Sorella radio: l’ultima scena di Mariella Devia.

norma-deviaIl ritiro di Mariella Devia, spiace per i suoi numerosi fans, non è la fine del mondo e neppure di un’epoca come, ad esempio, quello trascinato per molti teatri europei di Giulia Grisi.
Prima di lei si sono ritirate molte cantanti e dopo di lei altre lo faranno. La durata di una carriera non è di per sé il discrimen della grandezza di un cantante. E’ uno di essi. Certo le condizioni vocali in cui Magda Olivero, Ebe Stignani, Ernestine Schumann Heink, Marianne Brandt e Lilli Lehmann chiusero carriera dicono che la solidità tecnica è importante per calcare a lungo il palcoscenico e lasciarlo rimpianti e non compianti. Ma per contro il “quanto basta” come disse Renata Tebaldi a che le faceva osservare la brevità della carriera di Anita Cerquetti ricorda che vi sono cantanti, che in un decennio di carriera lasciano ricordo e memoria interdetti a molti colleghi.
Credo, dinanzi a questo parziale ritiro di Mariella Devia, che dobbiamo celebrare la solidità della professionista, che in quarantacinque anni di carriera di cui trentacinque (superata una lunga e immeritata gavetta) come cantante famosa mai MARIELLISSIMA si sia presentata impreparata, abbia arronzato o, per usare un termine caro al pubblico dell’800, “cantato in ciabatte”, esibendosi sempre al massimo delle sue parecchie qualità di vocalista e delle limitate di interprete.
Ancora nella Norma d’addio, un personaggio che sta alla cantante ligure come i ruoli di maliarda e seduttrice a Bette Midler, la vocalista ha esibito un paio di numeri degni della fama, che la circonda e della venerazione di cui fatta oggetto da oltre un decennio. Mi riferisco alla frase nel monologo, che apre il secondo atto “e ‘l perdono dal cielo mirar credei” dove il soprano ligure, saldissima e fermissima la voce, non ha preso fiato o lo ha rubato con maestria di altri tempi ed alla trenodia finale “deh non volerli vittime” alitata al termine di una recita pesantissima. Solo che timbro, colore ed ampiezza erano quelle idonee a Giulietta Capuleti non alla sacerdotessa druidica, donna matura, sofferta e personaggio del repertorio dei più famosi Romeo Montecchi del tempo quali Pasta, Malibran e Ronzi de Begnis.
Per esplicitare l’assunto di una discutibile ed antistorica scelta dei personaggi vorrei far riflettere chi non condividerà questo pensiero che il saldo possesso del do5 e la capacità di eseguirlo con messa di voce non ha mai indotto Madga Olivero a vestire i panni di Aida e neppure ad eseguire in concerto i “cieli azzurri”, che prescrivono tale prodezza. Ancora in tempi più recenti Maria Chiara soprano, che ha frequentato molti titoli verdiani e che gestiva con sicurezza il canto di agilità (fu valida e credibile Bolena, Stuarda e Matilde del Tell) mai pensò al personaggio della sacerdotessa druidica, rispendendo al mittente le proposte del ruolo.
Eppure oggi Mariella Devia soprano d’agilità nel fraseggio prima ancora che nel timbro e che solo dal 1990 ha cessato di totidalmonteggiare al centro della voce, con propensione al canto elegiaco ed alla agilità di grazia (a discapito di quella di forza) ha cantato nell’ultimo decennio di carriera il repertorio che è proprio del soprano drammatico addomesticandolo ed accomodandolo ai propri mezzi. Vorrei rammentare che sino al 1920 (ovvero sino all’epoca di produzione dell’opera) esistevano, non solo nel grand-opéra francese, due tipologie di soprani vocali fra loro non comunicanti. Le Norme difficilmente cantavano Violetta (vedi repertorio di Adelina Patti) e le Violette (vedi Frieda Hempel) potevano diventare Marescialla, ma il repertorio tragico restava loro estraneo. Incidere “Casta Diva” poteva essere un divertimento per queste chanteuse à roulades. Eppure una delle più quotate di loro Berta Kiurina ha lasciato una versione di Casta Diva con tanto di cabaletta, che Richard Bonynge sicuramente conosceva ed apprezzava, ma non fu mai Norma in scena, dove trionfava come Elsa, Elisabeth e Fiordiligi e persino quale Crisotemide. Perdonino i fans della Devia, ma immaginate la Mariella nei panni della figlia di Agamennone con il pesante strumentale straussiano.
Una rondine non fa primavera, tanto meno un invidiabile stato di conservazione vocale nella categorie dei soprani leggeri, un legato ancora esemplare ed una rara sicurezza in zona acuta (quella grave è sempre stata più virtuale che reale) non possono fare al di là di affetto e stima professionale, indiscutibili e dovuti, di Mariella Devia una tragédienne.
Ricordo a chi, cronologie del San Carlo alla mano, volesse oppormi che Giuseppina Ronzi eseguiva Lucia che in luogo della pazzia il soprano proponeva al pubblico il finale di Fausta.

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31 pensieri su “Sorella radio: l’ultima scena di Mariella Devia.

  1. Posso dire che a me la Devia non mi ha mai convinto, a parte la famosa registrazione dei puritani con matteuzzi faccio fatica a starle dietro forse a causa del timbro che non mi é mai piaciuto a prescindere dal repertorio. In ogni caso merita riconoscimenti perché la professionista c’è che forse un po’ alla fine ha preso qualche scivolata perché Norma no. Nel senso che come scritto ha saputo adattare la sua voce al personaggio e quindi giustamente applaudita perché le norme di oggi da fischiare sono altre ma sempre una manovra di camuffamento si tratta che quando si tratta voci non esiste.

  2. Grandissima sig.ra Devia, dalla prima volta che l’ho sentita, era un “ratto dal serraglio” alle ultimi indimenticabili scene della pazzia della Lucia scaligera. Per me un pezzo della mia pur povera storia lirica che se ne va, lasciandomi però delle forti emozioni che non potrò dimenticare. Grazie.

  3. Non so se posso definirmi un fan di Mariella Devia, certo la mia Norma di riferimento rimane Maria Callas… eppure ho riascoltato con molto piacere la Devia in Norma a Venezia, dopo averla sentita mesi fa a Genova. Certo il ruolo è “più grande di lei”, certo in molte scene deve scendere a patti con la (sublime ma terrificante) scrittura vocale di Bellini, certo il suo “Trema per te te fellon!” manca di grinta e di credibilità. Eppure, mi ripeto, da “Qual cor tradisti” , trasformato in una sorte di perorazione AMOROSA nei confronti di Pollione (idea che trovo geniale) fino alla fine dell’opera la cantante mi è parsa eccezionalmente commovente e perfettamente nel ruolo. La voce riempiva la non gigantesca sala della Fenice in modo appagante, l’accento scovato per “M’odi …Son madre!” dava dei punti alla stessa Callas. Molti nel pubblico vicino a me erano in lacrime… Che dire di più? Per me Mariella Devia incarnava l’ULTIMO esempio di canto professionale e di alta scuola…non vedo nessun altro all’orizzonte (di qualunque corda vocale si tratti) in grado di raccogliere il testimone… se tu ritieni che qualcuno ne sia capace di prego di indicarmelo

        • Bene possiamo prendere allora Semiramide che fu una toccata e fuga della signora Devia, Lucrezia Borgia dove la peccatrice venefica ed impura era una mammina pedante e una moglie scassacoglioni . Tacciamo della Violetta che era una signora bene di provincia ligure che maritava a figgetta. Per non parlare di una zerlinesca Donna Anna. Ma il problema è un altro quand’anche l’orchestrale di Norma fosse robetta rispetto a quello del Trovatore (opera che figura nel repertorio delle maggiori Norme dell’800 a partire da Grisi, Penco, Barbieri NIni) quello che è avulso dalla testa delle signora Devia è il fraseggio, l’ampiezza, la solennità, la monumentale presenza vocale e scenica. E’ e resta una grande professionista per parti a roulades o di mezzo carattere

  4. vista dal vivo a Venezia nella prima del piccolo ciclo di recite finale, a me ha impressionato anche per lo scatto fisico. E’ del 48 e si muove davvero molto bene, e cammina veloce quando deve: considerando la presenza di Norma in scena, e la tenuta vocale, è chiaro che MD prende il canto lirico come un lavoro, di eccezionale durezza e disciplina, e non come una velleità televisiva o spettacolare. Siamo sempre lì col discorso: lei non fa nulla di eccezionale, sono gli altri che non fanno abbastanza. Vista dietro le quinte e in camerino, era più riposata di me. La voce e Norma. nel recitativo iniziale il suono a volte era pesante e ingrossato, in Casta Diva il fiato era ancora corto, ma dove proprio era poco gradevole era nella cabaletta (il pezzo più difficile, come disse la Dimitrova), perché gli acuti erano davvero indietro e strangolati. Tuttavia, siccome sa il fatto suo, ha mantenuto senza scomporsi sempre l’appoggio nel solito punto, come a dire: qualcosa succederà, e infatti quando è riapparsa appunto nel Dormono entrambi, la voce era appoggiata e avanti al tempo stesso, e da lì è stata anche commovente, perché anche più musicale (i gravi nel duetto erano un po’ inventati, ma non importa). Non è la Callas, però non bara, e per fortuna non è nemmeno la Bartoli. Ci lascia con una lezione di serietà professionale, come la Callas ci ha lasciati col desiderio di perfezione artistica…altro non saprei dire, è stata una serata che ha avuto un senso

    • Esattamente, la verità é che lei il podio autentico lo ha raggiunto solo perché le sue colleghe più illustri hanno lasciato campo libero e quindi quando il canto alla fine c’è la gente é normale che applaude. Il pubblico dell’opera sarà ormai tendenzialmente ignorante ma quando sente delle voci lo capisce e lo so percepisce dal calore che gli dimostrano a fine recita. Quindi buona tecnica ma scarsa musicalità nel senso che non mi dice proprio nulla. Norma é un personaggio che richiede tutto anche quello che non esiste per intenderci e forse la resa autentica del personaggio non l’ha raggiunta nessuno. La Callas é quella che ha dato di più ma non ne farei un monumento. Ovviamente stiamo parlando di ruoli monumentali per la quale la protagonista si gioca tutto sin dalla sua entrata col sediziose voci, e più ascolto queste opere e più mi rendo conto che le difficoltà partono dal fatto che sono state scritte per autentici mostri vocali dell’epoca, come abiti su misura e quindi se ti calza bene altrimenti sarai sempre impacciato..

  5. la Freni e la Chiara non erano portate per le agilità. certo se l’ampiezza e il colore della Freni si fosse piegato alle agilità, avremo avuto una Imogene più autentica di tante altre, ma chi ha avuto la voce ampia dagli anni 70 in poi ha drammatizzato ancora di più, è stata una temperie probabilmente. Il problema della Devia in Norma riguarda ampiezza e volume, quando il suo repertorio naturale sarebbe stato solo Rossini e un po’ di Donizetti, però se fraseggia con onestà e sente il personaggio, in uno spazio piccolo come la Fenice va bene; è un po’ come sentire la Callas del 57 nella Turandot in disco ….

    • Celebrare Mariella Devia in occasione del suo addio ai ruoli completi in scena è doveroso, ma come già sottolineato i toni sensazionalistici che si leggono, invece che celebrare una grande professionista la denigrano perché incongruenti con la realtà della carriera e delle performances. Personalmente sono felice di aver assistito a due recite del suo addio al ruolo di Lucia di Lammermoor, uno dei ruoli veramente suoi, nel 2006 alla Scala. Vidi la prima e l’ultima recita e Mariellissima era più in forma al termine delle recite che non all’inizio, al contrario dei giovani colleghi che naufragavano negli altri ruoli. Due serate di grande spolvero vocale, con una Devia a tratti anche poetica nel suo Verranno a te sull’aure e realmente commossa al termine della scena della pazzia, salutata da un giusto e meritato trionfo. In quell’occasione vocalmente fu davvero ineccepibile e uscii dal teatro davvero entusiasta e conscio di aver sentito una grande cosa. L’anno successivo debuttò Anna Bolena a Verona e, nonostante un’esecuzione sotto il profilo musicale precisissima, di Bolena e della voce, ma soprattutto dell’ampiezza e dell’accento richiesto per quei tipi di ruoli non c’era niente. Il fenomeno vocale è rimasto, ma fenomeno per la longevità della qualità esecutiva, e non perché nell’andare del tempo la Königin si sia trasformata in Abigaille come successe alla Deutekom o ad altre che seppero adattare voci da Gilda o Adina a ruoli come Elena dei Vespri e Simon Boccanegra come la Scotto e la Freni.
      Personalmente poi ritengo inutile gli accostamenti con la Callas, con la Sutherland, con altre davvero di un altro mondo. Siamo in un’altra epoca e chi lo scrive dovrebbe essere cosciente che in quel mondo, avendo la signora cominciato a metà anni 70, faceva al massimo secondi cast perché la concorrenza era reale e spietata, quindi meglio onorarla per gli innegabili meriti della longevità vocale, ma trovo piuttosto ingenuo ritenere che sia una Norma plausibile. Ricordo l’aneddoto che volle Leyla Gencer, al termine di Medea proprio alla Fenice di Venezia, rivolgere un sonoro ceffone ad un fan che le disse di essere “meglio della Maria” nel ruolo della maga. Forse alle volte gli artisti sono più coscienti dei propri limiti e delle proprie qualità rispetto al pubblico che li segue in modo cieco, e anche un pò sordo.

  6. Non sottovaluterei nemmeno il fatto che mai , durante una recita dal vivo!, ho avuto la sensazione di ascoltare una voce vecchia e senescente (a 70 anni!), cosa che non può certamente dirsi delle seconde incisioni , in studio!, della Callas (aveva 36 anni) e della Sutherland (aveva 58 anni).

  7. Certamente Norma non e’ un ruolo adattissimo per Mariella Devia, che soprano “drammatico” non e’ (anche se la dicitura di soprano drammatico e’ – correggetemi- di molto posteriore alla musica di Bellini stesso).
    Io me la ricordo pero’ da ragazzo come Amenaide nel “Tancredi” a Bologna nel 1992, con uno strepitoso “da capo” variato nell’aria “Ah! d’amor in tal momento” del secondo atto, in cui alla fine arrivava senza difficolta’ a un mi sopracuto!
    Saranno i ricordi dei vent’anni, sara’ che la prima del “Tancredi” fu eseguita alla Fenice, sara’ che il mi maggiore per me e’ una tonalita’ bellissima (quella della Primavera di Vivaldi, e del “Fabbro Armonioso” di Haendel che studiavo da ragazzo), sara’ quello che volete, ma ogni volta che la riascolto mi vengono le lacrime agli occhi: sentite qui dal minuto 44:28 in poi
    https://youtu.be/e10_HhKkCG0

  8. ritengo i Puritani a cui assistetti al Comunale di Bologna nell’ottobre 1988 con Merritt Coni Surjan diretti da Zedda il culmine della carriera di Mariella Devia….qui raggiungeva a mio parere risultati assoluti per aderenza tecnica e stilistica alle esigenze del ruolo

  9. E la sua Cerere delle Nozze di Teti e Peleo?!!
    Quelli erano gli anni migliori della Devia.
    Pur potendolo fare, non si è mai lasciata andare al lato “circense” del canto di un soprano di coloratura come lei, all’agilità sfrenata (cosa non avrebbe potuto fare …!). Voleva essere sempre rigorosissima, perfetta, strumentale e non un fenomeno per melomani come avrebbe potuto essere con la voce che aveva se si fosse presa un po’ più di libertà. Questa è ovviamente la mia impressione, ma rispetto agli esordi della carriera (Zerlina, Lakmé, Adelaide di Borgogna, ecc.) nella seconda metà degli anni novanta ha cominciato a fare in maniera più castigata ruoli di coloratura, quasi non volesse essere banalmente essere identificata con un grande soprano di coloratura, e poi via via castigandosi sempre più, è passata a ruoli meno virtuosistici e/o più gravi. In quei ruoli la trovavo un po’ noiosa, anche perchè il timbro non aveva, a mio gusto, grandi attrattive coloristiche, il fraseggio non illuminava la parola (a mo’ Olivero, Scotto, ecc.)
    Però ancora qualche anno fa, i mib che piazzava erano delle fucilate (in senso quasi letterale…cambiava completamente volume, sembrava ruotasse una manopola :-)
    Una cantante italiana da ricordare non fosse che per come ha saputo interpretare il Rossini della Manfredini.

    • Certo che ruotava la manopola perché cantava con la sua voce. Vedi pere, ed è la mia opinione, un soprano di agio deve fare la cosiddetta baracca. Eseguire carnevale di Venezia, variazioni di proch, aria dei diamanti della corona di Auber insomma repertorio delle tetrazzini, Melba, Galli Curci non è affatto un limite o un mancanza di cultura
      Anzi è fare cultura ciao

  10. tuttavia io su questa famosa “longevità vocale”, perdipiù e a ogni piè sospinto paragonata crudelmente al declino “artistico” e personale della Callas, vorrei spendere altre due parole, poi può darsi che mi sbagli. Io ho ascoltato la Devia alla fine degli anni 80, un favoloso e luminoso lirico-leggero, il cui timbro, oggi nel 2018, non è assolutamente uguale a quello, né ugualmente ricco di armonici: è una voce di leggero di una signora anziana, che però gode di una forma fisica straordinaria (entusiasmo, buon senso, fisico sempre uguale ecc.), e che le permette oggi di sostenere dei do. Per lo stesso processo, il timbro della Callas del 73-74 era quello di un soprano cinquantenne, partito come un lirico-spinto, che per scelte azzardate di repertorio e di stress fisici, non ce la faceva più a sostenere una parte intera. Sono nature e carriere diverse, ma per certi aspetti subiscono le stesse cose di tutti

  11. Io credo invece che sarebbe il caso di chidersi come mai un soprano assolutamente straordinario come Maria Callas si si sfasciata la voce nel giro di cosi pochi anni. Delle due l’una: o ha fatto scelte di repertorio folli e sconsiderate oppure la sua tecnica non era poi cosi perfetta come si è soliti dire. A meno che il dimagrimento non abbia causato quei danni irreparabili che già nel 1960 intaccavano la sua stupenda vocalità….ma mi sembra poco probabile.

    • La tecnica della Callas era esemplare. Anche i filmati dei concerti della cantante post 1958 testimoniano una respirazione di altissima scuola
      E se non fosse stato così non avrebbe potuto affrontare e come ruoli della difficoltà di Armida, Norma, lady Macbeth con la pertinenza di stile e l’aderenza al personaggio
      Chi ascolta la Callas ascolta la medesima tecnica ottocentesca che i dischi di Melba, sembrich e Terrazzini e che dopo il 1940 hanno esibito soltanto Steber, Stignani, giovane Sutherland.: Proiezione al massimo grado del suono, che comporta un suono che può flettersi in ogni zona della voce, sempre tonda, morbida. Poi se si guardano gli impegni della Callas, il.loro ritmo, la differenza dei titoli e l’impegno che la cantante ci mise sempre nel preparare la parte di può capire le ragioni del declino precoce

      • forse Billy Budd voleva dire “stabilizzata, acquisita” per tecnica “perfetta”: la stessa Callas fce del resto riferimento a errori tecnici nelle sue esecuzioni del declino, che la indussero a ristudiare da capo. Sembra incredibile, dopo Armida e Lucia fatte in quel modo, eppure è così, ed è probabile che il mix straordinario di giovinezza, energia, istinto musicale e basi tecniche dei suoi anni migliori abbia perso qualcosa per strada, a causa di cosa non si sa, anche il voler dimagrire molto può essere la conseguenza della perdita di un equilibrio. Forse dipende anche dalla consapevolezza e dalla maturità dei traguardi raggiunti (che per la Callas, possono tranquillamente fermarsi al 59); nel caso della Devia, evidentemente lei stessa sente che non solo ha ancora qualcosa da dare, ma da capire in se stessa

        • la vita del jet set mal si accorda con quella del cantante che è “mezzo atleta e mezzo artista”. Frase non mia ma di Rodolfo Celletti, che non risparmia sfuriate a quei cantanti assidui frequentatori e frequentatrici di discoteche in quel di Martina Franca.
          Sugli anni della grandezza della Callas sei di manica larga. Personalmente dalle registrazioni la CALLAS è la grassona greca guardata come un fenomeno da baraccone da molti che cantò dal 1948 al 1953, poi una grande cantante sino al 1958 e poi “le reliquie”. Grandi reliquie, ma sempre reliquie!

          • Lessi molto tempo fa , non ricordo a firma di chi (forse Segalini), che la VERA voce della Callas era quella dell’incisione del Turco in Italia. Le Medee, le Gioconde, le Lady sarebbero state , in qualche modo, delle “forzature” che causarono il precoce declino… chissà se è vero….

          • posso concordare se ascolti bene la Norma di Londra del 1952 ti accorgerai che la Callas fa fatica a star dietro all’ampiezza ed alla rotondità di suono della partner, tanto è che nel 1955, quando fece la sua seconda Norma scaligera, i fans in dialetto le dicevano “ti è andata bene Maria che ci sia la Simionatina e non la signora Ebe”….. Se poi pensiamo che il verbo risparmiarsi e il prendere in giro il pubblico erano estranei alla mentalità della Callas (sempre anche nel declino) la diagnosi è quella . Ciao

    • Credo che il declino del la Callas, mio modestissimo parere, sia sopraggiunto per motivi psicologici. Era una donna molto complessa, entrava davvero nel personaggio e non si risparmiava spesso neanche alle prove. Ha cantato tanto e di tutto per pochi anni, ma ha lasciato tantissimo. Lei cercava, da attrice, di entrare nel personaggio e viverlo, la Devia, giustamente e in modo accorto, no. Credo anche che la preparazione tecnica della all’assemblea fosse molto diversa. Il fraseggio era davvero vario e ladizione l’articolazione perfetta. Le sue vocali e le sue parole erano comprensibili e incisive come dovevano essere, non usava trucchi – giustificati eh!- trasformando le vocali in altre e coprendo in modo tale da avvantaggiarsi. La favolosa Sutherland stessa, se avesse avuto la dizione della Callas, ne sarebbe uscita distrutta dopo pochi anni con quel tipo anche di recitazione -notare che già dal 60 cominciò a scurire e arrotondare molto e ad accennare il testo, cosa che negli anni 50 non faceva-. La Devia ha capito che tutte queste cose l’avrebbero portata ad una deriva precoce e le ha sapientemente evitate, mantenendo la voce sempre in maschera senza bisogno,cosa che però a livello rossiniano era d’obbligo, di schiarire e rendere oltremodo leggibili e pieni di verve i passi più cantabili. Il raffronto tra il suo Turco e quello della Callas ne è la prova: l’una è misurata e gorgeggia da parte suo la parte, ma le zampate e la sottile ironia della Callas sono altra cosa…

  12. Ho ascoltato la Devia purtroppo dal vivo solo una volta nel 2008. Il Teatro era piccolo e se devo essere sincero la voce era di volume abbastanza ridotto e con vibrato senile specialmente e in basso. La sua longevità vocale – data da una buona tecnica nel registro acuto poiché i suoi trilli non erano ottimi e il suo Rossini era molto “aggiustato” a volte- è davvero IL suo punto di forza, ma… Che rivali ha avuto dal 2000 in poi? La 70enne Gruberova? Dispiace davvero il suo ritiro, ma credo che, da donna intelligente, abbia capito che la voce ormai risponde poco ai comandi. La Norma di Genova faceva emergere in basso
    – anche in alto- problemii non da poco e tutti quelli che dicevano “eh ma bisogna capire che ha 70 anni!” rispondevo volentieri che non glielo aveva ordinato il dottore di cantare un ruolo che MAI fu suo. Sarà un mio grosso limite ma non sono mai riuscito a sentire una sua recita fino alla fine; cantate bene eh, per carità… ma mai un vero struggimento, mai un accento davvero ispirato e intimo. Una solida professionista che non paragonerei neanche a figure di secondo piano degli anni 50/60/70. Se oggi si santificano Bartoli & Co – che presto sarà anche alla Scala in veste di sovrintendente al Baroccaro- la Devia rimane comunque un buon baluardo per farmi dire: la tua voce ci mancherà Mariella, sei e rimarrai una grande professionista. PS Consiglio spassionato… non aprire un’ altra scuola di canto che di vecchie glorie che rovinano i giovani ne abbiamo già a basta.. rimani così: sacerdotessa e vestale di un tempo che fu.

  13. Ahi ahi Mariani… se cerca in rete le interviste a “quelle di adesso”, di non eccelsa fama ma in cerca di captazio benevolentiae, troverà che il principale titolo è “…e poi sto studiando con Mariella Devia”. Dico Rancatore e -sopratutto- Peretyatko-orfana-di-Zedda…
    Cordiali saluti!

    • Guardi allora sono rimasto indietro e mi scuso del refuso! Speravo fosse scampata… Invece niente. Se la Rancatore e la Peretyatko sono sue allieve… spero che lei faccia un video smentita come i politici di adesso!!😂

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