Udite, udite, o rustici…

Schermata-2015-10-15-alle-11.42.02E’ rimbalzata nelle ultime ore sui media nazionali l’ultima iniziativa che coinvolge il teatro milanese e le altre fondazioni liriche italiche: un centinaio di biglietti a 2 euro riservati ai giovani dai 18 ai 25 anni per ogni titolo della stagione. L’iniziativa, di sicuro appeal giornalistico, è stata annunciata con l’enfasi consueta ad ogni avvenimento che coinvolga la Scala, e con il solito profluvio della retorica dell’avvicinamento dei più giovani ed inesperti alla cultura. Tuttavia, se si screma l’evento dalla panna montata di ipocrisie e marketing, non si può non considerare l’iniziativa sintomo ed effetto di quel provincialismo che ammorba la pseudo politica culturale nel nostro paese. Infatti non è certo regalando i biglietti che si avvicina il neofita al mondo della musica lirica, ma arricchendo l’offerta, sperimentando e svecchiandone il mondo. Chi oggi si fa bello degli spettacoli a due euro, viene dallo stesso ambiente di chi si è vantato d’aver trasformato il Regio di Torino in un teatrino di paese con programmazione solo italiana e solo di gran repertorio, ignorando completamente cosa sta accadendo nel resto del mondo conosciuto. C’è una retorica insopportabile in questo giovanilismo entusiasta e paternalistico: innanzitutto la presunzione che si debba a forza convincere gli adolescenti ad andare all’opera e, di conseguenza, “abbassare” l’offerta affinché il preteso principiante non si affatichi troppo (esattamente come chi si illude che le incursioni del Volo o di Bocelli “aiutino” la diffusione della lirica). E’ inutile girarci intorno: la musica colta ha un pubblico ristretto ed è normale che vada più gente ad un concerto rock che ad ascoltare Puccini o Mozart. E’ sciocco insistere sull’allargamento del pubblico: piuttosto ci si dovrebbe chiedere perché quello esistente preferisce andare all’estero o rivolgersi a piattaforme digitali o incisioni (e basta scorrere le decine di Traviate, Rigoletti, Barbieri e Tosche che infestano le nostre stagioni per farsi un’idea…). Mi verrebbe poi da dire che il target a cui è rivolta l’iniziativa della Scala a 2 euro, è lo stesso che – pochi giorni fa – si è messo in coda alle 4 del mattino per essere tra gli happy few a sorbirsi per primo le brodaglie dell’ultima fashion-fesseria milanese, ossia Starbucks, non avendo nulla in contrario a spendere 5 euro per un cappuccino al banco; ed è lo stesso che nel mese di dicembre si accamperà di fronte agli Apple Store meneghini e non, per accaparrarsi il già annunciato nuovo smartphone da 1.000 euro; ed è sempre lo stesso che si tagga sui social network di tendenza in ristoranti fighetti o cocktail bar esclusivi per aperitivi all’insegna del #berebene spendendo qualche centinaio di euro in miscele costose, piccioni arrostiti e bolliti non bolliti. Per quel che mi è stato dato di vedere, la maggior parte dei giovani che va alla Scala (“primina” compresa) non mi è mai apparsa ictu oculi rientrante nella categoria del povero studente: tra bizzarri capi di marca, accessori costosi e strumenti tecnologici di livello per “localizzarsi” su Twitter, credo che pagare 15 € per uno spettacolo sia più che sostenibile. Ma poi tutte queste iniziative si concentrano solo sull’opera…mai che si faccia qualcosa per i teatri di prosa che galleggiano sul filo dei conti e però fanno spettacoli splendidi per 11 mesi all’anno quasi tutte le sere; o per festival dimenticati e che con grandi sforzi si impegnano nell’offrire vera cultura (penso al Monteverdi di Cremona). E nessuno si sogna, ovviamente, di pensare alla musica sinfonica. Il mondo dell’opera in Italia – ridotto a folklore e tifoseria, con fan scatenati e gruppetti dedicati, cacciatori di selfie con il divo di turno e stalker da social – è solo autoreferenziale: non produce arte né cultura, ma solo fenomeni di costume (o evidenze psichiatriche). Apparenza, retorica, marchette…al prezzo di 2 euro. In fondo conviene: coi soldi risparmiati ci sta dentro un cioccofrappuccino con caramello salato nel bicchiere di cartone, magari da portarsi su in galleria per un selfie da scattarsi per FB.

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21 pensieri su “Udite, udite, o rustici…

  1. Davvero un inutile sproloquio, pieno di acrimonia. Giusto per criticare tutto, anche quando non serve.
    E allora ti dico una cosa. Quando da studente ho vissuto all estero ho assistito a molti spettacoli d opera di gran livello alla opera comique l ho fatto solo grazie ai mecenati che acquistavano anonimamente circa duecento biglietti per ogni spettacolo per giovani under 26. E oggi io stesso non avrei alcun problema a pagare di tasca mia il biglietto a studenti che, per definizione, non navigano nell oro. Lo troverei un dovere morale e che lo faccia lo stato mi sembra il minimo, visto che alla scala ci finiscono anche i miei soldi di contribuente.
    Naturalmente, chi non ha mai avuto fame non può capire l affamato. Fortune…..
    Un ultima considerazione: qual è il problema dell allestire certi titoli, diciamo, popolari? I titoli in sé ovvero la scarsa qualità dei cast? Perché se come io credo la risposta sia la seconda, allora la critica non regge, dovendosi piuttosto pretendere la qualità a prescindere dal titolo, più o meno raro in repertorio. Certo, alla scala e alla fenice ultimamente si esagera…

    • francamente da studente non navigavo nell’oro come dici tu, ma il fatto che l’ingresso di loggione costasse una cifra rilevante per le tasche dello studente mi ha aiutato a capire il valore del denaro, a pensare alla gestione dello stesso a fare scelte ed alla bisogna anche sacrifici. Il tutto molto educativo, credi.
      Nessuno ce l’ha con i cd titoli popolari, ma chi propone deve sapere equilibrare le cose. Nessuno sogna i festivals Moussorsky, che inflisse la gestione Abbado, o quelli Janacek, dal sapore di rieducazione sovietica che ci propinò Lissner, ma basta guardare le stagioni Rai sino agli anni ’70 per capire cosa voglia dire fare cultura o almeno provarci.

      • Festival Musorgskij fatto GIUSTAMENTE e DOVEROSAMENTE nel primo centenario della morte e che ha impiegato solo un paio di mesi. Abbado ha fatto una volta sola Boris e di Janacek sono state allestite 4 opere in 8 anni. Purtroppo invece ci hanno propinato Rigoletto con cadenza biennale e il Requiem di Verdi 2 volte l’anno. La Scala deve svecchiare il repertorio e pensare che esiste altro al di fuori del melodramma. Francamente trovo più gravi altre mancanze che l’assenza di Semiramide. E per quanto riguarda il verismo e dintorni un titolo all’anno è più o meno sempre dedicato. Del resto i titoli in stagione restano pochi e a Milano non ci sono altri luoghi dove si fa opera. Il problema è però generalizzato in tutta Italia dove vengono ignorati totalmente il barocco, il ‘900 storico, l’opera contemporanea ed il revival del grand opera che (pur con difficoltà realizzative sta conoscendo una vera rinascita ovunque tranne che da noi). Con stagioni da provincia e titoli da politeama estivi non si va da nessuna parte. L’opera va tolta al folklore dei melomani e restituita al teatro musicale.

        • Verissimo però occorre pensare che quando Muti propose Europa riconosciuta e la Vestale o in genere opere che discostano dal repertorio consuetudinario una parte del pubblico non fu così contento. Bisogna trovare secondo me il giusto equilibrio tra le epoche storiche e le esperienze misicali (tradizioni o scuole che siano) e a parer mio l’attuale direzione si sta muovendo in tal senso con calma e prudenza (Strauss ad esempio non si vede molto alla scala, Govachinska, scusate ma non ho la trascrizione esatta sotto mano, non ricordo nemmeno se sua stata mai fatta).

          • Covancina è già passata a Milano (certo non spesso come merita e infatti non me la perderò), tuttavia bisognerebbe anche fare una tara su certe leggende: la programmazione scaligere è sempre stata e sarà sempre piuttosto tradizionalista e i pochi titoli “rari” sono stati semplicemente occasionali. C’è sempre chi si lamenta. Chi se ne frega però. Anche perché non lo prescrive il dottore di andare a vedersi tutti gli spettacoli della stagione. Se tra un Verdi e un Rossini di repertorio ci si inserisce Vestale o altro ben vengano. E chi si lamenta se ne farà una ragione, anzi – meglio – potrà risparmiare i soldi del biglietto. Il problema è l’impigrimento del pubblico scaligero e italiano in genere per cui già proporre Rosenkavalier o Fidelio è una ricercatezza azzardata. Non è sempre stato così, anzi… Però oggi più che mai le stagioni sono identiche e propinano solo melodramma o belcanto. Il pubblico si rinnova anche rendendo più interessante la programmazione e se quattro vecchi protestano peggio per loro: oggi non è accettabile che un teatro di importanza nazionale utilizzi tre quarti del cartellone per il repertorio più popolare. Per questo c’è la provincia (dove magari invece si osa di più). Ma poi chi lo dice che in Italia si debba fare solo Verdi o Rossini? A Roma hanno appena fatto un Billy Budd da tutto esaurito, ovunque si fa barocco i biglietti si vendono…forse il problema è circoscritto. Va benissimo agevolare, ma per cosa? Per vedere l’ennesimo Rigoletto? Forse sarebbe bene differenziare maggiormente i costi dei biglietti per titolo ed aumentare quelli degli spettacoli di repertorio per agevolare i titoli più rari. Sarebbe interessante. Che poi il problema non è ridurre da 12 a 2 euro una manciata di biglietti in galleria, ma ridefinire il sistema. Quanto al folklore purtroppo è sempre presente…anzi molto più di prima. Purtroppo sembra quasi che il genere operistico non appartenga alla categoria della musica, ma all’intrattenimento d’arte varia con pubblico affetto da culto del divo.

        • ogni evento deve essere contestualizzato. La over dose di Musorgskij venne propinata la pubblico scaligero in un periodo in cui Rossini era ridotto a tre titoli comici, di Verdi reiette e derise come robetta da Italietta trilogia popolare, Forza del destino e primo Verdi, il Verismo era un prodotto fecale e nella migliore delle ipotesi sdolcinato e melenso (puccini che ha scritto Trittico e Fanciulla e che era un prediletto di un direttore ritenuto vate per il vate allora in carica, leggi MItropoulos ed Abbado) oppure in odore di sicuro fascismo (Mascagni e Giordano) degli autori fra Verdi e Puccini non si doveva neppure pensare di parlare, Donizetti e Bellini due/tre opere in due, opera barocca, che schifezza è quella della Controriforma e così ce l’hanno scippata i falsi castrati. E posso anche andare avanti. Ed in questo clima da dittatura culturale avremmo dovuto esultare per la opere di Modesto. ‘Sto cazzo!!! Erano ignoranti ed ideaologizzati quelli ed hanno trascinato nel baratro della “grassa” ignoranza il dopo. Vergogna!

    • “Sproloquio” tienitelo per te, grazie. Circa i benefits per studenti è evidente che non frequenti da tempo quel mondo. Nulla in contrario ad agevolazioni, ma tale sciocco sbandieramento è solo retorica: probabilmente quando eri studente tu i tuoi coetanei non buttavano denari come accade ora. Ma hai mai visto i partecipanti della “primina”? Hai mai fatto un giro tra gli adolescenti fighetti milanesi? La politica dei biglietti deve essere rivista in toto e non con queste finte elargizioni. Perchè non fare convenzioni con scuole o università ad esempio? E poi perchè solo l’opera?Circa i titoli popolari, invece, la risposta è la prima: allestire solo titoli di strarepertorio ha contribuito e contribuisce all’invecchiamento e rimbecillimento del pubblico italico…

      • Io ho 21 appena compiuti. Sono andato alla primina della Giovanna e di Bitterfly. Secondo me sono, dal momento che non navigo nell’oro, ben giustificate e sagge proposte come la priming e l’abbonamento under30 perché è un buon modo per il teatro per aprirsi a giovani. Vero che ci sono i fighetti alla primina ma non credo così molti, da quanto io ho visto, perché sostengo che svegliarsi presto e, come nel mio caso, prendere il treno da Padova il giorno prima per iniziare a fare la fila alle tre/quattro per il biglietto non sia da loro. In merito alla recente proposta è sicuramente bella, comprendo che taluni possano avere dei dubbi ma ritengo che la scala non sia un teatro che, per l’attuale direzione artistica, possa cadere nel solito banale repertorio italiano o straniero. Lo dimostra la prossima stagione. Lo so che Attila alcuni non lo ritengono titolo da prima però a me piace molto il percorso che c’è alla base promosso da Chailly. Buono sempre secondo me anche proporre Strauss sul piano tedesco che non è così scontato in Italia. Vero che proporre Handel con la bartolii è commerciale però solo di recente e pochi teatri stanno riprendendo il grande tedesco. Ogni però è l’obero di avere la propria idea.

          • Iris, Amico Fritz, Mignon…francamente stanno bene nel dimenticatoio dove stanno. Favorita e Poliuto se li programmassero saresti il primo a criticarli. per tacere di Semiramide. Quindi?

  2. Questo ben dici il Rossini serio e il
    Donizetti al di fuori delle regine tudor è assente ormai da tempo e infatti per la prossima stagione ci speravo su un gran titolo (se potessi ardire direi Guglielmo dato l’ottimo disco di Chailly). Ci però numerose variabili che entrano in gioco con le opere del primo ottocento (soprattutto circa le voci adatte) e la direzione ha fatti le sue scelte. Secondo me ha preferito non mettere per il momento mettere troppa carne al fuoco. C’è al momento concentrazione sul giovane Verdi e su Puccini però, se non sbaglio, la giovane scuola è già in programma, Bellini forse anche. Senza fretta si procede di solito meglio, vedremo.

  3. In tutte le nazioni di grande tradizione musicale – eccetto l’Italia – si incoraggia la formazione del pubblico del futuro anche ( ma non solo ) con la lodevolissima iniziativa dei biglietti a basso costo. Non è un caso che i teatri italiani siano vistosamente quelli con minore presenza di pubblico giovane, ulteriore sintomo del declino economico-culturale della nazione. Certo non è sufficiente rendere accessibili economicamente i biglietti , ma perché opporsi? Mi risulta completamente incomprensibile ( e forse leggermente patologica ) l’avversione a tale iniziativa. Vorrei rassicurare qualcuno: da noi i melomani sono una categoria ormai in via d’inesorabile estinzione: con essi va estinguendosi il relativo folklore ( ma non mi sembra che da ciò si potrà trarre gran giovamento se non quello di rimanere esenti dalla perenne lagna – loro carattere distintivo – intorno alla qualità delle prestazioni canore appena ascoltate ). D’accordissimo invece sul fatto che i teatri nazionali indulgano stucchevolmente sui soliti titoloni di repertorio: una vergogna fomentata dalla pigrizia e dalla inettitudine del pubblico patrio. Né con ciò vorrei fare l’incondizionato elogio di quello straniero: fuori d’Italia ho visto applaudire con entusiastico furore – anche in teatri di gran nome – spettacoli di efferata bruttezza.

  4. Condivido in pieno con Duprez. La scala però bisogna ammettere ha fatto passi in avanti rispetto le precedenti direzioni post Muti dove tedesco significava Wagner e Mozart e italiano il Verdi più popolare. Sarebbe interessante riprendere la grande tradizione del grand opéra (1auanto vorrei una prima con il guglielmo tell senza tagli o gli ugonotti) e insieme al barocco anche il neoclassicismo di fine settecento di cimorosa e paisiello.

  5. Rispondo qui a Domenico Donzelli perché altrimenti la risposta non sarebbe più leggibile. E dico che mi pare che sia una visione troppo pregiudiziale (dovuta all’evidente e personale idiosincrasia verso Abbado). Proprio contestualizzando il mini (davvero “mini” perché durato un paio di mesi) festival Musorgskij era più che giustificato. E siccome non lo prescriveva il medico (allora come ora) di andare alla Scala ad ascoltare ciò che non piace, si poteva benissimo evitare. Ridurre quel periodo a Musorgskij è mala fede, anche perchè – cronologia alla mano – anche in quegli anni erano più che presenti Mozart, Verdi, Puccini, Rossini, Bellini, Donizetti etc… Sul Rossini serio – evidente tuo riferimento musicale, ma che non per questo vale più di altri autori – però ci sarebbe da intendersi, dato che in quegli anni come ben si sa la riscoperta del repertorio serio era appena agli inizi grazie a quella filologia che tanto aborri. Di Verdi erano eseguite le opere maggiori e migliori (che i “sapienti” intenditori tuttavia si permettevano di fischiare contestando Kleiber o Karajan…roba da TSO), così come di Puccini. Il Verismo, allora, non aveva corrispondenza nei gusti del pubblico dopo che nei decenni precedenti era onnipresente: succede. Di Donizetti e Bellini si facevano le stesse opere che si fanno ora, quindi non vedo il problema. E per il barocco i tempi non erano maturi (dato che era ed è improponibile eseguirlo come se si trattasse di melodramma). I tempi si evolvono e cambiano i repertori. Oggi trovo che francamente ci sia un’offerta infinitamente minore ed una ignoranza assai più diffusa. Non programmare Semiramide mi sembra che ancora non sia stato inserito come reato nel codice penale.

    • continui a non voler capire. Abbado non piace tanto quanto Muti nel senso che mi lasciamo assolutamente indifferente e se penso al direttore d’orchestra per quanti sforzi faccia non riesco a pensare a loro. Il punto è che in tempi in cui era essenziale per essere a la page criticare e snobbare propinare con un sussiego che non hai visto per motivi anagrafici come cultura poche cose era allora indisponente ed oggi conferma che erano loro e non solo (se ti può consolare) alquanto limitati e ligi alle ideologie non agli ideali.

  6. Francamente, tirare fuori una polemica del genere per pochi posti dati a due euro è incomprensibile e specioso, lo dico da insegnante.
    Che la cultura si debba pagare, è chiaro, perché altrimenti se ne perde il valore; che si debbano fare dei percorsi didattici per gli studenti è altrettanto evidente: non tanto perché occorra diffondere la cultura musicale – al contrario di quello che pensano molti – ma perché la musica lirica fa parte della cultura italiana e ogni cittadino del nostro paese, sia egli di origine italiana o straniera, ha il diritto/dovere di conoscerla, perché è parte essenziale della nostra cultura, come la conoscenza di Dante, Giotto o Michelangelo. Poi sceglierà ciascuno la colonna sonora della propria vita e se Abbado è meglio o peggio di Karajan. A questo servono i progetti delle scuole – anzi, a questo serve la scuola, a formare il cittadino italiano ed europeo, non il melomane – il resto sono discorsi da bar.

    • Finalmente un saggio intervento.
      Sembra che in ciascuno di noi italiani si nasconda un allenatore di squadra di calcio o, in alternativa, un direttore artistico di teatro lirico.
      Meglio sarebbe dedicare la stessa competenza, intelligenza ed energia a evitare – ad esempio – che gli insegnanti dei nostri figli fossero trattati come pezze da piedi.

  7. Duprez, arrivo un po’ in ritardo a scrivere che è meno giusta la tirata contro i fighetti milanesi che quella sulla cattiva programmazione dei teatri italiani!
    Infatti non basta la presenza di qualche fighetto milanesi per chiudere o per giudicare queste iniziative didattiche. Ricordo che andavo in Scala con l’abbonamento per under30 (tre opere a pochi soldi) e che l’iniziativa mi fu utilissima. Come Cherubini prendevo il treno da Padova, e la prima volta al Teatro alla Scala ho ascoltato e visto un Don Giovanni (quello in cui donna Elvira entrava in scena in vespetta, vi ricorderete) che faceva così schifo da essere davvero molto istruttivo: ho imparato come opere artistiche bellissime possono essere facilmente banalizzate e rese spiacevoli, come bisogna spendere con attenzione i soldi per l’opera, come bisogna provare a fare qualcosa perché certi spettacoli capitino il meno possibile.
    E sono convinto questo lo si faccia dando a tanti giovani la possibilità di ascoltare e di imparare qualcosa, anche dando i biglietti a due euro, favorendo così chi di soldi ne ha un po’ meno…

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