Nabucco al Ravenna Festival: il troppo e ‘l vano.

Il Ravenna Festival ha ospitato sabato un’esecuzione concertante del Nabucco, affidata ai complessi dell’Opera di Roma sotto la direzione di Riccardo Muti, che anche quest’anno ha offerto alla manifestazione romagnola un titolo del repertorio lirico. Lo stesso verrà riproposto da domani al Teatro Costanzi, la serata ravennate essendo stata a tutti gli effetti l’anteprima, o per meglio dire, la prova generale dello spettacolo capitolino. Peccato che i prezzi fossero da anteprima, seppur in forma di oratorio, e non già da prova generale. Il clima da galà in salsa provinciale ha toccato l’apogeo al termine della serata, quando al direttore è stato conferito, da parte del sindaco della città, il premio Giustiniano, destinato a una personalità che abbia onorato Ravenna nel campo della cultura e delle arti. Muti ha dichiarato di voler condividere il riconoscimento con tutti gli altri interpreti, autori, a suo giudizio, di una prova di assoluta eccellenza.
Ci spiace non poter sottoscrivere tale affermazione, né con riferimento alla prova dei solisti, né, soprattutto, per quanto concerne la direzione e concertazione dello spettacolo.
Come il Giustiniano cantato dall’Alighieri, ravennate d’adozione, Muti si è sempre fatto vanto di aver eliminato “il troppo e ‘l vano” dai titoli del grande repertorio e soprattutto da quelli verdiani, ricondotti (così ci è stato insegnato) all’originaria integralità e compostezza dopo decenni di esecuzioni approssimative o comunque poco rispettose del dettato dell’autore. In questo Nabucco, al netto di una prova nel complesso più che positiva per quanto attiene orchestra e coro (soprattutto nella sua sezione femminile), l’espressività viene troppo spesso confusa con la magniloquenza, ed entrambe con il frastuono.

Nella sinfonia, ad esempio, il primo tema, tradizionalmente associato all’idea dell’Onnipotente, motore invisibile del dramma, è enunciato in modo sbrigativo, come se non recasse in sé il sigillo stesso dell’incipiente azione sacra, ma fosse una semplice fanfara, quasi un retaggio dell’antica ouverture, volta a richiamare gli spettatori ritardatari. Con l’enunciazione del tema, che poi sarà quello del coro introduttivo, comincia il fragore, specie nel nutrito gruppo delle percussioni, e la stessa elevata quantità di decibel costituisce la nota distintiva dell’intero quadro di apertura del primo atto, ponendosi saldamente come caratteristica distintiva dell’interpretazione proposta dal podio. Una simile scelta attenua fatalmente l’effetto di momenti come il fulmine che colpisce il Re al finale secondo (punto che pure è il più fragoroso dell’intera esecuzione) e più in generale quelli connotati dalla furia di Abigaille e dei suoi scherani. L’ira funesta della mentita primogenita di Nabucco trova in orchestra gli stessi clangori, la medesima massa sonora che si riscontra negli interventi di Zaccaria, che dell’amorale, profana creatura femminile dovrebbe essere il contraltare maschile e sacro: nessuna differenza, tutto piatto e livellato (si fa per dire) al medesimo fragore. Gli interventi della banda interna, che di volta in volta dovrebbero accompagnare e descrivere la violenza e la tracotanza delle schiere di Nabucco, il compiacimento di Abigaille per il raggiunto soglio e la mestizia dei condannati a morte, risultano del pari indifferenziati e non rendono giustizia alla varietà di situazioni drammatiche, che costituisce una delle principali attrattive del dramma.
Quanto alle voci, due delle quali udite (a stento) il mese scorso nel minuscolo Teatro fiorentino della Pergola, si fanno sentire in uno spazio da oltre 3.300 posti (non tutti occupati, nella circostanza di cui si riferisce), un palazzetto nato per ospitare eventi sportivi e di musica leggera e quindi verosimilmente all’avanguardia per quanto attiene il sound enhancement. Insomma, si sopperisce alla insufficiente proiezione delle voci con proiezioni di altro tipo. Peccato che queste proiezioni non consentano ciò che permette invece il canto sul fiato, ossia l’udibilità della voce al di sopra di cospicue masse orchestrali e corali. Il suono non galleggia, non si espande, resta inchiodato sul palcoscenico e anche per questo il concertatore dovrebbe adottare ogni accorgimento per impedire che i solisti vengano sommersi ogni volta che l’orchestra oltrepassa un mezzopiano. Nel corso della serata sorge il sospetto che simili “occultamenti” non siano del tutto, o non sempre, preterintenzionali.
Sui protagonisti, Luca Salsi e Tatiana Serjan, si è già autorevolmente espressa donna Giulia nella sua recensione del recente Macbeth e poco si potrebbe aggiungere in questa occasione, atteso che i ruoli affrontati a Ravenna poco si discostano, per caratteristiche vocali e interpretative, da quelli fiorentini. Il baritono parmense canta con centro in difetto di appoggio, donde un suono ovattato, più adatto al repertorio comico, e sistematiche difficoltà in zona medio-alta, specie nei passaggi in stile declamato (e sono molti, su tutti il finale secondo e il recitativo dell’aria al quarto atto) e in quelli cantabili, in cui è richiesto un minimo di canto legato (e sono ancora di più, su tutti il “Dio di Giuda” che dovrebbe segnare il culmine espressivo della parte e qui è risolto con percettibile affanno e imprecisioni anche musicali). L’irruenza delle cabalette (finale primo, chiusa della grande aria) vedono l’esecutore in sistematico difficoltà e nella totale impossibilità di emergere al di sopra della tempestosa orchestra di Muti. Emergono invece, della (ex) graziosa voce di soprano lirico della Serjan, soprattutto le urla, emesse per sistema al di sopra del sol acuto, con abbondanza di suoni fissi e non di rado calanti d’intonazione, mentre al centro la voce non ha giro e i pianissimi sono larvati falsettini (terzetto “Io t’amava”, cantabile “Anch’io dischiuso un giorno”), emessi senza che la cantante riesca a veicolare ora l’ironia violenta, ora la disperazione della donna respinta dall’uomo amato non meno che dal presunto genitore.
Completa il bel (!) trio di prime parti Riccardo Zanellato, che con voce artificiosamente gonfia e bitumata, inesistente al grave, dura e faticosa in acuto conferisce ben misero rilievo al personaggio cui Verdi confida le pagine forse più alte e ispirate, di certo più solenni e mistiche, del dramma.
Quanto alla coppia degli amorosi, tradizionalmente sacrificata dalle ben più potenti passioni che agitano i personaggi principali, Francesco Meli ha timbro sempre notevole ma posizione della voce anche più bassa di quanto ricordassimo, con sfoggio di suoni ingolati (scena col coro al secondo atto), un abuso di portamenti che sembra evocare il disprezzato (a parole) Carlo Bergonzi (recitativo e terzetto d’ingresso), nessuno squillo e scarsa baldanza tanto nel fronteggiare Abigaille, quanto nell’esibire tenerezza per Fenena. La quale era Sonia Ganassi, in evidente ossequio alla costumanza di affidare la parte della principessa assira a una cantante, se non di estrazione, almeno di repertorio belcantistico. Che un soprano lirico, quale di fatto è la signora Ganassi, non riesca ad eseguire le elementari frasi della preghiera al quarto atto senza evidenziare il proverbiale scalino, o meglio, il buco nel registro medio della voce e senza produrre su un semplice la naturale (“fugge l’alma e vola al ciel”) un suono fischiante e di inclassificabile intonazione, è già abbastanza grave di per sé. Quando poi la cantante in questione sia una reputata specialista rossiniana e una presenza fissa dei festival dedicati al Pesarese (in patria come altrove), la gravità assume i toni di un mistero assai poco glorioso, seppur molto indicativo del livello, non certo di eccellenza, in cui versano l’arte vocale e molte altre, a questa strettamente collegate.
Chiudiamo con alcuni ascolti, un paio dei quali tratti da un’edizione dell’opera allestita nel 1979 (ben prima che venisse inaugurato il Ravenna Festival propriamente detto e congruamente finanziato) alla locale Rocca Brancaleone. Accanto a Renato Bruson cantavano Ghena Dimitrova e Bonaldo Giaiotti. Crediamo non sia necessario aggiungere altro, se non un augurio di buon ascolto e proficua comparazione.

 

Gli ascolti

Verdi – Nabucco

Atto II

Anch’io dischiuso un giornoGhena Dimitrova (con Antonio Zerbini – 1979)

Atto III

Deh perdona, deh perdona ad un padre che deliraLuca Salsi e Tatiana Serjan (2013)

Atto IV

Dio di GiudaRenato Bruson (1979), Luca Salsi (2013)

 

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57 pensieri su “Nabucco al Ravenna Festival: il troppo e ‘l vano.

  1. Complimenti, le tue recensioni sono da tempo le mie preferite.
    Mi spiace solo che l’età ( e le difficoltà….) non abbia portato a Muti maggior capacita di introspezione e maggior equilibrio nel dirige Verdi, compositore che, peraltro, ama sicuramente molto.

    • Un punto di partenza potrebbe essere quello di prendere in mano la partitura e scorrerla alla ricerca dei segni di espressione, delle indicazioni dinamiche e agogiche, di cui il maestro (Verdi, non Muti, nel caso specifico) non è certo stato avaro. Possono venire in mente tante buone idee. Anche se mi rendo conto che, con cantanti come quelli uditi a Ravenna, sia difficile non cedere alla tentazione di “pompare” l’orchestra oltre ogni limite, secondo il napoletanissimo principio del “facite ammuina”.

      • D’altronde la mia cara cosalma Tamburini ha un successo professionale incredibile. Quando va in giro scuotendo le catene i vivi ridono!

        Ah, cara cosalma. Il maestro Muti le fa sapere che la partitura la conosce bene. Però vorrebbe sapere quanto costa all’ora per eventuali ripetizioni.

        Thomas A. Edison le porge l’estrema unzione.

        • il nabucco di due anni fa con nucci e la boros era assai tirato via da parte del maestro. Che le sue ultime prove verdiane siano incomparabili con quelle scaligere è innegabile. Poi quanto a decibel e atempi serrati senza respiro è sempre stato un esperto, ma bandistico come a roma …mai.

          • Purtroppo è il pegno a cui si è autocondannato al “toscaninismo”, soprattutto nella gestione di certi titoli (il primo Verdi in questo caso). Tuttavia mi/ti chiedo, è proprio sbagliato per opere come Nabucco un approccio più ruspante? In fondo è un Verdi ancora “grezzo” (e la componente bandistica era ancora piuttosto presente) e pure un direttore raffinato e intellettuale come Sinopoli ha valorizzato tale aspetto diciamo “ruspante”. Se l’alternativa è la noia elegante alla Gardelli o l’anonimato spinto alla Molinari-Pradelli allora meglio un eccesso in più e un piglio più barricadero. Trovo che a furia di nobilitare (parola orrenda) si finisca per omologare ogni repertorio.

          • Ma dirigere con le medesime dinamiche esasperate e “barricadere” la prima aria di Zaccaria, la cabaletta di Abigaille e “Oh prodi miei seguitemi” significa non avere capito che si tratta di tre momenti profondamente diversi… Non si nobilita (solo) mettendo in rilievo il solo del violoncello, le terzine dell’oboe e le sestine del flauto, ma (anche) differenziando le varie scene e dando a ognuna il giusto rilievo musicale e quindi drammatico.

          • mettiamo via i gardelli etc di cui io non ho parlato. Trovo questo muti molto diverso da milano. Parlando di quello che ho sentito, cioè del nabucco romano, a me pare piu rozzo e bandistico di ciò che fece in scala. Su verdi il direttore ora mi pare così, come fosse….scazzato, perchè tanto verdi senza cantanti non si fa. Come se lui fosse passato dall’avere dei cantanti con cui era in competizione quando erano bravi, mentre ora fosse svogliato di fronte allo stato dell’arte. Imparagonabili le coppie bruson dimitrova guleghina a quella attuale,salsi serjan perchè…..insomma, è così la storia e spero non vorremo discettarne a vuoto. Il verdi di muti è tirato via perchè non c’è stimolo…..non essendoci obbiettiopvo artistico da perseguire, perchè in queste condizioni verdi non si può fare. se non canti, è solo fracasso. C’era cmq piu respiro e piu varietà a milano……poi li soffocavav appena poteva, da vero dittatore egocentrico quale è. che lui sappia fare, nessuno ha mai dubitato. Certo, quando poteva ha fatto a modo suo. Ora non può fare e lo sa. Così io interpreto il suo attuale bandismo: un po’ di nerbo in un mondo di orchestrine ridicole o di apprendisti quali quelli che passano ora da milano. Ma non è toscaninismo…..è stanchezza. E’ disillusione

          • Cara affascinante cosalma, il maestro Muti mi è apparso in sogno. Chiede di fissare un appuntamento con Lei per una serie di sedute psicanalitiche che tendano a guarire la sua “disillusione” in modo da fare meno fracasso bandistico quando dirige Verdi. Viceversa dalla cara cosalma Tamburini vorrebbe qualche lezione di lettura della partitura, perché evidentemente cinquant’anni di accaniti studi sulle medesime non gli hanno punto giovato.

            Un baciamano spettrale dal suo occasionale ospite Edison Thomas, inventore morto e sepolto altrove.

          • Visto che Muti le appare in sogno, ne approfitti per chiedergli come sceglie i cast, componente non da poco nella concertazione. Sono proprio curioso…

          • Gentile Salma, anche a un morto e sepolto certe domande non dovrebbero essere fatte. Lei pare vivere non solo sottoterra, ma al centro della terra per ignorare che il Maestro Muti, al pari di ogni direttore non sceglie i cast. Glieli scelgono, poi lui li dirige. Alcuni particolarmente obbedienti alle sue indicazioni e conformi al suo disegno interpretativo vengono poi richiamati e, se liberi, tornano. Gli agenti e le direzioni artistiche creano i cast: non pretenderà che il Maestro Muti o altri Maestri Sommi girino il mondo per scuole di canto…Suvvia…non giaccia troppo a fondo nella terra, se no poco ode dei passi spietati di lassù!

            Un abbraccio mortale dal suo Thomas Edison inventore sepolto più in superficie di lei.

          • Al livello dove sono mi trovo io io (Cimitero di Montmartre, Parigi) abbiamo sentito parlare di audizioni di cantanti alle quali prendono parte direttori artistici, direttori d’orchestra e registri… e di direttori d’orchestra che, se non amano i cantanti, o non li ritengono adeguati alla parte che devono eseguire, hanno il diritto di protestarli (sarà proprio così che si dice? Mi scuso ma qui, come lei ben sa, arriva solo un’eco confusa dei suoni del vivo mondo reale…)
            Evidentemente sono sepolta un po’ più in alto rispetto a lei.

          • Lungi da me condividere ciò che il trapassato Edison sostiene, però questa cosa dei direttori che non capirebbero un tubo di voci perché scelgono cast sbagliati sarebbe da ridimensionare. Innanzitutto perché si deve tener conto dell’idea interpretativa di chi ha il diritto e dovere di imporla (piaccia o meno il direttore sceglie), e quindi non si può definire “sbagliata” una scelta solo perché non incontra il proprio gusto (la scelta di Merritt nei Vespri non era sbagliata in sé, era il cantante ormai deficitario – così come ci fu chi criticò la scelta di Ramey in Attila); poi perché effettivamente il direttore deve anche tener conto delle disponibilità del momento e di ciò che passa (pensiamo ai cast di Bonynge – che qui è molto amato, NON DA ME, sottolineo – dove accanto alla consorte c’era il vuoto o scelte pessime)…infine credi che se un direttore giunto alle prove (perchè non può fare il giro delle scuole e selezionare personalmente tutti i candidati, né presenziare a tutte le audizioni: nei teatri c’è chi è pagato per far questo e un direttore è solitamente pagato per far le prove, Barenboim a parte) si mettesse a protesta 4 cantanti su 5 ogni volta, la dirigenza avrebbe qualche scrupolo a protestare – a sua volta – il direttore?

            Una piccola nota polemica: non ho mai sentito però criticare Bonynge per i suoi cast, quando in realtà a parte la moglie non si circondava di esempi splendidi di belcanto (l’elenco è lungo). In queste cose, purtroppo, i gusti personali e le personali antipatie hanno spesso la prevalenza.

          • Caro comorto Duprez, oggi lei mi pare più vivo che morto. Torni sottoterra, la prego.
            Alla comorta francaise le dico che è rimasta all’epoca della sua dipartita. Un tale lavorio (audizioni ecc.) come potrebbero aversi con programmazioni di un lustro? Sceglierebbero oggi cantanti che tra cinque anni potrebbero essere scassatissimi? (O più scassati, secondo il metro del presente cimitero). Tempo perso. Almeno le agenzie non lo fanno perdere. E, soprattutto, impediscono di trattare direttamente col tenore di turno. Come si sa una categoria umana di stupidità infinita. Ben lo so io che ci ho lavorato: prendi i soldi e scappa. Questo il loro motto!

            Torno nella mia bara, si è fatto caldo e incomincio a colliquarmi troppo rapidamente.
            Vostro marciscente Thomas Edsion.

          • Premetto che ho molto apprezzato i due post di Ninci e Otto, è un piacere discutere così.
            Passiamo agli echi provenienti dal mondo dei morti.
            Lasciamo perdere le agenzie, che hanno non poche responsabilità nell’attuale situazione Italiana, ma questo sarebbe troppo lungo da discutere

            I maestri non scelgono i cast? Lei pone la domanda in maniera sbagliata, o forse crede davvero che un direttore d’orchestra di quel calibro non abbia la necessaria autorità per influenzare le scelte sul cast? Se non lo fa compie un errore in partenza: i direttori d’opera dovrebbero essere i primi a tenere sotto braccio cantanti validi e promettenti e aiutarli a crescere nel modo giusto proprio per evitare che si scassino (scassarsi è il frutto di errori, mica viene come arriva un temporale). Per farlo certo dovrebbero avere una certa competenza in materia di canto, che oggi latita. Non sto dando a Muti dell’ignorante, anche perché la competenza viaggia su una scala fatta di numerosi gradi, ho solo detto che non si è mai spacciato per un esperto di voci. E lo ha fatto, a mio giudizio, in maniera molto onesta, anche se mi sarebbe piaciuto un maggiore impegno nel continuare la tradizione italiana, che prima di Muti ha sempre cercato di valorizzare la voce di ogni singolo cantante, aiutandolo a esaltare colore ed espressività, talvolta passando sopra alcuni aspetti musicali sui quali Muti si è particolarmente concentrato. Si sarebbero potute temperare le due esigenze, sintetizzarle… l’ho trovata un’occasione persa, tutto qui. E lo dico proprio perché ho sempre avuto un’enorme stima di Muti.

          • un aneddoto: seduti in un bar in citta’ lombarda (non milano, ovvio), il maestro muti viene avvicinato da due ragazzi molto gentili, chiedono un autografo e perche’ non metta in scena la agnese di hohenstaufen, capolavoro spontiniano diretto da muti in una vita precedente, anzi due o tre. risposta lapidaria (mutiana, direbbe qualcuno): lei mi dia le voci e io la faccio domani, un’orchestra la troviamo senza problemi…
            Questo per dire che sicuramente ci sono le agenzie, i legami affettivi per cui uno che ti e’ piaciuto te lo porti appresso per vederlo crescere (verificato di persona con un tenore, un baritono e un soprano tutti e tre in buona, buonissima carriera e ancora giovani), sicuramente ci sono le audizioni (ho visto muti presenziare ad audizioni per l’orchestra giovanile cherubini con una partecipazione che neanche si dovesse scegliere il primo violino dei Wiener o della CSO…); poi alla fine si tirano le somme e tra una rinuncia, un raffreddore, uno/a che ti eri sbagliato, e via cosi’ vedi cosa viene fuori. Dobbiamo metterci in testa che l’opera e’ un grande circo (in senso positivo!), dove a volte si esce da una generale con le mani tra i capelli e poi la prima viene un capolavoro (piu’ spesso succede l’opposto, lo so). Per cui secondo me dopo che hai fatto di tutto per mettere in piedi un grande spettacolo e ti trovi una vacca miagolante o un semicastrato tenorino, e i sostituti sono pure peggio… che fai? metti pezza e vai avanti e magari ti dici che la prossima volta ai cantanti dai giusto un’occhiata e poi incroci le dita. A tutto questo va aggiunto che soldi disponibili e programmazione delle stagioni non aiutano a mettere in piedi i cast che uno vorrebbe, anche se in questo forse pochi grandi nomi riescono ancora a convincere cantanti gia’ impegnati in altre produzioni a cancellarle per accettare un loro invito ; e ora saluti a tutti che parto per roma…

          • ma ogni volta te vai a parare su bonynge. Come ninci su muti. Ma sono manie!!!! Ma che c’entra qui????….uffff

          • Bonynge era solo un esempio: anche lui che so tu apprezzi molto, ha composto cast a dir poco discutibili…questo per dire che ci sono circostanze che portano a determinate scelte. E comunque di Bonynge ha parlato anche Mozart… Ognuno del resto tira fuori i propri esempi e manie: io ce l’avrò con Bonynge, ma c’è chi ce l’ha con Abbado, altri con Muti, altri Walter o Mitropoulos..

  2. Mamma mia! E’ una recensione, mica una sentenza di un tribunale della Santa Inquisizione! Tra l’altro mi sembra che non manchi di annotazioni specifiche sulle quali chi era in sala e non è d’accordo può ben controbattere punto per punto. Va da sé comunque che il metro di una recensione vada rapportato alla statura degli interpreti, quando ci si siede ad ascoltare Muti che dirige Verdi le aspettative non possono non essere altissime: le critiche all’artista, se educate e sostenute da argomenti non faziosi, sono una forma di rispetto. Un supino incensatore sa solo prendere l’artista e il pubblico per i fondelli, ma questo genere di consapevolezza difetta persino nel ben più serio ambito (con tutto il rispetto per la musica) del governo della comunità, quindi sarebbe stravagante riscontrarlo in un blog sulla lirica…

  3. Bah, ho sentito la registrazione della serata e onestamente non sono d’accordo con il giudizio sul Maestro Muti che, ad onta di qualche “toscaninismo” di troppo, lo trovo molto più interessante degli ultimi anni scaligeri. L’orchestra suona molto bene (ed è già un ottimo risultato, ricordo che prima della “cura Muti” l’orchestra romana era davvero pessima: e non parlo solo degli ultimi anni…suonava malissimo anche 60 anni fa!), con una precisione e “bellezza” di suono che, ad esempio, l’orchestra della Scala ora si sogna… Trovo le ultime esecuzioni verdiane di Muti decisamente buone: Boccanegra, Foscari, Attila (ma anche il Requiem con la CSO). E pure questo Nabucco soprattutto se paragonato ai recenti spettacoli milanesi (e parlo anche del cast)! Poi io non c’ero e magari dal vivo l’effetto era differente.

  4. Giulia è proprio buffa. Le prove verdiane di Muti alla Scala sono qui sempre state ricordate con raccapriccio. Ora scopro che, in confronto a quelle di Roma, quelle della Scala si ponevano ad un’altezza inattingibile. Tutti dicono che ora a Roma Muti è diventato molto raffinato, anche troppo (e anch’io ho avuto questa impressione nei Due Foscari). Giulia dice l’esatto contrario. Ma questo è il mondo dei melomani. Una cosa è il lunedì, l’opposto è il martedì, il mercoledì indovinala grillo e così via. Un’oggettività davvero inattaccabile.
    Ciao
    Marco Ninci

  5. Non sono affatto d’accordo con Giulia: definire Verdi come mero “fracasso” senza cantanti eccezionali significa veicolare un proprio gusto (in questo caso il non gradimento del Verdi compositore) come “regola aurea”. A mio parere nessun titolo può reggersi unicamente sui meriti o i demeriti dei cantanti (a parte certi repertori dove la ginnastica vocale vale più del senso della musica e dove il contenitore è più interessante del contenuto), così come – di contro – non è sufficiente una buona direzione d’orchestra. E’ un fatto innegabile però che così come certe mediocri direzioni vengono salvate dall’apporto degli interpreti (penso ai vari Scimone, Bonynge, Renzetti, Weikert etc…) così certi cast discutibili vengono valorizzati dall’arte di talune bacchette (penso al Don Carlo di Karajan, ad esempio). Aggiungo però che i grandi interpreti hanno dato il meglio quando diretti da grandi bacchette: si pensi alla Callas con Bernstein, Karajan o De Sabata. Ed è vero anche che certe volte pure la presenza di pessimi direttori porta al fallimento globale dell’esecuzione: esempio La forza del destino diretta da Molinari-Pradelli (quella DECCA).
    Pure su Muti non sono d’accordo: vedo, anzi, che oggi gli stimoli sono maggiori rispetto agli ultimi anni scaligeri. Trovo più freschezza e approfondimento. E una maggiore libertà da certi ruoli. Quanto al direttore/dittatore è favola vecchia: è naturale che un concertatore voglia imprimere la sua interpretazione. E’ sempre stato così, lo faceva Muti come Walter o Mitropoulos. Detto questo non ho mai sentito “fracasso” provenire da un’orchestra diretta da Muti (non posso dire altrettanto dei suoi successori scaligeri). Potrà piacere o meno il suo approccio e la sua idea di suono orchestrale (come può non piacere quello di Mitropoulos, di Abbado o di Schippers peraltro) ma non si dica che è sciatteria o noncuranza: è innegabile che oggi l’orchestra di Roma – dopo la cura Muti – suoni incomparabilmente meglio rispetto a 10, 20, 40 o 60 anni fa…

    • ma per un direttore tutto di ritmo, si! Per uno che non si abbandona mai, si! Per uno che non crede nelle atmsfere, alla fine si. O nel colore…….Muti ha sempre puntato su ritmo, precisione e metronomo. Mai un fiato, mai un respiro….prorpio in questo primo verdi, il suo quarantottismo è questo. Fino all’esagerazione. I Luisotti, i Palumbo….sono tutti figli suoi, chè muti le capacità di un Toscanini non le ha mai avute….

  6. i foscari erano molto raffinati anche alla scala e non sembrava proprio un opera da anni d galera. Non ho mai sentito quella d Roma pero’. Il Nabucco della Scala del 1986 era forse il migliore ma perche’ provato tantissimo e con Bruson e la Dimitrova in buona forma. A quest ultima venne concessa x la prima volta d fare il da capo della cabaletta diverso (lo iniziava in piano).

  7. Per me é il metodo di Muti che ha un copyright formidabile. Sia che diriga il primo Verdi che l’ultimo la ricetta é sempre quella che emerse nella sua affascinante Aida. Far sentire tutto come se l’ascoltatore (anche non eccelso come un Tamburini, una Grisi e via dicendo…) avesse la partitura in mano. Pensate al suo Don Carlo che nel suo approccio obiettivo e analitico risulta più disomogeneo di quando é diretto da Abbado piuttosto che da Karajan o Solti. Forse é solo nella pur eccellente direzione di Muti che i poco lungimiranti grisini dell’ottocento che ebbero da ridire sul Don Carlo un po’ avevano ragione.

  8. La fretta è nemica della precisione, ma nonostante ciò spero di risultare comprensibile. Cara Giulia, non credo si possa parlare di competizione, né ora di scazzo, per quanto concordi nell’osservare diversi “periodi” di muti e che indubbiamente la diversa vocalità e soprattutto personalità dei cantanti abbiano avuto un loro peso nella sua metamorfosi. Premesso che muti ha sempre lavorato dirigendo i cantanti e non certo accompagnandoli (e questa non vuole essere una critica, solo un’osservazione) ai tempi del maggio e nei primi anni della Scala le personalità che aveva di fronte imponevano comunque quella che era la loro lettura dei personaggi, seppur “addomesticandola” (in particolare nei pezzi d’insieme) alla lettura del direttore, che con molta onestà non si è mai considerato un esperto di voci. Via via che il peso di Muti è aumentato e quello dei cantanti diminuito, questa sacrosanta “sintesi” è venuta meno, a prescindere da quelli che potevano essere comunque interessanti esperimenti “filologici” (sottolineo le virgolette) che un teatro come quello di Milano ha il dovere di compiere su Verdi. Ora come ora la dialettica cantante-direttore è ridotta ai minimi termini e, per quanto ricca possa essere la prospettiva di muti, il risultato non può che essere più povero… A ulteriore dimostrazione che un’opera riesce bene quando tutti concorrono in modo adeguato alla sua realizzazione. Che l’orchestra di Roma sembri un’altra comunque è un dato di fatto, così come quella della Scala è irriconoscibile se paragonata all’epoca di Muti.
    Purtroppo.

    • Quali sarebbero gli “esperimenti filologici” su Verdi? Non per fare polemica, ma l’uso di edizioni critiche – che non sono altro che edizioni più corrette (nulla di così traumatico per il più tradizionalista degli ascoltatori) – non è qualcosa di “sperimentale”, ma semplice DOVERE di chi gestisce un teatro importante. Un’edizione critica si limita a correggere errori di copiatura e fornire, laddove fossero disponibili, stesure e numeri alternativi: entrambe cose buone e giuste. Tutto il resto (acuti aggiunti, tagli, cadenze, frizzi e lazzi) nulla ha a che fare con la scelta dell’edizione, ma con il gusto (buono o cattivo) dell’interprete. Preciso che se si apre la vecchia edizione Ricordi del Rigoletto NON si trovano acuti non scritti o cadenze o notacce tenute o berci…

      Ps: d’accordissimo sulla questione delle orchestre di Roma e Milano

      • Caro Duprez, diciamo la stessa cosa; infatti avevo scritto:
        “a prescindere da quelli che potevano essere comunque interessanti esperimenti “filologici” (sottolineo le virgolette) che un teatro come quello di Milano ha il dovere di compiere su Verdi.”
        Non solo ci avevo piazzato le virgolette, ma addirittura le avevo sottolineate in parentesi; va bene che ero di fretta, ma più chiaro di così…

        • Certo, era per chiarire. Sai non vorrei che passassero per esperimento filologico l’uso di edizioni corrette, l’eliminazione di errori testuali, l’integralità, l’adesione al senso armonico della partitura (senza acuti aggiunti ovunque…). Ricordo quel che accadde perché la “Pira” non aveva il brutto do di petto (ed era in tono) o in Ernani non c’era la pseudo cabaletta di Silva.

  9. Ma Giulia, io non sono così certo che Muti sia un direttore concentrato solo sul ritmo e la precisione metronomica come lo era Toscanini (le cui capacità straordinarie per mio conto si riducono ad un suono piuttosto asciutto e privo di retorica, almeno nel repertorio italiano). Certo Muti – e certa stampa – ha giocato sul “toscaninismo” pur non avendo nulla del suo approccio direttoriale: in effetti mi sono sempre chiesto cosa c’entrasse l’ideale neoclassico di un suono puro e levigato, definito e composto con la frenesia di Toscanini che spingeva la macchina verdiana a ritmi forsennati….ma tant’è, la stampa italiota definisce qualsiasi direttore d’orchestra italiano che diriga Verdi, “erede di Toscanini” (così come ogni tenore è il “nuovo Pavarotti” e ogni soprano la “nuova Callas”)… Anagraficamente sono cresciuto con il Muti scaligero (e il suo Verdi): ne ho visto e ascoltato tanto. Trovo che non sia affatto sbagliato esaltare la “primordiale rozzezza” del primo Verdi, perché è elemento costitutivo di quel repertorio: certo non è solo questo (e Muti non lo riduce a questo), però c’è una differenza tra le atmosfere notturne del Trovatore (a mio gusto una delle più straordinarie direzioni scaligere di Muti) e la cupezza oppressiva di Don Carlo con le opere a cabaletta stile Nabucco, Attila o Ernani…

  10. Ma guardate che Muti è sempre stato un direttore che ha diviso moltissimo. Io ho seguito con grande intensità tutto il periodo della sua permanenza al Maggio. Era adorato da moltissimi. Ma moltissimi erano anche coloro che lo detestavano con tutta l’anima, che proprio non potevano sopportarlo, che provavano per lui una sorta di disgusto quasi fisico. Quando io ho vissuto l’esperienza, veramente istruttiva, del blog “La voce del loggione”, che festeggiava la cacciata di Muti da Milano, questo atteggiamento debordava da tutte le parti; era veramente impressionante, una sorta autodafè collettivo, l’uccisione di un capro espiatorio. Si sentivano cose di questo genere: “bisogna vigilare affinché non ritorni”, ” ne va della nostra libertà di ascoltatori”, “si è trattato di un ventennio paragonabile a quello fascista”, “ora che sono libera posso uscire di casa tutte le sere ed ascoltare musica”. Come se Muti avesse impedito a questa ultima signora di farlo e l’avesse costretta in una specie di prigione, domestica o teatrale che fosse. Ovviamente questo blog è ora praticamente finito. Si fondava esclusivamente su quell’episodio e non si può, proprio non si può continuare a parlare di un episodio e di una persona per anni ed anni. Io a quel tempo era veramente esterrefatto. Ma mi è sempre piaciuto imparare ed ho imparato, nel senso più ampio del termine. Muti, nonostante i suoi numerosi adoratori, non è mai stato accettato fino in fondo. Bravo sì, sarebbe ridicolo negarlo, e perfino un loggionista si pone dei limiti al ridicolo, anche se questi limiti sono in genere estremamente larghi. Ma questo “bravo” è sempre stato seguito da un “però”. “Bravo, ma rozzo e fracassone”, “bravo, ma non sa scegliere i cast”, “bravo, ma non ha una vera cultura sinfonica, viene dalle cxampagne della Puglia, cosa può avere di comune col Musikverein?”, “bravo, ma vuoi mettere Mitropoulos?”. Quest’ultima battuta è poi particolarmente divertente quando viene da un loggionista scaligero, considerato il fatto che i suoi compagnucci ambrosiani non si fecero pregare a fischiare a sangue l’illustre direttore greco alle prese con il “Wozzeck”, quando invece a Firenze, luogo che Mitropoulos notoriamente frequentò molto, di questi poco lodevoli comportamenti non ci fu nemmeno l’ombra. E i fischiatori erano in larga parte i competenti vociomani del tempo, oggi così rimpianti. Ma passons. Muti per larga parte è sempre stato iscritto su una sorta di lista nera, per i più vari motivi. O anche per nessun motivo; semplicemente perché così esigeva lo spirito del tempo, che distribuisce le liste bianche e le liste nere in modo incomprensibile ai più, creando dal nulla come la divinità. A questo proposito è veramente interessante un saggio di Milan Kundera, “Le liste nere o divertimento in omaggio ad Anatole France”, in “Un incontro”, Milano, Adelphi 2009, pp. 55-71. Un saggio memorabile. Kundera incontra in taxi una signora e le domanda qual è il musicista francese che le piace di più. Sorprendentemente, la signora non gli risponde a tono, non gli dice il nome del suo preferito, ma gli fa invece il nome di quello che evidentemente le piace di meno. “Certo, non Saint-Saens!”, è la sua risposta. C’è un senso a questo? Sì che c’è. Se la signora fosse stata un’appassionata o un’intenditrice di musica, avrebbe fatto uno o più nomi. Evidentemente non lo era e si è quindi preoccupata soltanto di non dare l’impressione di non essere à la page. Per questo scopo il rifiuto e il disprezzo sono molto più adatti perché, si sa, lo snobismo non molto sicuro di sé impone di condannare più che di accettare. Il nome di Saint-Saens l’aveva sentito dire più volte, sempre disprezzato: non aveva fatto altro che usarlo. Di qui una serie di considerazioni su Anatole France e sul disprezzo e l’oblio da cui era circondato, tanto da farlo includere in una lista nera del tutto ignara del suo autentico valore e, soprattutto, del tutto disinteressata a discuterlo. Così spesso è per Muti. Oscilla pericolosamente fra una lista bianca che tende al grigiastro e una lista nera come la pece. Non sa fare i cast, può darsi. Si è parlato del Ballo in Maschera e si è accennato spesso con entusiasmo a quello di Mitropoulos. Giustamente. Avrei però voluto leggere che in quel Ballo Amelia è una Milanov disastrosa. Come è disastroso, con l’eccezione di Bergonzi, il cast del Simone diretto dallo stesso. La lista di Mitropoulos si è forse in quelle occasioni venata di una lieve sfumatura di grigio? Macchè. Sempre bianca come la neve è rimasta.
    Ciao a tutti
    Marco Ninci

    • Se Trovatore fosse stato scritto da un Donizetti ubriaco sarei d’accordo con te… Peccato che le orribili cadenze aggiunte dai coniugi Bonynge, gli acuti osceni tenuti senza senso, la modifica della scrittura (come il mezzo tono in più della seconda cabaletta di Leonora), una Sutherland in affanno nei bassi, l’orchestra diretta come la banda di Roccacannuccia, tradiscano non solo Verdi, ma pure le pretese belcantiste…

    • Wolfi, se ti ricordi bene quando hai ascoltato il Trovatore di Muti avevi una parrucca che non favoriva un ascolto obiettivo. Avevi esagerato col talco e sotto la parrucca avevi appena messo sui pochi capelli il front line che usi per il tuo bracco di nome Bauchan anziché il MOM che acquisti presso la Alte Hofapotheke di Salzburg

  11. carissimi tutti, vi leggo spesso e vi adoro, sia quando parlate bene che quando parlate male (a torto o a ragione non importa) di uno spettacolo, un direttore, un cantante, e via cosi’. vi adoro perche’ credete ciecamente (e, sono convinto, in tutta onesta’; diversamente da tanta critica o altri onanistici pseudo-blog altrove citati…) in quello che scrivete, e arrivate a sfide all’ultimo sangue per questioni che farebbero ridere la gran parte degli operatori del settore (io non lo sono, per inciso).
    Vorrei entrare nello specifico: sono un buon amico del maestro muti e, sono convinto anche dell’uomo, non solo del “maestro”; e’ molto diverso da come viene dipinto, diciamo che anni e acciacchi (molto ben suerpati, peraltro!) lo hanno reso piu’ riflessivo, meno baldanzoso, sempre caustico e “stronzo”, questo si’ (e io per questo lo adoro), ma e’ il carattere; potreste ridere, ma e’ timido: dà del “lei” non per distanza ma per rispetto, e rispetto esige. Lo ho visto in prova decine di volte (anche molte prove dello stesso spettacolo, intendo), e fatico a credere che il risultato ottenuto (musicalmente, vocalmente) non sia quello da lui voluto, anche se c’e’ sempre un fondo di insoddisfazione (forse piu’ di se stesso che degli altri?). Lo ho visto educare giovani cantanti, portarli a risultati che molti di loro ricordano come insperati, e che poi hanno avuto buona carriera; dittatoriale? certo, e ci mancherebbe! come controllare altrimenti un centinaio (e piu’) di pecoroni e un gruppo di persone che lontane da casa alla fine sono un po’ con lo spirito della vacanza perenne? eppure in questa “dittatorialita’” non lo ho mai visto cercare di imporre la sua lettura senza dare una spiegazione del motivo musicale, vocale, drammaturgico); spiegazione magari non condivisibile, ma comunque da rispettare, e siccome lui e’ il direttore se non sei d’accordo puoi anche salutare e andartene. Lo ho visto aiutare cantanti non piu’ sulla breccia dell’onda sia in teatro che fuori. Sulle voci non posso espirmermi, diciamo che ho avuto la fortuna di sentire grandi cantanti e di ricordare anche immonde porcate fatte dagli stessi in diverse occasioni, anche se con i processi di santificazione certe serate si dimenticano… E infine ci terrei a dire che sono “mutiano”, si’, ma che ho letteralmente ADORATO il (poco) di abbado che ho potuto sentire in Scala; poco rispetto a quello che ci ha fatto muti, non proprio poco in realta’.

    Tutto quanto sopra per dire che domani saro’ a roma per sentire il nabucco (non dico vedere perche’ della regia poco mi importa… basta che non disturbi i cantanti e il mio orecchio con rumori di scena fastidiosi; sono dell’idea che se una regia non piace basta chiudere gli occhi… e a volte certe regie come quella del Ballo scaligero sembrano scelte apposta solo per far passare in secondo piano tutto il resto, per inciso; e ci riescono, santa madonna). Anzi, a ri-sentire, dato che gia’ nel 2011 ci ero stato. E mi era piaciuto.

    Non ricordo chi di voi carissimi ha scritto che il verdi dell’ultimo muti e’ piu’ pacato (forse il termine non era questo); io lo trovo velato di tristezza e di malinconia, e spero di poter risentire un rigoletto nel prossimo futuro per porlo a confronto con quello della scala dello scorso secolo (orrore, passano gli anni). Questa tristezza, questa malinconia sono forse piu’ “adatte” ad opere come i foscari o il simon boccanegra, ma l’approccio mi piace, forse perche’ sto intristendomi pure io. Un mio carissimo amico dice che muti si sta “abbadizzando”; se penso al simone di abbado di scaligera memoria forse un po’ di verita’ c’e’, e col passare degli anni le esperienze (purtroppo) condivise dai due direttori aumentano: l’eta’ (abbado e’ piu’ vecchio, LO SO; devo dirlo, che se muti legge questo appunto poi me lo fa notare…), qualche acciacco (abbado qui vince di diverse incollature), la cacciata dalla Scala (semplificando: uno perche’ ci stava poco, l’altro perche’ ci stava troppo… in comune lo stile degli orchestrali, dei gran signori sempre e comunque, eh?)…
    Vorrei chiudere questo sproloquio con una ultima considerazione: muti puo’ piacere o meno, ma credo che tutti possano (possiamo?) essere d’accordo su una cosa: sa instillare l’orgoglio nelle persone che lavorano con lui. guardate le facce degli orchestrali di roma davanti al teatro e quelle degli scaligeri in via filodrammatici e fate un confronto… forse i primi sanno di avere scampato la morte e i secondi sanno che stanno morendo lentamente (e questo influisce sull’umore), ma un po’ del merito del lavoro che si fa in buca a roma a muti andra’ riconosciuto.

    Cari saluti,
    Otto

    • Molto interessante Otto: su Muti condivido. Ho vissuto, per fattori anagrafici – quasi tutti i suoi anni scaligeri (per il resto ci sono i dischi), e al netto delle singole riuscite – non tutto funzionava e non in tutti i repertori – ho sempre percepito una serietà e una professionalità che oggi, nello stesso teatro, latitano. Del resto tutto si può dire di Muti, ma non che si dedicasse con tutto sé stesso al proprio incarico (era un direttore “presente” sia nelle prove che nella programmazione): ritengo che solo in questo modo si possa fare musica e costruire un’identità sonora. E l’orchestra scaligera all’epoca aveva un suono particolare ed era esattamente quello voluto dal direttore (oltre ad essere precisa e ordinata). Tutto il resto è folklore e livore: e proprio non mi interessa (la leggenda nera, le squallide sceneggiate delle organizzazioni loggioniste etc…). Quanto al repertorio ho apprezzato Muti soprattutto in altro da Verdi: Gluck, Mozart, Rossini, Cherubini, Spontini, Bellini etc…
      Ps: spero, però, che non si “abbadizzi”…almeno lui…

      • dai che il concetto di “abbadizzazione” era un po’ eccessivo lo sapevo anche io! pero’ il tono a volte melanconico che traspare nelle ultime messe in scena di verdi da parte di muti lo ritrovo in diverse produzioni di abbado (di 30 o 40 anni fa, peraltro). Mi fa impressione vedere (anzi sentire) che due macbeth per molti versi agli antipodi (verret/abbado vs muti/guleghina o muti/serjan; tutti sentiti dal vivo; al primo ero un bimbo…) mi danno le stesse sensazioni. e prima che me lo dica qualche sadico di voialtri, me lo dico da solo: si vede che non capisco un tubazzo!

          • HaHaHaHaHa! questo mi piace… acidi come uno yomo scaduto da un anno; perche’, poi…

            La mia mamma mi ha insegnato che le cose piu’ cattive si dicono con estrema cortesia e con tono pacato e (magari) un sorriso scanzonato; in realta’ Otto e’ il mio nome, un pezzo crucco da parte di trisavolo paterno. Si vede che la grandeur tedesca gia’ si manifestava a meta’ Ottocento… arebbe potuto chiamarsi Vier per fare piacere a te, albertoM!

          • però la battuta di albertemme mi ha fatto morire dal ridere…quattro o due hahah. buffo!

          • Gentile Otto,
            apprezzo molto sia il garbo sia il senso della sua prosa.
            Le chiedo una grazia: non usi il plurale (acidi) lì dove un singolare sarebbe più che sufficiente. Siamo tutt’altro che un corpo compatto che si muove nella stessa direzione – anzi, tutt’altro – ed è forse lì il bello del CdG.
            Al piacere di leggerla di nuovo.
            Lily Bart

  12. Guardi Otto che io condivido tutto ciò che ha scritto, la mia non era una battuta acida ma d’avanspettacolo come se avessi detto con riguardo al grande Papa di Concesio Paolo Sesto…che poteva piazzarsi meglio…secondo, terzo per esempio. Quindi andava interpretata al contrario di come l’ha interpretata lei. Lei che ha l’onore di conoscere e a quanto pare sopportare il Maestro accetterà una larvata presina in giro e mi scuserà. Prometto di evitare per tre giorni battute sceme.-

    • carissimi… ci mancherebbe! Il plurale acidI mi e’ scappato (la I e’ di fianco alla O…); la battuta di AM che e’ piaciuta alla Grisi non e’ male, ma io la sento da 46 anni… e con una serie di varianti pressoche’ infinita (2 alla terza, radice quadrata di 64… se poi considerate che porto gli occhiali: quattrocchi quindi quattro e quattro ottoocchi)… Pero’ confesso che in vacanza da ragazzo con un nome strano/straniero e dato che parlo discretamente qualche lingua il “cucco” riusciva semplificato! Per quanto riguarda sopportare muti… mica lo ho sposato! Il bello di frequentare una persona (importante o meno non fa differenza, non ho complessi di inferiorita’) senza doverle nulla (gli sono debitore di tanta musica, ma non “devo” ne’ favori, ne’ soldi…) permette di avere solo il meglio… come la grappa Julia che mi tormentava nel Carosello pre-nanna dei primi anni ’70

  13. stancamente reduce dalla recita di ieri sera (grazie a trenitalia e allo scirocco romano). una breve recensione, anzi tre!:

    Una alla moda “abbadiana”, riferendomi al noto blog (BlackBlog, come lo definisco io): La solita serata in cui l’usurpatore fortunatamente detronizzato, avido di applausi e denaro, ha radunato una abbondante claque per ottenere posticcia gloria e un successo stantio e misero, ottenuto a discapito dei poveri incolpevoli eroi (cantanti e orchestra tutta). Piange Verdi, piange l’ITALIA intera per questo insulto. Ma giustizia vincera’

    Una alla moda delle vedove e degli orfani: Una serata trionfale come tutte, e con eterno totale merito del Vate, che ancora una volta ha cercato di istruire le povere incolpevoli (e ignoranti) masse su come vada interpretato il primo capolavoro verdiano; i cantanti hanno cercato per quanto nelle loro capacita’ di soddisfare le giuste richieste del Nostro, che ha fatto di tutto, pur nell’ovio dovuto rispetto dell’autore, di assecondarli nel passi piu’ perigliosi. semi-ovazioni per tutti tranne che per il fautore di tanta serata, cui le masse festanti hanno tributato un succeso aldila’ dell’immaginabile, con lanci di fiori, bandiere, banconote da E500, cioccolatini e cotillons. Bene l’orchestra. Buona la regia, bene istruita dal Nostro.

    E ora la “mia”: e’ vero, rispetto al nabucco romano precedente c’e’ piu’ “verve”, o lambrusco se preferite (ma verdi beveva la bonarda e non il lambrusco, per inciso), o frastuono, a detta dell’illustre recensore: nella sinfonia c’e’ qualche colpo cui muti non mi aveva abituato, ma secondo me quando si passa a orchestra+voci l’orchestra si abbassa per sostenerli (e nabucchino ne ha avuto gran bisogno); per esperienza a Ravenna il PalaDeAndre'” mi ha sempre lasciato con un senso di insoddisfazione, ma servono i soldi e li’ i posti sono tanti e cari…, e secondo me con l’orchestra in Buca e in un teatro normale le cose devono essere ben migliorate (magarise qualcuno di voi dispone di entrambi gli ascolti me lo puo’ confermare). Mi trovavo a pensare, verso la fine del primo atto, che il nabucco del 2011 era molto’ “riflessivo”, tipo il “Moise” rossiniano fatto sempre a roma, mentre questo nabucco “2013” mi ricordava molto quello della Scala 1986 (ah, Ghena… povera donna, che brutta fine), quando durante la sinfonia a un certo punto mi veniva da alzarmi e cantare “Loooooone RANGEeeeeRrr!” come nella pubblicita’ della carne in scatola Montana accompagnata dalla sinfonia del Tell (qualcuno se la ricorda? la pubblicita’, non la sinfonia!). Le voci: Nabucchino appunto, Abigaille vibra ma poi mi convince, il resto diciamo inZomma. Ma si trova di meglio in giro? E’ una domanda seria. Forse un Bruson in stato di grazia (non scherzo)? un Nucci (mah…)? e le altre parti? Io sono uscito soddisfatto, ma sono “mutiano”, perlomeno di nascita / ascolto, per cui mi misuro con un metro domestico, come dire. Mettiamola cosi’, allora: se questa era brutta, non guardiamo le altre… e ora buonanotte!

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