Il mito del primo uomo: Nemorino

Perché solo primedonne? L’opera è fatta in egual misura di primedonne e primi uomini che, per tradizione, si combattono sul palcoscenico i favori del pubblico a suon di acuti piuttosto che di filature e messe di voce.

Se Violetta Valery è un personaggio che quasi tutti i soprani hanno cantato e possono cantare per i tenori analogo ruolo lo svolge Nemorino, il contadinello pensato da Donizetti e Romani, sulla falsa riga di Auber e Scribe. Quasi tutti i tenori in carriera, sin dall’origine, dell’opera sono stati attratti dal mite e remissivo ragazzo, vittima, per amore di una capricciosa fittajola, dapprima di ciarlatano, che gira per i paesi circumvicini e, poi, di uno smargiasso sergente rivale in amore. Poi come in tutte le favole il lieto fine, propiziato dalla morte, in città (verrebbe da dire a Bergamo, tanto della sua terra vi trasfuse Donizetti), del ricco zio di Nemorino.
Per altro basta guardare la scrittura vocale per rendersi conto che, con poche esclusioni, il ruolo possa essere ora di tenori di colore chiaro, dolce e limitato volume ora di tenori di voce scura ed anche possente. A condizione generale di sapere cantare con morbidezza e rotondità sulla zona cosiddetta del passaggio di registro. Questo oggi, ossia dal 1900 in poi perchè fu Caruso, particolarmente il tardo Caruso a donare a Nemorino un peso ed una possanza vocale che sino ad allora gli erano stati estranei.
Andiamo con ordine:
a) la scrittura vocale. La parte è assolutamente centrale, prevede rarissimi ed elementari passi di agilità (qualche terzina) al duetto con Adina, optional di tradizione la volata al si bem di “Dulcamara volo tosto a ricercar” e la cadenza della “furtiva lagrima”. E’, però, tutta sul passaggio di registro ed abbonda di indicazioni come i “con passione” e “legato” dell’incipit del finale primo “Adina credimi”, sino alle reitarate indicazioni di piano, pianissimo, e di esecuzione di legature davvero lunghe nella pagina più famosa dell’opera.
In fondo Donizetti con Nemorino inventa una nuova tipologia vocale, perché Nemorino nasce dalla semplificazione vocale dei personaggi di mezzo carattere dei melodrammi rossiniani, quali Lindoro di Italiana, Giocondo di Pietra del paragone e Giannetto di Gazza Ladra. Per certi versi il suo progenitore più diretto è Paolino del Matrimonio segreto.
Nemorimo, privo di difficoltà vocali insormontabili, tipiche della vocalità belcantistica anche nell’opera comica o di mezzo carattere (vedi il già citato Lindoro), sembra addirittura presagire quella dei tenori cosiddetti di grazia fra ‘800 e ‘900 tanto è che tutti i grandi interpreti di Massenet, di Nadir dei Pescatori e di Rodolfo di Bohème ebbero stabile in repertorio Nemorino.
b) Conseguenza della scrittura vocale il fatto che tutti i grandi tenori dell’800 cantassero Nemorino. Uno dei più famosi fu Mario, che affrontò il ruolo a Parigi nel 1840 agli Italiani con il solito cast di star che connotava gli spettacoli di quel teatro. Anzi per quell’edizione Donizetti medesimo approntò un finale alternativo e ampliò la parte di Adina per la divina di turno, che era la Tacchinardi Persiani.
Come cantasse Mario e tutta la schiera dei Nemorino sino ai primi del’900 non lo sappiamo. La registrazione di Fernando de Lucia, però, può essere illuminante della prassi esecutiva. Qualcuno potrà parlare di libertà e di arbitrio con i rallentando e gli accelerando seminati quasi in ogni battuta; io credo, invece, che si tratti di una realizzazione, prima che vocale, di grandissima interpretazione, perché nessun Nemorino è ingenuo e naif come de Lucia. Ingenuo e naif è poi quello che richiede l’autore.
I panni di Nemorino furono indossati da tutti i grandi tenori di grazia fossero appunto Mario, Moriani, Guasco, Naudin (che, però, praticava anche il grand-opéra) sino a cantanti alle soglie del secolo come Masini, Stagno e Marconi.
In fondo evitarono il personaggio solo tenori cosiddetti di forza, quelli che in Domenico Donzelli vedevano il loro prototipo (per intenderci Tamberlick, Tamagno, in area italiana, Affré ed Esclais in area francese).
c) La tradizione interpretativa fu quella e per il pubblico Nemorino doveva sospirare e languire (uso parole del testo poetico riferite al personaggio, non a caso). Deviazioni non erano ammesse, tanto è che a Napoli nel 1902 Caruso venne, nel nome di Fernando de Lucia, pesatemente riprovato nella parte. Chi ascolta la registrazione del duetto del secondo atto con Belcore (un’esemplare Giuseppe de Luca) percepisce come a fine carriera – anno 1919 – il più celebrato tenore del tempo avesse difficoltà a cantare nella zona di passaggio e quindi come quel Nemorimo fosse molto poco vicino alle indicazioni dell’autore ed alla poetica del personaggio.
Dopo Caruso quasi tutti i tipi vocali vennero “sdoganati” e ritenuti idonei a cantare Nemorino. Basta sentire tenori di ampio tonnellaggio e ben altro repertorio come Lázaro, Pertile e Tucker, dei quali il solo Lázaro cantò l’opera in teatro.
Però il modello assoluto ed ineguagliato rimase Tito Schipa. Spartito alla mano non c’è una indicazione dinamica che il tenore leccese non rispetti e spesso non amplifichi. Nell’ “Adina credimi” l’equilibrio fra l’indicazione di “legato” e quella di “con passione” è resa con equilibrio assoluto e, ritengo, irripetibile. Nemorino non è più l’ingenuo ragazzo diviene il giovane innamorato colpito nel profondo dei sentimenti. Qualcuno (grande ammiratore di Schipa, ma per nulla incline a peana e santificazioni come Rodolfo Celletti) ha parlato con riferimento a quest’esecuzione di “poesia”.
E l’esattezza del tenore cosiddetto di grazia nel ruolo è confermata da due grandissimi di scuola russa facenti parte della schiera dei tenori di grazia Smirnov e Lemeshev. Sia chiaro non hanno nulla a che vedere con i tenori dalla voce bianchiccia e dai suoni mal fermi, che nell’ultimo mezzo secolo sono stati etichettati tenori di grazia. Erano tenori che cantavano Tosca, Adriana, Traviata, Lucia, Fra’ Diavolo, Manon, Werther, Faust e Romeo di Gounod. Sono, però, voci chiare, molto dolci, ma timbratissime e di una assoluta saldezza nella zona, ove Nemorino deve esprimersi e deve avere una dinamica praticamente illimitata, pena un’esecuzione piatta, metronomica e, alla fine, noiosa.
d) L’effetto Caruso su Nemorino. Forse sarebbe più corretto chiamarlo effetto verismo su Nemorino, ovvero avere ritenuto Nemorino parte non esclusiva per tenore di grazia. Chi ascolta le registrazioni parziali di Lázaro, Pertile e Tucker nulla può eccepire sulla resa vocale ed interpretativa. L’attacco della “Furtiva lagrima” di Tucker è estatico, pur con una voce corposa che “galleggia” sul fiato, rispetta le indicazioni di legato previste dall’autore, sa cantare piano e forte, fra l’altro con un’autentica pienezza e turgore vocale, senza però che la voce, da tenore lirico spinto (la registrazione è un concerto del 1970, quindi Tucker era oltre i cinquant’anni e frequentava da tempo ben altro repertorio) svisi il personaggio e le indicazioni dell’autore. E lo stesso accade con Lázaro dotato del timbro lucente e squillante da tenore de espada, piegato alle sfumature che lo stupore del personaggio dinnanzi all’amata impongono alla sortita. Ma c’è l’effetto negativo Caruso e più che Caruso vorrei dire Di Stefano, di cui volutamente abbiamo evitato ascolti. Ossia un Nemorino che al di là di una voce di buona quando non di eccelsa qualità naturale siccome la parte è facile canta a squarcia gola, con dinamica limitata fra il forte ed il mezzo forte e per insipienza tecnica spacciando suoni indietro e falsettanti per mezze voci. Insomma tutto ciò che Nemorino non deve essere perché ogni realismo a partire dalla voce grezza e non affinata e stilizzata dalla tecnica è un assoluto controsenso antidonizettiano.

Gli ascolti

Donizetti: L’Elisir d’amore

Atto I

Quanto è bella, quanto è caraHipólito Lázaro (1926), Beniamino Gigli (1953)

Chiedi all’aura lusinghieraBeniamino & Rina Gigli (1953)

Obbligato! ah sì, obbligatoFernando de Lucia & Ernesto Badini (1907)

Adina credimiTito Schipa (1928)

Atto II

Venti scudiEnrico Caruso & Giuseppe De Luca (1919)

Una furtiva lagrimaEnrico Caruso (1904), Tito Schipa (1929), Beniamino Gigli (1933), Dmitri Smirnov (1910), Sergei Lemeshev (1950), William Matteuzzi (1987), André D’Arkor (1931), Hipólito Lázaro (1926), Richard Tucker (1970), Cesare Valletti (1953), John McCormack (1910), Joseph Schmidt (1931), Alain Vanzo (1968), Aureliano Pertile (1929)

7 pensieri su “Il mito del primo uomo: Nemorino

  1. Noto che non citate né Pavarotti né Alfredo Kraus,che sono stati rilevanti interpreti della parte,e mi piacerebbe conoscere il vostro giudizio in merito.Manca anche un illustre Nemorino del passato come Ferruccio Tagliavini.
    Saluti

  2. Il Nemorino di Pavarotti mi è sempre piaciuto molto. Voce perfetta per il ruolo (e per Donizetti in generale) e, quando ben guidata, capace di rendersi duttile alle tante esigenze espressive della partitura. L’unico appunto che può muoversi è che, forse, manca un pò di quell’abbandono malinconico che la parte suggerisce (in tal senso i più completi rimangono per me Schipa e Valletti).

  3. Io invece devo confessare che non sono un ammiratore del Nemorino di Pavarotti. La voce è ovviamente bellissima, forse una delle più belle mai udite in questo ruolo, ma l’interprete lo trovo di una genericità e di una piattezza sconfortante.

    Quanto alla scelta degli ascolti, abbiamo cercato di proporre non solo i Nemorini “proverbiali” ma anche quelli un po’ meno noti e si è resa necessaria una severa selezione. Manca anche un Nemorino non meno rilevante di Kraus e Tagliavini: parlo naturalmente di Carletto Bergonzi.

  4. siccome sono io il reprobo ritengo di dare qualche chiarimento.
    ho evitato di proposito i Nemorino più famosi ossia Tagliavini Pavarotti, Kraus e Bergonzi. E li ho omessi perchèlo scopo era proprio quello di proporre qualche riflessione sul personaggio, sulla sua vicenda interpretativa e su alcuni Nemorino nonproprio consueti come i quattro sopra citati.
    Se devo poi dire la mia dei quattro ne ho sentiti in teatro due ossia Kraus e Pavarotti.
    Che Kraus tenore contraltino dalla prima ottava piuttosto limitata non gradisse il ruolo è abbastanza evidente e se fu un Ernesto strepitoso fu un Nemorino di grandissima classe,ma molto Alfredo Kraus.
    Quanto a Pavarotti nel 1971 era splendido la voce bellissima e sonora di grande qualità riempiva la Scala. Nel 1979 cominciava già ad essere Pavarotti nel senso negativo del termine il che significa voce sempre bellissima, ma accento generico e recitazione esagitata nel fare lo sciocco del villaggio. Poi dai video o dai nastri sempre più Pavarotti.
    Aggiungo che dinanzi a tre monumenti come de Lucia, Schipa e anche Gigli (che pure nel 1951 faceva un po’ troppo Gigli) è difficile per non dire impossibile reggere il confronto

  5. Donzelli,noto sempre piú che abbiamo le stesse orecchie,e mi fa piacere.Comunque,secondo me,il Nemorino piú completo delle edizioni integrali é Valletti nell´incisione Cetra.Tutti gli ascolti sono interessanti tranne,a mio avviso,Pertile,che da una bella lezione di canto ma col personaggio ha poco o punto a che vedere.
    Saluti

  6. Eh sì…su Valletti sono assolutamente d’accordo. Il suo “Adina credimi”, la “Furtiva lagrima” col tempo staccato da Gavazzeni (lento, lento, ma non trascinato…) e l’abbandono allo stesso tempo ingenuo, malinconico e speranzoso di “Ah! Dottor, vi do parola ch’io berrò per una sola: nè per altra ,e sia pur bella, nè una stilla avanzerà”. Da altri cantanti non ho sentito mai altrettanto…. Davvero un’edizione (quella CETRA) di assoluto riferimento (salvo l’insipida Adina…)

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