci anni dalla sua uscita.
            si trovano delle incisioni anche di tutta l’opera, senza bisogno di smembrarne una parte.

            non apprezzare trasporti e inserimenti rappresenta una semplice scelta di gusto, se volete significa avere una direzione di analisi di questa (piccola) parte dello spazio musicale: infatti – come in molti ambiti delle cose umane nel XXI secolo – abbiamo a disposizione troppe informazioni e troppi pochi criteri per selezionarle e valutarle!

  4. Ok, mi ritiro dalla discussione visto che le vostre verità assolute non contemplano repliche. Devo ricordarmi di non intervenire più: w i tagli, w i trasporti, w i praticoni e naturalmente Bellini era un cretino…vuoi mettere Vaccai e soprattutto lode al nume Rossini. AMEN

    • come abbiamo discusso più volte non sono verità assolute perché non posso esistere verità assolute in un’arte che si affida ad un mediatore quale è l’esecutore, è semplicemente prendere atto che s faceva così ed anche quelli che oggi (ieri per la verità, ormai) erano accusati di fare molto , facevano rispetto ai colleghi dell’8oo poco.. Poi puoi non essere d’accordo, ma lo fai applicando categorie e prassi che non sono di quell’epoca e di quella poetica. E’ la solita storia non posso valutare Bellini con le idee poetiche ed esecutive di Zandonai o Puccini (che quanto a fai e disfai ed accettare tagli, beh insomma era uomo di teatro….)

    • sul fatto che non ci siano verità assolute spero siamo d’accordo tutti, ma anche io come duprez sono abbastanza allibito: leggendo i commenti pare davvero che si ritenga questa splendida opera una minore di bellini e che gli aggiustamenti siano il (solo) modo per migliorarla. non reagirei ad un ascolto radiofonico un po’ deludente sotto vari aspetti in questo modo!

      pensare di inserire la pazzia dei puritani o il finale vaccaj mi fa rabbrividire. Non per gli innesti in sé, ma per la rottura poetica e stilistica che porterebbero.
      E anche se non c’è bisogno che io difenda come Bellini ha scelto di scrivere la storia di Romeo e Giulietta, linko questa playlist
      https://www.youtube.com/playlist?list=PLOuJ015hnIhRXbODHTcHq9DTXHPI4jjJ6

      Ninia92 ci incontriamo in qualche modo domenica, spero! temo il nostro giudizio complessivo non sarà troppo diverso da quello di Giulia Grisi, ma sempre ho speranza! :)

      • Aurelio sarebbe un piacere :) Io sono nel loggione laterale e tu? Ci potremmo trovare all’intervallo nel corridoio dietro il loggione, oppure dimmi tu! Io sarò accompagnato da un’amica con capelli lunghi biondi e che sarà presumo elegantissima, io non so ancora come mi vestirò (forse abito nero o blu oppure verde), ma certamente avrò un papillon :)

        • Anch’io ci sono domenica, galleria. Se volete ci troviamo in qualche modo (ad ogni buon conto questa è la mia email: [email protected]).

          P.S.: quanto al merito della discussione, ho piacere di vedere e sentire i Capuleti “di Bellini”, senza interpolazioni e/o aggiunte più o meno riuscite.
          Sempre restando sul tema, sarebbe interessante leggere le vostre impressioni sul finale di Turandot e sulle vicissitudini relative. Non mi pare di aver trovato discussioni specifiche sul punto 😀

          • Perfetto, Ninia, Mr. Angelo, Aureliano e chiunque sia lì e legga!
            Direi intervallo, nel corridoio dietro il loggione. Ninia in abito con papillon e ragazza bionda, io non in abito (sono freddoloso in questi giorni) ma con i capelli corti e un maglione bianco o giallo.

            ma adesso basta, che sennò sembra che si usi il corriere per organizzare incontri! :) immagino la sezione “incontri nel loggione della grisi”…

  5. Che vi piaccia o meno, la fruizione dell’opera oggi non è la stessa dell’800 o dei primi 50 anni del ‘900. E’ cambiato il ruolo dei cantanti, del direttore, del regista e persino del pubblico. L’opera come genere è sempre meno praticato (e quando lo è si rivolge ad un ristrettissimo novero di fruitori separati dal pubblico ordinario) e parallelamente il repertorio si è ingigantito: da Monteverdi a Berg è tutto eseguito e tutto è compreso. Quindi ogni paragone con la realtà storica del melodramma è antistorica. Oggi si va a teatro con spirito simile a chi entra in un museo. All’epoca di Bellini o di Rossini scrivere opera era un mestiere, un lavoro, a volte (raramente) un’arte: le ragioni della circolazione erano prevalenti sull’integrità. Se si fa un minimo di sforzo nello storicizzare (parola che qui suona sempre più come bestemmia) si deve poi considerare che non vi era la tutela editoriale, né del diritto d’autore e il singolo titolo viaggiava nelle compagni italiane ed europee spesso in edizioni incomplete. Mancava il controllo del compositore e il pubblico si interessava più al cantante (soprattutto in certe piazze) che alla musica eseguita. Che nell’800 prendessero Capuleti e Montecchi e ci ficcassero dentro di tutto non rileva filologicamente, ma solo fornisce un dato storico. Così come è un dato storico l’esistenza della pagina scritta e la volontà del compositore (ci sono lettere e azioni giudiziarie con cui cercavano di limitare gli arbitrii). Tagliare inserire aggiustare è sì pratica antica, ma oggi insensata. Può essere solo una curiosità assistere ad una ricostruzione dell’opera storpiata in un teatro di provincia nel regno d’Italia… Tutto qui. Poi non comprendo perché chi giustifica o, peggio, auspica interventi d’ogni genere sul testo musicale, si scandalizza se in scena vede una pistola invece di un pugnalo o un francescano invece di un domenicano. Se tutto è lecito – persino ficcare i Puritani con altro testo nella cavatina di Giulietta – non vedo perché sarebbe scandaloso il Ballo di Michieletto! Allo stesso modo mi pare incoerente l’atteggiamento di chi auspica il ritorno a questi abusi perché “all’epoca si faceva così” e poi non accetta diapason abbassato, archi ridotti, assenza di vibrato etc…
    Discutere ancora oggi di legittimità della filologia è davvero sconvolgente! E’ come pretendere che in un’edizione dei Promessi sposi vengano mantenuti gli errori di stampa e le censure dell’epoca…
    Anche la malconsiderazione dell’opera di Bellini è sconvolgente e inspiegabile – ma è un tema caro ai “rossiniani” quello di considerare Bellini un musicista di serie B… – soprattutto quando si accompagna all’elogio (inutilmente polemico) di Vaccaj.

    • non condivido sempre i commenti e i gusti di Duprez ma questa volta devo dire che sottoscrivo il suo giudizio in toto; la filologia è una cosa ma sostituire un pezzo con un altro solo perchè all’epoca si faceva, è pura curiosità, non si può negare che vada a falsare l’opera musicale nel suo complesso, una curiosità che mi perdo volentieri. Condivo con Duprez anche l’ammirazione per questa splendida opera, una delle mie preferite di Bellini, anzi, Norma a parte, opera che ho sempre preferito sia a Puritani che a Sonnambula; son gusti, portate pazienza. Sarò anch’io in teatro Domenica, per cui mi astengo al momento da ogni commento sull’esecuzione.

    • Duprez condivido quasi tutto, eccetto un paio di cose: l’opera è un genere meno praticato oggi rispetto al passato ma solo dai musicisti: operabase ci segnala che ogni anno al mondo si danno più di 25.000 recite operistiche, indubbio segno di grande vitalità e interesse per il genere. Che l’opera oggi interessi di meno è opinione di chi mette poco il naso fuori di casa. Un ristrettissimo novero di fruitori c’è poi sempre stato, le popolazioni contadine dei secoli passati – cioè la stragrande maggioranza della popolazione – credo non sospettasse nemmeno l’esistenza di una cosa chiamata opera. Da ultimo – riprendendo le corrette osservazioni che fai sulla prassi esecutiva dell’800 – credo sia plausibile ipotizzare che il livello complessivo medio delle esecuzioni ottocentesche fosse al di sotto di quello medio conosciuto nel corso del ‘900, ultimi decenni di esso compresi. Sono pienamente d’accordo su Bellini ( quello di Norma e Puritani però ): non fosse scomparso prematuramente sarebbe potuto anche diventare il più grande operista italiano dell’800.

      • Caro Gianmario, +
        credo al contrario che quanto tu asserisci “credo sia plausibile ipotizzare che il livello complessivo medio delle esecuzioni ottocentesche fosse al di sotto di quello medio conosciuto nel corso del ’900, ultimi decenni di esso compresi.” sia indimostrato per non dire contrario alle evidenze documentarie, per usare un termine da storici. Mi pare, anzi, uno di quei postulati antistorici e per nulla fondati con cui oggi si cerca di salvare capra e cavoli che naufragano per ogni dove. basta la puntatina celebrativa dei 3 milioni e mezzo a smentirti.

        quanto alla grande vitalità della lirica odierna, ti invito a confrontarti con i dati numerici dei botteghini, l’evidenza delle sale non esaurite per non dire vuote, come al maggio: per la prima di ieri in scala duprez ha comprato all’ultimo un biglietto di p1a galleria da 70 euro centrale a 20,mentre tamburini ha assistito ad una recita di ballo in maschera a bologna che non aveva coda per il loggione e molti palchi vuoti. a parma gli abbonamenti sono dimezzati, si entra sempre ad ogni recita, mente un tempo era tutto murato per ogni sera, pesaro non ne parliamo. l’Arena con la moderna capienza da 15000 spettatori e non più 22000 fa solo qualche sera sold out, ma è in media piena a tre quarti / metà e le plateee omaggiate e svendute….abbiamo poi pubblicato i dati del Met di gelb, di vienna, con post che riproponevano gli allarmi provenienti dai teatri stranieri, con la sola ENO di londra in controtendenza….

        mi verrebbe da pensare che forse sei tu che il naso fuori di casa non lo mette, no ?

        • Giulia, palando dell’800 ( e magari anche di prima ) non ho ben chiaro a che evidenze documentarie ti riferisci. Non credo alle registrazioni audio, ovviamente più recenti. Abbiamo testimonianze scritte, magari quelle che nel ‘700 condannavano aspramente abusi e malvezzi esecutivi e già allora si diffondevano con abbondanza sull’incipiente declino dell’opera ( perenne esercizio, a quanto pare ). Il mio discorso sull’odierna diffusione e popolarità dell’opera era complessivo, non mi riferivo a Bologna o a Firenze ma ai dati di cui disponiamo sulla situazione mondiale e anche all’esperienza personale: davvero tu hai trovato tanti vuoti di pubblico nei principali teatri europei ? E’ del resto comprensibile che in presenza della più grave crisi economica degli ultimi decenni i costi dei biglietti siamo divenuti per alcuni proibitivi. Le lunghe code alla Scala per l’acquisto dei biglietti scontati dicono a mio parere questo. Vi sono poi nazioni, come la Russia e la Cina, dove il pubblico dell’opera è in aumento, altre, come Germania o Austria dove non mi sembra proprio che sia in calo. L’Italia è a mio parere un caso a parte. Declino economico e profonda crisi culturale credo che giustifichino in gran parte i biglietti invenduti.

          • ma insomma, Giannmario, io penso che il declino è evidente nella qualità stessa di ciò che si fa, e non è presso i neofiti di un genere altrove senza tradizione, o meglio…reale comprensione, figlia dell’affinità culturale.., che si misura lo stato di un’arte. esemplifico, sono decenni che i generosi e civili giapponesi comprano e producono opera, ma sappiamo bene tutti che la si applaude tutto e tutto piace perchè non c’è reale competenza di pubblico, perchè è arte trapiantata, che piace ma che non gli appartiene. diversamente colà non farebbero successo tutti, anche musicisti di scarso valore. Idem dicasi per la Cina. Amore per l’opera non implica l’esistenza di una tradizione che qui ha impiegato secoli a formarsi e che sussiste in noi più che altrove. potrei anche rimarcare il detto della tradizione del teatro, se piaci in italia allora piacerai dappertutto….ma la più alta selezione è sempre stata qui, secondo chi il teatro lo faceva come mestiere. l’argomento circa i documenti sonori e quello, gia molte volte citato ed esaminato, delle incisioni che documentano artisti ancora legati alla tradizione dell’ottocento, per non parlare degli allievi dei fenomeni dell’ottocento che con loro studiavano. che adelina patti vecchia quando incide alcuni cilindri fosse una cantante straordinaria è chiaro, eppure si diceva non valesse la grisi…..e via così. quanto alle fonti documentarie, queste vanno lette con una maggiore perizia storica ma un vecchio libro assai noto, stark, “Bel canto”, te ne fa una lettuera contestualizzata e significativa che ben ti fa capire come spesso le parole alludano a fatti assai piu complessi attinenti lo stile esecutivo, certe prassi et etc…e non quesioni di cagneria dei cantanti. gli spartiti poi sono una fonte suprema, perchè laddove scritti ad personam o meno, qualcuno li eseguiva per certo. oggi abbiamo a che fare con gente che lo spartito non lo può eseguire. ci sono però fior di descrizioni di cantanti fenomenali, pensa solo a Farinelli…., che dimostrano leggendo con semplicità le parole di chi li descrive, come oggi i baroccari nulla abbiano a che fare con i castrati…ad esempio……ma la disquisizione durerebbe giorni, e qui ora davvero non posso… Ti prego gianmario, molla i luoghi comuni che ci hai elencato sopra. il blog è pieno di articoli e post che dimostrano l’opposto di quanto affermi, non posso riscrivere l’intero sito ora…ciao

  6. a me i Capuleti e Montecchi se cantata bene piace ,tutta la musica è bella dall’inizio alla fine,come sono belle le fine melodie,che Bellini riesce a comporre,quale compositore è stato meglio nel comporre le fine melodie come Bellini?poi giustamente visto che l’opera ormai è sempre piu di nicchia,e per un pubblico un po diverso da quelli che seguono la musica leggera,sarebbe bene rappresentarla senza tanti tagli,innesti ,ed esperimenti,pazienza sopportare i registi ,ma anche la manomissione del testo musicale,non ho mai visto ,e ascoltato il finale di Vaccaj,preferisco il finale “classico ” sentire il dolore di Romeo quando risponde a Giulietta che gli dice “Ebben, che importa?
    Son teco alfin: ogni dolor cancella
    un nostro amplesso… Andiam…” e lui “Restarmi io deggio
    eternamente qui…”
    e un opera che deve finire tragicamente non ci sono alternative
    ” buoniste “

  7. Non voglio fare il relativista della situazione, volevo dire la mia oggi perché il discorso sembra alquanto audace ma sembra che manchi un elemento nei molti interventi che ho letto. la visione.
    Se uno si vuol gongolare ascoltando celeberrimi interpreti dalle doti canore intoccabili lo faccia pure, nessuno glielo vieta. Ma non siamo più (spero) in un tempo in cui gli unici elementi da considerare siano compositore-cantante-direttore. Ogni opera ha una sua storia e un suo perché difficilmente applicabile agli occhi di uno spettatore diverso dall’epoca in cui è stata scritta-interpretata-diretta. Non facciamo finta che non esistano letture diverse del libretto, scenografie, costumi e regie.
    Io l’ho vista ieri sera. Ammetto che il primo atto mi ha lasciato molto perplesso…MOLTO (come del resto tanti di voi hanno già sottolineato la mancanza di credibilità di alcuni interpreti)! Il secondo mi ha fatto cambiare idea. Non voglio prolungarmi oltre. Fare le mie considerazioni ora non sarebbe d’aiuto a quelli che lo andranno a vedere domani. Vorrei capire se quelli che hanno criticato i cantanti e malconsiderato le modifiche alla partitura, domani possano minimamente ricredersi. Nel complesso dell’opera, secondo me, avevano un senso. O almeno una giustificazione non forzata.

    • ciao Papooz, benvenuto
      la serie cui questa recensione appartiene si chiama SORELLA RADIO, ed è dedicata al commento delle trasmissioni radiofoniche, che per forza di cose non consentono di vedere gli allestimenti
      esiste poi una seconda serie chiamata FRATELLO STREAMING, dedicata agli streaming video, che ci consentono di parlare anche degli allestimenti.

      in generale, nessuno nega il ruolo della parte visiva, pur non condividendo lo spazio oggi corrente che si da al visual ( e con ciò non dico che non abbia ruolo la parte visuale….alludo a modo invasivo e totalizzante che oggi le si attribuisce, fino ad assumere un ruolo preminente. di questo abbiamo scritto molte vole, parlando di logiche compensative all’interno dell’allestimento lirico…e potrai trovare articoli vari passati sulla questione). non vorrei riaprire temi che hanno post specificamente dedicati e che potrai trovare comodamente nel sito col motore di ricerca

      Peraltro, come dice il sottotitolo, questo sito nasce per discutere DI CANTO preminentemente, è il taglio apertamente scelto all’origine per questo spazio, quando lo aprimmo.

      Quanto ai Capuleti, oggi vedremo lo streaming che la Fenice trasmette e magari diremo qualcosa di specifico ma, se ho ben capito quello che dici a commento, non credo che alcun allestimento, anche il piu riuscito, possa mutare un bilancio esecutivo per un opera di belcanto…..

  8. Duprez un grazie per le informazioni in merito al finale Vaccaj che ignoravo in gran parte :)
    Sul fatto che tale finale non meriti e sia mediocre invece lascerò sospeso il giudizio fino a quando lo ascolterò. Per te Aureliano e Ciro sono opere tutto sommato minori e Capuleti no, io invece ritengo che lo siano tutte e tre nella produzione dei rispettivi autori, ma che le prime contengano pagine molto più interessanti e riuscite. Son gusti. Speriamo che questo finale Vaccaj venga ripreso così saranno tutti scontenti tranne me XD
    Probabilmente hai ragione su Opera Rara di cui.non.ho tutte le registrazioni. Resta meritorio pur non ritenendo le varianti d’autore necessariamente superiore a quelle non d’autore.

    PS. Ho scritto Rossini operista perché dopo il Tell opere non ne ha più scritte e aveva suppergiù l’età del Bellini spirante. Credevo fosse chiaro.

  9. Lo streaming da Venezia è stato (per mè) istruttivo sulla odierna qualità dello spettacolo veneziano: mediocre assai. Sarà che mi sono abituato a voci più temprate per Bellini, sia a bacchette più serie (del battisolfa) ingaggiato. Zedda è sempre stato un più che ordinario interprete Belliniano, ma di fronte al direttore odierno mi sembra una stella del firmamento, poi dei tre interpreti ho trovato che la Ganassi era lagnosa un tempo ma contrariamente al vino è peggiorata assai: oggi in chat lo definita una copia della “mamma di cogne” con il suo ossessivo piagnucolare. La Pratt mi ha deluso
    perchè Giulietta non mi pare rientri nelle sue corde… e il tenore che un dì mi piaceva e che sembrava un rivale (in carne) di Florez, mi è apparso spaesato e fuori luogo..Del direttore vorrei non citarlo perchè è nulla più di un accompagnatore. Una ultima osservazione: Lo streaming potrebbe esser efficace se non usasse quei primi piani da immagini segnaletiche e non evidenziasse rughe e difetti di chi canta… Ricordate la Nilsson, di fronte era normale di sbiego
    sembrava una sogliola. Ai bravi cantanti non servono i primi piani!!!
    la nullità

  10. Volevo dire la mia sulle variazioni e abbellimenti, nonchè sulle interpolazioni: Al giorno d’oggi non possono esser apprezzate, e mi spiace per Donzelli, ma esse erano il fiore all’occhiello di GRANDI
    interpreti, mancando la materia prima, cioè dei musicisti tra gli interpreti, sarebbe una follia affidare loro qualche cosa di diverso.
    Ho apprezzato moltissimo le variazioni anche in disco della Horne In Orfeo ed Euridice, ma la horne poteva permetterselo e lo eseguiva
    in modo stupendo: Ve le immaginate in artiste di oggidì?
    E poi se si accettano variazioni come nel recente Fidelio Scaligero,
    variazioni che sono apparse evidentissime a chi ha visto più di in Fidelio, e che non hanno giustificazioni se non nella testa di quel direttore.Le interpolazioni dovrebbero esser motivate da un arricchimento culturale e/o espressione di uno studio sulla caratteristica dell’autore e/o compositore.

  11. finito di ascoltare la Giulietta e Romeo,di Vaccaj,prima volta che l’ascolto,a me è piaciuta ,anche qui ci sono molte belle pagine musicali,niente di modesto ,e banale,anche il finale molto bello,e penso che a un secondo ascolto si apprezza ancora meglio,ci sono tante belle opere buttate nel dimenticatoio,questa di Vaccaj,sarebbe da riportarla stabilmente in repertorio accanto a quella di Bellini e Gounod.
    In questa recita del 1996 ( però il cd è edito nel 1998 quindi non sono sicuro) http://www.filarmonicamarchigiana.com/discografia/vaccaj-giulietta-e-romeo
    mi è piaciuta molto al’ascolto il contralto Maria José Trullu,anche il soprano Paula Almerares,e il tenore Dano Raffanti,l’orchestra mi è parsa buona ,e buona la trama orchestrale,la direzione Tiziano Severini ,siccome è la prima volta che ascolto,non ho un riferimento,ma a me sembrata ottima,comunque poi me la riascolto per “metabolizzarla ” più compiutamente .

  12. Alla recita di Domenica era presente un manipoli di Grisini, devo dire che è stato un piacere conoscere giovani così appassionati e preparati. Una speranza questo assurdo e meraviglioso mondo dell’opera ce l’ha ancora. “i Capuleti e i Montecchi” a mio parere è bellissima e la recita tutto sommato è stata piacevole. Posso senz’altro sottoscrivere le impressioni di madame Grisi, l’orchestra pesante e monocroma ha non poco limitato la riuscita della serata soprattutto non aiutando, quando non mettendo in difficolta, Mezzo e Tenore. Deludente la prova di quest’ultimo che pur esibendo tecnica corretta non ha centri e armonici per passare la lutulenta orchestra di Wellber. Nel complesso ne è uscito un Tebaldo piuttosto grigio e dimenticabile, un tenore contraltino per riuscire bene in una parte così deve avere la possibilità di variare e puntare la parte adeguatamente. J. Pratt ha cantato bene, ha fatto sentire un canto di alta scuola, magari il personaggio non era particolarmente convincente ma il canto senz’altro si e non è poco. Sonia Ganassi ha fatto della forza di volontà uno scoglio che immoto resta, e resiste, e porta a termine la recita, ma non si può fare certo lo stesso discorso fatto per la Pratt. La voce è evidentemente usurata e se in basso sbraca in alto gli acuti sono presi o all’arma bianca o niente. La recita si apre e si chiude con un tableau vivant stile Luigi Pizzi anni ’80; l’idea di fondo è che i personaggi e le vicende escano tutti dal racconto di un quadro appoggiato a terra in un museo in allestimento. A mio parere l’entrare e uscire di continuo dalla narrazione del testo non aiuta né il pubblico a godersi lo spettacolo, né i cantanti a entrare nel personaggio ma nel complesso è stata una regia sufficientemente innocua. In ogni caso ribadisco il totale odio per le sinfonie iniziali o le overture recitare, drammatizzate dai registi. Nessuno mi toglierà dalla testa che siano un segno di sfiducia del regista nei confronti della musica, come se si sentisse in dovere riempire visivamente quei minuti di musica per non annoiare il pubblico!

    • caro aureliano, ho visto lo streaming….e devo dire che la regia mi ha irritato. In primo luogo ormai la regia d’opera è quasi in ogni caso affare da “copiatori”, perchè un apparato di identici stilemi, oggetti, situazione, si ripresenta puntuale ad ogni allestimento variamente miscelato. Dell’azione che si svolge nei musei, qualunque essa sia, ne abbiamo cordialmente le scatole piene, essendo che museo era anche quello del Giulio Cesare di Pelly come il Trovatore di Salzburg, tanto per citare gli ultimi musei che ho visto negli ultimi mesi. Il museo, come l’idea dei tablau vivant, è idea ronconiana, del Nabucco fiorentino della fine anni 70 se non vado errata Le cornici Pizzi ce le ha messe mille volte in scena, dalla Tetralogia fiorentina in poi. Quanto alle signore in guanti di plastica che puliscono i pavimenti, gli operai che allestiscono e le banalita consimili viste nei capuleti erano lo strafritto più fritto del mondo, pergiunta, IMPROPRIO, INADEGUATO AL TESTO.
      In quel momento straordinario del 2 atto, quando il clarino solista introduce il canto solitario e malinconico di Romeo, una suggestiva citazione di Rossini della scena delle tombe in cui scende Calbo, o l’anticipo del grandioso recitativo di Beatrice sulla tomba di Facino Cane o . o . o altre mille altre scene analoghe, non è possibile tollerare i due operai che stendono una passatoia in terra perchè va contro la musica. Quando finalmente il massacro della musica del clarino si è compiuto, dobbiamo poi vedere la scena che si apre, Romeo Ganassi di spalle con i leggins troppo stretti e le mutande che segnano impietose il lato b della cantante….che momento poetico!!!!!….non parliamo poi del duetto d’amore con lo scaletto a fondo scena a far da romantica quinta o il momento solitario della meditazione e dell’attesa di Giulietta, la cavatina, preludio alla “scena del balcone”, dico bene?, con quelle ancelle cretine che la vestono e la molestano mentre l’atmosfera sarebbe di assorta e trasognata solitudine. Tutto contro la musica e il soggetto. Taccio di Capellio, il nobile padrone di casa…casa che è una piccola corte….che si agita e litiga come un villano col prete confidente Lorenzo, lo minaccia o lo apostrofa….o altro che nulla c’entra nè mai sarebbe stato possbile in una casa aristocratica del 300. E che nel libretto non esiste! O i coristi, sguaiati e agitati, che sono uomini di corte…..e la storia è d’amore ma anche di cappa e spada , e il clima cortigiano che deve incorniciare la storia d’amore, ma il regista non l’ha resa…perchè forse non l’ha colta??? Il finale sul tavolo alla francese poi….incommentabile…….I significati non sono capiti, Bellini e la sua poetica non sono conosciuti, ma è estranea anche l’anamnesi del testo che il teatro di regia presuppone. IN scena c’era il nulla in fatto di lettura e restituzione del libretto e della musica.
      lo scrivo maiuscolo, NON SE NE PU0′ PIU’ DI QUESTE PRODUZIONI che sono semplicemente…ignoranti. nemmeno importa ai registi dei poveri cantanti, la gigantesca Pratt sempre in bianco in ogni produzione, senza avere bisogno di essere ingrossata; la Ganassi acconciata come un incrocio tra Brunetta e la Lucia Annunziata, sempre sopra le righe tutta la sera, mentre doveva essere moderata, il frate Lorenzo sempre esagerato ed esagitato, da moderare pure lui, il coro, sempre a fare gestiti inadeguati. Diamo il potere ai registi, che poi non fanno i registi e non mettano i cantanti nei rispettivi personaggi e li lasciano andare per la scena, come in questo caso.

      Credo che se non abbiamo denari per tenere i teatri aperti, e se le idee non esistono, nessuna concezione fondata degli spettacoli ma solo repertori di momenti e cose da copiare, buoni per ogni opera di ogni genere ( il museo per l’opera aulica di Haendel, il dramma romantico di Bellini e il Trovatore….), allora dobbiamo dire basta ai nuovi allestimenti. basta con sedicenti registi senza idee e cultura. riprendiamo buone cose, quelle che meritano, risistemiamole, riacconciamole al nostro tempo …..E’ QUESTIONE DI ONESTA’ INTELLETTUALE.

      • Quoto tutto. E vogliamo aggiungere la cretinata di Capellio che nella scena iniziale dava il “gimme five” ai coristi come il quarterback di una squadra di football americano dopo un touch down? Ma basta con questi sedicenti uomini di teatro che ormai non sanno fare altro che passarsi le stesse tre idee. Non se ne può piú, davvero! Se volete, io potrei farvi parlare con tante persone che qui in Germania non vanno più all’ opera da anni perché non sopportano quello che vedono.

    • ciao!
      sottoscrivo anch’io il commento di aureliano, anche la parte sulla regia. La regia è sufficientemente innocua, ma preciso: all’inizio del secondo atto, bellissimo, quando ho visto entrare il rotolo di stoffa ho capito che era il caso di chiudere gli occhi. Capellio che dà il cinque è inguardabile. Purtroppo temo di non aver mai visto, nella mia trentina di visite al teatro, una regia decente quindi non riesco ad arrabbiarmi per questa!
      Ma, d’accordo con quello che ha scritto la signora Grisi in qualche post precedente, la regia ha avuto per me una voce minore nel bilancio di quest’opera. Mi è spiaciuto molto di più sentire Mukeria in difficoltà già nella cabaletta di entrata, e ancora di più nel duetto con Romeo al secondo atto!
      Sempre brava Jessica Pratt.

      • La recita di domenica è stata per certi versi esemplificativa delle differenze fra ascolto via radio ed ascolto a teatro: differenze molto consistenti. La radio premia, il teatro non perdona.
        Infatti se via radio la Ganassi e Capellio sono risultati inadeguati, dal vivo sono invece risultati pessimi e fastidiosi.
        Ciò premesso, quanto all’allestimento ed alla regia il tutto è insulso, spesso fuori luogo e senza gusto. Ridicola la scena del tappeto, ridicoli gli interventi delle “ancelle” quando Giulietta intona la cavatina, ridicola la meccanicità banale dello “scontro” fra capuleti e montecchi (avevano lo stesso dinamismo ed “originalità” dei movimenti dei personaggi che animavano i vecchi videogiochi in DOS degli anni ’80).
        La prestazione peggiore della serata è stata quella del direttore d’orchestra, fracassone all’inverosimile (Rustioni style per rendere l’idea), ritmi bandistici e cantanti costantemente sovrastati dalla baraonda generale.
        La Pratt ha convinto, soprattutto nella prima parte (ante intervallo) ed il biglietto da visita con pregevoli mezzevoci all’ingresso è stato notevole. Meno brillante nel finale, ma pur sempre ampiamente sopra la sufficienza. E’ bello vedere come abbia facilità di emissione e pieno controllo del proprio mezzo. Pregevoli anche un paio di scale discendenti eseguite in modo molto pulito e chiaro.
        Sulla Ganassi no comment, a parte delle buone intenzioni di fraseggio e di ricerca dei colori (scontate per una professionista a fine carriera), quel che manca è il canto, anzi, il belcanto. Dal vivo la voce appare fin da subito ingolata e ovattata, acuti pericolanti, sgraziati, fissi. Censurabile la respirazione continua ed affannosa, tanto da mangiarsi spesso le parole all’aumentare della velocità della partitura. Il tutto risultava maggiormente evidente nei concertati. E’ stata brava a portare a termine la recita. Meglio nella seconda parte, ma pur sempre insufficiente.
        Mukeria ha convinto di più rispetto alla prima, specialmente nella cavatina e molto meno nel secondo atto, dove era percepibile la difficoltà nel registro basso.
        Capellio ha cantato in modo caricaturale, con voce gonfia e innaturale, in difficoltà fin dalle prime note più acute. Analoga prestazione di Lorenzo, ma con limiti meno evidenti.
        Piacevole l’incontro con gli altri grisini all’intervallo.

        • infatti attendiamo il responso di Ninia. Il grisismo pare essere malattia grave e contagiosa, anche se non si ancora trovato il vaccino. Hanno provato con siero Kau, colatura di Trebko senza effetti…… ciao è sempre un piacere condividere pensieri sull’opera

          • Carissimo Donzelli ti accontento subito (purtroppo gli esami si avvicinano e solo ora trovo il tempo) :)

            Per prima cosa vorrei salutare Aurelio, Aureliano, Mr. Angelo e Albertoemme (sì proprio lui! Che persona spassosa e vivace, subito a illustrarci le qualità di Kaufmann-Dulcamara XD Ci ha rassicurato sul fatto che ci segue anche se bandito!) che è stato un piacere incontrare per la prima volta e che spero di reincontrare in quel di Venezia (la butto là: magari per Alceste, Norma, Juditha. Non inserisco Don Pasquale perché temo troppo la direzione).

            Sullo spettacolo purtroppo a prevalere sono le note dolenti… Ad eccezione della Pratt che è stata una eccellente Giulietta, molto migliorata rispetto alla prima e con una chiara linea interpretative oltre che vocalmente smagliante. Certo, con una tale direzione fare di più era forse impossibile, ma per la prima volta l’ho trovata anche convincente come interprete (nella Lucia di qualche anno fa c’era qualcosa che mancava, nella Sonnambula invece è stata partecipe solo alla fine, buttando via il resto).
            Mukeria meno in difficoltà che alla prima, ma nella cabaletta i pochi acuti gli sono andati regolarmente indietro (forse per il tempo?) e la tessitura grave senza aggiustamenti ha compromesso il risultato finale.
            La Ganassi è partita quasi afona (la mia amica per la prima volta all’opera mi ha chiesto se era normale che facesse tutta quella fatica), poi si è ripresa, ma, pur con buone intenzioni, l’unico merito è essere arrivata viva alla fine. Voce sorda e forzata in basso, debole al centro, gridata in acuto (ogni acuto era letteralmente lanciato e si vedeva che dentro di lei sperava che uscisse qualcosa di quantomeno intonato), legato impossibile (in Bellini è da condanna capitale) per tutte le contrazioni di gola e agilità gorgogliate e realizzate con contorcimenti corporali di numero inversamente proporzionale a quanto si udiva (si immaginavano piuttosto).
            I due bassi due tubi intasati… so che è cattivo a dirsi, ma è il mio pensiero ascoltando praticamente quasi tutte le voci gravi maschili.
            La direzione davvero oscena: zero poesia, una cifra interpretativa nulla, solo rumore e tempi insulsi che non lasciavano respiro ai cantanti. Penso che abbiano raddoppiato le paghe per le percussioni visto quanto hanno dovuto sbattere… i colpi finali mi hanno fatto letteralmente accapponare la pelle e non di certo per la tragedia in corso, ma perché vedevo dall’alto la grancassa e temevo si sfasciasse.

            La regia purtroppo non era innocua (come in Africaine ad esempio), bensì ridicola e atta solo a distrarre (sinfonia, passaggi solistici) con movimenti e gesti davvero idioti e un’idea di fondo non pervenuta: non solo il coro, non solo Capellio che se la prende con Lorenzo, ma i girotondi, liti in stile baby-gangs, tele e tappeti disposti a caso e spostati senza criterio, un numero tendente a infinito di cadute previste per Romeo e soprattutto Giulietta forse con l’intento di risparmiare sulle pulizie del palco dopo la recita. Bello solo ila formazione del quadro al calare del sipario. Nel finale non ho potuto che pensare al finale lieto cui si accennava in questa sede perché quanto si vedeva risultava assolutamente comico e demente tanto da farmi venire il dubbio che avevano deciso di inserire un finale differente.
            Abiti decenti, ma solo per gli uomini. La mia amica, inesperta d’opera, ma appassionata di abiti e moda è rimasta scandalizzata per l’abito della Ganassi: atroce a dir poco per colore e fattura, con segno delle mutande evidentissimo, stivali troppo lunghi,… doveva rifiutarsi di essere insaccata in tal modo.

          • sai che qui alcuni di noi ritengono che la parte di Amneris sia stata scritta per Ebe Stignani e nulla prima di lei (nemmeno la Minghini Cattaneo) e nulla dopo (neppure Nicolai, Bumbry e Cossotto) figurati se mai pensano che possa essere eseguita dalla Ganassi o dalla Barcellona. Sede anzi trono vacante!

  13. ciao aurelio
    la regia può avere un bilancio inferiore e posso anche essere d’accordo, ma ci sono delle tali incongrue, una tale teoria di dimostrazioni di “grassa” ignoranza che non si può tacere. Costava tanto mettere un mantello a Romeo, vestire di un bel color vinaccio o blu giulietta, ricordarsi che la pietà per i defunti soprattutto se di ceto sociale elevato impone un lenzuolo sotto la salma (mica siamo all’obitorio dove venne buttato salvatore giuliano, pregiudicato) Tutto così tutto frutto di faciloneria, ma quando mai il padrone di casa malmena il confessore. Che lo ritenga fedifrago si capisce benissimo dal recitativo dopo la scena di Giulietta. Riguardo questa aggiungo che Bellini ne compose una alternativa che prevede alcune batture di canto di forza, molto molto adatte alla Pratt. Concordo che sia brava la Jessica, E’ l’unico soprano per questo repertorio. Preciso non significa essere perfetta.

    • discutevo proprio, con un collega, il dettaglio di Capellio Capuleti, tra le altre cose guelfo, che picchia un prete nel tardo medioevo… faciloneria e non conoscenza del tema? un sottilissimo messaggio anticlericale? oppure una non scontata e coraggiosa e controcorrente adesione alle recenti parole del papa sull’uso del pugno? personalmente ho una soglia oltre la quale scatta la rabbia molto alta, e su questa regia… mi vien solo da scherzare.
      d’accordo anche sul precisa ma non perfetta, se ne discuteva appunto con gli altri nell’intervallo a venezia…
      un saluto!

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