Al Teatro Regio di Torino, dove la lunghissima e proficua gestione Vergnano è giunta al termine, sono stati proposti i Lombardi alla prima crociata. L’opera di Verdi, che è stata oggetto di nostre riflessioni nel ciclo della Verdi Edission qualche anno or sono, deve essere considerata una sorta di tableau vivant, dove, sciolti ormai dall’obbligo del rispetto delle tre unità aristoteliche Verdi e Solera misero in scena i valori dell’Italia pre risorgimentale, sicché il titolo vorrebbe essere rappresentazione melodrammatica di quella unità di “arme, lingua ed altar” che Manzoni aveva sintezzato nel proprio Marzo 1821. Poi ad essere un po’ più liberi dalla tradizione e dalla retorica, la medesima del titolo, gli ideali rappresentati sono più della borghesia lombarda, che si protestava vittima dell’Austro-Ungheria, che non dell’intera Italia. Nella figura di Giselda è facile vedere il prodromo di figure che il risorgimento idealizzerà come Giuditta Sidoli. Non dimentichiamo la suggestione che di lì a qualche anno in temperie ancor più patriottarda ed anti austriaca suscisterà in Giuseppe Giusti il coro dei Lombardi “miseri ed assetati”, ricordato proprio in un luogo, la Basilica di Sant’Ambrogio dal quale la vicenda dei Lombardi si diparte. Che, poi, la basilica all’epoca della prima crociata avesse un aspetto differente dall’attuale anche questo non ha alcuna importanza davanti al valore simbolico sotto ogni profilo di quel tempio che è definito (e vai giù di retorica) l’archetipo del romanico Lombardo. Con questo pesante fardello di amor di patria, religione, zelo di religione (quello che il Porta metteva alla berlina quale degenerazione della Fede), amore impossibile e diremmo oggi multirazziale, una vicenda drammatica, che è più supposta che narrata, mettere in scena i Lombardi e darvi coerenza non è un’impresa facile. Aggiungiamo poi che Verdi, che già dal 1843 assillato dallo scrollarsi di dosso terra (argillosa naturalmente come è quella della bassa lombarda ed emiliana) e vanga si lancia in assoli strumentali tutt’altro che facili come quello elaborato e complesso di violino, che precede battesimo e morte di Oronte.
Per capire la struttura dei Lombardi, tali si deve essere. Per non fermarsi alla accusa di una drammaturgia grezza e poco evoluta invito i non milanesi a guardare i quadri della vita di San Carlo Borromeo, altro caposaldo del mondo lombardo dove l’esperienza di quello che fu sì vescovo, ma soprattutto capo politico e guida della Lombardia, è riassunta per quadri ad effetto. E che cosa sono nei Lombardi l’aprirsi della scena sulla Basilica di Sant’Ambrogio, il coro dei Lombardi che si sentono abbandonati da Dio, l’apparizione di Oronte che fa scattare la polacca di Giselda “non fu sogno” se non che quadri ad effetto. E che effetto. Poi l’effetto assolutamente potenziale deve realizzarsi ed allora i conti come in altre occasioni recenti (Francesca scaligera) cominciano a non tornare. Siamo anziché alla celebrazione dei grandi valori del Risorgimento al festival del suono ingolato e fibroso in ogni corda della voce umana, alla direzione orchestrale meccanica e metronomica. Nel dettaglio della lamentela. Che la parte di Giselda scritta per una fuori classe quale la Frezzolini (oltre tutto donna se non bella fascinosa) richieda prima di tutto un’ottava acuta facilissima e penetrante e la capacità di piegare e flettere la voce ad alta quota è un ostacolo che Angela Meade non è in grado di superare, perché la voce del soprano americano che è di limitato volume è sopratutto corta e fibrosa. Abbiamo quindi una Giselda che non si sente al concertato di Sant’Ambrogio salvo qualche suonaccio in alto, segue una preghiera, la famosa “Te Vergin Santa invoco… Salve Maria” che la cantante risolve nelle salite in zona acuta con falsetti fissi e fischianti, perle vocali, che si ripetono alla prima sezione della scena finale del secondo atto quando la cantante esegue l’adagio “se vano il pregare” e poi arriva il grandioso finale dove le salite sino al re nat sono autentiche urla piccole, fisse. Prestazione da principiante e la polacca ( che doveva essere un ritmo molto gradito ad Erminia Frezzolini, vista la grandiosa che le venne scritta da Mercadante per Orazi e Curiazi di lì a qualche anno) è peggio per le condizioni vocali della cantante, che è miseramente annaspata nel terzetto. Per chi volesse capire che cosa sia se non l’accento almeno la voce verdiana e lo slancio vocale verdiano suggerisco l’ascolto dell’atto della medesima pagina ad opera di Elisabeth Rethberg, che la vulgata definisce gelida e glaciale, ma la cui voce anche in un 78 giri era sonora, penetrante, proiettata, squillante e nel contempo morbida. Ancor peggiore la compagine maschile a partire da Francesco Meli, che già anni or sono era stato dettagliatamente vagliato nei Lombardi parmigiani ed al quale, siccome canta con tecnica dilettantesca o quasi, l’aver aggiunto al repertorio titoli onerosi quali Trovatore, Aida, Gioconda e pure Carmen non può che aver aggravato quel cantare di gola e di fibra che sono la peculiarità di chi canta senza sapere cantare. Poi i fans di Meli possono anche gridare all’oltraggio ed all’offesa, ma la cronaca insegna che per i tenori di scarsa complessione tecnica il rimedio, davanti all’accorciarsi ed all’indurirsi della voce, di affrontare titoli progressivamente più pesanti è peggiore del male.
Il fatto che tempo fa un basso colore piuttosto chiaro e di volume non certamente verdiano nel senso tradizionale del termine abbia cantato Pagano non autorizza Alex Esposito, che già stenta nel ruolo di Faraone di Mosè, a proclamare la parola di Dio ed a fare dolorosa e pubblica contrizione con le melodie ampie e solenni, che Verdi riserva al penitente e parricida. E siccome per cantare Verdi si crede, a torto, che si debba avere il vocione, mentre basta la voce messa al posto giusto il cantante suona duro e stomacale in tutti i cantabili, forzato negli acuti. Terza croce di questa produzione.
Rimane poi il problema o meglio l’amaro caso di Michele Mariotti, direttore verdiano, aggiungo e non solo. Quale che sia l’autore, che affronta il risultato è sempre il medesimo ovvero orchestre meccaniche e bandistiche, nessun afflato, nessuno slancio nessun abbandono. Basta sentire il grandioso incipit dell’opera dove il concertato non è grandioso, ma rumoroso, oppure il coro più famoso dell’opera dove il tono dimesso e soffuso dell’inizio (ricordiamo “Lombardi miseri e assetati”) in realtà è solo una non richiesta miniatura eseguita meccanicamente senza che si scorga lo sviluppo e l’ampliarsi e della melodia e della situazione melodrammatica.
In questo mese, celebrando il cinquantenario della morte di Tullio Serafin, la Rai ha proposto Aida ed Otello, ovvero il cosiddetto tardo Verdi, ma invito i lettori a cercare ed ascoltare un’esecuzione dei due Foscari di Venezia, anno 1957, Serafin alla vigilia degli 80 anni e dove il clima del melodrammone ottocentesco dove amore, patria, famiglia, inganno, tradimento si sprecano è colto alla perfezione. Eppure va di moda ancora snobbare Serafin ed i cantanti che in quegli anni cantavano Verdi, dicendo che erano volgari, veristi e rozzi.
10 pensieri su “Sorella radio: I Lombardi alla prima crociata dal Regio di Torino”
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Sempre più spesso si ha l’impressione di una ammucchiata di note come uno che carico di un gigantesco borsone le scarica sul palcoscenico..molte esecuzioni moderne hanno in me questo effetto assolutamente personale certo ma come non condividere quando chi agita la bacchetta é Mariotti? Saluti
Amo poco questo Verdi, sicuramente per mio limite: la mia impressione è che qui la rovaniana “vanga” si senta un po’ troppo. Il libretto pare scritto sotto l’effetto dell’LSD, difficile recuperare un senso compiuto in mezzo a versi di una bruttezza e di una incoerenza talmente virtuosistica da diventare perfino godibili, come ad esempio: “D’un solo colpo in Paradiso l’alme altrui godiam mandar, col pugnal di sangue intriso poi sediamo a banchettar”. A loro modo irresistibili. Comunque la cifra del tableau vivant mi sembra una buona chiave per tentare di districarsi entro i meandri di una drammaturgia davvero cervellotica, forse avvicinabile – quanto a intellegibilità – a quella di un’opera di Berio. Non ho trovato l’esecuzione torinese così catastrofica, anzi (naturalmente la Meade non è la Scotto e Meli non Pavarotti, ma capita a quasi nessuno). In particolare Mariotti mi è piaciuto molto, applaudito con calore dal pubblico. Può darsi tuttavia che mi sbagli: è sempre bene, per tutti, coltivare il dubbio metodico. (Sono pienamente d’accordo sul fatto che snobbare il grande Serafin sia profondamente ingiusto).
Non è catastrofica, è gravemente insufficiente senza possibilità di recupero. Poi posso aggiungere che se penso ad esempio ad una giselda ideale ossia tale da rispondere alle esigenze tutte dello spartito percorrendo tutti i soprani che hanno inciso dischi mi ritrovo con lilli Lehmann, felicie huni, Giannina Russ, forse Rosa Raisa, la callas, nonostante il timbro, e poi forse una Cerqueti, che era corta x la parte, la deutekom e magari la Sutherland, nonostante i problemi di accento ed articolazione. Ma la mead è una caricatura.
Per non parlare di Semiramide al Met…
Un insulto a Rossini. Per altro se penso alla Semiramide che ci serviranno a Pesaro nel 2019 siamo sulla medesima linea di prestazioni da teatrino parrocchiale
Eh sì…la vanga rovaniana si sente tutta, e la si sentirà per molto tempo.
Diciamo che la vanga svanisce al secondo tour parigino?
Più o meno: anche se la vanga non è di per sé negativa.
In effetti il libretto è esilarante se letto tutto di seguito sui sovratitoli (altra chicca: “si indiva”….); ad un ascolto discografico si nota di meno.
Secondo me, però, la direzione non ha contribuito a nobilitare l’opera: già è tutta una marcetta, se poi affrontata con tempi generalmente veloci & C. non ne esce bene.
In teatro, Meade e Meli avevano il pregio di farsi sentire rispetto ad altri cantanti, anche se il tutto rasentava un po’ la caricatura.
recita di domenica 22/4
Non condivido quasi nulla …
anzitutto lo spettacolo visivamente bello, assai classico
con belle luci e costumi che segue alla lettera la drammaturgia …e non è poco
Poi Mariotti ha condotto l orchestra con una lettura quasi
romantica dell opera..hanno suonato benissimo, non
ho sentito nè bande né strafalcioni di sorta..né tempi
assurdi..
Il primo violino è stato commovente ed ha suscitato un caloroso e spontaneo appluso dal pubblico, nel suo assolo… quindi onore al merito a Mariotti, che sentito
in altre occasioni non mi aveva convinto…
Il Coro è convincente e preparato come sempre accade al Regio.
Ho trovato la Maede una cantante dotata di grandissima’ tecnica’ e di un volume di voce capace di riempire il Regio… per non dire del finale del II atto dove ha scalato come se passeggiasse in un crescendo di potenza vocale e acuti tirando letterarlemte, giù il teatro… averne di cantanti usurate così ! per inciso nei concertati è sempre stata corretta
non ha mai soverchiato con la voce i suo colleghi
cosa che avrebbe fatto facilmente.
Meli canta come un settantenne , non c è un colore
di voce, non c è un centro , fatica (e taglia) negli acuti
La Sua entrata è stata imarazzante con una steccatura
che non molti anni fa avrebbe fatto sussultare il pubblico… e vedendo la ripresa di Gioconda in tv ancora peggio !
quanto al basso che pensavo fosse il secondo Marko
Mimika mentre era Esposito , devo dire che mi è piaciuto… meno in altre occasioni come a Napoli nel Mosè (spettacolo orrido al 90%)
molto bene tutti i comprimari