Orlando Furioso di Vivaldi al Teatro Malibran

Grande successo di pubblico per l’Orlando Furioso di Vivaldi rappresentato al Teatro Malibran nei giorni scorsi, successo dovuto a un’ottima regia, a una direzione accorta e a un cast non certo esente da mende, ma affiatato. Degna di plauso la volontà di proporre titoli del repertorio secentesco e settecentesco nella sala del Malibran, le cui dimensioni sono certamente più idonee a ospitare tali titoli; il successo riscosso e l’affluenza di pubblico sono la dimostrazione che il repertorio preottocentesco costituisce un forte motivo di interesse anche per il pubblico italiano. Discutibile, di contro, la scelta di tagliare una buona mezzora di musica (ogni personaggio si è visto privato di un’aria) e alcuni passi di recitativo, nonostante sia stata impiegata l’edizione critica di Sardelli. La necessità di venire incontro al pubblico odierno, che troverebbe estenuante la durata dell’opera, e il desiderio di rendere più coerente il libretto non mi sembrano, in tutta onestà, giustificazioni pienamente convincenti: rinunciare a interi numeri priva i personaggi di alcune sfumature psicologiche caratterizzanti e, inoltre, inficia la struttura e l’equilibrio dell’opera.

Vincente la regia di Fabio Ceresa (con scene di Massimo Checchetto, costumi di Giuseppe Palella, luci di Fabio Barettin e coreografie di Riccardo Olivier) che ha saputo restituire con mezzi relativamente semplici quel senso di fantastico e meraviglioso, quello spirito ironico e quel continuo mutar d’affetti che caratterizzano l’opera barocca e, più in particolare, un titolo come Orlando. La regia ha dato vita a una riuscitissima narrazione che permesso di seguire agilmente la trama a tratti arzigogolata e ha saputo divertire il pubblico e coinvolgerlo con trovate vivaci e intelligenti (penso alla conchiglia-palazzo di Alcina che, ruotando, diventava una luna, oppure alla realizzazione dell’ippogrifo).

Diego Fasolis ha diretto con energia e pertinenza suonando anche il cembalo. Il direttore ha sostenuto i cantanti e ha creato belle atmosfere, cercando costantemente – pur non ottenendole sempre . tinte varie, specialmente nelle splendide arie di carattere elegiaco. Ottimo il lavoro con l’orchestra che ha offerto al pubblico un suono pulito e al contempo corposo, scevro da fissità e secchezza, troppo sovente propugnate dalla moda baroccara; da segnalare in positivo la cura nella realizzazione dei recitativi, in perfetto concerto con i cantanti.

Alterno il cast, di cui si lodano impegno e buona volontà. Rendere a giustizia a musica così difficile è arduo, in primis dal punto di vista meramente tecnico-esecutivo, in secondo luogo dal punto di vista interpretativo. I migliori del cast sono stati senza dubbio Francesca Aspromonte e Carlo Vistoli. La prima è stata una bellissima Angelica, caratterizzata da un timbro gradevole e omogeneo in tutta la gamma, nonché da un’emissione sana e corretta che le ha permesso di non forzare mai la linea di canto e di essere convincente, seppur non particolarmente sottile o raffinata, nell’interpretazione; il secondo, più impacciato come interprete e attore, è stato un buon Ruggiero, sonoro e quasi sempre a suo agio nei difficili momenti solistici, specie quelli lirici in cui i gravi erano sovente sollecitati e risolti con una certa perizia. Lucia Cirillo, Alcina, ha recitato molto bene la sua parte e ha cercato di caratterizzare sia i recitativi che i momenti solistici con inflessioni e accenti sempre differenti, compensando così una resa vocale al di sotto delle necessità della parte a causa di una voce modesta, priva di un timbro distintivo e di un’emissione che resta spesso in bocca e la porta a faticare sia nelle agilità che nei momenti di maggiore abbandono. Ancora acerbo, ma non privo di qualità il Medoro di Raffaele Pe, in difficoltà con le agilità e nei gravi e, a tratti, più fragile che delicato. Talvolta in difficoltà anche Loriana Castellano, Bradamante dall’emissione in bocca e dai gravi eseguiti volgarmente, sufficiente, invece, Riccardo Novaro che sfoggia un gradevole colore baritonale e una voce sana seppur a tratti ingolata.

In cauda venenum, Sonia Prina, blasonata specialista del repertorio barocco, nelle vesti di Orlando. A giudizio di chi scrive si è trattato di una prestazione semplicemente imbarazzante: voce piccola, sgradevole e ingolata, canto disomogeneo e sguaiato come pochi, in perenne difficoltà nelle agilità, risolte in modo pessimo (non si contano le note mancate e quelle stonate) e, per giunta, a prezzo di continui spasimi e spinte che rendevano fastidiosa la visione. Parzialmente scusata solo nell’aria “Nel profondo cieco mondo” in cui era costretta ad arrampicarsi sulla luna assumendo posizioni certamente scomode, ma sono convinto che il risultato in condizioni più favorevoli non sarebbe stato significativamente migliore. Solo nella scena della pazzia, in cui ha più parlato che cantato, la Prina è apparsa accettabile.

Nel complesso, dunque, si è trattato di uno spettacolo riuscito ed estremamente gradevole che, in presenza di una protagonista differente, sarebbe potuto essere di gran lunga più soddisfacente e attestarsi a un livello qualitativo superiore.

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60 pensieri su “Orlando Furioso di Vivaldi al Teatro Malibran

  1. Anch’io ero al Malibran per la recita dell’Orlando: io in realta’ prediligo questo repertorio, per cui per me sarebbe un… *FINALMENTE* vengono riproposti autentici capolavori, rimasti nei bauli (letteralmente…) per secoli.
    Concordo quasi su tutto: non sarei cosi’ cattivo su Sonia Prina, che oggettivamente si e’ trovata davanti una partitura spaventevole, scritta da un mostro di compositore che quando si trovava davanti a una voce, pensava di avere un violino invece di una persona in carne e ossa. Se uno ha nelle orecchie l’edizione di Scimone, con la Horne, effettivamente il confronto e’ improponibile. Pero’ e’ anche una tendenza storica: l’orchestra di Fasolis e’ assolutamente migliore di quella di Scimone, si sentono tutti i quarant’anni di ricerca nel campo, e una finezza di esecuzione, di timbro, di colore, che fa impressione. Sul lato cantanti, invece, c’e’ un po’ meno cura: a me sono piaciute la Francesca Aspromonte, Carlo Vistoli ma anche la Cirillo: il ruolo di Alcina, che era nella prima assoluta di Anna Giro’, non richiede grandi agilita’, ma una voce un po’ piena e ammaliatrice, che la Cirillo alla fine ha.
    Scene e costumi sono in assoluto stile “La Fenice”, semplici, classici e giusti. Bello spettacolo, concordo.

    • Buon giorno Archeloo. La Marylin nel 1979 a Verona la vidi. E per questo nonostante quanto cucinato e confezionato da Scimone, ma credo anche da Madama Horne e suoi consiglieri possa essere di discutibile ortodossia quella proposizione resta un momento altissimo. Altissimo perchè veniva riproposta un’opera (più correttamente un pastiche o centone, come erano, poi, la più parte dei lavori dell’epoca e diciamo sino alla prima fase di produzione rossiniana) che al di la dei meriti e delle qualità sue proprie era un tipo di opera a noi poco conosciuta. Non possiamo dire sconosciuta perchè conoscevano già Handel e l’operismo della stagione tardo barocca. Sono passati come dici tu quarant’anni. Sarò nostalgico, ma la grammatica del canto sfoggiata da Marylin Horne e nel disco anche parzialmente dalla Valentini e dalla Gonzales (l’unica che in quel cast avesse la vera voce di mezzo soprano) e le conseguenze della grammatica del canto sono livelli irraggiungibili per queste povere donne, che poco o nulla sanno e fanno del mestiere -antico ed artigianale- del canto operistico. REsto dell’idea che le opere da Monteverdi (Scempio sentito ier sera in tv da Torino con Orfeo) a Zandonai (altro recente scempio targato Scala) si facciano solo con i cantanti.

      • Non so: sono gusti personali, alla fin fine. Pero’ e’ anche vero che uno, per gustare la “grammatica del canto” come tu dici, perfetta della Horne, deve passare sopra un’orchestra ansimante che procede con la leggiadria di un pachiderma e un clavicembalo che sembra preso a prestito dal mercato delle pulci di Porta Palazzo a Torino. Dal punto di vista orchestrale, in 40 anni sono stati fatti progressi enormi: forse anche nell’economia della Fenice, se uno chiama Fasolis, che e’ una superstar, forse deve tirare su qualcos’altro.

      • Quello storico Orlando fu storico per la Horne…il resto (a cominciare dal testo che non è un pasticcio ma esiste steso) era discutibile (in studio le cose migliorano però).
        L’opera si fa con la musica, cantanti e orchestre. Monteverdi è diverso perché lì occorre qualcosa in più che oggi solitamente si sente. Non a Torino effettivamente. L’opera, il canto, la musica…è un’evoluzione di tecniche, stili linguaggio. Non si canta Orfeo come fosse Rossini. Ma si deve cantare e recitare intonati. Comunque le arie di Orlando cantate dalla Horne sono esaltanti anche con Scimone.

          • Certamente. C’è poi molta differenza tra lo Scimone in studio (direzioni ordinate e musicalmente efficaci) e quello live dove la mano è assai più pesante. Quell’Orlando – al netto dei meriti per la riscoperta – è viziato, secondo me, dalla scarsissima fiducia nel genere musicale e nell’esecuzione priva di respiro teatrale e vitalità: sfogliando il libretto d’accompagnamento all’incisione si leggono i “criteri” di realizzazione del testo (testo che, ribadisco, esiste con una sua struttura e ordine: non c’è nulla da improvvisare) con cui l’intera opera è stata riassemblata spostando, tagliando e adattando i brani. Preferisco a questo punto le incisioni di Vittorio Negri (il suo Tito Manlio ad esempio). Oggi dal punto di vista dell’approccio all’opera molti passi avanti si sono fatti: si è restituito vita e senso drammatico così da evitare gli abbiocchi che in passato poteva generare l’esecuzione integrale di questi titoli. Ovvio che i ogni momento storico ha le sue peculiarità e non criticherò mai gli approcci del passato poiché erano perfettamente funzionali ai tempi. Qualche riflessione, invece, la farei proprio su Vivaldi e l’opera che – ad ogni ascolto – mi conferma debolezze e scarsa originalità. Insomma – ed è un mio giudizio personale senza pretese esegetiche – basta una qualsiasi aria di Händel per surclassare interi titoli del Prete Rosso.

  2. Grazie mille Giovanni David per il bellissimo articolo. Ho visto anche io lo spettacolo, e concordo filo per segno con quel che hai scritto.
    Il successo di pubblico ha stupito anche me, direi che è anche basato sulla fiducia che il pubblico sente verso un teatro, la Fenice, che ha una offerta ben bilanciata tra repertorio e rarità, tra messe in scena moderne e tradizionali.

    Vorrei solo condividere il momento che ho preferito di tutta la recita, ovvero l’aria con flauto obbligato (che veniva suonato da un palco laterale) di Ruggero “sol da te”. Direi che è uno di quei momenti in cui il valore e il significato della musica operistica sono emersi con chiarezza cristallina.
    https://youtu.be/_AM0VvZKkN8?t=53m15s

  3. Anche a me lascia perplesso il Vivaldi operista, credo che la sua vena di virtuoso strumentista sia stata così prorompente da limitare per così dire i suoi lavori teatrali. Ognuno poi la pensa a proprio modo quindi non me ne vogliano i vivaldiani..

  4. Sono gusti personali, per carita’: Vivaldi e Bach sono i compositori che in assoluto mi piacciono di piu’, e in particolare l’Orlando ha delle vette musicali secondo me inarrivabili. L’aria con flauto obbligato (da qualche critico chiamata anche concerto per flauto con voce obbligata…) “Sol da te mio dolce amore” di Ruggiero per me e’ un capolavoro assoluto, perfetta tra l’altro sia nell’esecuzione di Fasolis 2018, sia in Scimone 1978. Stupenda anche l’aria “Amorose ai rai del sole” di Alcina, con quel ritmo quasi da gavotta, che Fasolis ha interpretato benissimo.

    • Certamente e infatti ho precisato che il mio è solo un parere personale dettato unicamente dal mio gusto: spiegandomi meglio trovo che i titoli operistici di Vivaldi siano pieni di perle musicali (ad esempio l’aria col flauto obbligato che hai citato, così come molte altre) ma non incastonate in una “montatura” che le valorizzi. Se mi consenti il paragone, consapevole di tutte le differenze del caso, penso al caso delle opere di Haydn, anch’esse colme di musica altissima e soluzioni elaborate e finissimi, ma mancanti di quella vitalità teatrale che le renderebbe capolavori assoluti. Eppure le singole arie, i singoli concertati, le ouverture…sono brani spesso eccellenti. Ribadisco trattasi di gusto personale, ma 3 ore di fila di un’opera di Vivaldi mi stancano mentre 3 ore di Händel quasi non si sentono.

      • Ad onor del vero, Duprez, quello che dici adesso non è troppo coerente con la tua precedente affermazione secondo cui “basta una qualsiasi aria di Händel per surclassare interi titoli del Prete Rosso”. Sorvolando sull’uso di una tale iperbole denigratoria, se ritieni che le opere di Vivaldi siano ricche di pagine altissime, ma complessivamente scarseggino di teatralità, non puoi sostenere che basta una singola aria per surclassarle, dal momento che la tenuta drammatica di un’opera non potrà mai essere data da un singolo numero.
        Quanto poi al fatto che tre ore di Handel non si sentano…

        • Perché scusa? Ribadisco che A MIO GUSTO una qualsiasi aria di Händel è superiore a interi titoli di Vivaldi che, come operista, non mi ha mai entusiasmato. Che poi nei suoi titoli ci siano anche brani splendidi questo non sposta di una virgola la mia opinione. Le mie resistenze a teatro, poi, credo che siano questioni personali…francamente 3 ore di Händel non mi annoiano: 3 di Vivaldi (o anche solo mezz’ora di Massenet) mi fan venire l’orchite.

          • Come sempre, Duprez, non ci intendiamo: è ovvio che tu sei libero di apprezzare quello che ti pare, io però sindacavo il fatto che la tua critica verso Vivaldi non riguarda i singoli numeri, ma la “montatura” (per usare un tuo termine) complessiva delle opere. Solo in questo senso ho trovato poco coerente la tua affermazione sulle arie di Handel. Detto in altri termini, se secondo te il “difetto” di Vivaldi sta nella tenuta drammatica d’insieme, avrei trovato più logico confrontare con Vivaldi la costruzione complessiva delle opere di Handel e non le singole arie.

          • Ripeto, non vedo assenza di coerenza: il “difetto”…che non è un difetto, ma un mio gusto, sta nella generale mancanza di vitalità teatrale e fantasia nell’operista Vivaldi a fronte (chiarisco) di brani che singolarmente sono anche splendidi (e ci mancherebbe altro: è Vivaldi, non Pacini o Mercadante), ma che PERSONALMENTE mi annoiano. Al contrario di Händel che in ogni aria esprime qualcosa di vivo e vitale. Musicalmente Händel non mi annoia mai e ciascuna sua aria descriva affetti e atmosfere, che, a mio gusto, mancano in Vivaldi.

  5. Giovanni David,

    secondo me l’unica cosa imbarazzante dello spettacolo del malibran è la tua recensione.
    definire piccola e sgradevole la voce di Sonia Prina, che ha cantato arrampicata a 5 metri metri di altezza scalando una luna che per giunta era messa 10 metri in fondo al palco, fà capire quanto poco tu capisca di quello che ascolti e poi scrivi.

    • Non c’ero a questo spettacolo. Purtroppo, però, Sonia Prina l’ho dovuta subire più volte e la ritengo una pessima cantante, che ignora le regole di base del canto. Aggiungo che questa signora e molte altre per tacere dei surrogati di castrato e delle orchestre, che ricordano le corde del bucato sono dei seri deterrenti all’ascolto dell’opera barocca. Per intenderci sulle regole del canto le sole praticabili sono quelle del Mancini o del Tosi poi transitate in Girolamo Crescentini, che formò l’intera scuola di canto italiana e poi europea agli albori dell’800. E non mi risponda con la solita idiozia che un conto è il canto di Handel e Vivaldi ed altro quello di Mozart, Sacchini ed anche Rossini perchè nessuno scrisse mai che la tecnica della de Cavalieri o della Colbran fosse differente da quella dei grandi sopranisti e contraltisti. Aggiungo che sdraiata a capo riverso ho sentito cantare solo la Madga Olivero con un risultato che avesse non solo il nome di canto professionale, ma raggiungesse elevati standard artistici. Poi ciascuno è libero di trattare le proprie orecchie come meglio crede DD

    • spiace dirlo, caro barocco13, ma la voce di Sonia Prina è stata sgradevole anche durante l’aria “Sorge l’irato nembo” che cantava comodamente all’inizio del palco.
      ti assicuro che, dall’ascolto dal vivo, abbiamo capito molto bene quello che stavamo ascoltando! spiace anche perché con un Orlando di qualità migliore sarebbe stato uno spettacolo di buon livello complessivo.

    • Beh, Barocco13, non mi sembra il caso di trascendere in una reazione così aggressiva e scomposta: io sull’esecuzione della musica barocca ho opinioni abbastanza differenti da quelle dell’amico Donzelli (per esempio sull’uso degli strumenti autentici e dei diapason corretti o sul fatto che certe vecchie interpretazioni non riesco proprio a farmele piacere), ma alla fine ciascuna ha le sue idee senza necessità di scaldarsi tanto. Io ho visto il video dello spettacolo veneziano e francamente la Prina mi è sembrata la parte più debole del cast. E’ una cantante con diverse criticità, emerse anche nella serenata vivaldiana che ha aperto il Festival Monteverdi: e lì c’ero. Poi se a te piace non muore certo nessuno, ma che ne critica legittimamente il canto ha tutto il diritto di farlo senza sentirsi insultare.

      • Non pensavo che questo forum fosse cosi’ scoppiettante, e proprio su un’opera barocca! Mi piace molto questa cosa…
        Ritornando al tema in discussione, a me e’ piaciuta molto un’intervista di Fasolis, in cui diceva che sta conducendo da qualche anno un’operazione di “acclimatamento” all’esecuzione barocca con l’orchestra della Fenice: in sostanza, insegnando agli orchestrali per esempio a dimenticare del tutto il vibrato, onnipresente nell’opera ottocentesca, e a rappresentare i vari colori orchestrali con il solo suono pieno.
        Direi che l’osservazione di Fasolis torna a fagiuolo qui, in quanto, se un orchestrale non puo’ eseguire Vivaldi col vibrato ottocentesco, anche un ascoltatore non puo’ accostarsi a Vivaldi senza un opportuno “acclimatamento”. Concordo in pieno che Sonia Prina non abbia brillato, e che la sua voce fosse complessivamente sgradevole (e io c’ero al Malibran…). Ma trovo limitativo ridurre 3 ore e mezza di opera, eseguita in modo magistrale soprattutto dal lato orchestrale (e si sentiva tutto il lavoro di anni di cui parla Fasolis nell’intervista), alla sola aria “Sorge l’irato nembo”, facendo i confronti con delle esecuzioni giurassiche di 40 anni fa, totalmente inadeguate dal punto di vista filologico, storico e orchestrale. In questo caso, occorrerebbe un minimo di studio della musica barocca, per educare un po’ il proprio orecchio a sfumature e una musicalita’ completamente diversa da quella operistica “tradizionale”.
        L’intervista di Fasolis e’ al sito:
        https://youtu.be/ujiYVrOLZyE

        • Sono sostanzialmente d’accordo con te, e infatti nella recensione ben si tributavano i meriti di Fasolis e della restante compagnia. All’esecuzione musicale andrebbe sempre riservato un approccio storicista che valuti l’interpretazione calata nel tempo in cui questa viene eseguita: così come è assurdo oggi eseguire Vivaldi o Händel con stile e musicalità tardo ottocentesca, è altrettanto assurdo pretendere che 40 o 50 anni fa ci si ponessero problematiche filologiche e di prassi che oggi noi abbiamo gli strumenti per affrontare. E’ molto interessante il discorso di Fasolis (e anche le riflessioni di Sardelli, che di Vivaldi è autorità indiscussa) circa l’acclimamento musicale. Purtroppo in Italia, Venezia a parte, l’opera barocca è eseguita rarissimamente e quando ciò avviene, non sempre si rispetta la prassi e le conquiste filologiche. In ogni caso questo Orlando ha avuto un bel successo. Certamente non si può ridurre la complessità di un’opera ad un brano soltanto.

      • Io non sono tra quelli che nelle esecuzioni di musica barocca o anche del periodo classico pretende per forza gli strumenti d’epoca che per forza Di cose spesso sono copie oppure il fortepiano nei concerti Di mozart ma devo ammettere che spesso mi da una sensazione Di tipo museale nel senso che uno potrebbe dire che si tratta sempre di musica scritta nel passato dove gli strumenti erano differenti chi più chi meno rispetto a quelli odierni ma ho sempre avuto un idea più contemporanea della musica nel senso di qualcosa che si evolve e su reinventa sempre restando ovviamente i criteri base della corretta e rispettosa esecuzione. Il rischio Di questa epoca Di ossessiva in certi casi filologia é quella appunto Di creare quello che chiamo effetto inscatolamento che non é una regola ma spesso ho questa sensazione. La filologia va bene ma deve essere usata con garbo e pertinenza altrimenti…

        • Secondo me di filologia non ce n’è mai troppa, nel senso che è strumento necessario a trasmetterci testi corretti. Neanche io pretendo strumenti originali o prassi d’epoca, anche perché ricostruire “l’ora come allora” è impossibile per tanti motivi. Tuttavia certe sonorità e certi impasti si evidenziano meglio con strumenti e modalità esecutive “antiche”. C’è anche da dire che nessun’orchestra oggi (neppure quelle più tradizionali) eseguono il barocco in stile tardo ottocentesco. Certe modalità sono acquisite e patrimonio comune. Questo segna il passare del tempo: oggi sarebbe molto più museale eseguire i Brandeburghesi su uno Steinway gran coda e orchestra di 80 elementi dietro… Non comprendo, tuttavia, questa diffidenza verso la filologia che è cosa scontata in tutti i campi. Ed è comunemente usata sia da parte di orchestre tradizionali che da compagini specialistiche.

          • Nessuna diffidenza ma va saputa usare e recenti esecuzioni rossiniane dimostrano..

          • Però le recenti esecuzioni rossiniane (immagino tu ti riferisca alla Donna del Lago di Losanna) mostrano come proprio l’assenza di filologia genera fraintendimenti.

      • Creo che ognuno sia libero di ascoltare e vedere quello che piu’ lo aggrada, ma una critica non puo’ o almeno non dovrebbe essere cosi violenta e denigratoria come quella letta qui sopra.

        quando scrivi sopra le righe devi aspettarti anche risposte sopra le righe

    • Caro barocco13,

      ti ringrazio per il profluvio di complimenti e la sottigliezza argomentativa di cui fai sì mirabilmente sfoggio.
      A proposito dell’esecuzione dell’aria dello scandalo ho scritto chiaramente che la cantante va parzialmente scusata data l'”ardita” scelta registica; tuttavia, la Prina ha palesato durante il corso delle recite limiti oggettivi che ben si evincono anche dalle registrazioni e dal video delle recite. A meno di non essere in malafede. Pertanto, non vi è alcun accanimento nei confronti di una cantante simpatica che, purtroppo, anche negli anni migliori – irrimediabilmente già trascorsi – era assolutamente mediocre.

      Ti saluto e, mi raccomando, continua a leggerci (magari prestando maggiore attenzione a quanto viene scritto) 😉

      • Trovo sempre strano e fazioso l’accanimento verso uno o più’ artisti in particolare, e la cosa mi stranisce e inquieta ancor di più’ quando a farlo è un un giornalista (si chiama cosi anche chi scrive sul corriere dei grisi o si usa un altro termine?).
        Sono il primo a pensare che “De gustibus non est disputandum”, ma da li a scrivere una recensione cosi negativa e denigratoria su una cantante di fama internazionale francamente mi insospettisce, ma in fine basta rendersi conto che con fama internazionale e apprezzata in tutto il mondo è lei, e non chi l’ha giudicata e denigrata in maniera cosi ostile.

        un saluto anche da parte mia

        • buon giorno, ho già espresso i miei dubbi circa la conoscenza della morfologia e della grammatica del canto da parte della Signora Prina e non ho avuto smentite plausibili e serie. Leggo ora, quale principale motivo della deferenza e stima , da tributare alla predetta, che la stessa godrebbe di grande fama ed internazionale. Anni di teatro diciamo militante ( leggi più banalmente ascolti dal vivo) e le osservazioni sui cantanti mi dicono che spesso la fama grande ed internazionale nulla hanno a che vedere con la qualità artistica. Cito, magari destando scandalo, Jonas Kaufmann, Natalie Dessay, quando divenne diva da teatri del grande circuito, e Cecilia Bartoli, la quale non vale una Anna Maria Rota o una Carmen Gonzales a fine carriera. Saluti DD

          • Ovviamente e’ amore, per la musica, le belle voci, e le bel canto. Purtroppo non abbiamo gusti compatibili evidentemente.

          • x Baracca13

            La Prina – dopo una simpatica Tisbe nella Cenerentola ROF del 2000 – non ha mai più fatto niente di buono. Punto.

  6. le ultime esecuzioni rossiniani su cui in altro post abbiamo discettato meritano punizioni ovvero sonori fischi in teatro. Se cencic vuole esibirsi lo faccia altrove, ma in vesti muliebri dove non sarà mai quella lezione di storia dell’opera e della musica che era michael aspinall.
    Per quanto concerne poi le esecuzioni vorrei ricordare come la presunta e/o reale acquisita conoscenza delle orchestre si sia accompagnata ad un decadimento del gusto del cantante. Mi permetto di allegare a questa piccola riflessione l’esecuzione fatta di gorgoglii, rutti, gargarismi di una profetessa del barocco come la sigora Lemiuex che canta talmente male e con la voce fuori fuoco da essere inudibile quale quickly
    https://www.youtube.com/watch?v=kx-X9ghseLQ
    Potrei anche aggiungere la versione sospirata di Cencic, che fa schifo a partire dal tam tam da sciopero dei metalmeccanici durante l’autunno caldo del 1969 che la accompagna
    https://www.youtube.com/watch?v=1VXERBZR6uQ.
    Tutta questa resis è gentilmente dedicata ad Archeloo, che si meraviglia e stupisce del fervore verso l’opera barocca. Alcuni di noi sono cresciuti quali ascoltatori, per averle sentite dal vivo, con le esecuzioni di musica barocca di una Horne, di una Sutherland ed anche di un Ramey, di una Cuberli, E allora faccio una precisazione o meglio esprimo un pensierino: mi rifiuto di pensare che i versi che escono dall’apparato orale di questi ed altri cantanti risponda a quell’estetica del bello, della meraviglia, che fu l’estetica barocca (sarebbe il caso di dire tardo barocca). Quei suonacci non rappresentano in musica il corrispettivo dell’architettura barocca ora di Longhena, ora di Pietro da Cortona, ora di Borromini, che brillavano per armoniosità,
    perfezione, o tensione alla perfezione della forma. Un suono mal messo e spoggiato (e tralasciamo l’errore storico di far cantare un’ottava sopra un individuo di sesso maschile che non ha subito l’orchiotomia) intacca questo mondo di estatica meraviglia. Anche qui sarà un’opinione con qualche pezza giustificativa di storia del canto, però ! saluti DD

    • Li parliamo di trash horror e il fatto che queste parole siano accostate a un’ opera di rossini mi fa schifo. A questo punto era meglio lasciare le spoglie del MAESTRO in Francia i almeno li aveva più spazio per rivoltarsi nella tomba. In quella produzione c’era tutto il peggio che si poteva partorire io penso la peggiore produzione mai fatta su un opera di rossini mancava solo che a dirigere ci mettevano platinette e poi il piatto era servito.

    • Però, effettivamente, l’uso indiscriminato del vibrato e l’applicazione di stilemi tardo ottocenteschi non possono essere definiti giusti e doverosi. Restano arbitri più o meno piacevoli a seconda del gusto dell’ascoltatore. Nessuno di noi c’era, né tanto meno possono valere a testimonianza i reperti dei primi ‘900. Tuttavia sul vibrato, sulle orchestre, sugli strumenti e sul diapason ci sono poche discussioni da fare: erano diversi.

      • Personalmente non é escluso che quanto prodotto negli ultimi tempi in fatto di orchestre sia molto vicino all’originale ma in ogni caso sono cose che trovo poco interessanti nel senso che quello che conta é rendere bene con gli strumenti che il buon cantante deve conoscere a prescindere e musicisti e direttori ovviamente.

        • Certo, ma non si può tuttavia negare legittimità a queste modalità più attente alla prassi, o pretendere che le versioni liberty e tardo romantiche del barocco suonato nel primo ‘900 siano un dovere o un dogma. Oggi tutte le orchestre sono debitrici della rivoluzione esecutiva portata dalle compagini specialistiche. Tra cui, ovviamente, ci sono buoni o cattivi musicisti. Come ci sono buoni o cattivi musicisti nelle orchestre tradizionali e come ci sono stati pessimi cantanti nel passato e nel trapassato. Poi a me sta bene tutto, a parte che non diventi un dogma: c’è chi schifa Bach fatto al piano e chi schifa Bach fatto al cembalo. A me garbano entrambi e trovo stupido l’atteggiamento di chi nega legittimità all’uno o all’altro.

          • No infatti a me non fa schifo ne l’uno ne l’altro basta che l’esecuzione sia buona.

          • Ecco! Questo è il punto: l’esecuzione buona! Senza preconcetti.

    • Caro Donzelli, il mio nome e’ Acheloo, in greco Ἂχελῷoς, e sono un fiume della Tessaglia: non Archeloo, prego…
      Chiamato direttamente in causa, rispondo: che ci siano esecuzioni filologiche bruttissime non ci piove, come non ci piove che alcuni cantanti blasonati fecero figure meschine in ruoli barocchi e tardo-settecenteschi (penso a un orribile Idomeneo di Pavarotti).
      D’altra parte, l’intero mondo della filologia non si esaurisce negli allestimenti meschini e nella brutta voce di Emanuel Cencic: ci sono i vari Rinaldo Alessandrini, Jordi Savall, Diego Fasolis che definirei quasi geni musicali, ed autentiche autorita’ nel campo. E’ gente che studia opere per anni, e la rappresentazione del Malibran e’ solo il punto di arrivo di sforzi lunghissimi, fatti assieme anche alle orchestre dei teatri nazionali (vedi intervista a Fasolis che ho menzionato piu’ sopra). Se poi uno, nel nome del fatto che meta’ secolo fa udi’ di persona Marilyn Horne, non sa distinguere l’orchestra (stupenda) di Fasolis da quella (pachidermica) di Scimone, piu’ che le differenze oggettive, penso che vada biasimata la presbiacusia…

      • Ciao MI spieghi perchè il fiume della Tessaglia di cui ho errato a riportare il nome (trattasi di presbiopia e vai con la lingua di Isocrate) ha diritto ad essere scritto con caratteri greci e la sordità da cui sarei affetto per vecchiaia no. Ciò premesso e con spirito di ludus la domanda che mi pongo e che ti pongo è sempre la medesima; siamo certi che i suoni che offrono (propinano direi io, ma mi tengo sull’aulico) gli odierni complessi sono giusti e di tale grandezza da rendere inascoltabile l’esecuzione di Marylin Horne o quanto meno da ridurla ad un giochino per vecchietti. Fra i mille colori, le acrobazie, il legato etc di quella signora e di altre a lei coeve e le orchestre perfette nella mia presbiopia e presbiacusia mi tengo la prima. Sono gusti da non udente e non vedente. ciao

        • Credo che questa crociata pro o contro la filologia sia inutile e “a perdere”. Non si può paragonare un modo esecutivo di 50 o 100 anni fa con l’odierno che, spesso, si basa su fonti che neppure erano immaginabili allora. La mia filosofia è godere di entrambe e discernere in entrambi gli approcci le cose buone da quelle cattive. La Horne non è certo inascoltabile (e neppure la ritengono tale gli specialisti seri), ma che spesso si trovasse a cantare con orchestre inaccettabili è verissimo. Poi sugli odierni complessi specialistici si devono fare molti distinguo, perché non è vero che genericamente “propinano” schifezze (se voglio stare al gioco, anzi, direi che mediamente ne propinano assai meno di quelle che si ascoltano in preistoriche incisioni dal Met o dal Conlon): ovviamente nessuno c’era e ci si basa sulle fonti. Sicuramente però il diapason era più basso, gli archi avevano corde di budello ed erano in numero inferiore, i fiati erano differenti e il vibrato non si usava se non come elemento ornamentale. Queste non sono opinioni, ma fatti. Vincolanti? No. Assolutamente no. Ma che comunque non possono essere considerate aberrazioni. Poi le fonti andrebbero usate sempre, non solo ritenere validi il Tosi o il Garcia e non considerare affidabili le altre, perché altrimenti non c’è coerenza. Ognuno poi ha i suoi gusti e se ovviamente non è da “non udente” preferire un approccio tradizionale nell’esecuzione barocca, pure non è da “pirla” preferire un approccio più specialistico. Detto ciò – pur in tutto l’entusiasmo che uno può avere per le esecuzioni più attente alla ricostruzione filologica – negare il valore assoluto del barocco di una Horne è prima di tutto sciocco perché ci si priva, per puntiglio, di una testimonianza di bellezza. La musica e l’esecuzione musicale sono parte della storia e con essa si muovono: pretendere oggi che un’esecuzione di 80 anni fa sia rispettosa di prassi riscoperte in tempi recenti è insensato, così come è illusorio pensare di riproporre oggi certe modalità che avevano senso il secolo scorso. Però la musica non può essere ridotta a variabili matematiche o a mera esecuzione delle fonti: c’è ben altro dietro. C’è la libertà dell’interprete. E quindi la possibilità di tradurre con il linguaggio preferito il passato e offrirlo al presente. Il musicista non è un esecutore testamentario né la filologia può riportarci indietro nel tempo (eseguire Beethoven oggi, dopo che abbiamo sentito Schumann, Bruckner, Mahler, Berg etc…, non potrà certo essere uguale alle prime esecuzioni anche se si rispetta alla lettera la prassi d’epoca). Io non potrei mai neppure immaginare di stare senza la Nona di Furtwängler perché l’organico e i tempi scelti sono diversi da quelli originali: chi se ne frega! E così vale per il reso. Senza guerre di religione e con la libertà di apprezzare Gardiner e Klemperer, Sardelli e Böhm, Pinnock e Gould.
          Un appunto ad Acheloo lo devo fare però: l’Idomeneo di Pavarotti è tutto tranne che orribile ed il cantante non fa affatto una figura meschina, anzi…dimostra che con uno studio diverso avrebbe potuto dare molto più di quel che già ci ha donato. Del resto ho sentito recentemente degli Idomenei i cui protagonisti davvero erano orribili, e non perché “specializzati” o meno, ma perché semplicemente cantavano male.

      • A proposito di Fasolis e della sua presunta genialità in campo “barocco”. Anni fa gli chiesi come mai molti dei cantanti che eseguono oggi Monteverdi non sappiano eseguire il cosidetto trillo ribattuto. Trattandosi di specialisti mi pareva strano. Risposta di Fasolis: “perché quello è un dono naturale. O lo hai o non lo hai.” …..
        ..

        • Fasolis è un bravo direttore: con l’orchestra della RSI e con I Barocchisti ha fatto cose davvero egregie. E sicuramente è un musicista di grande competenza. Magari non avrà avuto voglia di risponderti… :-)

      • Caro Acheloo, personalmente avrei fatto esempi diversi nell’indicare gli interpreti del barocco specialistico. Detto ciò – e senza vuole fare il difensore di chi sa difendersi benissimo – nessuno sta negando che l’orchestra di Fasolis sia migliore di quella di Scimone, ma in un’opera come quella di Vivaldi il canto ha un’importanza decisiva. Io ho ascoltato quell’Orlando e qualcosa mancava: il protagonista (oltre ad un bel numero di arie tagliate da Fasolis).

        • Caro Gilbert-Louis,
          se vedi piu’ sopra, io sono il primo a dire che la Fenice poteva spendere quella tot mila euro di piu’ e scritturare un soprano decente per il ruolo d’Orlando: un Orlando senza Orlando non se puo’ sta a senti’…
          Pero’ in questi giorni proprio, al lavoro metto le cuffie e ascolto Orlando un giorno con Scimone e un giorno con Fasolis, ed oggettivamente propendo per il secondo (per il lato orchestrale).
          Sul lato cantanti: effettivamente non capisco perche’, nella odierna ricerca nel campo barocco, le orchestre siano sempre piu’ curate, e dal lato cantanti invece no. Eppure le accademie di belcanto ci sono, gli studenti anche. Non so cosa tu ne pensi sull’argomento.
          Su Scimone, non travisarmi: mi ricordo che quando ero bambino o poco piu’, alla fine degli anni ’70 ascoltare l’orchestra di Scimone era veramente un passo “ardito”, molto in avanti rispetto alle orchestrone che suonavano il barocco con una pesantezza insostenibile. Pensa che adesso e’ Scimone a fare la stessa impressione. I gusti cambiano, le ricerche vanno avanti, ed e’ giusto cosi’.

  7. Barocco 13, non mi sembra corretto offendere le opinioni altrui quando divergenti puntando sulla presunta età anagrafica, in ogni caso molto meglio la senilità quando questa indica competenza e difesa delle proprie opinioni piuttosto che atteggiamenti infantili come quello suo che ricorda più i bambini del nido, che dicono che la loro macchinina é la migliore del mondo e Di giocattoli si parla…quindi se vuole attaccare qualcuno lo faccia spiegando TECNICAMENTE perché la Prina é una straordinaria cantante lo vorrei sapere…grazie!

    • Chi non ha sentito niente e non ha alcuna cultura di storia del canto ( una cultura fatta di ascolti in disco in assenza di teateo ) non può argomentare, ma solo andare la Dove i media gli dicono di andare. Basta oralia dominguez, che non mi pare fosse una specialista di barocco, a far sembrare Sonia prima una dilettante sul piano tecnico.

    • Verissimo Nicola: ciascuno poi può dire quel che vuole e può avere le proprie preferenze senza essere tenuto a dare ragioni tecniche (che tutti noi non siamo certo specialisti, musicologi o ricercatori)…non siamo certo in un’aula d’esame! Però ci si astenga dall’insulto almeno. Noto che i fan di questo o quel cantante (grazie al cielo questo tifo da stadio non coinvolge chi ascolta musica sinfonica) la prendono subito sul personale e “danno di matto” manco gli avessi insultato un congiunto! Ho avuto una sgradevolissima esperienza simile quando mi azzardai a criticare la Devia (cantante che non mi dice nulla, ma proprio nulla di nulla). Sarebbe il caso di tornare coi piedi per terra.

      • Ho capito ma visto che barocco non fa altro che trattare gli altri come depensanti almeno spieghi meglio..ci illumini. La sola cosa che ha detto é stata Prina famosa. Brava. Voi non capite. Quindi ci sta che almeno spieghi meglio perché così sembra suo marito che la difende..

  8. Non ho assistito alla ripresa dell’Orlando veneziano e dunque non posso esprimermi sullo specifico evento ( sono al Met per la Cendrillon , opera squusita, di elegante fattura e proposta in un allestimento meraviglioso: trovo ingeneroso il giudizio di Duprez su Massenet, in particolare su questo Massenet ). Vorrei pero’ osservare che un’artista come la signora Prina, che ha alle spalle un curriculum di studi importante e una carriera internazionale consolidata potra’ legittimamente non piacere ma mai essere tacciata di dilettantismo. Non parlo ovviamente di chi scrive su questo blog ( che non ho il piacere di conoscere ) ma quando sento muovere accuse di dilettantismo mosse a professionisti (ovviamente passibili di critiche) da parte di dilettanti veri, cioe’ semplici appassionati magari senza studi specifici alle spalle ma unicamente ascolti e un po’ di Celletti a pappagallo, provo un po’ di sconforto.

    • Però, Gianmario, qui si sta parlando di una recensione ad uno spettacolo, non della carriera di una cantante, dei suoi studi o, peggio, della sua stessa persona. Sarà ciascuno libero di esprimere un’opinione? Francamente la prestazione della Prina in quell’Orlando (ho visto solo la ripresa video) mi è parsa largamente insufficiente. Punto. Amen. Ciascuno di noi, qui, ha una sua visione diversa e punti di vista differente su molte cose: mica per questo ci insultiamo a vicenda. Peraltro le critiche a quell’Orlando non sono certo isolate (critiche alla protagonista intendo, dato che per il resto il giudizio espresso è stato decisamente positivo).
      Su Massenet prendo atto di ciò che dici: tu riterrai pur “ingeneroso” il mio giudizio, ma trovo la musica di Massenet nauseante. A MIO GUSTO è vuota, zuccherosa, superficiale, brutta…e mi spiace, ma nessuno mi farà cambiare opinione: ci ho provato ad ascoltarlo, anche interpretato da mostri sacri, ma buttar tempo e denaro a teatro ad ascoltare quella roba lì, neppure se mi pagano…

  9. Gentile Barocco 13, non fraintendiamoci e non nascondiamoci dietro ad un dito, mignolo per giunta. Purtroppo o per fortuna oggi esiste la più grande portineria mediatica, che mai si possa immaginare (davanti alla quale Elsa Maxwell è una povera dilettante) ovvero Facebook e quindi il termine amore non era riferito all’opera. E siccome a quelli della Grisi non piace essere presi per i fondelli, atteso che mai lo fanno, mi sembra doveroso richiamare alla sincerità ed alla onestà ed al decoro e spiegare a chi ci legge il motivo dei suoi interventi. Personalmente aggiungo tutti quando amiano una persona, che è davvero la nostra metà non sopportiamo sentirla criticare, ma ahime, la legge del palcoscenico.. Mi creda con assoluta sincerità e fuori di ogni polemica, ma proprio per evitarle. Smb

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