Sorella Radio: Fervaal di Vincent d’Indy a Montpellier

È in Occitania, nella splendida Montpellier, che si è scommesso sulla riproposizione in forma di concerto di un’opera assai rara del repertorio francese, Fervaal di Vincent d’Indy (1851-1931). Rappresentata per la prima volta alla Monnaie nel 1897, Fervaal non godette di grande fortuna e non entrò mai stabilmente in repertorio. Le ragioni non sono certo da ricercarsi nella scarsa simpatia che l’autore (monarchico, conservatore, antisemita, schierato contro Dreyfus) suscitò nelle generazioni successive, ma nell’eccessiva dipendenza dal modello wagneriano, seppur declinato “alla francese”.

Fervaal è opera in un prologo e tre atti imbevuta di cultura tardoromantica e di estetica musicale wagneriana, ma che palesa anche evidenti debiti nei confronti del connazionale Berlioz – specie nell’uso coloristico dell’orchestrazione – e, in misura minore, del sempre negletto Meyerbeer. Il libretto, spesso verboso e pretenzioso, è opera dello stesso d’Indy che si ispirò a “Axel” dello svedese Esaias Tegnér, cui apportò sostanziali modifiche. D’Indy trasforma Axel – soldato scandinavo al servizio del re, innamorato della giovane Marie e costretto al suicidio al termine dell’opera – in Fervaal, unico superstite della stirpe risalente alle Nubi, le antiche divinità celtiche, nonché eroe casto e puro cresciuto dal druido Arfagard; proprio quest’ultimo ha ravvisato nel giovane colui che, se si preserverà casto, sarà eletto brenno dalle popolazioni celtiche e farà rinascere Cravann e gli antichi culti. La vicenda, dunque, viene trasporta da d’Indy in Gallia, ove i Celti lottano contro i temibili saraceni guidati dalla fanciulla guerriera Guilhen che, dopo aver soccorso Fervaal ferito nel prologo, lo cura, lo ospita e finisce per innamorarsi, ricambiata, dell’eroe. Nonostante Arfagard riesca a convincere Fervaal ad abbandonare Guilhen per adempiere al suo destino, neppure l’evocazione di Kaito, antica divinità celtica, renderà chiaro al druido che tutto è perduto per i celti, dal momento che Fervaal, pur essendo stato eletto brenno come vaticinato dalla profezia, ha violato il suo voto di castità. L’ultimo atto dell’opera è ambientato tra le innevate montagne della Gallia, imporporate dal sangue dei due eserciti battutisi fino alla morte, proprio su queste cime Fervaal ritrova la morente Guilhen dopo aver ucciso Arfagard, estremo ostacolo al ricongiungimento con la donna amata. Preso atto dell’imminente fine delle divinità celtiche, il giovane si avvia sulla vetta della montagna portando tra le braccia Guilhen in un’apoteosi mistica in cui risuona il canto gregoriano del Pange Lingua che prefigura l’avvento della nuova religione di salvezza e luce, il Cristianesimo. Epos, anelito mistico verso il trascendente, nazionalismo, queste le tematiche principali di Fervaal.

Venendo all’opera, numerosissimi sono i punti di contatto con la musica, le simbologie, le tematiche tanto care a Wagner, di cui d’Indy era devoto ammiratore. Se del libretto si è già detto, per quanto concerne l’aspetto musicale Fervaal si presenta come un lavoro di indubbio interesse, ma di ispirazione alterna: funzionale, lineare, efficace il breve prologo, ineguale il primo atto, che risulta inutilmente prolisso e piuttosto incolore nella lunga scena tra Fervaal e Arfagard con le sue rivelazioni, ma si riscatta con una scena d’amore tra l’eroe e Guilhem in cui la melodia si fa languida e passionale; il secondo atto, quasi interamente corale, non presenta grandi trovate melodiche e risulta plumbeo nella sua monumentalità, toccante e sicuramente più ispirato il terzo atto, non solo monumentale, ma a suo modo grandioso e toccante.

Onesta e professionale pur senza momenti di genio la direzione di MIchael Schonwandt, che si sforza di conferire coesione all’opera, di guidare i solisti e le masse corali di mantenere alta la tensione anche nei momenti più deboli e prolissi; buona l’orchestra, molto sollecitato il coro, corretto, ma in alcuni momenti del primo e del secondo atto meno incisivo di quanto sarebbe stato opportuno. Il cast prevede tre sole parti da protagonista Arfagard, Giulhem e Fervaal, che ha il ruolo preminente, circondate da numerosi personaggi di contorno interpretati da artisti che hanno contribuito positivamente alla buona riuscita dell’opera senza particolari menzioni di merito o demerito. L’anello debole è stato l’Arfagard di Jean-Sébastien Bou che, nonostante le buone intenzioni e l’ottima dizione, manca dell’ampiezza e dell’autorevolezza per dare risalto alla parte del rigoroso druido celtico: il cantante soffre nelle note estreme sia in acuto, perché la voce va indietro, sia nei gravi, deboli e incerti, e fallisce nel far emergere il lato profetico e mistico del personaggio, oltre che nel valorizzare la sua lunga narrazione del primo atto. Convincente, di contro, la Guilhem di Gaëlle Arquez, certamente soprano e non mezzo come lei stessa sostiene: la voce, seppur penalizzata da un timbro non spiccatamente personale, è piuttosto sonora e ben emessa specie nella fascia medio acuta, la scrittura centrale la agevola e solo nelle noti gravi vi sono difficoltà; la dizione è ottima e anche le intenzioni, anche se la parte di donna innamorata le è sicuramente più congeniale di quella di donna guerriera o erinni.

Trionfatore della serata, infine, è Michael Spyres che affronta con quella “ingenua entusiastica pazzia”, suo tratto caratteristico a mio avviso, il pesantissimo ruolo di Fervaal. La lunghezza della parte e la scrittura marcatamente centrale con frequenti incursioni in acuto (anche estremi come nel Hogué di guerra) mettono alla prova la resistenza del cantante americano, che mostra qualche segno di cedimento solo nella fine del secondo e del terzo atto. Si tratta di una prova maiuscola vocalmente e interpretativamente che denota studio (la dizione, ad esempio, è eccellente) e dedizione ragguardevoli. La voce è bella, robusta, sana, a suo agio più nei centri e nei gravi che negli acuti, sempre risolti, ma più piccoli e non sempre ben sfogati a causa della tessitura gravitante al centro. L’interprete convince tanto nella lunga scena d’amore del primo atto, quanto nel disperato, trasognato, mistico terzo atto, mentre rivela qualche limite nei momenti puramente eroici del secondo atto. In chi scrive, seppur ammiratore di Spyres, resta un dubbio: non saranno eccessivi gli sforzi a cui il cantante sottopone la sua voce? Certamente questa presa di ruolo indica la precisa volontà di Spyres di cambiare o perlomeno ampliare in una direzione ben definita il repertorio, virando verso ruoli prettamente drammatici, tra cui Tristan, un obiettivo già dichiarato dal cantante. Pazzo assennato o pazzo scriteriato? Si vedrà.

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CAST:
Michael Schonwandt, direttore

Michael Spyres (ténor), Fervaal
Gaëlle Arquez (mezzo-soprano), Guilhen
Jean-Sébastien Bou (baryton), Arfagard
Elisabeth Jansson (mezzo-soprano), Kaito
Nicolas Legoux (basse), Grympuig
Eric Huchet (ténor), Lennsmor
Kaëlig Boché (ténor), Edwig
Camille Tresmontant (ténor) 4ème Paysan, 1er Paysan sarrazin, Chennos
François Piolino (ténor), Ilbert
Rémy Mathieu (ténor), Ferkemnat, Moussah
Matthieu Lécroart (baryton), Geywihr, 5ème Paysan
Eric Martin-Bonnet (basse), Penwald, Buduann
Pierre Doyen (baryton), le Messager, 3ème Paysan, 2ème Paysan sarrazin
Jérôme Boutillier (baryton), 1er Paysan, Gwellkingubar
Anas Seguin (basse), Berddret
Guilhem Worms (baryton-basse), Helwrig
François Rougier (ténor), 2ème Paysan, Le Berger, Le Barde

Choeur de la Radio Lettone
Choeur de l’Opéra national de Montpellier Occitanie
Orchestre national de Montpellier Occitanie

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