Mala tempora currunt.

sumarUn drastico stop a tournée e partecipazioni a festival internazionali. Limitazione delle nuove produzioni a soli tre titoli annuali. Nessun direttore musicale stabile, lasciando l’orchestra orfana di una guida che ne plasmi carattere e identità. Radicale stravolgimento della programmazione, rinunciando a titoli giudicati troppo “difficili” per sostenere la tradizione musicale italiota e il repertorio più popolare. Questa la ricetta del grande balzo all’indietro a cui è destinato il Regio di Torino. Uno schiaffo in faccia ad una visione di politica culturale che aveva trasformato il teatro torinese, nel corso di un quindicennio abbondante, in una delle poche eccellenze musicali italiane (al pari forse della sola Accademia di Santa Cecilia) per qualità delle produzioni, delle scelte di programmazione e per i tanti riconoscimenti ricevuti in tutto il mondo, e che si appresta ora a retrocedere nel localismo più ignorante in una logica strapaesana che ha come orizzonte massimo l’autarchia provinciale. Il blitz che la nuova politica comunale – che ha già dimostrato uno scarsissimo interesse per la cultura cittadina – ha riservato al Regio, si è compiuto in una manciata di giorni: “dimissionato” il sovrintendente Walter Vergnano, congedato il direttore artistico Fournier-Facio, trattato Noseda come l’ultimo degli straccioni, azzerati gli impegni già presi per l’anno prossimo in USA, la “lungimiranza” del Sindaco Appendino e l’intervento dei suoi plenipotenziari, hanno consegnato il teatro nelle mani di un appassionato di jazz e di un baritono militante a dettare la nuova politica musicale e di un neosovrintendente il cui curriculum appare oggettivamente inadeguato a giustificare la sua scelta per un ruolo di questo livello. I primi – l’addetto culturale del sindaco ed il cantante – hanno chiarito in cosa consisterà la “cura” per il Regio: turismo musicale regionale, titoli italiani e di repertorio, apertura ad altri generi musicali, stagioni dedicate a diverse età anagrafiche del pubblico, creazione di una compagnia teatrale comunale a stipendio fisso, apertura a tutti i cittadini della possibilità di suonare e cantare al Regio con periodiche audizioni pubbliche. Il secondo – tale William Grazioli – che ha iniziato la sua carriera lavorando in una società di produzione di ascensori ed ex tenore dilettante, ha come esperienza musicale più rilevante la gestione pluriennale del teatrino di Jesi: anche lui ha chiarito gli intenti per la gestione del teatro, paragonandosi ad un vigile urbano che deve far “scorrere” la musica e immaginandosi come un cantante che cerchi il do di petto. E questo è quanto. Poco importa se la più convincente qualità dei nuovi gestori sia la vicinanza al partito del sindaco (nella classica logica di occupazione di poltrone nel più abusato cliché italico); poco importa che la programmazione del Regio sia proprio per tradizione secolare più orientata all’universo musicale europeo ed al repertorio tedesco o russo; poco importa, anche, che chi ha auspicato di vedere Don Giovanni e Barbiere a teatro anziché “programmazioni di nicchia” (sic!), non si sia accorto che quest’anno sono stati programmati entrambi. Tutto ciò non conta: conta solo la narrazione alternativa di chi crede, così, di aver “salvato” il Regio. Salvato dal successo internazionale? Salvato dalla presenza di uno dei maggiori direttori d’orchestra italiani attivo in Italia? Evidentemente i reggenti di Torino si interessano troppo alla realtà virtuale delle loro piattaforme web per occuparsi della realtà effettiva. E forse neppure sono mai entrati in quel teatro (del resto uno vale uno: perché far gestire un ente lirico a chi ha le carte in regola per farlo?). Tant’è. Questo paese incapace di valorizzare le sue eccellenze forse si merita questa cecità intellettuale, questa arroganza del potere, questa incompetenza sbandierata come un merito. Per il Regio finisce un’epoca: per il suo pubblico finisce il privilegio di essere parte di un qualcosa di grande. Per le maestranze e l’orchestra finisce la prospettiva di crescere e confrontarsi nel mondo con realtà evidentemente più progredite. Per tutti noi finisce la possibilità di assistere a spettacoli di livello medio alto. Prosegue dunque con il Regio di Torino lo smantellamento delle migliori realtà musicali nostrane, in un disegno perverso che le strappa al successo e alla dimensione internazionale per ricacciarle nel buio della provincia più becera. A Torino i responsabili sono “il nuovo che avanza”, a Milano, invece, l’Orchestra Verdi ha pensato bene di suicidarsi da sola (ricordo le battaglie fatte anche dal nostro Corriere per il riconoscimento dell’importanza di quell’orchestra che pochi anni fa poteva diventare davvero grande: poteva, ma non è diventata, tanto da farmi pentire – oggi – del sostegno che gli abbiamo dedicato), altrove è la politica vecchia che vuole segnare il territorio. I primi passi della nuova dirigenza intanto stanno segnando chiaramente la direzione e l’involuzione: cancellate Siberia di Giordano (che doveva aprire la stagione), Jenufa e Wozzeck. Titoli ritenuti troppo “di nicchia” e sostituiti da qualche Verdi e Donizetti “pop”. Nominato anche il nuovo direttore artistico rinunciando, ovviamente, ad un figura autorevole a favore di un interno. Questa la gestione della cultura della Signora Appendino e dei suoi sodali. Poi fa nulla che proprio, nonostante alcune proteste via FB di uno sparuto numero di imbecilli, in queste ultime sere a Roma il Billy Budd di Britten (capolavoro del ‘900, ma da noi ritenuto inspiegabilmente “di nicchia”) stia facendo il tutto esaurito: sarà una fake news non approvata dai gestori del “Sacro Blog” e dalla “Piattaforma Rousseau”. In ultimo un accenno ai numeri: il Regio di Torino ha un disavanzo in bilancio previsionale di 1.800.000 euro circa: questa è la ragione addotta dall’amministrazione Appendino per mettere le mani sul teatro, accusando di mala gestio la precedente sovrintendenza. Peccato che poi si scopra che lo stesso Comune di Torino sia debitore del Regio per 4.350.000 euro di contributi già deliberati e mai versati (taluni dicono si tratti “solo” di 2.400.000 euro, ma la sostanza non cambia). In pratica il Comune “punisce” il Regio per un problema che lui stesso ha causato! Beh, non c’era da aspettarsi di meglio da chi viene dalla stessa scuola di Monti! Viviamo davvero in tempi bui.

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38 pensieri su “Mala tempora currunt.

  1. Senza buttarla in politica, ma se tutto parte dall’alto e per alto intendo il capo che nel caso di quel partito perché Di partito si tratta sappiamo benissimo cosa dice tutto é Di conseguenza. A questo punto suppongo il regio diventerà l’opera dei pupi, a giudicare dalle cazzate che stanno già iniziando a fare. La cultura si fa con i soldi d’accordo ma non si può gestire un ente lirico con la stessa mano di chi gestisce la sanità ad esempio. Ignoranti e basta la appendino faccia una cortesia anche ai non torinesi e cioè appenda le stelle al chiodo e si occupi di asili nido e non rompa, perché il Regio é patrimonio di tutti e non suo e dei turisti.

  2. Nutro grande stima e rispetto per il Teatro Regio e anche per il suo pubblico, che tra l’altro ha accolto con calore e fitta partecipazione anche titoli che i nuovi venuti riterrebbero poco pop, come ad esempio – per rimanere a tempi recenti – la Volpe Astuta janacekiana, la Donna Serpente o l’Incoronazione di Dario ( ma la positiva lista sarebbe lunga ). Evidentemente costoro nemmeno conoscono il pubblico del Regio che risponde bene anche quando non si ammannisca la solita minestra. Il fatto che poi il Comune sia debitore del Regio per oltre 4 milioni di euro e punisca lo stesso Regio per un buco di molto inferiore ricorda, mutatis mutandis, il recente caso dell’imprenditore Bramini, in fallimento a causa del mancato pagamento da parte dello Stato di un debito di 4 milioni di euro. Il fatto che i 5Stelle abbiano cavalcato mediaticamente il caso Bramini pro domo loro e poi, a Torino, facciano il contrario di quanto conseguentemente dovrebbero ( diventando loro i mancati saldatori del debito e mettendo nei guai il creditore ) è da tenere in conto. Una notizia davvero pessima.

    • E neppure tengono in considerazione la storia e la tradizione di quel teatro che è sempre stato proiettato al repertorio europeo. Purtroppo Torino sta sprofondando nel provincialismo e nella marginalità culturale, ben più profondo delle tanto chiacchierate buche sulle strade di Roma. Il Regio è solo l’ultimo degli interventi dell’amministrazione Appendino che, da quando è al potere, ha ridotto al minimo gli stanziamenti per la cultura, azzerato mostre e festival importanti, chiuso musei e occupato “manu militari” teatri e fondazioni. Si sono sostituiti tutti gli artefici del rilancio torinese dell’ultimo decennio sempre con la scusa della cassa e i dati certificano il disastro della giunta con un vertiginoso calo di accessi a musei, mostre ed eventi culturali: purtroppo il mandato della Appendino è ancora lungo…

      • E meno male che non volevate buttarla in politica…comunque il paragone con l’imprenditore Bramini non c’entra nulla. In questo caso oltre al buco di bilancio di 1,2 mil ci sono altri 4 milioni di contributi del comune, che sempre soldi pubblici sono. Forse non sapete che quello di Torino è il comune più indebitato d’Italia? Magari qualcosa non è stato programmato nel modo dovuto negli ultimi anni altrimenti non saremmo a questo punto….I nuovi saranno anche incompetenti, ma i competenti che c’erano prima come hanno fatto a portare a tale disastro economico e culturale? Forse è più importante capire questo prima di giudicare qualcosa che ancora non abbiamo concretamente visto. Perché il declino culturale va avanti da un pezzo e non è solo perché si programma la volpe astuta che si fa “cultura”, anzi, come se il repertorio italiano fosse spazzatura e non fosse abbastanza impegnato. Sinceramente a me sembra molto più provinciale e paraculo questo atteggiamento.

        • Francamente non comprendo il tuo intervento, se non per dar sfogo a sterile polemica. Nessuno ha mai detto che il repertorio italiano è spazzatura, ma il mondo dell’opera è molto, ma molto più vasto ed un teatro di un certo rilievo (Torino non è una cittadina di provincia) deve offrire una scelta originale e variegata. Cosa che peraltro ha sempre fatto offrendo accanto a titoli di repertorio, anche una programmazione più ricercata (cosa che del resto al Regio è sempre accaduto). Ora imporre – per ideologiche crociate di retroguardia – che tutti debbano cuccarsi Traviate e Barbieri sostenendo che chi vuole ascoltar altro è solo un paraculo, beh, mi sembra una becera e maldestra operazione di sfascio. Le parole contano e le dichiarazioni che si sono sentite possono benissimo essere giudicate senza dover attendere la loro realizzazione: l’amministrazione “mette il becco” nei contenuti dell’offerta culturale in nome di un populismo di maniera che offende, prima di tutto, il fruitore, rappresentato come un ottuso incapace di andare oltre Verdi e Donizetti. A te Janacek non piace? Liberissimo, ma perché pretendere che il tuo gusto sia regola? Il Regio, accanto alla programmazione di titoli popolari (Falstaff, Turandot, Barbiere, Don Giovanni, Nozze di Figaro, Così fan tutte) ha programmato due capolavori tedeschi che non sono certo titoli astrusi (Tristano e Salome) e L’Orfeo di Monteverdi…roba impossibile? Si vuole morire di solo Verdi? Circa il buco di bilancio previsionale: questo andrebbe compensato con i denari che il Comune aveva già deliberato nelle precedenti amministrazioni e non ancora versato, quindi è il Comune moroso. Capisco – fino ad un certo punto – la militanza politica, ma non avvedersi del disastro della amministrazione Appendino (nella gestione della cultura) è grave. Per fortuna la tua è solo una posizione marginale, esattamente come chi si è scagliato contro il Billy Budd di Roma: come te scrivevano “vergogna, buttare soldi pubblici in una robaccia del genere, quando l’Italia è la patria del melodramma”…credo che i numeri dello sbigliettamento valgano più di qualsiasi altra considerazione.

          • Non travisare per favore, penso che in questa fase storica dovremmo sforzarci il più possibile di ragionare ed esternare depurati da ogni pregiudizio e da ogni livore politico. A me Janacek piace moltissimo e Britten anche di più, ma non sono i titoli che rendono di qualità una programmazione. Preferirei cento volte una stagione di traviate e barbieri, ma ben realizzati e con l’obiettivo di avvicinare all’opera chi non c’è mai stato, che dei titoli messi in cartellone senza criterio solo per soddisfare il palato dei benpensanti, che poi il più delle volte non sono in grado di capire e giudicare quello che vedono e sentono. Almeno sarebbe il segno che esiste un indirizzo culturale (per non usare il brutto temine “Politica”) e non solo marketing. Mi piacerebbe insomma che si giudichi la qualità delle cose in base a quello che si vede senza fare i processi preventivi in base ai propri pregiudizi politici e culturali come mi sembra stia facendo tu. Poi c’è il discorso che non c’è più una lira perché molto è stato sprecato e mangiato negli scorsi anni, per cui non ci si può lamentare ora dei tagli e delle priorità che purtroppo è necessario stabilire

          • Depuriamo il tutto, certamente, ma il problema, a mio giudizio, è mal posto. La qualità di una programmazione è data da idee e progetti: una politica culturale (che è espressione che invece a me piace moltissimo). L’idea di attirare pubblico con Traviate e Barbieri è fallimentare: lo si è visto già. A Torino c’era attenzione sia al repertorio che a progetti più complessi, ma che riempivano il teatro (al Tristan inaugurale si faticava a trovare un buco ad esempio). Ciò che mi infastidisce – in queste dichiarazioni programmatiche della nuova dirigenza – è il far passare la passata gestione come un gruppo di radical chic che programmava astruserie lasciando vuoto il teatro: non è vero questo! Ogni teatro poi ha la sua storia, e quella di Torino guarda a nord, alla Germania e alla Francia. Da sempre. Poi non è vero neppure che Britten o Janacek lascino vuoto il teatro: il Billy Budd di Roma ne è la prova, così come le opere barocche che regolarmente fanno il pieno (alla Scala, dove il pubblico è molto più conservatore ricordo il pienone per Kat’a Kabanova e Peter Grimes, mentre la Bolena era semivuota). Bisognerebbe uscire dai facili luoghi comuni per cui solo Traviata e Barbiere riempiono i teatri. Non avvicini la gente propinandogli l’ennesima Traviata, ma offrendogli percorsi stimolanti (a prezzi decenti). Che poi va bene anche il titolo di strarepertorio per attirare i turisti e pagarsi il resto (come le tante Traviate che fanno a Venezia per i turisti in ciabatte e che però finanziano il resto della stagione), ma chiudersi in logiche da arena estiva è mortifero. Che poi pure in provincia ormai si sperimenta: quest’anno all’ASLICO oltre a Tosca e Falstaff, fanno Rinaldo, Viaggio a Reims e Voix Humaine…titoli che ai nuovi reggenti del Regio dovrebbero fare lo stesso effetto di Donnestag aus Licht.

        • Scusa Manfroce ma qua non si sta parlando della gestione grillina in generale ma relativamente alla cultura musicale che é ciò di cui si fa difensore questo blog. Infatti ho scritto si occupi di asili nido e lasci gestire la cultura a chi ha le competenze. Torino piacciano o meno offriva una programmazione che dava spazio a titoli interessanti. A te fanno schifo? Auguri, personalmente non ne posso più di ascoltare Aida e Barbiere in continuazione, piuttosto per una volta mi piacerebbe ascoltare dal vivo quello di Paisiello. Sono un ascoltatore di nicchia? Pazienza se guardo chi vive in piazza specie quando c’è il mercatino delle pulci..saluti.

  3. Una sola parola: VERGOGNATEVI IGNORANTI
    Non perché Noseda fosse perfetto, non perché venissero chiamati i pochi cantanti decenti o capaci in carriera, ma perché qualche idea compariva
    Che senso ha l’ ennesimo teatro che propone i soliti dieci titoli di repertorio. L’idea di Siberia inaugurale era un’ idea. Una Tosca o una Aida è una pacchianata

  4. Mi duole tantissimo questa notizia.

    Bisognerebbe chiedere agli autori di questo scempio, quanto “di nicchia” fosse lo splendido allestimento dell’Incoronazione di Dario, che io ho mancato per un pelo, per problemi familiari.
    Il punto e’, caro Gilbert e cari tutti, che bisognerebbe scardinare il ragionamento logico principale alla base di tagli inverecondi come questo: che la cultura debba servire a fare soldi.
    Il mio professore di matematica al liceo, di fronte alla domanda di un mio compagno, a cosa servisse la matematica, si arrabbio’ furiosamente e disse: “A nulla, a nulla serve la matematica, a nulla serve la cultura. Ma serve a non fare domande stupide come questa”.
    Ahime’ quasi ogni campo dello scibile umano e’ oggi pervaso da questa ansia contabile da ragionieri ottusi, quanti soldi mi costa questo, quanti soldi potro’ guadagnare da quello. La cultura non serve a nulla, ma senza cultura si fanno appunto domande stupide, “quanto mi costa il Regio di Torino”.

    • Hai perfettamente ragione. Non si può ridurre tutto a mercato. Ma ormai la logica è questa e del resto il neo sovrintendente ha dichiarato di voler gestire il Regio come un’azienda. Ma un teatro NON è un’azienda, così come non è un’azienda lo Stato. Altrimenti basterebbe affidare tutto ad uno studio di commercialisti. L’idea per cui la cultura debba far cassa è sbagliata, becera, ignorante: la cultura può portare sviluppo e con esso ricchezza, ma non è tenuta a generare utili. Con questa teoria (che è applicata non solo a Torino, ma in tanti luoghi con gestioni politiche differenti) tanto chiudere e aprire ipermercati o fabbriche, sicuramente generano utili.

      • Chiariti gli equivoci, concordo sugli ultimi interventi tuoi e degli altri, ma anche se il teatro non è un’azienda i conti bisonga pur sempre guardarli e quelli del Regio sono tragici. Non so se il nuovo sovraintendente sarà all’altezza ma delle domande sulle passate gestioni bisognerà pure farsele se quanto riporto sotto è vero (la fonte è un famoso quotidiano on line di torino anti-grillino).

        ” Regio, 25 milioni di debiti

        Sedici milioni di debiti con le banche, altri 9 nei confronti di fornitori e dipendenti. Una perdita d’esercizio per il 2017 valutata in 1,8 milioni. È una fotografia impietosa quella scattata ai conti del Teatro Regio dalla società Pitagora di Roberto Seymandi, un professionista di stretta fiducia dell’assessore Sergio Rolando il quale di concerto con la sindaca Chiara Appendino gli ha affidato una sorta di due diligence dell’ente. Tante le ragioni di una situazione a dir poco allarmante. A partire dai contributi pubblici che negli anni si sono costantemente contratti passando dai 31,9 milioni del 2008 ai 24,1 milioni del 2017 e soprattutto sono stati versati sempre più in ritardo, addirittura un anno dopo essere stati deliberati, quando non addirittura sottoforma di beni immobili. C’è stata poi una gestione per molti versi poco incline al risparmio e piuttosto volta a soddisfare una grandeur a debito. Basti pensare che mentre negli ultimi dieci anni istituzioni e i soci chiudevano parzialmente i rubinetti il costo del personale non si è mai ridotto in modo significativo, anzi nel 2017 è risultato addirittura superiore rispetto al 2009. Intanto le tournée all’estero, che nel 2010 erano del tutto marginali, una soltanto, nell’ultimo anno sono diventate sette e “non sempre hanno realizzato il pareggio dei costi con un conseguente aggravio sui medesimi” si legge nella relazione di Pitagora. E pure gli incassi relativi alla biglietteria sono via via diminuiti rispetto al picco del 2012 (7,3 milioni) fino ad attestarsi nel 2017 a 5,87 milioni. “

        • Però questa relazione – fatta in casa da chi è intervenuto con l’accetta – non dice nulla sul deficit vero, poiché l’ammontare delle passività non di per sé si tramuta in disavanzo, ma attesta solo uno stato patrimoniale con partite ed impegni in entrata e in uscita.L’esposizione con banche e fornitori è ordinaria gestione (qualsiasi società ha pero finanziamenti, linee di credito, castelletti etc…) e comunque in linea col passato, anzi in netto miglioramento. I conti del Regio non sono tragici, ma sono in linea con altri enti che soffrono la graduale diminuzione di contributi e finanziamenti (essenziali per far funzionare la macchina della cultura che – ripeto – non può e non deve essere lasciata a logiche mercantilistiche). Peraltro lo stesso neosovrintendente ha chiuso la sua esperienza a Jesi con un disavanzo generato dal medesimo meccanismo (contributi deliberati e non versati). Qui però più che di soldi sto parlando di orizzonti di politica culturale. E la prospettiva è davvero buia.

          • La relazione non è disponibile e non l’ho letta. Si tratta di indiscrezioni del famoso sito. Infatti ho scritto “se fossero vere”. L’obiezioni cha hai sollevato tu potrebbe avere senso in determinate condizioni per altri tipi di “aziende”, ossia l’indebitamento può anche crescere ma a patto che la gestione caratteristica sia in attivo (cioè mi indebito ma per far si che il cuore operativo produca profitti). Non è questo il caso, anzi qui crescono i costi e diminuiscono i ricavi, diminuiscono i contributi e crescono le turnè. Non è politica culturale ma io qualche domanda me la farei lo stesso. Poi in merito a quest’ultima, mi sono andato a rileggere su Repubblica Torino, giornale non proprio amico dei grillini, le dichiarazioni dei grillini che tu hai riassunto e devo dire che ho trovato qualche “maliziosa” forzatura da parte tua, il che mi fa dubitare sull’approccio libero da pregiudizi che auspicavamo. Per esempio tu scrivi: “I primi – l’addetto culturale del sindaco ed il cantante – hanno chiarito in cosa consisterà la “cura” per il Regio: turismo musicale regionale, titoli italiani e di repertorio, apertura ad altri generi musicali, stagioni dedicate a diverse età anagrafiche del pubblico, creazione di una compagnia teatrale comunale a stipendio fisso, apertura a tutti i cittadini della possibilità di suonare e cantare al Regio con periodiche audizioni pubbliche.”
            Io invece leggo:
            “Bisogna valorizzare il repertorio tradizionale che è uno dei fiori all’occhiello della classica in Italia – spiega – La riduzione dei biglietti venduti negli ultimi anni va letta anche perché è stata fatta una programmazione troppo di nicchia che non ha incontrato il favore del grande pubblico. Noi vogliamo che i torinesi e non solo loro tornino al Regio per la Traviata, il Don Giovanni in allestimenti tradizionali”. Nel nuovo modello non dovrà per forza esserci un direttore che sostituisca Noseda: «Molti teatri hanno un “primo direttore ospite” di grandissima qualità che dà la sua impronta all’orchestra e poi dirige un paio di opere e un paio di concerti l’anno. Questa è una opzione» è il ragionamento fatto nel Movimento5stelle.
            I nuovi allestimenti non dovrebbero superare le tre opere l’anno, mentre crescerà il numero di repliche: “Tutto questo non vuol dire rinunciare alla qualità, anzi. Noi puntiamo a farla salire, ma in modo trasparente e senza rispondere più a conventicole – dice ancora Giovara – Ci sarà un progetto artistico di livello, ma sarà affiancato da una gestione più oculata e che porti più introiti alla fondazione». La valorizzazione passa da una migliore gestione manageriale: “Per questo è stato individuato Graziosi che, a differenza di quanti oggi lo criticano, è un manager esperto che ha ottenuto ottimi risultati». A lui toccherà lavorare anche sul fundraising: «Un ente come il Regio deve riuscire a raccogliere molti più fondi dai privati di quanto succeda oggi – ragiona il consigliere comunale – Se si guardano le cifre che le grandi imprese torinesi destinano oggi alla fondazione si capisce quanto lavoro ci sia da fare.
            Anche questo vuol dire valorizzare il brand”.
            I 5stelle pensano anche a una gestione diversa degli artisti:”Per arrivare ai cambiamenti servirà qualche anno, ma bisogna arrivare ad avere una compagnia stabile all’interno del Regio – promette Giovara – Anche nella selezione le cose devono cambiare. Non è pensabile che si possa arrivare alle audizioni solo se si è legati alle agenzie più forti. Anche i giovani devono poter partecipare, poi sarà la commissione di esperti a decidere se ha senso dar loro una opportunità. Solo così
            si valorizza il tessuto artistico italiano”.
            La rivoluzione riguarderà anche i biglietti: “Per attirare un pubblico più ampio si deve pensare anche a una riduzione del costo dei tagliandi, magari con fasce di prezzo diverse da ora – aggiunge il consigliere – La sfida è portare al Regio almeno il 2 per cento dei turisti che vengono a Torino. Già riuscendo in questo obiettivo faremo crescere e di molto le presenze”

            Ossia dichiarazioni di buon senso che vogliono dire tutto e e niente e che andranno confrontate con i programmi ed i fatti concreti. Fare il processo alle intenzioni prima basandosi su queste dichiarazioni mi sembra una “leggera” forzatura. Vedremo.

          • Ma sono esattamente le cose che ho scritto con parole più diplomatiche: a parte la volgarità di espressioni come “(la qualità) noi puntiamo a farla salire, ma in modo trasparente e senza rispondere più a conventicole”: come se prima ci fosse un’élite esclusiva (ricordo la programmazione dell’ultimo anno a smentire queste affermazioni), le parole che citi confermano il piano. Se ti tranquillizza, amen, ma che si debba “aspettare” di fronte a un programma così strampalato e dilettantesco mi pare troppo. Compagnia stabile significa solo burocratizzazione (oggi non ha senso); nessun direttore musicale significa perdere il lavoro fatto con l’orchestra (è matematico: le orchestre italiane – Scala docet – hanno una minore capacità di autogestione senza una figura che le guidi); repertorio tradizionale significa perdere il treno di una programmazione che aveva portato novità e prestigio. Il resto, scusa, sono chiacchiere: a che titolo Graziosi passa per manager esperto? Il suo curriculum non è certo impressionante e l’esperienza vantata è di livello molto più locale. Di cosa parla Giovara (oltre ciò che regala su FB)? Perché il programma di rinnovamento del teatro è stato appaltato a tale Dilengite, baritono/carneade e militante per i Cinque Stelle? E poi è inutile che ci giriamo intorno: le tournée sono sospese, Siberia e Wozzeck cancellati dal cartellone, interrotti i cicli Strauss e Janacek. Questo mi basta. Non c’è nessun “vedremo”. Proprio perché il Regio non mi “vedrà” più…

      • Oltretutto va detto che a prescindere un evento di tipo internazionale é anche una sorta di vetrina che aiuta a crescere il paese che lo ospita a prescindere dai titoli. Torino era riuscita ad affacciarsi per così dire e farsi notare a differenza della scala che a parte la prima trasmessa in TV tira a campare in virtù del suo nome ma se non ti sai reinventare e produrre roba di qualità il pubblico anche più ingenuo inconsciamente si allontana. Torino é il classico esempio del fare e disfare solo che per rifare ci vuole più tempo del disfare..non ci sono parole.

    • Mutatis mutandis, gli effetti di questo modo di ragionare, peraltro in altri campi, si sono gia’ visti (e sono tetri…): come diceva Gilbert, la convinzione del “teatro-azienda”, del “partito-azienda”, dello “Stato-azienda”, dell'”istituto di ricerca-azienda”, e’ praticamente ubiquitaria, e tanto piu’ assurda, quanto piu’ il campo in cui la si applica e’ avulso da logiche di profitto. E’ da anni che, per esempio, nella ricerca le persone al vertice assomigliano piu’ a un manager che a uno scienziato, e sono del tutto convinto che un Einstein nel mondo d’oggi sarebbe considerato un deficiente perche’ non ha mai gestito un “progetto”, un “grant” o una “commessa”. Le conseguenze sono che sonde spaziali da 3 milioni di euro si schiantano sul suolo di Marte perche’ affabili e precisi manager esperti di “spending review”, ma dell’esperienza scientifica di un criceto, vogliono risparmiare quei mille euro per non comprare un giroscopio decente, ma prenderlo al discount cinese. Per me dovremo toccare il fondo del ridicolo, prima che diamo a codesti “direttori” quello che si meritano. Cioe’ un assaggio della suola delle scarpe.

  5. Nei giorni scorsi leggevo le notizie riguardo lo smottamento torinese che descrivete, e tra i vari commenti mi fa sorridere amaramente il “vedremo” di Manfroce.
    E’ l’esempio di una logica imperante, quella del “vedremo”, del “lasciamo provare questi”, delle generiche proposte di “cambiamento di direzione” anti-razionali. Io penso che in Italia si sia rotta la parte del contratto sociale che stabilisce che la politica culturale è meglio affidata a persone selezionate (per semplificare, le elites) a più grande beneficio possibilmente di tutti (il popolo) anche se costa un po’ di soldi. E questo in nome di un fantomatico scontro tra il secondo e la prima che sarebbe non più rinviabile. Per quanto si possa molto criticare la politica culturale degli ultimi decenni, e in questo sito lo si fa da tempo in maniera sempre intelligente, il rischio è che questa colossale manipolazione distrugga prima di tutto quello che c’era di buono per assecondare ciò che c’è di sbagliato.
    In questo spirito mi sembra quindi naturale che ora a Torino sia stato dato in mano il teatro a gente che ha un programma culturale di una provincialità disarmante, con parole d’ordine come trasparenza, qualità, no alle conventicole, tradizione. E quindi Noseda se ne va (e passi), e mettiamo la politica musicale in mano ad una persona fidata (e passi anche questa, l’obbiettivo per tutti è occupare i centri del potere, altro che trasparenza), e sostituiamo Wozzeck con un Verdi (che tanto anche lui scriveva bellissime preghiere), e rinchiudiamoci nella nostra rassicurante e bellissima tradizione nazionale… mala tempora currunt, qui almeno proviamo a tenere gli occhi aperti!

  6. Diro la mia in breve. Le ultime stagioni del Regio erano già provincialissime e prive di interesse,con cast pietosi. Solo le ambizioni di Fournier sui registi alla moda, versione locale delle ambizioni modaiole della scala di Lissner da cui Fournier proviene. Deja vue.
    Noseda ha dato più prove di non saper dirigere il repertorio che di saper fare grandi cose. Da anni fa routine a suon di chiasso e velleità. Da parte sua molti capricci e adesso che le cose vanno male va via, come fanno le dive che parlano tanto di qualità e bene culturale comune mentre il primo bene che servono è la loro carriera e il loro dorato popò, Muti a Napoli docet. A nessuno infischia un bel nulla del bene comune, sono solo slogan. Ergo, di quale sommo teatro parliamo? Quello dell ascesa del Regio non c’è più da in bel po, salvo coro ed orchestra, sempre splendidi.
    Cultura? Ma di quale cultura parliamo? Gestita da quali persone scelte? Ma ve ne siete accorti che tutto si è dissolto? La cultura è un bel vocabolo vuoto. E per che pubblico? Di quale livello? È ora di togliersi i paraocchi ed accettare lo stato delle cose…

    • Coro e orchestra “splendidi” però non vengono dal nulla, ma anche dalle cure di Noseda (che resta uno dei migliori direttori italiani e non l’ultimo dei battisolfa, pur se COME TUTTI ha un suo repertorio d’elezione). Quanto ad ambizioni modaiole e visioni apocalittiche non so che dire…mi pare una visione un po’ ideologica. Legittima, per carità, ma non condivisibile in toto. Non ci sono paraocchi da togliere, ma una situazione ben nota che deriva da molti fattori (non ultimo il pubblico). Non è che il passato – anche quello più mitizzato acriticamente – fosse immune da ombre. Poi che intendi per stagioni già provinciali o velleitarie? Alla base delle stagioni del Regio (come di quelle veneziane peraltro e persino a Roma) c’è una progettualità di idee che non trova riscontro in nessun altro teatro italiano. Poi se si vuol dire che è tutto uno schifo, ok, ma non si va da nessuna parte, anche perché quale modello culturale proporresti? Dico modelli realizzabili, non viaggi nel tempo. Personalmente scelgo con cura gli spettacoli che vedo (concerti, opere, teatro, mostre) e non sono mai uscito disgustato (salvo alcune volte alla Scala).

      • Lo so che l orchestra l ha fatta Noseda. Ma so anche che da tempo il maestro dirige bene una cosa (quella che gli interessa) per fare un tanto al chilo il resto. Quando tocca il repertorio è pessimo. E costano le sue tournee etcetc. Le cose non sono più come all inizio. In fatto di cantanti lo vediamo, con casi imbarazzanti sponsorizzati oltre misura, ad esempio la Grimaldi promossa a soprano spinto di ogni sua produzione…Le cose sono evidentemente cambiate ed il signor Fournier ricicla a go go la filosofia scaligera di puntare sugli allestimenti. …ed infatti ecco magicamente spuntare i debiti nel teatro più virtuoso d Italia. La verità è che anche qui come altrove l opera è decotta e ridotta ai minimi termini. Il Regio non è più quello di prima e questo signori hanno mollato perché era ora di mollare la barca che affonda

        • In realtà Noseda – a parte qualche Puccini (ma la Turandot era diretta in modo molto interessante) – aveva fatto scelte precise. Le tournée costano, ma portano riconoscimenti. Sono costi necessari. Non credo che abbiano lasciato la barca che affonda: trovo profondamente sbagliato non cercare di tenere Noseda (a cui neppure un ringraziamento è stato fatto, ma solo ironia insultante dal consigliere M5S Giovara). Graziosi ha bellamente dichiarato di non conoscerlo Noseda…

          • Io ho parlato di quello che ho sentito e dei cast che ho visto in cartellone, comprese le tournee. Il resto sta dietro le quinte e non ne sappiamo nulla per giudicare. Dico solo che da tempo Torino dispensa molta routine per fare cassetta con cast miserrimi.

          • Io – per quella che è la mia esperienza di ascolto – trovo che il livello sia di molto superiore a quanto si ascolta a Milano e pure i cast, spesso, sono più che potabili. Però, come giustamente scrivi, molti spettacoli torinesi erano “per far cassetta” (e ci sta pure): per questo non comprendo le ragioni di un drastico cambio di programmazione. Siberia di Giordano, per stare ad un esempio immediato, avrebbe riscosso un buon successo di pubblico (siamo in tanti, anche qui sul Corriere, che avremmo volentieri fatto una trasferta torinese per vedere quest’opera). Personalmente sarei andato a sentire anche Wozzeck (visto che l’ultimo da me visto – quello alla Scala con Gatti – era men che mediocre).

          • E io per ciò che ho sentito, tournée comprese. E la mia valutazione è opposta.

  7. Il Regio paragonato alla Scala sembra oro
    sia come qualità di pubblico che come offerta
    ‘culturale’
    Detto ciò mi chiedo: come mai sovrintendente e company abbiamo sloggiato senza colpo ferire..
    fossi stato io il sovrintendente del Regio gli avrei fatto vedere le ‘stelle’ se avessi avuto le mie ragioni… e
    a pensare male si fa peccato ma……??!!
    anche Noseda prende e va ?
    Da milanese quasi vado più sovente al Regio che non in Scala ..
    cmq provate a pensare se ci fosse una giunta 5stars
    a Milano cosa sarebbe saltato fuori dalla Scala ?!
    per non parlare d’altro….

    L unica cosa da aborrire sono i tecnici e i politici navigati (come certe signore) che hanno portato allo sfascio sto paese a cominciare dal dott sottile per finire a bimbo minkia…
    qualcuno pensa che la Skala sia messa meglio ..
    ?

    • Non esageriamo diciamo che se voglio un programma più vario Torino lo offre. Riguardo a Noseda non sarei così severo, ovviamente non é un gigante ma rispetto a tanti distributori automatici di note io me lo tengo stretto. Comunque la scala é tradizionalista ma qualche prima di musica contemporanea c’è stata come sciarrino, poi può anche fare schifo ma alla fine le avanguardie sono il presente e il futuro.

    • Il problema non è l’appartenenza politica della giunta, ma la qualità delle persone. E soprattutto la preparazione delle persone a cui si affida la gestione di un sistema culturale: a Torino c’è stato un vero e proprio “spoil system” con cui si è sostituito ogni dirigente di fondazione, museo, ente al di là dei successi ottenuti per la sola ragione di occupare il posto. Vergnano ha dato le dimissioni (o è stato dimissionato) e non ne sapremo mai le ragioni, anche se è semplice immaginare che sia difficile sovrintendere un teatro quando si ha contro uno dei principali finanziatori (ossia il Comune): che le dimissioni fossero diciamo poco spontanee, è comprovato dalla rapidità della nomina del successore scelto senza tener conto di altre candidature per diretta imposizione della Appendino (che lo ha detto chiaramente e rivendicato), causando peraltro le dimissioni di due consiglieri d’amministrazione del teatro in disaccordo con la nomina. Noseda e Fournier-Facio sono decaduti automaticamente per via dello statuto del Regio che così prevede: bastava verificare con gli interessati le disponibilità a ritornare nei loro ruoli. Ma né Graziosi, né la Appendino, né Giovara o Dilengite hanno speso un minuto per parlare con Noseda, anzi nonl’hanno neppure ringraziato per il lavoro svolto. E qui siamo all’ABC della cortesia istituzionale che, evidentemente, alla bocconiana Appendino è estraneo del tutto. Nessun ringraziamento, nessuna chiamata, nessuna apertura: Noseda è stato trattato come l’ultimo degli uscieri…che doveva fare? E’ stato fin troppo gentile a comportarsi come ha fatto (non faticherà a trovare un istituzione più seria che lo apprezzi). Del resto pure Graziosi incomincia male e in modo maldestro: alla prima della Voix Humaine non si è neppure presentato in teatro (sgarbo imperdonabile nei confronti del pubblico e delle maestranze), ma poverino, forse è un’opera troppo “di nicchia” per un ex tenore. Tranquilli: l’anno prossimo niente Poulenc, niente Wagner, niente Monteverdi…roba da modaioli snob: siamo italioti e si deve morire di Verdi e Rossini. Amen.

      • In sé e per sé non è che poulenc o Wagner siano l’ Optimus è il povero verdi feccia. Se Torino facesse zelmira sarebbe ottimo. Il punto è altro non si può vivere di sola traviata o solo barbiere. Prenderei ad esempio supremo di equilibrio fra repertorio è rarità e novità le stagioni della Rai e prima ancora dell’ eiar. Poi se leggiamo i nomi dei responsabili di capiscono tutte cose

        • Fare solo Verdi, Rossini e Donizetti, in nome di un’italianità idiota e autarchica (immaginandosi che l’opera si esaurisca nel melodramma) è una puttanata e su questo siamo d’accordo. A Torino Wagner si è sempre fatto e prima che si svegliasse la Scala. Per conto mio evito con cura di andare a sentire Verdi: non ne posso più.

  8. Ho visto ieri il programma della nuova stagione del Regio. Deprimente, semplicemente deprimente e nazionalpopolare nel senso deteriore del termine. Io non sono certo fra chi apprezza le proposte pseudo-intellettualoidi, con inascoltabili opere contemporanee, vera masturbazioni mentali di pseudo geni delle musica, in prima assoluta (per cui la prima spesso coincide con l’ultima esecuzione…), o con riesumazioni di opere che si sarebbe fatto bene a lasciar dormire nell’avello, presentate come capolavori assoluti ingiustamente obliati o, al massimo, con opere “normali” che finiscono “attualizzate” dal regista di turno scappato dal suo frenocomio, che ci vede chissà quali messaggi che egli, demiurgo, andrà a dispensare al popolo bue, somaro ed incapace degli spettatori d’opera. Stagioni del genere se ne vedono sin troppe nei teatri europei.
    Ma fra siffatte scelte e la stagione proposta a Torino c’è un abisso dove si potrebbero trovare anche delle vie di mezzo. Otto opere di repertorio italiano, viste, riviste, sentite e strasentite. Non un’opera di grande repertorio francese o tedesca. Non la “Siberia” di Giordano che si diceva avrebbe dovuto inaugurare la stagione. Siamo nella fiera dell’ovvio e del banale. Ma poi, come si possono dare Rigoletto, Trovatore e Traviata se non si dispongono di interpreti di alto livello? Francamente i tenori scelti per Manrico per me sono degli illustri Carneadi. E Manrico non è una parte che si può improvvisare, richiedendo le doti vocali e tecniche a tutti ben note. E poi, che senso ha riproporre la brutta, squallida e risibile messa in scena bolognese già vista in tv e tutt’altro che apprezzata? Traviata e Rigoletto non sono certo assenti dal palcoscenico del Regio da così tanto tempo da sentirsene il bisogno, se non in presenza di cantanti e direttori degni dei titoli. Almeno Alvarez è un buon baritono, ma gli altri?
    Due allestimenti vengono da Macerata. Forse perché il nuovo sovrintendente prima sovrintendeva nelle Marche?
    Almeno, per Butterfly, Oren e Pizzi sono delle sicurezze (e la messinscena di Pizzi evita l’uso di quella vomitevole di Michieletto vista l’ultima volta), ma chi sono i soprani scelti come Cio Cio San? L’elisir d’amore è opera di fresca proposizione a Torino e difatti, giustamente, se ne ripropone l’allestimento, ma proprio perché da poco sentita, per quanto bella, non sarebbe stato bene, se si fosse voluto fare a tutti i costi un Donizetti, orientarsi su altro titolo?
    E poi che senso ha, in una stagione all’insegna del nazionalpopolare, riesumare una sconosciuta opera di Paer?
    Le uniche cose che mi paiono interessanti, anche perché assenti da qualche anno da Torino, sono La sonnambula e Cavalleria, questa unita a La giara di Casella. Visto che per Cavalleria è prevista la regia di Lavia, già autore poco tempo fa di una piacevole messinscena di Pagliacci, c’è la speranza che, poi le due opere vengano finalmente presentate unite come da tradizione.
    Su come potrà essere Porgy and Bess importata a scatola chiusa dagli USA non mi pronunzio. L’opera è interessante anche perchè non mi pare sia mai stata presentata nelle stagioni del Regio. Il dubbio è che, pur essendo una vera opera, parrebbe proposta come musical…
    Insomma, una stagione in calo rispetto al livello degli ultimi 10 anni. Se lo scopo è di attirare spettatori con titoli ultrapopolari non so se sarà raggiunto, poiché, magari, ci potrebbe essere la perdita di abbonamenti, stante la mancanza di proposte un poco diverse dal solito. Non si sarebbe potuto fare Jenufa, che in molti attendevamo? O ritornare ad esplorare il 900 musicale italiano, che a Torino ha dato ottimi risultati, in particolare con Assassinio nella cattedrale di Pizzetti (successo enorme anni fa), o, recentemente, con la riproposizione della Donna serpente di Casella, per tacere delle antiche esecuzioni di Dibuk di Rocca o di Maria egiziaca di Ghedini?
    Nemmeno un bel Rossini serio nei 150 anni dalla morte del Maestro, a differenza di come si farà a Novara. Ma forse è meglio così, perché le voci per il Rossini serio, a parte rari esempi, latitano. O una Elettra (mai vista al Regio) in memoria dei 70 anni dalla morte di Strauss?
    E che si farà senza Noseda? L’orchestra ed il pubblico ormai erano abituati troppo bene all’alto livello medio delle sue direzioni. Infatti quando l’esecuzione non era a tal livello (penso alla brutta ultima Lucia di Lammermoor) la cosa balzava subito ad occhi ed orecchie. Non è stata una follia lasciarlo andare via? Di sovrintendenti e direttori artistici, più o meno capaci, più o meno incapaci, se ne trovano a iosa (e delle esaltazioni di Fournier Facio in fatto di messe in scena, come grande punto centrale degli spettacoli, da buon ex tirapiedi di Lissner, si vedano certe ridicole presnetazioni di stagione, se ne fa anche a meno), di direttori come Noseda no.
    Speriamo in bene! E che San Giovanni, patrono di Torino, e tanto evocato nei Maestri cantori di Norimberga, ce la mandi buona!

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