Il Barbiere in Arena e la Rosina della discordia.

barbiere_arenaTorna in Arena il Barbiere di Siviglia nella lussureggiante produzione di Hugo de Ana. È la terza volta che lo spettacolo viene riproposto nell’allestimento ideato nel 2007, e per la quarta volta (dopo Annick Massis nel 2007 e nel 2009, Aleksandra Kurzak e Rocío Ignacio nel 2011) il ruolo di Rosina viene affidato a un soprano, seguendo una consuetudine ottocentesca ampiamente documentata anche nel Novecento, almeno sino a Luciana Serra ed Edita Gruberova. Niente di sconvolgente, quindi, eppure buona parte delle recensioni finora lette su questa ripresa veronese si concentrano proprio sull’opportunità, rectius sulla presunta inopportunità di proporre il Barbiere con un soprano di coloratura al posto del mezzosoprano. Da notare che dalle medesime colonne non si era levata, negli anni passati, alcuna protesta rispetto a una scelta che viene, peraltro, portata avanti anche in anni recenti da teatri quali il Metropolitan di New York, sulle cui tavole soprani e mezzosoprani si alternano a perfetta vicenda nei panni della pupilla di Don Bartolo. Nel caso specifico ha poi suscitato ulteriori polemiche la scelta della Rosina areniana, Jessica Pratt, di proporre nel secondo atto, alla cosiddetta scena della lezione, un’aria con variazioni del compositore austriaco Heinrich Proch (ribattezzato Proc da alcuni cronisti in palese difficoltà con la ricerca su Google), “Deh torna, mio bene”, scritta al dichiarato scopo di essere inserita nel Barbiere. In questo la signora Pratt si è uniformata alla consuetudine (ancora una volta ottocentesca, ma copiosamente testimoniata anche dalle registrazioni live) di inserire pagine alternative a “Contro un cor”, tratte tanto da altri titoli rossiniani, quanto da opere differenti da quelle del Pesarese. Per un elenco esaustivo, insieme a molte altre riflessioni del massimo interesse, rimandiamo volentieri a un bell’articolo del collega Nourrit, comparso nell’agosto di alcuni anni fa su quello che era, all’epoca, un blog ai suoi inizi: http://ilcorrieredellagrisi.blogspot.it/2009/08/barbiere-aria-della-lezione.html. La decisione di non eseguire “Contro un cor”, specie nell’ambito di una produzione che assegna al soprano la parte di Rosina, non può quindi destare alcuna meraviglia e alla signora Pratt si può, al limite, rimproverare di non avere proposto il brano di Proch quale secondo numero, dopo l’esecuzione di quanto previsto dallo spartito, come faceva ad esempio Beverly Sills, eseguendo, dopo l’aria canonica, quella da “Le Toréador” di Adam. Ci sembra insomma che le critiche piovute su questa produzione testimonino, prima di tutto, l’inadeguatezza di certa critica a confrontarsi con una tradizione disprezzata proprio perché misconosciuta (e viceversa) e, in secondo luogo, la volontà di trovare un capro espiatorio nella persona della signora Pratt, debuttante nel ruolo e nell’anfiteatro romano, tacciata di essere voce non areniana (laddove la microbica Maria José Siri viene salutata quale novella Gencer nei panni di Aida e Donna Elvira), limitata virtuosa (quando basta il video, già comparso su Youtube, della scena della lezione a ridicolizzare l’assunto e più ancora chi lo sostiene), inerte interprete (quasi che Rosina richiedesse profondità introspettiva, tale da potersi raggiungere solo da parte di un mezzosoprano, e come se la più parte dei mezzosoprani oggi in carriera non fosse costituita da soprani lirici, quando non leggeri, che, ingolando la prima ottava, incespicano sugli acuti e cantano, si fa per dire, per l’appunto da mezzosoprano).

dsc_1419Nessuno potrebbe con onestà parlare, con riferimento alla Pratt, di voce torrenziale, specie in quella zona medio-grave che è da sempre il suo tallone d’Achille. Dove la cantante giustifica il suo impegno su un palcoscenico in ogni senso così oneroso, e i copiosi applausi del pubblico, è nel registro acuto e sovracuto, generosamente esplorato nelle copiose varianti proposte fin dalla cavatina di sortita, eseguita nella tradizionale versione in fa: l’ottava superiore risulta penetrante quanto flessibile, all’aperto come al chiuso, e se il virtuosismo più spericolato, a base di picchettati e trilli, è il perno della scena della lezione, non meno sorprendenti sono le varianti proposte al terzetto e soprattutto al finale secondo, omaggio all’arte suprema di Beverly Sills (meno risolto il duetto con Figaro, in cui la voce risulta non perfettamente a fuoco). Il personaggio non è certo tradito da trasporti e varianti, caratterizzato com’è da accento vivace, forse in difetto di malizia, non però di femminilità e tanto meno di energia. Tradizionale, ancora una volta, e azzeccatissimo. C’è poi da dire che nello sterminato spazio dell’Arena la Rosina dagli antipodi si esibisce al fianco di colleghi tutt’altro che onnipotenti o particolarmente dotati sotto il profilo strumentale, interpreti nel migliore dei casi misurati, spesso banalmente o precocemente usurati. Il più sonoro è Roberto Tagliavini, sicuro e composto don Basilio, seguito a notevole distanza da Antonino Siragusa, meno linfatico e smunto di altri Almaviva di recente uditi, ma in seria difficoltà alla sezione centrale del rondò e in generale nei punti in cui è chiamato a fraseggiare in zona centrale, cavandosela meglio nel canto di agilità, nonostante occasionali stonature sul passaggio superiore. Bruno de Simone quale Bartolo parlotta, e non da oggi, mentre Mario Cassi, salutato da certa critica (la stessa, guarda un po’, che si picca di filologia) quale insigne rossiniano e voce da Arena, risulta sistematicamente stonato e in perenne e acritica emulazione del Figaro di Leo Nucci, di cui però il cantante non riesce a copiare lo squillo sugli acuti (e si taccia del sillabato, a dir poco claudicante). La Berta di Silvia Beltrami è, come suol dirsi, tutto temperamento, e il fatto che, complice il costume di scena, evochi un’esausta Bouillon di provincia è, dobbiamo ritenere, assolutamente secondario. Resta da dire della direzione di Giacomo Sagripanti, che non eccede in stravaganze quanto a scelte di dinamica e agogica, ma perde spesso la barra del timone nei passi concertati (stretta dell’introduzione, finale primo).

Antonio Tamburini (con il contributo di Giulia Grisi, Domenico Donzelli e Adolphe Nourrit – Recite del 1 e 7 agosto 2015)

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3 pensieri su “Il Barbiere in Arena e la Rosina della discordia.

  1. dunque, dove eravamo. Carissimi, premesso l’infinito piacere di rileggervi (grazie Mozart, lui sa perchè…) confermo le vostre impressioni, io ero presente alla recita del 7 Agosto, ho ritrovato con piacere Tagliavini-Basilio meglio di quanto me lo ricordassi in gazza 3 anni fa (certo Basilio è più semplice di Fernando) mentre speravo meglio sinceramente dal conte di Antonino Siragusa che indulge davvero troppo per i miei gusti in falsetti e svenevolezze. Della Pratt avete scritto in abbondanza e Fa sovracuto alla fine della prima aria a parte, la si sarebbe ascoltata volentieri in un teatro al chiuso; comunque da lei il miglior canto che si possa sentire negli ultimi anni. Allestimento tutto sommato gradevole anche se sovraccarico e a volte chiassoso.

  2. Prima di tutto….che bello rileggervi! Meno male.
    Poi, ci sta che in Arena si impieghi un soprano, anche a fini un po’ ….circensi come disse una cantante anni fa al ROF. Pure la Massis aveva interpolato un’altra aria con grande successo.

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