Ebrea a Lione, dove c’è di molto meglio non operistico. Cronaca e consigli di don Carlos de Vargas

exterieur_jour_copyright_franchella_stofleth_0OPERA DE LYON
LA JUIVE
Halévy
Direction musicale Daniele Rustioni
Mise en scène Olivier Py
Décors et costumes Pierre-André Weitz
Lumières Bertrand Killy
Chef des Choeurs Philip White
Orchestre ed Choeus de l’Opéra de Lyon
Nouvelle production en coproduction avec l’Opera Australia
Eléazar Nikolai Schukoff
Rachel Rachel Harnisch
Princesse Eudoxie Sabina Puértolas
Leopold Enea Scala
Cardinal Brogni Roberto Scandiuzzi
Ruggiero Vincent Le Texier
Albert Charles Rice
Crieur Paul-Henry Vila*
Officier Brian Bruce*
Bourreau Alain Sobieski*
Hommes du peuple Dominique Beneforti* Charles Saillofest** artistes des Choeurs

Questa non vuole essere una vera e propria cronaca, né una vera e propria critica, ma solo la riproposizione in modo più rigoroso di una serie di appunti sparsi presi da me negli scorsi giorni, mentre mi trovavo a Lione, per assistere ad una recita de “La juive” di Halévy all’Opèra national de Lyon.
1. Lione è una bella città, di lunga storia, patria di illustri personaggi, dall’imperatore Claudio a Paul Bocuse (che però, per essere precisi, è nato a Collonges, pochissimi chilometri a nord di Lione, sulla Saona, dove ancora oggi c’è il suo ristorante a tre stelle), passando per Ampère, i fratelli Lumière, Puvis de Chavannes, Widor, Saint-Exupéry e Bloch. Lione è la seconda città di Francia, vivace centro industriale, finanziario e culturale, con strutture ospedaliere di fama internazionale.
Soprattutto Lione – con il suo circondario – è la capitale gastronomica della Francia, il luogo in cui – a detta degli stessi francesi – si mangia meglio nel Paese, come prova il fatto che il Lionese è la zona in cui c’è la massima concentrazione di stelle Michelin della nazione. La qualità media elevata del cibo è tale, mutatis mutandis, sia che si vada a pranzare in un “bouchon”, la tipica trattoria popolare lionese, a mangiare insalata di piedini di vitello, testa di vitello in salsa, andouillettes (salsicce di trippa), polpette di luccio, insalata lionese (a base di salumi) o tablier du sapeur (una “milanese” di trippa), oppure che ci si rechi in pellegrinaggio gastronomico chez Bocuse a Collonges, o ci si fermi in una delle brasseries che lo stesso ha aperto a Lione e dove si può mangiare un pasto, a base di cibi di alta qualità, a prezzi decisamente inferiori a quelli del suo storico ristorante (in settimana, scegliendo il menu del giorno, si pranza con una somma fra i 22 ed il 29 euro, bevande escluse). Ho il sospetto che anche i Mc Donald’s abbiano una qualità media superiore a quelli di altri luoghi…
2. L’Opèra de Lyon ha sede in un bizzarro edificio nel centro della città, in una piazza dietro all’Hotel de ville, bizzarro perché congiunge l’architettura ottocentesca a quella contemporanea. Quando, più di vent’anni fa, si pensò di effettuare dei lavori sul teatro ottocentesco, fu dato incarico all’architetto Jean Nouvel, che per i francesi è un mito, il quale svuotò del tutto il vecchio teatro del suo contenuto, conservando solo i muri perimetrali ed il foyer dei palchi, per riempire il vuoto con una costruzione ultramoderna, in cui predomina il nero (salvo un po’ di rosso, ad esempio nei pianerottoli all’uscita dalla platea), che si eleva per un totale di 18 piani sotto e sopra terra, per poi finire con una copertura a forma di semibotte, in corrispondenza della sala prove del balletto. La sala attuale ha la platea posta all’altezza del vecchio foyer dei palchi; le dimensioni della stessa sono, per quanto attiene alla superficie della platea, in metri quadri, credo più o meno le stesse della sala ottocentesca, quindi tutt’altro che rilevanti, anche per le non certo notevoli dimensioni del teatro, stretto fra una piazza in salita ed altri immobili. Per intenderci, niente di paragonabile al Regio di Torino od al Carlo Felice di Genova, piuttosto al Carignano di Torino, all’Alfieri di Asti, al Civico di Vercelli, al Sociale di Biella, e forse persino un poco più piccola rispetto al Grande di Brescia, al Ponchielli di Cremona, al Municipale di Piacenza o al Coccia di Novara. I posti sono circa 1100; l’acustica e la visibilità sono generalmente buone. Io ero in una poltrona centrale di platea, fra il centro ed il fondo della stessa.
grande_salle_0La sala si sviluppa, però, molto in altezza con 5 o 6 balconate, ed è tutta nera, sia per quanto attiene al colore delle pareti che delle poltroncine (un po’ “ine”, soprattutto per chi è abituato a quelle del Regio…), praticamente verrebbe da pensare che, per il colore, Nouvel si sia ispirato alla camicia nera di pura fede fascista del prode alleaten Galeazzo Musolesi federalen di san Giofanni in Persiceten (cfr. Bonvi, Sturmtruppen; della citazione si capirà il senso dopo). Fuori dalla sala c’è un po’ di colore rosso nei disimpegni; forse l’accostamento di rosso e nero, data la vicinanza fra Lione e Grenoble è un omaggio ad un celebre scritto quivi nato?
Anche il palcoscenico, benché moderno, ha dimensioni tutt’altro che rilevanti, il che può essere un problema per i tecnici incaricati di provvedere al montaggio degli impianti scenici (a Lione non si usano mica le scene dipinte o scene normali – va là!- ma impianti scenici à la page, molto innovativi, scene rotanti, anche perché le messe in scena sono solitamente di tipo ben poco fedele al libretto, anzi spesso tutt’altro che fedeli. Ricordo, anni fa, di aver visto un orrido Boris coprodotto con un teatro tedesco, che era il concentrato di tutte le peggiori cazzate del teatro di regia; mi hanno parlato poi di un Otello che non era, di pelle, né bianco, né nero, ma…. blu! Al contrario alcune belle regie di Peter Stein (Mazeppa, Eugenio Oneguin, La dama di Picche, Lulu) erano notevolmente fedeli alle opere rappresentate.
L’orchestra ed il coro dell’Opera di Lione sono complessi di eccellente livello. Negli intervalli il pubblico spesso, se il clima lo permette, esce dal teatro e si riversa nella piazza prospicente. Problematiche le toilettes, poche e piccole, sì che si creano delle lunghe file, cosa rimarcata espressamente anche in un sito internet francese (http://www.forumopera.com/actu/opera-national-de-lyon).
3. L’Opera di Lione ha una programmazione che aborre, per quanto può, la normalità. Ogni anno cerca di presentare un titolo contemporaneo, meglio ancora se una creazione assoluta, a prescindere dal fatto che, stando a quanto mi si è detto, spesso gli spettatori hanno dovuto assistere a vere ciofeche. Da qualche tempo, in primavera, nell’interno della sua stagione lirica, ha deciso di presentare un festival che dalla stessa dovrebbe distaccarsi e seguire un argomento unitario: vi è stato un festival dedicato a Britten, uno con il pretenzioso titolo “Justice ed injustice”, e quest’anno, il non meno pretenzioso programma “Festival pour l’humanité”. In programmazione c’erano “Brundibar” di Krasa, “L’imperatore di Atlantide” di Ullmann (ma, quando si pensa ai nazisti, sono solo queste due opere che vengono in mente ai responsabili artistici dei teatri? Prova della loro notoria pigrizia mentale. Perché nessuno pensa ad un’opera come “Jonny spielt auf” di Krenek, prima grande successo, poi bollata di arte degenerata?), l’inevitabile creazione, stavolta “Benjamin dernière nuit” del compositore vivente Tabachnik e, infine, unica cosa che potesse solleticare i miei interessi di appassionato del grand-opèra “La juive” di Halévy.
j54. Sappiamo tutti cosa ha rappresentato l’opera di Halévy e Scribe per l’Opéra al momento della sua prima esecuzione nel 1835: con il “Robert le Diable” codificava i caratteri del grand-opèra, anzi la sua messa in scena veniva a superare in sfarzo quella del capolavoro di Meyerbeer: per la prima volta sul palcoscenico dell’Opèra si vedevano delle armature vere. Il successo era trionfale e si perpetuava per tutto l’ottocento, fino a novecento inoltrato. Persino Wagner, notoriamente così poco amante del grand-opèra e dei musicisti ebrei, su “La juive” ed Halévy scriveva parole altamente elogiative.
Proprio “La juive” (a riprova del suo perdurante successo) inaugurava nel 1875 la nuova sede dell’Opèra a Palais Garnier, dove continuava ad inanellare recite fino agli anni 30, per poi scomparire dal repertorio. Dopo il 1930-1940 – anche verosimilmente per la scomparsa delle voci adatte ad interpretarla (nell’anteguerra c’erano Caruso, Pinza, Thill, Affre, Martinelli, la Ponselle etc.) le recite dell’opera calavano drasticamente.
Poi negli anni ’70 il grande Richard Tucker – cui vocalmente il ruolo di Eleazaro stava a pennello e che, presumibilmente, in quanto ebreo, aveva anche un interesse particolare per l’argomento dell’opera – la riprendeva in forma di concerto e ne incideva una selezione sotto la bacchetta di Antonio de Almeida, che, negli anni ’80 ne dirigeva per la Philipps un’incisione abbastanza completa (non integrale al 100%) con Carreras, Gonzales, Furlanetto, la Varady e la Anderson.
In anni più recenti l’opera ha visto qualche riproposizione, soprattutto ad opera di Neill Shicoff, che l’ha cantata all’opera di Vienna in una messa in scena poi portata anche a Venezia ed a New York, a decine di anni dall’ultima esecuzione de “La juive” al MET. I risultati non mi pare, però, possano paragonarsi a quelli di Tucker: non basta essere tenore, americano ed ebreo per cantare come Tucker.
L’esecuzione di Venezia mi pare – mi si corregga se erro – sia stata l’unica esecuzione italiana da almeno 50 anni. In essa il ruolo del cardinale di Brogni era ricoperto da Roberto Scandiuzzi, come a Lione nelle scorse settimane.
L’opera, pochi anni fa, era finalmente ripresa a Parigi, dopo oltre 70 anni dall’ultima recita, sotto la bacchetta di Daniela Oren, con la Antonacci e Shicoff, in alternanza con Merritt, mentre lo scorso anno è stata rappresentata a Nizza, con Luca Lombardo e Scandiuzzi. Una nuova esecuzione è programmata a luglio alla Staatsoper di Monaco, con Alagna come Eleazaro, Osborn come Leopoldo, la Opolais come Rachele e la Kurzak come Eudossia. C’è da tenere fortemente cosa potrà venir fuori dalla regia dei bieco Bieto.
j11C’è solo da ricordare la fama jettatoria de “La juive”, limitata, però – a differenza di quelle due altre note opere di Verdi ed Hoffenbach – ai tenori, dato che è stata l’ultima opera cantata da Caruso prima di morire (tutt’altro che vecchio), l’ultima non so più se cantata o messa in repertorio da Tucker prima da morire e lo stesso dicesi per Carreras prima di scoprire di avere la leucemia.
5. Se si rappresentasse “La juive” integralmente si supererebbero le quattro ore di musica. A Lione – come credo succeda ovunque – l’opera è stata tagliata per portarla ad una durata di tre ore circa (forse poco più della durata dell’edizione viennese con Shicoff che si può vedere su youtube), suddividendola in due parti: prima primo e secondo atto, per una durata di un’ora e mezza, poi terzo, quarto e quinto, per un’altra ora e mezza. Come si può facilmente intuire i tagli più drastici hanno colpito gli ultimi tre atti, in particolare il terzo, luogo deputato per l’inserimento del balletto, di modo che i soci del Jockey Club, dopo aver fatto i porci comodacci loro, potessero giungere con il giusto congruo ritardo nei loro palchi all’Opèra, per poter ammirare le ballerine loro “protette”…
Confrontando il libretto stampato per le recite lionesi con quello presente nel programma di sala della Fenice per le recite di alcuni anni fa e con un vecchio libretto in italiano in mio possesso – in cui curiosamente manca l’aria di Eleazaro del secondo atto “Dio, che il mio dir tremante” (“Dieu, que ma voix tremblante” nell’originale) – , posso più o meno avere un’idea dei tagli effettuati, con la precisazione che – per probabili eventi occorsi durante le prove – il libretto non rispecchia del tutto la realtà di quello che si è udito nel corso della recita.
Nel primo atto non mi paiono esservi stati tagli rilevanti di interi numeri, se non nel coro di bevitori.
Nel secondo atto alcuni recitativi tagliati, in particolare all’inizio della scena fra Eudossia ed Eleazaro.
Nel terzo atto scompare del tutto il personaggio del maggiordomo, Eudossia canta sia la sua prima aria che il bolero, che sul libretto non è indicato, ciò evidentemente per compensare la mancanza della cabaletta di Eleazaro nel finale del quarto atto che, invece, è indicata sul libretto, ma che non è stata eseguita.
Molto tagliata la seconda scena: scompare il coro iniziale “O jour mémorable”, così come il balletto; si inizia dal coro “Sonnez, clairons”. Per il resto non mi paiono tagli rilevanti.
Nulla di particolarmente rilevante neppure nel quarto atto, se non che lo stesso si conclude con “Rachel, quand du Seigneur”, senza la scena successiva con il coro fuori scena e la cabaletta di Eleazaro “Dieu m’éclaire fille chère”.
Nel quinto atto, diversi tagli all’inizio, nel coro, tagli nel recitativo fra Ruggero ed Eleazaro. In compenso in scena c’era il personaggio di un boia che nel libretto non esiste!
j76. Passiamo all’esecuzione.
Sul podio dell’ottima orchestra c’era il giovane direttore italiano Daniele Rustioni (mi pare già noto anche ai frequentatori scaligeri), marito della tanto bella quanto brava violinista Francesca Dego, che, dopo aver fornito una prova che mi si dice tutt’altro che malvagia in un “Simon Boccanegra” alcune stagioni fa, dovrebbe assumere dal prossimo anno la carica di direttore musicale dell’Opèra de Lyon.
Tutto sommato la direzione non è stata malvagia, soprattutto considerata la difficoltà dell’opera e le voci a disposizione del maestro. Sa deve, però, muovere al direttore l’appunto che in alcuni momenti ha pestato troppo con le sonorità eccessive; ho in mente alcuni momenti dell’ouverture in cui piatti & C. ci davano dentro che erano una bellezza. L’orchestra era precisa e non c’erano sbavature fra essa e l’ottico coro diretto dal M° Philip White, coro elogiabile per l’omogeneità, la precisione e la bontà del suono. Un fatto deve essere rimarcato sempre per quanto attiene alla direzione del M° Rustioni: nonostante le voci che c’erano sul palcoscenico non avessero, a parte Scandiuzzi, un gran corpo, esse non erano mai coperte dall’orchestra, segno di una cura in tal senso da parte del direttore.
7. Passiamo, poi, alle voci, ohimé!
7.1. Venendo a Lione già mi figuravo che non avrei sentito nulla di paragonabile alle vetuste incisioni di Caruso, di Thill …. o a quelle più recenti di Tucker, ma anche solo di Carreras e della Anderson e di fatto avevo visto giusto; in ogni caso, non aspettandomi miracoli o voci eccezionali, non ho sofferto particolarmente di mal di stomaco, immaginando già ciò che mi attendeva.
Non immaginavo, però, pur nelle mie più nere previsioni, un Ruggero come quello, non “cantato” (?!), ma urlato, mugolato, abbaiato rabbiosamente da Vincent Le Texier, autentico preclaro esempio di malcanto nella sua accezione massima; non credo che i muggiti (nessun riferimento alla c.d. “scuola del muggito” di cellettiana memoria, composta da cantanti con un fior di voce e di tecnica, al confronto tutti dei finissimi, raffinati vocalisti) e gli urli siano stati una voluta scelta interpretativa per sottolineare l’odiosità del personaggio. In ogni caso il pubblico alla fine lo applaude. Non tantissimo, ma lo applaude. Ma il pubblico di Lione è fin troppo buono ed ingoia cose che da noi forse neppure ora passerebbero (soprattutto per quanto attiene alle messe in scena).
Decisamente meglio (e non ci vuol tanto) Charles Rice come Alberto.
7.2. Dei due tenori protagonisti meglio – come mi era già stato preannunciato – Enea Scala (Leopoldo) che Nikolai Schukoff (Eleazaro).
L’Opera di Lione, a differenza di molti teatri italiani, ha per politica quella di non prevedere “cover” per i cantanti impegnati in una produzione; pertanto mentre più volte a Torino mi è capitato che, nell’ipotesi di malattia di un componente della distribuzione, questo venisse sostituito da quello che teneva lo stesso ruolo nell’altra distribuzione, a Lione, in una siffatta ipotesi o l’opera salta o il cantante sale sul palco nonostante tutto e pieno di cortisone, cercando di portare a termine la recita.
Questo è quello che è capitato ad Enea Scala, che è stato male in mattinata, restando afono, ed ha dovuto affrontare tutta l’opera cantando la sua non troppo agevole parte riempito di cortisone dal medico del teatro. Prima dell’inizio dell’opera si è sentito annunciare che M. Scala era souffrant ma che avrebbe cantato lo stesso. Bene, penso fra me e me, un grande classico della sfiga, tanto più che mi era stato riferito che nelle recite precedenti Scala aveva emesso fior di acuti e sopracuti, arrivando con facilità al re.
Pertanto, avendolo sentito in tali circostanze, non mi sento di emettere nei suoi confronti un giudizio definitivo.
Ciononostante, nonostante la malattia ed il cortisone, mi è parso uno dei migliori della distribuzione e, soprattutto, decisamente migliore di tanti altri tenori che si sentono in giro (e che in realtà prendono in giro). La voce, abbastanza leggera, da tenore contraltino, è dotata di bel timbro e pare facile all’acuto, non so dire chiaramente se per mera grazia naturale o per eccellenza di scuola. In ogni caso per ora dà l’impressione di uno che tutto sommato sappia cantare. C’era anche una certa interpretazione, tutto sommato facile, data la piattezza del personaggio.
j3In ogni caso Scala, malato, ha cantato meglio di Nicolai Schukoff che non era malato. Detto tenore è apparso palesemente inadeguato per la parte, interpretativamente abbastanza rozzo, del tutto alieno da finezze vocali ed interpretative. Finché c’era da cantare delle frasi a voce piena, o anche mettere di mezzo, sempre stando sul forte e cantando a voce piena, il registro superiore, la cosa poteva ancora andare. I guai cominciavano laddove si chiedeva di cantare a mezza voce, o piano o si richiedeva alla voce il legato. Il cantante si dimostrava poi ingolato. Il “Dieu de nos pères” all’inizio del secondo atto è un mezzo disastro, solo un pochino meglio l’inizio del “Dieu que ma voix tremblante”, cantato sopra una scala (ce ne sono spesso in scena, idea del regista), ma subito dopo, nella stessa aria, non ci siamo di nuovo. Arie come queste presuppongono nel cantante un perfetto controllo della voce, in tutti i registri, la possibilità di passare senza problemi dal piano al forte alla mezza voce, cose che Schukoff ha dimostrato di non avere. Ovviamente, dati simili presupposti, anche di “Rachel quand du Seigneur” non è stata fornita un’interpretazione memorabile, anzi… tanto per capire, si provi a sentire l’incisione di Thill; ecco, l’esatto contrario! Ma il pubblico applaudiva…. Cabaletta “Dieu m’eclaire, fille chère” omessa, pare per manifesta incapacità del tenore rivelatasi durante le prove, dato che ne sarebbe stata in origine prevista l’esecuzione (il testo del libretto parla chiaro).
7.3. Di tutt’altro livello, benché gli anni siano passati anche per lui, Roberto Scandiuzzi come Cardinale di Brogni. La voce del basso veneto è certo impoverita rispetto a un tempo, né ha più la morbidezza e l’agilità che aveva ancora qualche anno fa. Però è un’autentica voce di basso e non un surrogato di basso di bassa lega. E, soprattutto, Scandiuzzi è un cantante che sa cantare e che riesce a farlo anche con una voce che non è più quella dei periodi migliori. In qualche momento forse gli si potrebbe imputare di essere un poco monocorde, ma sostanzialmente egli interpreta e dà un senso a quello che canta, fornendo forse i suoi momenti migliori nel terzo e nel quarto atto.
7.4. Passando alle signore presenti in scena, sicuramente Rachel Harnisch, come Rachele, pur trovandosi ad affrontare una parte troppo onerosa per lei, è migliore di Sabina Puértolas come Eudossia.
La Sig.ra Harnisch, nelle pubblicità del teatro, era presentata come la mozartiana svizzera che affrontava la parte del personaggio con il suo stesso nome. Ma proprio il fatto che ella era una mozartiana avrebbe dovuto fare sorgere ai dirigenti del teatro qualche dubbio sull’opportunità di scritturarla per una parte così onerosa quale quella di Rachele, creata, non per nulla, per le mostruose doti della Falcon.
la-juive-web-5Non che una cantante dedita a cantare Mozart non avrebbe potuto cantarla, ma a patto di chiamarsi Elisabeth Retberg, Birgit Nilsson, Martina Arroyo. Il fatto che in disco sia stata affrontata dalla Varady, che è stata una celebre donna Elvira, non prova affatto come vera l’asserzione che una cantante mozartiana può affrontare Rachele, soprattutto che si tiene conto del fatto che la Sig.ra Harnisch ha cantato parti come Pamina, Servilia (l’avevo sentita a Torino ed era stata brava) o Marzelline nel Fidelio, quindi parti non certo onerose.
Ciò premesso, e nonostante ciò, ella non è stata malvagia, anche se – lo ripeto – la parte non era adatta a lei, era troppo pesante e spesso la cantante era al limite se non oltre e lo si sentiva. Soprattutto nel secondo atto, ne “il va venir” era spesso alla corda.
Anche negli altri momenti pesanti era evidente lo sforzo, però, intelligentemente, si capiva che cercava di rifugiarsi in soluzioni più adatte alla sua vocalità, che è quella di un soprano lirico. Almeno, a differenza del tenore protagonista, ella cantava anche a mezza voce, faceva i pp, cercava di interpretare, di dare un senso a ciò che cantava e dimostrava, in sostanza, di essere di una scuola superiore alla sua.
Ed era di una scuola superiore anche rispetto alla Sig.ra Puértolas che cantava Eudossia esibendo una vocina acidina non certo soddisfacente; qualche acutino un poco tiratino, ma un registro medio e basso vuoto ed insufficiente. Troppo poco per cantare tale parte.
Il regista, poi, forse sedotto da questa vocalità da soubrette in senso deteriore, la abbigliava come se fosse una soubrette, ma da Bagaglino, non da Fliedermaus…. Ella stava in scena con un bell’abito trasparente e con notevoli spacchi laterali, che consentiva a tutti la visione delle gambe e delle mutande; nel terzo atto cantava l’aria infilandosi le calze dopo un apparente “convegno” con Leopoldo, ed anche andando ad incontrare Brogni e Rachele non mutava troppo il suo look.
8. Passiamo infine alla messa in scena, che nel grand-opèra era cosa assai importante, e faceva prendere applausi su applausi a scenografi, costumisti, tecnici e direttori di scena.
Oggi, soprattutto le rare volte che vengono riprese opere di questo tipo, le si cerca di tradire dal punto di vista scenico, condannandole – sulla cattiva via del teatro di regia teutonico – alla cupezza, all’uniformità, alla banalità, con gente in cappotti, cappottini e cappottoni, i soliti nazisti, scene tutte eguali etc. Così facendo si priva il grand-opèra di una sua componente essenziale, forse peggio di quando si tagliano i balletti, dato che la varietà delle situazioni sceniche era uno dei cardini del genere.
Se si vedono su you tube le immagini di alcune recenti edizioni dell’opera ci si trova di fronte quasi sempre alle stesse robe: abiti moderni, scene quasi sempre fisse, grigiastre, noiose etc. etc. etc.
A Lione Olivier Py adotta un impianto scenico in parte fisso, in parte mutevole, più o meno girevole, come già in una sua terrificante regia di Carmen di pochi anni fa, ambientata in un locale notturno di infima classe, che, però, ai critici francesi era piaciuta tanto, sì da lodarla e pluripremiarla (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=dYfFZ0HyAj0).
j4Quando si entra in sala il sipario è alzato e si vede, poco oltre il proscenio, una scalinata di dieci gradini. Poi, quando si accendono le luci, si vede che ai lati della scena, vi sono della pareti che raffigurano una biblioteca (la biblioteca vi sarà sia quando la scena è fra gli ebrei che fra i cristiani) e sullo sfondo vi sono degli alberi che paiono le querce dell’Abbazia nel querceto di Friedrich. La scena è cupa, plumbea, grigiastra, nereggiante e molti elementi scenici sono neri, come neri sono gli abiti degli ebrei.
Arriva Eleazaro e tira fuori da una valigia una menorah accesa, che poi spegne all’arrivo in scena di Ruggero e di altri tizi vestiti, proprio come il prode alleaten Galeazzo Musolesi, di camice nere da provata fede fascista, ma che non possono essere tecnicamente considerati dei fascisti, in quanto hanno neri anche i calzoni, mentre con la camicia nera si portavano – mi è stato detto – i calzoni grigi (chissà che ne avrebbe detto il grande Aldo Protti)! Il coro è in abiti moderni, in cappotti che potrebbero essere di oggi come degli anni sessanta. Almeno gli ebrei sono vestiti da ebrei con tanto di zuccotto sul capo (Bieito in che cosa li potrà trasformare?); ci sono due tizi vestiti da vescovi, mentre Brogni è vestito di bianco manco fosse il papa. Le scene si muovono in vari modi, componendosi e scomponendosi; alla fine, però, il gioco risulta un poco banale e prevedibile. Leopoldo canta stando sopra un elemento scenico con disegni di nudi femminili. Nel finale primo, ovviamente, nessun corteo del concilio e dei cavalieri, ma il coro inscena una manifestazione contro gli stranieri, inalberando cartelli ed appendendo uno striscione, poi arriva un tale a schiena nuda con una croce di legno assieme ai due vescovi e tutto finisce lì, con tutti che escono di scena.
Nel secondo atto c’è la cena della Pasqua ebraica, dentro una casa che in realtà è una biblioteca; Eleazaro canta su una scala la sua aria, tirando fuori un libro in cui vi sono delle foto, che dovrebbero essere quelle dei figli morti. Arriva Eudossia, con il look che già conosciamo, ed Eleazaro, invece di tirar fuori il gioiello, tira fuori un altro libro. Rachele canta “Il va venir” su una balconata su scale, tipo Gilda nel Rigoletto in certi allestimenti, decorata di stella di Davide. Nel finale Eleazaro vuole usare su Leopoldo un bel bastone.
Nel terzo atto prime Eudossia canta dopo essere stata in evidente intimità con lo sposo fedifrago, che rimane a poltrire su un lettuccio semovente, poi arriva Rachele, nel suo abituccio lungo e grigio cupo, infine canta il suo bolero. Nel finale, ovviamente niente balli, ma una scatola scura con un’apertura sullo sfondo ed il coro su una scalinata (a favore di Py si può dire che in questo allestimento non fa fare al coro dei movimenti folli in posizioni scenicamente strambe, ma li mette in massima parte di fronte all’orchestra a cantare); dopo la maledizione, il coro si scaglia contro Leopoldo brandendo delle croci (se non erro qualcosa di simile Py lo aveva già fatto ne “Gli Ugonotti” messi in scena a Bruxelles alcuni anni fa).
la-juive-web-4Nel quarto atto l’anticamera del Concilio è ridotta all’anticamera di uno squallido ufficio dove si fanno gli interrogatori, che si vede fra gli elementi scenici moventi; ci sono le solite brutalità nei confronti dei prigionieri viste più volte, ma ormai banali; una buona idea registica è che, quando Brogni chiede ad Eleazaro della figlia, si strappa la tonaca, restando vestito come il primo, in calzoni e panciotto: non sono più il cardinale e l’orafo ebreo, ma sono entrambi simili, due padri disperati.
Dopo che Eleazaro ha cantato (come lo si è detto…) la sua aria e non ha cantato la sua cabaletta, sale correndo su per lo scalone e su questo cascano dell’alto del palcoscenico decine di scarpe; potrebbe essere il solito accenno ai campi di sterminio, fatto nel solito modo ripetitivo, come se non avessimo visto “Schindler’s list” e non potessimo capire che è un’idea copiata e ricopiata.
Niente coro in scena nell’ultimo atto, in compenso si vede un momento Leopoldo (che sarebbe dovuto essere lungi da Costanza) con Eudossia. In fondo alla scena si alzava del fumo e Rachele si avviava verso tal fumo scendendo in basso, poi seguita da Eleazaro che lasciava sul davanti della scena Brogni nello stato d’animo che ben si può immaginare.
Tutto sommato, la solita regia attualizzante, come se non fosse possibile rispettare il libretto (spesso i libretti d’opera sono ridicoli ed improbabili, ma a volerli attualizzare o modificare lo diventano ancora di più), anche se temevo decisamente di peggio. Solite cose, ormai banali, da teatro di regia, spesso inutili, gente che si arrampica su scale, azioni violente contrastanti con la logica del testo (nel terzo atto gli pseudofascisti in calzoni neri di Ruggero si avventano su Eleazaro, che, però, è lì su richiesta di Eudossia e, quindi, deve potere andare da lei a portare il gioiello!).
Niente di geniale, una certa noia, aumentata dalla tetra uniformità delle scene. Ma almeno M. Py ci ha risparmiato cose peggiori ed ha avuto una o due idee riuscite, assieme alle solite idee che paiono innovative e che, invece, sono sempre le stesse cose riciclate da un regista “innovativo” all’altro.
A questi link si possono vedere alcuni brani dello spettacolo, dei fuori scena, sentire M. Py che parla della sua regia ed andare alla scuola dello spettatore (a Lione pare si creda che lo spettatore deve essere educato).

D. Carlo de Vargas

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11 pensieri su “Ebrea a Lione, dove c’è di molto meglio non operistico. Cronaca e consigli di don Carlos de Vargas

  1. Grazie dell’ampia recensione, varia e stimolante :)
    Mi hai messo voglia di andare a Lyon 😀
    Finora di Halévy ho ascoltato solo Charles VI, ma Juive è un’opera che devo assolutamente approfondire al più presto! Mi sto procurando diverse edizioni di cui due pressoché integrali (dovrebbero essere di 4 ore con tagli ai ballabili e forse a qualche recitativo) di recente date fuori e poi inizierò la scoperta. Come libretto userò quello contenuto nel tomo 14 delle opere di Scribe confidando che sia integrale. Tu quale hai usato che, mi è parso di capire, non era completo? Grazie!

    Certo che se il migliore era Enea Scala malato, che mi era parso un pescatore mediocre nel Tell, siamo messi bene! Magari è migliorato oppure si sente più a suo agio nel ruolo chissà!

    • Come ho scritto ho utilizzato il libretto esistente nel programma di sala della Fenice di Venezia per la reppresentazioni di 10 anni fa, scaricato da internet, che ha il vantaggio di essere gratis. Inoltre il libretto del programma di sala dell’Opera di Lione ed un libretto italiano presumibilmente del 1933 delle Edizioni A. Barion della Casa per Edizioni Popolari s.a. che avevo a suo tempo comprato su una bancarella, in mezzo a vecchi libretti più o meno interessanti, anche di opere desuete o rare (Crispino e la comare, I gladiatori, Saffo, Germania, Resurrezione) o utili perchè versioni italiane di opere straniere che ormai non sono più ristampate (Walkiria, Lakmé, L’africana). Piuttosto, quali sono le incisioni quasi integrali che sono uscite? Io conosco, infatti, le due edizioni di De Almeida, la selezione con Tucker e quella in 3 cd con Carreras. Non ho potuto sentire quella con Tucker e Yasuko Hayashi diretta da Guadagno, nè quella viennese con Carreras e Siepi.
      Penso solo che – come è noto – Tucker, a furia di chiedere, era riuscito a convincere il MET a mettere il scena La Juive con lui protagonista, per i suoi 30 anni di debutto e che oltre a lui il cast avrebbe dovuto comprendere la Sills e Gedda sotto la bacchetta di Bernstein. Purtroppo sappiamo tutti che Tucker è morto prima.
      Sui cantanti non posso che confermare quanto ho scritto Scala, Scandiuzzi e la Harnisch, ur con tutti i se e ma ed i distinguo cui ho fatto cenno, erano i migliori presenti sul palcoscenico. A me la voce di Scala non è dispiaciuta. Vorrei però sentirlo in condizioni vocali ottimali. Potrebbe anche darsi che la sala piccola e la buona acustica lo abbiano favorito rispetto, ad esempio, ad una sala immensa come quella del Regio, e dall’acustico un poco problematica. Ma queste sono solo supposizioni. Di vero c’è che mi è stato detto da persona che ritengo degna di fede che alle recite precedenti aveva esibito un bel registro acuto, pur non avendo una voce di natura particolarmente grande. Ma agli acuti saliva con una certa facilità. Non c’ero e relata refero.

      • Purtroppo non esistono edizioni quasi integrali: la più completa (quella di Almeida) presenta un’ora abbondante di tagli che massacrano l’intera partitura non risparmiando quasi nessun numero.

    • SCUSATE SE MI PERMETTO DI INTERVENIRE, MA LA JUIVE E’ IL GRAND OPéRA CHE PREFERISCO ED UNA DELLE CINQUE OPERE DELLA VITA.
      HO AVUTO LA FORTUNA DI VEDERLA SEI VOLTE.
      PER UN APPASSIONATO E’ APPASSIONANTE (SCUSATE IL GIOCO DI PAROLE…) LA QUESTIONE DEI TAGLI..A VOLTE, DOVREMMO PARLARE DI DISBOSCAMENTO, ALTRO CHE TAGLI… LA POVERA EUDOXIE SI VEDE A VOLTE DIMEZZATA, NON PARLIAMO DEI CORI, DEL BALLETTO…COME IN TUTTE LE OPERE DI QUEST’ EPOCA ABBONDANO I MICROTAGLI, E FASTIDIOSI SONO I TAGLI INTERNI AI BRANI ESEGUITI…
      PER QUANTO MI CONSTA, NON ESISTE ANCORA -PURTROPPO – UN’EDIZIONE INTEGRALE…CHI VUOLE, DEVE SALTELLARE DA UN’EDIZIONE ALL’ALTRA, E BISOGNA DIRE CHE LE SOPRESE NON MANCANO. LE VORREI CONDIVIDERE CON VOI E MAGARI CONFRONTARLE…
      AD OGGI L’EDIZIONE PIU’ COMPLETA E’ SECONDO ME QUELLA DI STUTTGART (2008, RIPRESA NEL 2012), DIRETTA DA SéBASTIEN ROULAND. QUALCHE TAGLIO ANCHE QUI NON MANCA, MA NON ESISTE AL MOMENTO VERSIONE PIU’ COMPLETA…MI PERMETTO DI SEGNALARE QUALCHE CURIOSITA’: NEL PRIMO ATTO, SE LéOPOLD ESEGUE IL BREVE RECITATIVO CHE PRECEDE LA SéRéNADE, “CETTE FOULE IMPORTUNE”, OMETTE IL DUETTINO CON RACHEL “QUELLE VOIX ChéRIE” ALLA FINE DELLA SERENATA E/O VICEVERSA. PER UDIRE I DUE BRANI INSIEME, DOBBIAMO FAR RICORSO ALL’ EDIZIONE DIRETTA DA ROBERT LAWRENCE, EDIZIONE CHE RISERVA UN’ALTRA BELLISSIMA SORPRESA AL QUARTO ATTO. NEL SECONDO ATTO SOLO LAWRENCE ED ANTON GUADAGNO ESEGUONO IL RECITATIVO “ON FRAPPE”,CHE PRECEDE IL TERZETTO CON EUDOXIE..I RECITATIVI IN QUEST’OPERA SONO IMPORTANTISSIMI E QUESTO è DEGNO DI UN THRILLER.
      DOBBIAMO AL BENEMERITO MAESTRO ALMEIDA (EDIZIONE TUCKER, AHINOI è SOLO UNA SELEZIONE!!!) SE SENTIAMO NELLA SUA INTEGRALITA’ IL DUETTO RACHEL-LéOPOLD (E QUI RACHEL è LA GRANDISSIMA MARTINA ARROYO), CHE ESEGUE CON ANNA MOFFO ANCHE IL DUETTO DEL QUARTO ATTO NELLA SUA INTEGRALITA’, SECONDO LO SPARTITO SCHLESINGER-LEMOINE.
      QUESTA PARTITURA “SALTA” PERO’ BEN QUATTRO PAGINE DI QUESTO DUETTO “AH, POUR CELUI QUI M’A TRAHIE” PRESENTE NELL’EDIZIONE LUCIE-GALLAND. IL REGALO CI ARRIVA DALL’EDIZIONE LAWRENCE, CHE ESEGUE QUESTA PRIMA PARTE DEL CONFRONTO FRA DUE DONNE DISPERATE.
      CHI VUOL SENTIRE IL SESTETTO DEL TERZO ATTO “JE FRISSONNE, JE SUCCOMBE” NELLA SUA COMPLETEZZA DEVE RIVOLGERSI A DE ALMEIDA(EDIZIONE CARRERAS).
      NON ABBIAMO ANCORA L’INTEGRALITA’ DEL DUETTO EléAZAR-BROGNI DEL QUARTO ATTO, CHE ESEGUONO “OUI, LE FER” SOLTANTO LA SECONDA VOLTA.
      CARRERAS, MERRITT, TUCKER ESEGUONO LA CABALETTA DEL QUARTO ATTO (SHICOFF SOLO CON LA YOUNG), MA NON ABBIAMO ANCORA SENTITO LA SCENA NELLA SUA COMPLETEZZA… CARRERAS – PER IL MOMENTO – è IL PIU’ COMPLETO…
      MI SCUSO PER LA PEDANTE TIRATA, SPERO POSSA SERVIRE PER ORIENTARSI UN PO’ IN QUESTO MERAVIGLIOSO CAPOLAVORO.

  2. Grazie per la cronaca ricca ed interessante.
    Ho visto La Juive l’anno scorso ad Anversa (Opera Vlaanderen), regia di Konwitschny, (secondo cast) Rachel – Gal James, Eléazar – Jean-Pierre Furlan, Cardinal de Brogni – Dmitry Ulyanov, Léopold – Robert McPherson, La Princesse Eudoxie – Elena Gorchunova, Ruggiero – Toby Girling.
    C’è ancora il trailer su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=YwSkDqRIGDI
    Va confermata l’osservazione sulla “uniformità, banalità, gente in cappotti…,” – nel caso in abiti neri o impermeabili + mani gialle o blu per distinguere gli ebrei dai cristiani.
    “i soliti nazisti” erano già presenti nella prima Juive che ho visto negli anni 90 a Sofia.

    • Ho visto il trailer. Konwitschny è sempre lo stesso massacratore infame di opere liriche ben noto all’universo ed in altri siti. E quel che è peggio pretende di intervenire sul tessuto musicale, se è vero che in un Olandese volante dato forse a Monaco, aveva sostituito il finale suonato dall’orchestra con il finale suonato da un vecchio giradischi scassato, almeno così mi pare aver letto in illo tempore.
      Anche ad Anversa tutta la solita uniformità, la solita ricerca di Konzept, e le solite fregancce di un regista che vuole cercare di far capire delle cose che tutti sanno già. Per quel poco che ho visto, preferisco la regia di Lione ed esprimo il mio giudizio sulla regia di Herr Konwitschny (chissà cosa avrebbe detto suo padre, il grande direttore!!!) con le immortali parole del Rag. Fantozzi
      https://www.youtube.com/watch?v=LTU-lVm2LJM&nohtml5=False

  3. Don Carlo grazie per le informazioni :)
    Alludevo alle due edizioni di Stoccarda 2008 e 2012 di cui ho scoperto l’esistenza grazie alle recensioni di ForumOpéra che puoi trovare facilmente. Per i libretti invece puoi servirti del sito di Gallica dove puoi scaricare migliaia di testi gratis :)

    Ps: non volevo mettere in dubbio le tue parole su Scala, semplicemente mi hanno sorpreso. Finché si parla di cose positive benvenga 😉

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