Rigoletto a Parma: il rito verdiano.

Da sempre e per carattere non condividiamo entusiasmi faciloni, amore per acuti e suoni per tali spacciati, applausi dettati dall’uso a questo comportamento e quindi, ieri sera a Parma, dove si è celebrato il rito dell’inaugurazione del Festival Verdi 2012, ci sentivamo come pesci fuor d’acqua. Il rito padano dell’opera diviene quasi rito pagano propiziatorio  pari dell’uccisione del maiale per il giorno di Sant’Antonio tanto è la popolare partecipazione e l’entusiasmo.

Allora, gli ingredienti del rito sono da sempre gli stessi ovvero un titolo verdiano dei più amati ed un cantante,  che da anni i parmigiani paiono udire non realmente ma virtualmente, perché dinnanzi la commistione di cattivo gusto (da sempre) , tecnica approssimativa ( da sempre, altrimenti questo Rigoletto non sarebbe furente e bilioso da trent’anni) e senescenza vocale , sempre più grave ed evidente (logica attesa l’età del prescelto protagonista), le reazioni dovrebbero essere ben diverse. Ovvero l’invito alla pensione ed al riposo. Lo ricordo non a me stesso, ma  a quel loggione che ben mezzo secolo or sono paragonò il locale Carlo Bergonzi, reo di aderenza al testo verdiano, a Luciano Tajoli, lucrandone l’addio del conterraneo. Quanto alla prestazione, trasmessa dalle reti  televisive locali, non vi è nulla da aggiungere rispetto a quelle riservate al Rigoletto scaligero salvo che, inesorato, il tempo vola per usare un po’ di prosopopea librettese  e che il declino vocale incentiva il cattivo gusto dell’esecuzione. Ma questo qualunque rodato ascoltatore dovrebbe saperlo.
Come qualunque rodato ascoltatore dovrebbe sapere che non si è Rigoletto se non si è in grado di cantare piano , a fior di labbra e di smorzare i suoni, passando senza sforzo e portamenti almeno dal piano al forte. In difetto non si applaude un cantante, non si applaude dell’arte, ma si pratica un rito primitivo, avulso dal contesto dell’opera, come quello del vitello d’oro.

Mi risulta che qualcuno abbia trovato la Pratt, sotto il profilo interpretativo, un poco affettata soprattutto nel “Caro nome”. Naturalmente trattandosi di un fans di cantante dedita al grido (localmente e nelle terre circumvicine definiti “sbraj”) è soggetto non in grado di comprendere come il suono correttamente immascherato acquisti particolare  lucentezza ed astrattezza. Peraltro senza questo supporto tecnico si grida e ci si strozza, come accade agli altri membri del cast, e non si riesce a rispettare le dinamiche previste dall’autore ossia
il legato che pagine soprattutto come caro nome impongono. Chi volesse ascoltare l’esecuzione proprio del “caro nome” di Jessica  Pratt potrebbe rilevare un controllo assoluto della voce (salvo uno staccato non ben reso), fiati lunghissimi, nonostante i tempi letargici staccati e l’imposizione da parte della bacchetta di discutibili quanto antistoriche scelte, come gli staccati in luogo del legato alle parole “caro nome, tuo sarà” (salita al do5), nonché la cadenza di tradizione anziché quella grandiosa e strabiliante che la Pratt, nell’esercizio dei propri diritti di diva, aveva eseguito alla generale.
Passato il “Caro nome”, al secondo atto quando Gilda si apparenta a tutte le primedonne dell’ottocento nel confessare amore e peccato e qui  la Pratt ha sfoggiato ampiezza, morbidezza oltre che idee interpretative e varietà di fraseggio ed ha chiuso il duo della “vendetta” con un mi bem di inascoltata, almeno da quarant’anni, ampiezza e penetrazione. Quello del bis era ancora migliore. Peccato per il tagliaccio praticato al brano! Ottimo anche il duetto finale, mentre il quartetto, il famoso “Bella figlia dell’amore” le costa un poco di fatica, anche se la messa di voce sul sol 4 di “ iniquo traditore ” spiega a tutti i prodigio si effetti espressivi del canto in maschera. Difficile e, pertanto, rejetto e vilipeso.

Poi si può eccepire, anche sulla base dell’ascolto dello Sparafucile di Michele Pertusi, assai poco basso, un poco ingolato, ma molto elegante nel dire e nella scena, tanto da far credere di essere lui  “il nobile” dello spettacolo, che  il belcantista puro (quale è  senza dubbio la Pratt) in Verdi manchi di slancio e di mordente. Ma, aggiungo io, almeno canta e spesso canta benissimo. E infatti il pubblico parmigiano ha salutato il soprano australiano con un diluvio di applausi e dopo il “Caro nome” ed al curtain call finale, passando dall’ascolto virtuale a quello reale.

Ascolto ora reale ora virtuale per Piero Pretti nel ruolo del Duca, applaudito dopo l’aria del secondo atto, fatto segno di commenti durante il quartetto.  Il giovane tenore regge la tessitura soprattutto nel duetto con Gilda ( le famose e pericolose “d’invidia agli uomini”) e nell’aria del secondo atto ( le altrettanto famose e famigerate “Sfere agli angioli”). Ma è solo natura generosa e, purtroppo, effimera. La voce non gira, come si dice in gergo, ovvero il cantante, che non mi sembra respirare con l’adeguato sostegno del fiato, non riesce a collocare nel punto giusto i suoni medio alti. Se cantasse secondo scuola autentica non si avrebbe sempre la sensazione di uno strumento afflitto da raucedini e  catarri e si sentirebbe la capacità di smorzare a qualunque altezza al pari di quella di “sparare” facili e sonori sovracuti, fra i quali la tradizione annovera alla chiusa della cabaletta “Possente amor mi chiama” il re 4. La soluzione non è certo debuttare Riccardo del Ballo, ma  trovare il corretto punto di appoggio, sostegno e “giro” della voce, che consentirebbe di cantare  senza sforzo il repertorio donizettiano e  belliniano. In difetto Piero Pretti andrà, nel solito termine di un lustro, a far compagnia ad altri tenori, amatissimi a Parma.

Parlare di tradizione significa parlare della prestazione di Daniel Oren pervenuto a Parma per la generale. Ingaggiare Oren e promettere un’ edizione filologicamente attendibile ed autentica è un controsenso, ovvero una trita manovra pubblicitaria, atteso che il maestro da sempre taglia ed accorcia come neppure le più accreditate forbici direttoriali dell’opera mezzo secolo or sono erano solite praticare. E quindi, alla faccia della coerenza, abbiamo avuto  il taglio del da capo della cabaletta del duca, imposizione di staccati in luogo dei legati scritti al Caro nome e di brutte cadenze di tradizione, omissione della cadenza (brutta sin che si vuole ma..) di mano verdiana al duetto Gilda-Duca. Simili scelte sarebbero plausibili e condivisibili in un Rigoletto che ammetta l’aria di Gilda abbassata di mezzo tono per consentire il mi bem alla cadenza della ripresa interna dell’aria, le puntature del soprano alla fine del quartetto ed all’ingresso nella casa di Sparafucile. Come pure richiamare la tradizione  e ritenersene continuatore imporrebbe lo stacco di un tempo ben più sostenuto al “Veglia o donna” che, come staccato, ha accresciuto i problemi del  “maturo” protagonista o suggerire un po’ di controllo ai parlati e falsetti ( da Falstaff di provincia) di cui Nucci , esausto, costella la parte.

Riconosco che nei numeri  più strumentali come il temporale e più generalmente il terzetto Gilda- Maddalena- Sparafucile l’orchestra sia stata condotta  con braccio sicuro ed abbiamo sentito –finalmente- colori e pesi che per tradizione definiamo verdiani, perché il temporale di Rigoletto non è quello del Barbiere e neppure quello del Tell. Tutto questo ad onta dello spettacolo tradizionale e davvero pertinente di Samaritani e la prestazione encomiabile di Jessica Pratt, rende il Rigoletto noioso. E per rendere noioso Rigoletto ce ne vuole!

Gli ascolti

Verdi – Rigoletto

Atto II

Sì, vendetta, tremenda vendettaMattia Battistini e Lulu Hayes (1921), Giuseppe De Luca e Lily Pons (1940)

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26 pensieri su “Rigoletto a Parma: il rito verdiano.

  1. non lo sò ma in tv la scena della tempesta non mi è piaciuta per niente troppa confusione,troppo fracasso,e qui la Pratt ha avuto qualche problema,per il resto una recensione condisibile,la Pratt l’ho trovata eccezionale in” tutte le feste al tempio “

  2. Vorrei rammentare ancora una volta che il canto è UNO… non esiste il canto “fuori maschera” o il canto “in maschera”…. c’è il CANTO e basta, non si danno alternative, non c’è scelta… si può cantare bene o cantare male, con in mezzo tutte le varie gradazioni, stop…

    Comunque formidabile Battistini, una vendetta davvero tagliente.

  3. “E per rendere noioso Rigoletto ce ne vuole!” Infatti!!
    Vergogna. Un Nucci ormai desastroso che non canta ma parla ed un tenore che una volta qui sarebbe stato fischiato. Poi… che non siano in grado di trovare un Monterone almeno sopportabile….?? La Pratt è l´unica cantante degna di apparire in quest´occasione. Vergogna anche ai commenti in TV (“serata meravigliosa, mitica”, “Nucci è un grande”, etc.) ed al pubblico di Parma una volta così esigente e severo che oggi o non ascolta bene o non vuol sentire.

  4. Nella Vendetta mi impressiona sempre la mezza voce (o smorzatura?) su “un vindice AVRAI”, piuttosto che la soluzione in forte, con un acuto tenuto (e spesso fisso, tipo qualche audio di Gobbi).
    Questo invece è uno degli attacchi più inascoltabili che finora ho trovato su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=2nnQFyFzox0
    Quanto allo spettacolo parmigiano, vi saprò dire le mie impressioni dopo la recita di domenica 14!

    • @Ratcliff: non sono fra coloro che difendono i propri grandi amori a oltranza. E per questo riconosco che l’incisione di Battistini non è fra le sue cose migliori. Però: parliamo di un cantante di 70 compiuti che conserva una freschezza di voce invidiabile; si lascia andare a effetti che, a differenza di Mancini, non mi piacciono: ma orrido e di cattivo gusto di Battistini proprio non si può mai dire. Di gusto sorpassato (ammesso e non concesso che quello d’oggi sia migliore); di gusto antico; ma di gusto. Orrido mai. E ha tanto ragione Donna Giulia: è un cantante anziano ma con una voce più giovane di lui e questo, per me, è sempre indice di grande scuola.
      @Mr. Angelo: Zelko Lucic rispetta il dettato verdiano, che prevede un do3 e non un mibemolle3 che è “versione corrente”; detto questo, hai ragione tu: è un attacco vuoto di senso, senza spessore drammatico e con un suono stimbrato che fa pensare che abbia preferito il rispetto dello spartito perché il mibemolle sarebbe sicuramente stato pessimo, visto o meglio udito com’è il do.
      Mala tempora currunt.

  5. L’esecuzione di Battistini è straordinaria, soprattutto se si pensa che si tratta di un cantante anziano. Poi, il gusto e lo stile sono chiaramente inaccettabili al giorno d’oggi; ma questa è un’altra storia. Sono completamente d’accordo con Lontanodalmondo, che saluto.
    Marco Ninci

    • Ricambio di cuore i saluti, caro NInci. E ribadisco che mi fa davvero piacere che abbiamo trovato un modo di comunicare costruttivo e stimolante. Non ho avuto occasione di scriverlo prima perché – finalmente! – ero in vacanza; ma ho apprezzato moltissimo i suoi interventi di carattere filosofico e specialmente estetico a proposito del Boccanegra. C’è molto su cui riflettere.
      Buona giornata.

    • Beh, se sono accettabili, oggi, il gusto e lo stile barbari di Nucci, non vedo perché non dovrebbero esserli quelli di Battistini, che riesce ad essere infinitamente più incisivo proprio sotto il profilo espressivo.

  6. Cara Lontanodalmondo, mi farebbe molto piacere se ci dessimo del tu. Anch’io sono molto contento che ci possiamo intendere; spesso il mezzo informatico non è il miglior modo per farlo e si cade in fraintendimenti. Però, con un po’ di buona volontà, si può fare. Ciao e a presto.
    Ora, una parola per Mancini. Come tu sai, io apprezzo i tuoi interventi, anche se polemizzo con loro. Del resto, non c’è bisogno di essere d’accordo con un giudizio per dare valore a quest’ultimo. E io, per mia esperienza, ho imparato molto di più da persone intelligenti con cui non ero d’accordo che da persone, tantissime, che dicevano cose scontate sulle quali era impossibile non essere d’accordo. Dei tuoi pensieri mi piace la radicalità. E’ una caratteristica, sempre più rara al giono d’oggi e in tutti i campi, che però costringe a chiarire il proprio pensiero, a dargli dei contorni netti e precisi e a farlo uscire dalla nebbia dell’indeterminato; il che non è poco. Io, che cerco sempre spunti di pensiero e interpretazione e non cloni di quello che penso io, non posso che apprezzare ciò che trovo in quello che scrivi, nel momento stesso in cui dichiaro il mio totale disaccordo. La mia visione del Boccanegra scaligero mi si è fatta più chiara anche a partire dal modo in cui tu consideri il canto, anche se questa mia visione è a distanza siderale dalla tua. Per questo, scusami se ora mi permetto di dire quello che ora ti dico. A mio modesto parere, il tuo modo di pensare è molto danneggiato dall’uso di espressioni che non sono colorite, ma violente, offensive. “Osceno dilettante”, “oca starnazzante”, “nauseante narcisismo”, “vergognati incompetente” sono proprio cose che tolgono autorevolezza al tuo ragionamento, gli danno un’aria nervosa che secondo me lo rende meno plausibile. Scusami di questo consiglio sicuramente non richiesto. Ho fatto l’insegnante per quaranta anni e questo vizio mi è rtimasto un po’ attaccato.
    Ciao
    Marco Ninci

  7. Sì, Gianguido, ma penso di non avere bisogno di spiegarti che il modo nel quale appare superato il gusto di Battistini non ha nulla a che vedere con il modo in cui è inaccettabile il gusto di Nucci. Il primo è legato all’epoca, il secondo invece è ricerca di sottolineature facili e volgari che sono di ogni tempo, quando non intervengano la quadratura musicale, il tenersi lontano dagli effetti, la linearità del gusto.
    Marco Ninci

    • Ecco, accogliendo il tuo invito a darci del tu, dico che sono d’accordo con te, Marco.
      Anzi: mi permetto di affermare che non solo il gusto di Battistini è legato all’epoca e non alla cattiva educazione e sensibilità musicali – le sbracature cui giustamente si riferisce Mozart – ma che si può affermare che Battistini sia in difetto solo verso se stesso, ché trovargli un termine di paragone è davvero difficile. Mi spiego ulteriormente: sono d’accordo che l’accento sia travolgente, come sottolineano Mancini e Mozart; dico solo che a me, così travolgente non piace. Lo trovo fin eccessivo. Però la grandezza del cantante – che sostiene la tessitura con una disinvoltura da ragazzino a settant’anni suonati – e dell’interprete – che, ripeto, per mio gusto esagera ma come personaggio c’è ed è forte e emozionante – sono sotto le orecchie di tutti. Almeno spero.

    • Battistini è un esecutore arbitrario, ma teatralmente coinvolgente, efficace. La voce poi era molto incisiva, sonora, sfogata, ampia. Potessimo sentire dal vivo, oggi, cantare in questo modo, ne saremmo certamente avvinti e affascinati, giammai annoiati.

      • Ma certo che se avessimo oggi in teatro una voce così salteremmo sulla poltrona e ci spelleremmo le mani dal tanto applaudire. Io poi, l’ho già detto, sono una grandissima amante di Battistini e capisco dalle sue incisioni che non solo la voce era proiettatissima, ma l’interprete, sebbene arbitrario, era anche fantasiosissimo; né mi sembra, Mancini, di aver mai detto che mi annoierei ad ascoltarlo. Le sue incisioni le ho ascoltate mille e mille volte e ogni volta è un’emozione e una sorpresa. Ho solo detto che in questa incisione, questa!!, non mi piace l’eccesso di trasporto interpretativo. Tutto qui. Non sono un difensore d’ufficio: se una scelta interpretativa di un cantante che trovo sempre grandissimo non mi convince, lo dico. Ma questo non va a detrimento di Battistini. Figuriamoci se una mia personale scelta di gusto può smontare un gigante di tale portata. E dai! Non giochiamo a cercare la polemica sempre.

        • Stavo rispondendo a Ninci. Ciò che dovrebbe essere inaccettabile, a teatro, ben più degli arbitrii stilistici, è la noia, cui tutti gli odierni Leo Nucci ci condannano (in aggiunta agli arbitrii, di cui anche loro non sono certo scevri).

          • In tal caso ti chiedo scusa. D’altra parte, mi sembra che Ninci non parli di noia ma di altro. Comunque, io un Chevreuse come Battistini me lo sogno ogni notte. Per tacere di Carlo nell’ernani.
            Buona serata a tutti.

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