I venerdì di Mancini (in ritardo). Impariamo ad ascoltare: Fernando de Lucia in Rigoletto

Torniamo ad omaggiare l’arte di Don Fernando de Lucia per riparare alle infamanti mistificazioni storiche e artistiche con cui l’illustre tenore napoletano è stato preso di mira nel recente sceneggiato Rai sulla vita di Enrico Caruso. Un omaggio che è anche occasione per approfondire la questione dibattuta
in questi giorni del passaggio di registro. Inoltre, essendo tempo di Rigoletto, cogliamo l’occasione per ascoltare un Duca di Mantova che, come sempre avviene nei personaggi incarnati da De Lucia, ci sembra quasi di sentir cantare per la prima volta, tanto sono diverse dal solito le scelte di tempo, dinamica, fraseggio. Il brano, va detto, è abbassato di mezzo tono, essendo il si bemolle nota non più compresa all’epoca di queste incisioni nell’estensione cantabile in piena voce del celebre tenore di grazia. Il tempo, come solito in De Lucia, è molto dilatato, per consentirgli di inserire floreali ornamentazioni, curare il legato e arricchire il fraseggio con il suo insistito gioco dinamico e coloristico: per esibire insomma la sua maestria di cesellatore, “miniaturista” della melodia, che gli deriva da un controllo del fiato d’alta scuola. L’inizio del duetto è in una mezza voce sombrée che va poi crescendo con coerente consequenzialità espressiva fino al punto clou del “d’invidia agli uomini sarò per te”. Per inciso non mi piacciono molto le a così arrotondate. La tessitura del brano, come sempre nella scrittura vocale verdiana, insiste tutta sulla zona della voce a cavallo del passaggio di registro. Si può sentire che la voce qui “passa” nel registro di “falsetto”, perfettamente omogeneo col petto, già sui mi naturali (nota normalmente giurisdizione del registro centrale) di “sua vOce” e “umAne fragili”, per ottenre un’emissione più morbida e carezzevole di quanto consentirebbe l’uso del petto. Esemplare ancora l’approccio al fa# di “è amOr che agl’angeli” (0:58), in cui si percepisce il caratteristico “scintillìo” del registro acuto tenorile, quando emesso come si deve. Squisita poi la modulazione a mezza voce con cui viene risolto il difficilissimo la bemolle della i di “angeli”, su cui tanti tenori nella storia non hanno potuto che strozzarsi e stonare goffamente. Esemplare poi la salita pesantissima al la naturale nel “d’invidia agli uomini”: suono sempre raccolto, la voce gli resta tutta davanti e squilla come una tromba, la sapiente presa di fiato prima del “per te” gli consente infine di smorzare a regola d’arte l’acuto. A completare il duetto, notevole anche la linea pulita e intonatissima della Huguet.

G.B.Mancini

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8 pensieri su “I venerdì di Mancini (in ritardo). Impariamo ad ascoltare: Fernando de Lucia in Rigoletto

    • non c’è problema mancini,un analisi che condivido,poi quei programmi in tv lasciano il tempo che trovano,sono programmi usa, e getta,forse in tantissimi non sapevano nemmeno chi era De Lucia tra chi seguiva la fiction

  1. Lascia stare; era appunto “fiction”, nulla aveva attinenza con la realtà storica, un immondo guazzabuglio di banalità, svenevolezze e luoghi comuni. Non merita commenti.
    De lucia piuttosto, nonostante l’età, strepitoso il controllo del fiato, il suono è sempre perfettamente agganciato al fiato, sempre sostenuto.

  2. Non ho visto la fiction ma non stento a credervi. Su De Lucia: tecnica prodigiosa ma a mio parere privo della cinica spavalderia che deve avere il Duca di Mantova. Un seduttore di classe ma un po’ soporifero.

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