Traviata… secondo noi.

Calder__passione-e-morte_gEsponiamo qui di seguito alcune nostre proposte per un allestimento ideale della Traviata di Verdi, organizzate come una sorta di microconcorso di idee, legato all’avvenimento scaligero che si terrà a breve. Un maestro del teatro di regia contemporaneo è approdato a Milano e da settimane non si parla d’altro che del modo in cui l’opera verrà allestita. Provocatoriamente ( ma fino ad un certo punto ) abbiamo provato anche noi a cimentarci nel ruolo del regista, meditando sui significati di questo titolo, sulla sua attualità o meno, sulla trasmissibilità dei messaggi extramusicali che contiene, esattamente come si fa oggi nel teatro di regia. Invitiamo anche i nostri lettori a partecipare, inviandoci la loro proposta di regia ideale. Sarebbe un modo un po’ diverso ed originale di riflettere sul tema degli allestimenti, dato che, se tutto andrà come prestabilito, di questo evento scaligero se ne parlerà a lungo. Buon divertimento!

La morale della Traviata

La mia è una Traviata che guarda apertamente al futuro, come suggerisce al pubblico il Sovrintendente Lissner in questi giorni di vigilia dell’inaugurazione. Colgo apertamente e seriamente il suo invito, senza un solo filo di ironia. La mia proposta registica unisce presente e futuro in unica visione fortemente simbolica in cui Violetta rappresenta la cantante-diva moderna, costituendo, alla fine, l’essenza stessa del canto moderno, inteso anche come specchio della realtà etica presente.
La mia Violetta è una cantante di oggi, una donna sola in un popoloso deserto e vive su di sè lo stato dell’arte, il modo in cui il cantante viene mercificato e schiacciato dall’inesorabile realtà del commercio artistico.
Durante il preludio intendo offrire un’immagine che assurge a simbolo di lei e di tutto il suo mondo: Violetta-soprano che riascolta la propria voce con le cuffiette dell’ Ipod, come poi riaccadrà nel finale, quando, seduta moribonda sul letto di casa in attesa del fonoiatra che le pronosticherà la fine della sua voce e della sua carriera, dirà “Oh come son mutata! Ma il dottore a sperar pure m’esorta…o, con tal morbo ogni speranza è morta”.
Violetta canta e canta e canta e canta per ogni dove ogni cosa, non può mai dire di no al suo manager, il vecchio Duphol. Il solo amico è Gastone, il pr, curatore delle sue campagne stampa, dei suoi social media, dei suoi contatti col pubblico dei fans etc.. Violetta è svuotata, vorrebbe fermarsi per ritrovare la voce, ma anche per ritrovare il senso di ciò che fa: vorrebbe riprendere le redini di quello che ama veramente, il canto, il piacere e l’amore di cantare bene, ma il commercio ha le sue regole inesorabili. Sa che non può dire no, l’ingranaggio la schiaccia: ribellarsi è impossibile, pena la fine della carriera, ossia della vita.
Alfredo è un giovane tenore, dalla voce ancora bella fresca. Alfredo è destinato ad un grande futuro, ha in sé tutta la positività dell’artista talentuoso, e lei, Violetta, la diva consumata che sa bene come funziona il meccanismo, vorrebbe proteggerlo, averlo accanto per vegliare sulla sua carriera, perché nessuno ne mercifichi l’arte. Si innamorano e con lui Violetta rivive l’entusiasmo degli inizi, quando tutto era bello, positivo, il futuro un sogno possibile. Fuggono, si isolano, lei vuole solo che lui canti solo quello per cui è tagliato; lei rifiuta gli ultimi inviti ad esibirsi del suo manager. Poi si presenta Germont, il padre-manager e maestro di Alfredo. Germont che non può tollerare la fuga del pupillo: non c’è scampo per gli amanti. Se Alfredo vuole una grande carriera felice, dovrà lasciare la ribelle Violetta, che pensa di potersi sottrarre alle dure regole del gioco e che lo spinge solo a cantare bene, seguendo la natura della propria voce. Presto lei non potrà più proteggerlo, perché lei stessa sta per essere lasciata indietro dal suo mondo. Violetta capisce, accetta allora l’ultimo invito di Duphol e si rigetta nella mischia, andando ad un grande ricevimento pubblico. Nella scena della festa ha luogo la danza delle zingarelle giornaliste e dei toreri talent scout e casting managers. Alfredo disperato arriva, e apertamente rinnega Violetta, il sogno di una grande carriera fatta di canto e di arte, davanti a tutti le getta in faccia quel denaro a causa del quale ha compromesso ogni cosa.
Il finale ve lo potete immaginare, col dottore celebre fonoiatra che pronostica la fine; Annina, la vecchia maestra di canto che veglia sulla povera cantante sfiancata da ruoli impossibili. Arriva il manager Germont preso dai rimorsi con il figlio Alfredo, ormai tenore di successo ed ha luogo il finale di riconciliazione tra i due amanti ma anche la morte della protagonista, ossia del canto come arte.
Lo spazio ove ha luogo il dramma è il teatro: nella scena della festa un immenso specchio riflette la sala e gli spettatori, a ricordare loro che sono complici della tragedia vocale ed umana di Violetta. Il giudizio morale ottocentesco sulla donna perduta, costretta a sacrificare se stessa per potersi redimere e riabilitare è ormai invecchiato per la nostra società. Un sistema di valori di segno opposto ci sovrasta: Violetta muore perché ribelle ad un sistema perverso, solo commerciale, che vince sempre. La morale moderna non prevede riconoscimento per l’etica professionale, il valore assoluto del fare bene o del fare secondo un ideale. L’idealista è lo sconfitto della società moderna. Lo spettatore risulta essere il complice silente dell’affermarsi di questa morale negativa, perché guarda ma non parla, sa solo assistere muto, adeguato allo svolgimento spietato delle cose.
Uno spettacolo dove lo scandaglio psicologico della protagonista e del suo dramma professionale è portato alle estreme conseguenze, in una versione che svecchia finalmente un messaggio superato per fare trionfare la realtà odierna. Il lato espressionista della mia Violetta è intenzionale, dovrà cantare con voce afonoide, fibrosa e latrata per simboleggiare tutto il dramma fisico ed artistico della donna, mentre Alfredo dovrà avere voce bellissima. Per Germont sarebbe adeguato un celebre tenore anziano di grande successo.

Giulia Grisi

 

Anche Domenico Donzelli si lascia influenzare dal mito della cantante, ma di una ben precisa: Claudia Muzio e l’epoca della morte della medesima, il 1936 che fu l’apogeo del regime fascista. Regime, che assurge per il nostro ipotetico regista in un momento di oppressione e strumentalizzazione della donna. Strumentalizzazione e oppressione perpetrata dal regime di concerto con tutti i “poteri forti”, che nella realizzazione scenica del dramma sono ben presenti.

A Roma nel 1936 siamo in un elegante casa di piacere frequentata da gerarchi fascisti e prelati. Appare quindi Violetta Valeri una delle ragazze più appetite e desiderate e mentre la maitresse (che avrà le fattezze ed i vestimenti di una massaia) invita i presenti a utilizzare i servizi della casa appare un ragazzo, in divisa da GUF, alle prime esperienze in quei luoghi e spaesato che attira la più bella delle ragazze, rigorosamente abbigliata come la Muzio in Traviata. Alla fine dell’atto la Valeri, stanca dall’esercizio del meretricio, attratta dal giovane (ovvio che il tenore deve essere bellissimo) prende a calci la maitresse e lascia la casa

Nel secondo atto siamo sui colli romani, arredamento da film dei telefoni bianchi, sparse ovunque foto dei divi del cinema e dei maggiori gerarchi fascisti e Alfredo riflette sul mutamento della propria vita scopre che Violetta sta vendendo i propri beni e alla guida della propria Lancia Augusta raggiunge Roma. Nel frattempo giunge un uomo che chiede di Violetta è accompagnato da un giovane suora. I due personaggi si rivela essere niente meno che il segretario di Stato vaticano card. Pacelli e la sua segretaria Suor Pasqualina. Il potente prelato minaccia Violetta lasciando intuire un rapporto familiare molto stretto con il giovane e impone alla mondana di troncare il rapporto. La stessa accetta. Per ricompensa le vengono assicurate le cure di un noto clinico romano il prof. Petacci. La lettera di addio è scritta dalla suora medesima, mentre Violetta viene allontanata su una macchina della polizia. Alfredo riceve la lettera recata dalla suora medesima, vestita da uomo e ad onta del conforto del prelato giura di vendicare l’onta.

La scena della festa si svolge a Villa Torlonia presenti i maggiorenti del regime si devono riconoscere il duce, i coniugi Ciano ed i maggiori gerarchi molti giovani e ragazze la cui professione è chiara. Le zingarelle saranno vestite con il solo negligeè che indossano le ragazze che lavorano nelle case. Arrivano Violetta e poi Alfredo e quando quest’ultimo insulta e umilia con il lancio delle banconote la Traviata si apre lo sfondo ed appare una maestosa processione (tipo il defilèe di abiti religiosi del film Roma di Fellini) e il cardinale richiama all’ordine il giovane. La donna, invece, viene trasportata con una macchina nera targata CV.

TOMBA-MUZIODurante il preludio in un modesto appartamento arredato sommariamente Violetta ha appena ricevuto l’estrema Unzione e sta consultando, conscia della propria imminente fine, il catalogo dei feretri di una nota impresa di pompe funebri. Il catalogo appare lugubremente proiettato sugli squallidi muri dell’alloggio e si fissa con l’immagine della tomba di Claudia Muzio. Arriva Alfredo, vestito da ufficiale dell’esercito e tutti i personaggi del dramma. Violetta si getta dalla finestra. Il perbenismo del tempo impedisce che si possa accettare il suicidio e il cadavere viene messo sulla poltrona della stanza della squallida magione, come se fosse morta per cause naturali.

Insomma un’orrenda paccottaglia questa Traviata in chiave post concordataria, ma irrealizzabile per il solo motivo che tutti o quasi i nostri più accreditati uomini di spettacolo non sono in grado di ricostruire decentemente la Roma del 1936.

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Domenico Donzelli

 

Una Traviata gggiovane

PRELUDIO E ATTO I
Il sipario si alza alle prime note dei violini: è notte e la scena è composta da un muro grigio, sporco e ricoperto di scritte, sulla sinistra una porta di sicurezza. Questo muro rappresenta il retro della discoteca dove Violetta sta ballando. Sotto un lampione, vicino ad un cassonetto della spazzatura, una prostituta sta praticando una fellatio ad un ragazzo. Violetta, vestita da discoteca, esce dal locale, si appoggia con la schiena al muro e fuma una sigaretta.
Al termine del preludio Violetta si scosta dal muro che scompare verso l’alto. Adesso si vede l’interno della discoteca: a sinistra il privé, in mezzo la pista dove balla la maggior parte dei presenti, a destra un palo da lap dance (per ora vuoto) e in fondo la console del dj.
Al momento del brindisi Alfredo solleva con la destra una bottiglia di vodka belvedere e con la sinistra una di Dom Perignon, tutti i presenti invece sollevano bicchieri da drink.
Quando Violetta ha il mancamento, dopo aver tranquillizzato i presenti, entra nel bagno delle donne (la porta è a sinistra vicino al privé, appena entra la scena, ruotando su se stessa scopre il locale del bagno). In mezzo a questo bagno sporco e mal illuminato, di tanto in tanto entrano alcune coppie etero e omosessuali che si chiudono ai gabinetti per copulare. Qui si svolge tutto il duetto tra Violetta e Alfredo.
Al momento di cantare l’aria Sempre Libera, Violetta torna in pista e sale sul cubo, da dove canta.

ATTO II
Siamo a casa di Alfredo, che ovviamente vive ancora con i suoi genitori. Tutta la scena si svolge in camera da letto, una camera arredata per sembrare la camera di un adolescente (poster alle pareti, disordine, vestiti e libri sparsi in giro). Violetta era venuta a casa per trovare il suo Alfredo, ma sfortunatamente, questi è fuori e invece torna in anticipo Germont, padre del fidanzatino. E’ chiaro che Germont vuole tutelare l’onore della famiglia impedendo alla professoressa del figlio di compromettere l’avvenire del suo primogenito. Durante il duetto Germont-Violetta, il primo cerca di palpare ed accarezzare Violetta, di cui è si è infatuato, ma questa riesce sempre a sottrarsi.
La festa della seconda scena invece si svolge integralmente in un appartamento mal arredato e disordinato: è la casa dell’insegnante di ginnastica, collega di liceo e di avventure di Violetta.

ATTO III
Tutto l’atto III si svolge in una corsia d’ospedale pubblico. La confusione, il disordine e la sporcizia dominano la scena. Il letto di Violetta è in primo piano, ma presso gli altri letti della corsia, nel corso dell’atto si svolgono le seguenti scene: viene cambiato un catetere, la badante di una paziente anziana arriva, svuota il portafoglio della degente ed esce dall’altro lato della scena, qualche infermiera che va e viene da una parte all’altra ignora platealmente le gesticolanti richieste di soccorso di alcuni pazienti che sembrano molto sofferenti. Al termine dell’opera quando Violetta muore, due infermieri spingono via dalla scena il letto con la morta. Solo a questo momento cala il sipario.

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Napoleone Moriani

 

“La traviata” di una sempre scandalosa Marianne

l43-prete-suora-federici-110909124706_bigATTO I
L’apertura del sipario ci mostra la sede parigina delle “Ancelle del Sacro Cuore di Gesù”, più precisamente la sala mensa ove vengono accolti per il pasto serale i poveri della città.
E’ il 15 Agosto e si celebra il giorno dell’Assunzione di Maria: tutto sarà addobbato a festa, ma in maniera sobria e colorata idonea alla semplicità religiosa della grande stanza; alle pareti simboli religiosi di legno e ceramica, armadietti e cassettiere semplici e un po’ antiche, una libreria, un semplice specchio, un orologio da muro che segna l’ora di cena, un vecchio televisore; sulla parete di sinistra una modesta cucina attrezzata, sulla parete di destra una porta di legno a due ante che da sulla strada, la parete centrale di fondo, invece, si apre attraverso un grande finestrone completamente aperto ad un piccolo e dolce giardino esterno dove è alloggiato un piano bar.
Al centro della sala una lunghissima tavolata imbandita accoglierà i presenti.
Violetta, una suora delle comunità del sacro cuore, vestita con il velo e gli abiti dell’ordine è seduta su una sedia della tavolata discorrendo, visivamente preoccupata, con il Dottor Grenville e la fidata suor Annina, in mano stringe la croce del rosario che porta al collo.
Si apre la porta principale ed entrano Flora Bervoix, una volontaria anziana, ma ancora piacente, accompagnata da Gastone, un simpatico giovane volontario, seguiti dal Barone Douphol e dal Marchese d’Obigny due ricchi parigini finanziatori delle iniziative benefiche dell’ordine, ed una schiera di bambini, poveri e barboni miserabilmente vestiti. Ultimo, a chiudere gli ingressi, il giovane prete Alfredo Germont.
Tutti portano cibo e vivande che distribuiscono sui tavoli con l’aiuto di Suor Annina, mentre Suor Violetta, lascia il dottore e le preoccupazioni ed accoglie i nuovi arrivati dispensando abbracci e sorrisi.
Gastone, con fare malizioso, si avvicina ad una indaffarata Suor Violetta portandosi dietro il giovane prete onde presentarglielo: Alfredo è visibilmente imbarazzato, osserva con timore Violetta, e finge di leggere il proprio breviario, ma Violetta dopo le presentazioni non si cura di lui e continua il suo lavoro e a far sedere i poveri ed i finanziatori al posto loro assegnato.
Quando tutto è pronto, Flora e Annina portano il cibo caldo ed iniziano a distribuirlo: Suor Violetta vorrebbe ringraziare il cielo del cibo, ma i poveri tirando fuori fiaschette di alcol, Tavernello, e bottiglie di liquore (“Ben diceste, le cure segrete fuga sempre l’amico licor”) con disappunto della religiosa, che però subito torna serena e si siede in mezzo a loro, vicino a Gastone.
Quest’ultimo, sempre malizioso, racconta di come padre Alfredo si sia molto preoccupato quando lei cadde malata, tanto da chiedere il suo stato di salute giornalmente; Violetta sorride distaccata e chiede al barone se anch’egli ebbe la stessa accortezza inscenando uno scambio di battute sarcastiche con Flora ed il Marchese.
Padre Alfredo è sempre più imbarazzato nonostante cerchi di attirare l’attenzione di Suor Violetta che gira intorno al tavolo per riempire i bicchieri, quando Gastone propone al Barone, per sdrammatizzare e continuare i festeggiamenti dell’Assunta, un brindisi, ma si rifiuta ed allora il giovane propone proprio ad Alfredo di innalzare un inno.
Suor Violetta si siede accanto a lui imbracciando la chitarra per accompagnarlo ed Alfredo, lusingato, canta un inno all’amore che coinvolge prima gli ospiti, poi la stessa Violetta che risponde chiaramente indicando nell’amore quello di Dio e concludendo lasciando in mezzo al tavolo, verso Alfredo, un fiore tolto alla statua della Madonna, mentre i presenti visibilmente divertiti continuano a bere e mangiare.
Quando da fuori inizia la musica del pianobar, Violetta invita tutti a proseguire i festeggiamenti nel giardino, ma mentre gli invitati svuotano la sala, lei ha un malore ed è subito soccorsa dal dottor Grenville che la sostiene e la porta a sedersi. Mentre le fa una iniezione per calmare il dolore, entra padre Alfredo ed il medico viene congedato con grazia.
Il prete è scosso e chiede, ma Violetta lo tranquillizza con grazia, ma Alfredo incalza e le dichiara il suo amore; lei ne è turbata: lei una suora che non ha mai conosciuto l’amore, lui un prete che le apre la sua anima, ma davanti a tali argomenti sorride e vorrebbe raggiungere gli altri in giardino.
Alfredo le confida di amarla dalla prima volta in cui la vide, ma lei con grazia lo respinge: solo amicizia, lei non sa amare in quel modo. Interviene velocemente Gastone, invitandoli ad unirsi alla festa, ma Alfredo vuole andare via, senza speranza, ma Violetta, quasi stupendosi del suo gesto, raccoglie il fiore dal tavolo e glielo dona, pregandolo di restituirlo alla statua quando sarà appassito.
Alfredo va via felice e con lui tutta l’ormai brilla compagnia vista l’ora tarda.
Rimasta sola con Suor Annina, Violetta inizia a pregare per cercare conforto al turbamento che prova nel cuore indecisa se risolversi nell’amor di Dio o nell’amore per il giovane prete.
Termina la preghiera, con stupore della consorella, si leva il velo ed il rosario risoluta e sorridente ed intona “Sempre libera”. Mentre crede di sentire la voce di Alfredo che le ripete i suoi accenti amorosi, Annina cerca di rimetterle il velo ed il rosario, ma la ragazza li rifiuta.
In quel momento rientra davvero Alfredo: Violetta gli toglie la giacca da prete e la fascetta bianca dal collo e gli si getta tra le braccia, spara un MiBem sovracuto e baciando il prete con voluttà fa svenire la povera Annina

ATTO II

Siamo all’interno di una suite di lusso in un Hotel di Parigi.
Sulla parete di destra un letto di foggia contemporaneo che esprime un certo sfarzo, due comodini ai suoi lati, e la porta in fondo; la parete centrale è occupata da un finestrone che la occupa quasi per intero e che si affaccia su una città francese non lontana da Parigi, ora coperta da una tenda trasparente e di colore tenue; davanti, su un grande tappeto che parte dai piedi del letto sul quale campeggia un tavolino con l’occorrente della colazione già utilizzato; più a sinistra un grande armadio a specchio, mentre si apre una porta che da nel bagno e da cui possiamo osservare una vasca coperta da una tendina.
Sulla musica entra Alfredo in accappatoio bianco, canta il suo amore per Violetta e quanta gioia gli da la storia d’amore iniziata con lei e lontana dagli obblighi religiosi.
Mentre canta “De’ miei bollenti spiriti” lo vediamo farsi la doccia nella vasca.
Entra improvvisamente suor Annina, portando con se alcuni documenti, ne deve prendere altri nascosti nell’armadio: Alfredo se ne accorge, si rimette l’accappatoio e chiede spiegazioni. Capisce che Violetta per mantenere il loro status sta vendendo proprietà sue, ma anche dell’Istituto del Sacro Cuore al Barone ed al Marchese: non può sopportare e durante “Oh mio rimorso! Oh infamia!” si riveste, afferra bancomat e carta di credito e velocemente parte per Parigi.
Poco dopo entra Violetta, bellissima e con un look moderno e sofisticato, tornata dallo shopping. E’ visibilmente incinta di almeno cinque mesi, ha in mano un IPhone e legge un messaggio di Flora che la invita ad una asta di beneficenza per l’Istituto del Sacro Cuore, ma la donna sorridendo rifiuta. Entra un fattorino dell’Hotel e avverte la donna della presenza di un uomo che chiede di conversare con lei: Violetta crede che sia un uomo d’affari per alcune vendite e lo fa entrare.
Davanti si trova invece un Vescovo, il padre spirituale di Alfredo, accompagnato da una piccola giovane novizia in lacrime.
L’uomo spiega che Alfredo vuole far dono dei suoi beni per aiutarla, ma Violetta prontamente mostra l’atto di vendita delle sue cose, ma per quanto nobile, ciò non basta all’uomo.
La novizia che ha davanti si rifiuta di entrare a far parte del Sacro Cuore, perché lo scandalo scatenato dalla fuga di Alfredo e Violetta è troppo grande e chiede che o lei o Alfredo tornino alla vita religiosa onde evitare altri scandali o altri problemi con le novizie o gli altri preti, perché l’uomo è volubile, la bellezza fugace, la gioia passeggera, ma Dio saprà perdonarli e accettare il loro pentimento.
Inizialmente la donna rifiuta: è felice, Alfredo è suo amico, amante e famiglia in più è incinta e segretamente malata, non vuole rinunciare a tutto questo per tornare alla vita religiosa, o essere abbandonata dall’uomo che ama; il Vescovo incalza e comanda. La donna piange02_kiss-me_672-458_resizendo canta accarezzando la novizia “Dite alla giovine”, ma ottiene dal Vescovo che in futuro Alfredo sappia del sacrificio che è stata costretta a subire.
Il Vescovo e la novizia partono, e tra le lacrime Violetta prende i suoi vecchi vestiti da suora, scrive un messaggio per Flora ed inizia a scrivere un messaggio ad Alfredo sull’IPhone, ma il giovane sopraggiunge: lei si confonde, piange, lo abbraccia, lo bacia afferra i suoi abiti e canta “Amami Alfredo!” fuggendo, ma lasciando l’IPhone sul tavolo.
Entra un fattorino e porge ad Alfredo un biglietto di Violetta: l’uomo si dispera, comprende di essere stato abbandonato, ma giunge nuovamente il Vescovo, lo abbraccia e gli mostra un libretto indicandogli come suo futuro la diocesi provenzale dove potrà ricominciare da capo a esercitare la professione di parroco in seno alla Chiesa. Alfredo è fuori di sé, ma scorge l’Iphone di Violetta sul tavolo, legge gli ultimi sms e si rende conto che la donna è da Flora. Inseguito dal Vescovo, Alfredo parte a sua volta per Parigi.
Cambio scena. L’interno della sede del Sacro Cuore, come nell’atto I. Tutto è addobbato per l’asta di beneficenza. Un coro vestito in stile Gospel e gente seduta o in arrivo che prende posto. Flora discute con il marchese ed il dottore, sanno che Violetta e Alfredo non sono più insieme, ma che la donna sarà accompagnata dal Barone.
Entrano d’improvviso un gruppo di zingare nella sala a chiedere l’elemosina e leggere la mano: Flora scherzosamente se la fa leggere, ma presto le zingare vengono fatte allontanare per non creare disordini.
Gastone, per intrattenere i fedeli, dirige il coro Gospel in una simpatica canzone spagnola che da inizio all’asta.
Entra Alfredo, è vestito da prete, tutti lo guardano incuriosito e prende posto vicino a Gastone ed al Marchese per partecipare all’asta e portare le vincite con se nella diocesi provenzale; dall’altra parte il Barone introduce Violetta, vestita da suora, tutti osservano il suo stato e ne parlano animatamente: la donna si accorge della presenza del suo ex amante, trasalisce e si siede accanto a Flora per narrare le ultime sventure.
Il Barone si dimostra infastidito della presenza di Alfredo e lo provoca entrando in competizione con lui, solo Violetta e la cena che sta per essere servita placano l’ira montante tra i due.
La sala si svuota, resta solo Violetta preoccupatissima che si rifugia nel suo rosario, ha chiesto di parlare sola con Alfredo che si presenta: la donna lo mette in guardia dal Barone, è potente e potrebbe fargli del male, ma Alfredo vorrebbe fuggire con lei; Violetta si nega, ha fatto un giuramento non al Barone, ma a Dio.
Alfredo si infuria e richiama tutti: svela che Violetta ha venduto i suoi averi per mantenerli e ora vuole restituirle il favore, e le scaglia con disprezzo il ricavato dell’asta ed i soldi della questua.
Grande agitazione, Alfredo viene fermato da Gastone ed il Marchese, mentre in sala entra il Vescovo. Tutti si inginocchiano in sua presenza, ma l’uomo rimprovera aspramente Alfredo per il suo gesto poco cristiano e offensivo. Violetta, consolata da Flora, ripensa a quello che deve subire per mantenere il segreto, la folla condanna il gesto di Alfredo e aiuta la donna, Alfredo pentito si arrende al Vescovo. Il Barone si arrotola le maniche della camicia ed inizia a fendere colpi su Alfredo che si difende. Su questa scazzottata cala il sipario.

ATTO III
Sala d’ospedale. Davanti l’ingresso con le due porte mobili, a destra e sinistra quattro letti, tre dei quali vuoti ed uno occupato da Violetta. Pareti bianche e verdi.
Durante il preludio assistiamo al parto di Violetta: è una bambina, ma la donna viene immediatamente preparata per ricevere le cure contro la tisi. E’ prostrata dalla malattia e dal parto, ma è assistita fedelmente da suor Annina e dal Dottore ormai rassegnato alla morte della donna.
Violetta prende il suo IPhone, e legge l’sms del Vescovo (“Teneste la promessa”), la disperazione si impadronisce di lei, ma per darsi conforto riguarda le foto sue e d’Alfredo quando erano felici (e che alcune proiezioni sulle pareti dell’ospedale ci mostreranno).
Il coro esterno dal corridoio si sposta all’interno della sala dove troveremo medici, stile Patch Adams, travestiti da clown per la terapia del sorriso e portare un po’ di gioia nei pazienti.
Violetta sorride amaramente e riceve le carezze dei medici.
Entra di corsa suor Annina e avverte Violetta dell’imminente arrivo di Alfredo che velocemente si presenta e si lancia tra le braccia della sua amata.
Cerca di alzarsi, rifiuta i suoi abiti da suora, vuole quelli borghesi per poter lasciare Parigi con Alfredo, ma il male le impedisce di muoversi e chiede del medico, che prontamente le somministra un antidolorifico.
Entra anche il Vescovo, è divorato dal rimorso ora che vede Violetta, non riesce a guardarla né a toccarla e resta in disparte nonostante le parole di stima.
Arriva suor Annina e porta la culla ospedaliera con la bambina da mostrare al padre; Violetta intona con affetto “Prendi… quest’è l’immagine” e affida la neonata ad Alfredo.
Improvvisamente lei si sente meglio, si solleva dal letto strappandosi energicamente i tubi e le flebo, sembra che ritorni a vivere, allora afferra una siringa vuota e colpisce il collo del Vescovo, iniettandogli aria, che muore all’istante sotto gli occhi attoniti di Annina, del medico e di Alfredo che stringe la bambina.
Soddisfatta Violetta può finalmente rendere l’anima nella disperazione generale.

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Marianne Brandt

 

TRAVIATA COI FI(S)CHI SECCHI
Note di regia Introduzione e Preludio
ce4ca4d1d3d205a5080fb9929aa83d90All’ingresso degli spettatori in sala, il sipario è già alzato. La scena rappresenta uno spaccato del Teatro alla Scala: uffici, sale prove, laboratori etc. L’attività è frenetica e possibilmente irragionevole in tutti gli ambienti. Al centro, in primo piano, l’ufficio – di pacchiana eleganza – di Dmitri Tcherniakov e dei suoi collaboratori. Capiamo che è il suo ufficio perché vi sono sue foto ovunque. Il Genio sta tenendo una riunione con i suoi collaboratori, che si affannano a mostrargli schizzi, appunti, intuizioni geniali e ovviamente costosissime. Una didascalia (proiettata sull’arco del boccascena): MILANO, 7 NOVEMBRE 2013. Questa pantomima muta, e possibilmente rumorosissima, prosegue fino al momento in cui entra in orchestra il direttore (le luci in sala sono ancora accese). In quel momento la porta dell’ufficio di Tcherniakov si apre ed entra un collaboratore, tremante per lo spavento. Senza dire una parola consegna un foglio al Vate. La didascalia cambia: BANCAROTTA!!! Tcherniakov si abbatte sulla scrivania di cristallo. Sembra svenuto, ma poco dopo ci aggiorniamo che sta singhiozzando. Attacca il preludio. Durante il tema in minore, il Regista e i suoi collaboratori esprimono la propria disperazione: la costumista si butta dalla finestra, il light designer tenta di accecarsi con una Bic, lo scenografo prende a testate un armadio di metallo. All’attacco del motivo in maggiore entra Stéphane Lissner, recando una cartella che consegna a Tcherniakov, quindi esce. Il Regista apre la cartella, la contempla sconsolato, vorrebbe richiuderla ma non può distogliere lo sguardo. Comincia a sfogliarla lentamente, meditabondo, poi sempre più veloce e frenetico. I suoi collaboratori (quelli superstiti!) lo guardano, profondamente perplessi e ammirati. Nel frattempo, sulla scena calano le tenebre. Le luci in sala si spengono e il teatro (orchestra compresa) rimane nel buio più totale sino alla fine del preludio.
Atto primo
Appare la scenografia del finale primo del Don Giovanni (regia di Robert Carsen –inaugurazione 2011). Gli invitati di Violetta, così come la protagonista, sono vestiti come gli ospiti di Don Giovanni, maschera compresa. Le sedie della scena del funerale del Commendatore occupano tutto il palcoscenico, disposta a gruppi circolari di 8-10, a delimitare una serie di tavoli immaginari attorno ai quali gli invitati si siedono per consumare la loro “cena”. Alla fine dell’atto, accomiatandosi dalla padrona di casa, gli invitati raccolgono ciascuno una sedia e le accatastano in fondo al palcoscenico. Mentre Violetta canta la sua aria, la parete di fondo comincia a muoversi verso il proscenio, trascinando con sé le sedie accatastate. lohengrin_scala_5211-480x310La cantante tenta di schivarle, continuando a cantare la propria aria (Alfredo esegue la sua parte dal palco reale). Crescendo drammatico, che ha termine (giusto prima che Violetta rimanga sepolta dalla valanga di sedie) con la calata di un sipario dipinto, che ovviamente è una riproduzione di quello della Scala.
Atto secondo / Primo quadro
Quando il sipario si rialza, vediamo l’interno della magione di Elsa (primo atto del Lohengrin, regia di Claus Guth – inaugurazione 2012). Pianoforte, poltrone, scrivania con polverosi volumi etc. Il canneto del terzo atto appare in fondo a destra, a mo’ di giardino d’inverno incastonato nel salotto/studio di Violetta. Gli abiti sono vagamente ottocenteschi, Violetta è in camicia da notte. Quando Germont parla della figlia, appare la bambina che nel Lohengrin costituiva il doppio simbolico di Elsa. Dopo “Amami Alfredo” Violetta vorrebbe uscire da una delle porte del fondo (circa una ventina), ma risultano tutte ermeticamente sigillate. Non le resta che fissare Alfredo e Germont durante la loro scena, al termine della quale le tre pareti della stanza si sollevano a svelare il
Secondo quadro
Siamo nello spazio antistante la plaza de toros di Baarìa (oooops… Siviglia), nella Carmen diretta da Emma Dante (inaugurazione 2009). Qui hanno luogo i divertissement di zingarelle e matadores: anche tutti gli altri, Violetta compresa, sono in abito spagnoleggiante. La partita a carte si disputa a colpi di navaja, mentre nel fondo, su tavoli prelevati dalla taverna di Lillas Pastia, il Dottore, il Barone e Gastone confezionano la droga in pacchi dono. Alla scena della borsa Alfredo, non avendo a disposizione borse da gettare a Violetta, la sfregia col coltello. Mentre arrivano i carabinieri ad arrestarlo, Violetta si trascina agonizzante verso il proscenio. Cala il sipario, purtroppo quello sbagliato: questo cala a metà della scena, lasciando in grave imbarazzo i cantanti, che escono alla spicciolata non appena la musica cessa.
Atto terzo
Don Carlo di Giuseppe VerdiAll’attacco del preludio appare l’interno dello studiolo di Filippo II (Don Carlo, Stéphane Braunschweig – inaugurazione 2008). Violetta (vestita come Elisabetta di Valois) è semisdraiata sulla poltrona del Re, Annina (abbigliata, anzi, parata da Eboli) dorme seduta su uno sgabello. Quando la padrona le chiede di “dare accesso a un po’ di luce”, Annina accende una candela, che appoggia poi sulla scrivania. Durante l’”Addio del passato” appaiono i bambini del primo atto del Don Carlo, che raffigurano l’amore innocente di Alfredo e Violetta. Alfredo, quando entra, è ovviamente vestito da Don Carlo, Germont come Filippo II e il Dottore veste i panni del Grande Inquisitore. All’attacco del concertato “Prendi, quest’è l’immagine” il fondo della scena si apre e appaiono le zingarelle del terzo atto di Carmen, che distribuiscono croci di carta agli astanti. Violetta si avanza al proscenio per cantare “E’ strano”: nel momento in cui grida “O gioia”, un riflettore precipita dall’alto della scena e la colpisce in testa. Mentre Violetta barcolla vistosamente sotto il colpo, il sipario inizia a scendere, ma si blocca a metà. I cantanti, imbarazzatissimi, non sanno se possono uscire di scena. Lentamente, le luci in sala si riaccendono.

Antonio Tamburini

 

UNA TRAVIATA IN CASA DI RIPOSO

traviaChe aspettarsi dalla Traviata secondo Tcherniakov? Le chiacchiere che solitamente si rincorrono intorno al teatro milanese, ancora non ci hanno fornito nessuno spunto. Il sospetto però di una montagna che partorisce un topolino è sempre più forte (tante, troppe le aspettative: sia da parte di chi attende la destrutturazione del melodramma verdiano per “esplorare strani nuovi mondi fino ad arrivare là dove nessun uomo è giunto prima” sia da parte di chi attende il regista russo per contestarlo sonoramente). Nell’attesa ci dedichiamo al divertissement. La mia versione di Traviata vuole strizzare l’occhio a certe piroette registiche che oggi nessun teatro si fa mancare e a certo pubblico che riesce a leggere e a trovare nelle idee più strampalate un qualche altissimo significato ed una simbologia tanto complessa e inafferrabile, quanto pretestuosa e arbitraria. D’obbligo lo spostamento temporale: quindi la miaTraviata è ambientata ai giorni nostri (filologia! direbbe qualche sostenitore del teatro di regia: Verdi la voleva a lui contemporanea), in una cittadina della bassa tra Lombardia e Emilia. Ambiente provinciale e ristretto come solo lo sa essere la provincia padana. L’opera si apre a “Villa Parigi”, casa di ricovero per anziani facoltosi, lì parcheggiati da figli e nipoti in attesa dell’eredità. Violetta è una vecchia signora dal passato discusso, ma abbastanza facoltosa e introdotta per non essere liquidata come “mondana” da marciapiede. Alfredo è un vecchio imprenditore (con “fabbrichetta” di laminati metallici) che ormai ha ceduto l’attività al figlio Giorgio. Eh sì…altro obbligo delle regie “moderne” è ribaltare la prospettiva: così padre e figlio si scambiano i ruoli. I due si conoscono in occasione di una festa domenicale in casa di riposo: lei ancora seduttrice (il lupo perde il pelo ma non il vizio), lui un po’ instabile per via dell’alzheimer crede di avere ancora qualche “colpo in canna” e si prepara a sparare le ultime cartucce! L’idillio da terza età li porta a lasciare “Villa Parigi” e trasferirsi entrambi nella casa in montagna di lui – una villetta a Ponte di Legno – in barba ai figli che pensavano di essersi liberati del pur facoltoso genitore. Ma qui arriva il figlio Giorgio a rompere le scatole, temendo che al padre (affetto da demenza senile) venga la balzana idea di intestare a Violetta case e beni. Tra ricatti e moralismi Violetta cede e torna a “Villa Parigi”, Alfredo e il figlio si scontrano, ma Giorgio gli propone un giretto in Costa Azzurra per placarlo. Tempo dopo però Alfredo torna in casa di riposo (Giorgio nel frattempo ha già sistemato tutto col notaio e ha iniziato le pratiche per l’interdizione del padre) e rivede Violetta durante una festa con i parenti: qualche grappino di troppo e la chiara sensazione di essere stato fregato da figlio e amante, lo fanno uscire di testa e in mezzo alla gente sbatte in faccia alla donna un circolare di gran valore. Interviene Alfredo, incazzato per la somma evidentemente sfuggita alle sue cure e, prima che il padre faccia altro, lo porta via. Violetta si sente male ed è riportata nella sua stanza, ma le condizioni sono critiche: arriva Alfredo, pentito, che gli promette che a breve lasceranno “Villa Parigi” e torneranno in montagna (Giorgio abbozza, tanto sa che i due ne hanno per poco). Alla fine lei muore, ad Alfredo viene un attacco di cuore e il figlio sorride sollevato: l’eredità è salva!

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Gilbert-Louis Duprez

18 pensieri su “Traviata… secondo noi.

  1. Bellissime proposte !!!, ma io che ormai sono devastato dal teatro di regia tedesco, vi propongo questa versione “au rebours”.
    Violetta, ormai affetta da AIDS, lue ed anche gonorrea,e’ fuori di se per l’imminente suo decesso,e fuori a carnevale festeggiano i piu’ famosi cantanti d’opera del momento. Il suo medico e due dei suoi frequentatori, tali germont padre e figlio le propongono di provare il metodo Stamina,il quale, somministrato ai cantanti ne provoca la completa, eterna,afonia ( con grida di gaudio dei melomani). Invece, inaspettatamente guarisce Violetta, la quale intona o dio morir si giovine facendo un vistoso gesto dell’ombrello agli astanti sbalorditi. In un angolo un rampollo di monarchia fellona viene violentato dal medico.
    Grande festa con Violetta accompagnata dal transessuale Duphol,giunge Alfredo che chiede adirato alla nostra danaro per curare i devastanti condilomi acuminati che lo deturpano,ma Violetta lo schiaffeggia con banconote intimandogli di imparare ad usare i condom,Alfredo, distrutto crolla a terra in piena crisi isterica, lo risolleva amorevolmente il padre che rimprovera la nostra escort ” di sprezzo degna , se stessa rende, chi non applica il condom al suo figlio demente” . La festa prosegue,con ballerini toreri, un sindaco di citta’ del nord ed un cagnolino che continuano ad infierire sessualmente sul rampollo di decaduta famiglia regale.
    Violetta e la fida ( o il fido ?) Annina vivono in campagna, hanno concesso ad Alfredo di occuparsi della coltivazione di marijuana , cosa che il tapino fa, cantando talora cabalette con do sovracuti per lo piu’ stonati. Giunge Germont padre con la vergin figlia, chiedendo alla nostra di lasciar andare l’allocco, poiche’ lo spaccio di eroina rende piu’ della marijuana.Per tutta risposta Violetta offre una seduta di bunga-bunga al vegliardo Giorgio, e, visti gli sguardi lubrichi della vergine,la inizia ad amori saffici. In un cespuglio, Alfredo che ha scoperto il rampollo di monarchia fuggiasca, sotto l’influenza dell’erba,lo balocca con pratiche inenarrabili.
    Parigi, popoloso deserto, Violetta Valery festeggia la sua guarigione,Alfredo offre a tutti erba camuffata da camelie , la festeggiata intona , con trilli e sovracuti a profusione : “sempre libera dall’AIDS”, famosi critici musicali le leccano i piedi e gli stinchi, irrompe un esercito di giornalisti ai quali Violetta annucia la sua discesa in campo :si presentera’ alle elezioni presidenziali, e la nuova legge sulla prostituzione le permettera’ di controllare clandestinamente il mercato. Tripudio mentre risuonano le note del preludio atto primo, pero’ senza violini in sordina. In un angolo, Alfredo, Giorgio, Flora, Annina, Duphol ed altri abusano del rampollo di monarchia che mai fu illustre.
    Forse c’e’ anche una morale in questa follia.

  2. Non male in generale, complimenti, molta fantasia e un monte di amore per Violetta, che si vede da lontano.
    Va be’, ci provo anche io, sarò breve, succinto, conciso e compendioso.
    (Preludio in forma bandistica con ottoni in gran spolvero) Violetta è una virago, tipo dominatrice con frustino e tenuta da SS, che si innamora della sua ultima vittima, lo “schiavo” Alfred (è strano…), all’insaputa del suo complice di sevizie (Baron Von Dupholl) durante una delle sue sedute di frusta collettiva, ma viene ricattata dall ‘ Hauptsturmfùhrer di turno, Gherrmont, che lo vuole per allietare i suoi festini etero-omo-bi-sessuali (sento già lo sbatter di tacchi dei sottoposti, gli javohl e la sciampagna che scorre, per il resto fate voi…), e la minaccia di svelare a Alfred la sua vera età, (un dì quando le veneri..).
    Alfred prima va in bestia, perchè preferisce una scarica di nerbate sicura a bagordi equivoci dove non si sa mai cosa può succedere, poi capisce il gioco subdolo del depravato ufficiale, anche perchè gli piacciono le tardone stagionate, sfugge ai suoi aguzzini, dopo aver ferito il Von.. e torna di nascosto da Fraulein Fioletta (V=F licenza poetica), e si presenta più o meno in mutande e in ginocchio, pronto a farsi perdonare dalle carezze della sua frusta (o mia Fioletta, mia Fioletta alfin….).
    La povera però, in preda al dolore e allo sconforto per l’astinenza da procurate ferite lacero-contuse (il barone fu ferito, però migliora), nel frattempo si è auto-sferzata a oltranza, tipo penitente dei secoli bui e, per ricavare la massima soddisfazione dal trattamento, si è fatta cospargere di sale e polveri urticanti dalla sua assistente (frau Hannina, progenie di esperti torturatori).
    Alfred prova a buttare cenere sulle ferite della sua virago, ma il rimedio è arcaico e inefficace, prova anche a proporle un viaggio nei paradisi sado-maso di provincia, ma è tardi : Fioletta, dopo aver regalato tutto il suo parco fruste e scudisci ai poveri (sic…) muore stremata agitando il suo nerbo preferito per l’ultima volta, mentre Alfred guarda Gherrmont e comincia a pensare che un posto di coppiere nei festini è meglio che fidarsi di qualcuno che la festa la fa a te.
    Sic transit…
    Auguri a tutti per Sabato…ne abbiamo tanto, tanto bisogno.

  3. Certo, l’ allestimento è di importanza fondamentale, ma che questa importanza sia cresciuta negli ultimi anni, forse, è anche un sintomo del fatto che l’ interesse principale non è più la musica. Si discute se la prima rappresentazione della Traviata fu un fiasco: va bene; ma perchè in assoluto dobbiamo negare a noi stessi la gioia di una prima rappresentazione, magari di un’ opera contemporanea e sconosciuta? Forse bisognerebbe rivalutare la posizione della musica, aprirsi all’ ascolto delle novità e, su un piano più strettamente pratico, ripudiare operazioni mediatiche come la Prima della Scala.
    Il belcanto è impossibile se inserito nel ciclo dello spettacolo subordinato a logiche di mercato: voci usurate, prematuramente sfruttate, cantanti scelti in base all’ avvenenza fisica o per altre doti estranee all’ arte in sé.
    Un avvenimento culturale può solo ampliare la nostra conoscenza e questo non mi pare il caso, compreso il veleitario recupero filologico che lascia il tempo che trova.

    • cara ed illustre primadonna se in circolazione ci fossero ancora insigni cantanti come la storchio e la krusceniski (che secondo giulietta simionato incuteva una soggezione…)direttori di teatro e loro conventicole starebbero buoni e la musica sarebbe al primo posto.

    • Non sono d’accordo con la tua chiosa, Salomea. La vasta platea dell’evento mediatico puo’ avvicinare la lirica alla gente. Certo una regia intima e bergmaniana è piu’ fuorionda di una zeffirelliana, oggi. Siamo nel tempo dell’ascolto low-fi su smrtphone, e il video soverchia l’audio. Ecco perchè la regia è diventata fondamentale. Non c’entrano le voci usurate, la voce ha poca importanza per il pubblico televisivo, ma la distanza della rappresentazione dalla nostra vita mina la qualità di una messa in scena, in tempi di reality. Quindi, a Parigi, vestiti griffati, mobili di design e ambienti disegnati da archistar, mentre gli zingarelli pietiscono l’elemosina!

      • dici cose vere, ma …non del tutto. La voce conta anche nel low fi, perchè oggi prorpio inlow fi ascoltavo antonietta stella e richard tucker in africaine….e sono fantastici ed immensi anche in low fi, per strada nel traffico. Proprio perchè non c’è niente da sentire, la gente guarda. Se ci fosse qlcsa da ascoltare, non ci sarebbe bisogno di vedere. Personalmente, tanto tempo fa, mi avvicinai all’opera grazie alla radio, le opere della domenica. Niente da vedere, ma tutto da sentire. Leggevo i vecchi librettini ricordi, quelli gialli, e la musica e gli intepreti facevano tutto. Dunque….è un luogo comune. E lo spettatore del visual i pare prorpio quello che si lega meno al genere, non sviluppa la sensibilità uditiva e o vede il carnevale ogni sera o molla. Il melomane molto legato al genere, infatti, è poi il vociomane….

  4. Scusate, ma è vero che una delle trovate del gggenio Tcherniakov sarà quella di far vedere Alfredo che prepara una pizza (o un piatto di pasta, non ho capito bene) per Violetta durante la sua aria?
    No, perchè nel caso si potrebbe cambiare il libretto come segue:

    Dei miei bollenti forni
    il giovanil ardore,
    ella temprò col placido sorriso al pomodor pomodooor.
    Dal di che disse “pizza
    io voglio solo con te mangiarrrrrr”,
    dell’ universo immemooreeee
    io viiiiivo io vivo quasi io vivo quasi al baaaar!!! :)

  5. Riscrittura a parte, che comunque è molto carina, se Alfredo cucina allora, in nome dell’aderenza al reale, al naso degli spettatori devono arrivare gli aromi, o l’odore, delle pietanzine…
    Io, come dicono a Roma, quasi quasi a ‘sto russo je darebbe ‘na pizza…

    p.s. dice bene Giulia, almeno per la mia generazione, abbiamo tutti cominciato ascoltando e leggendo i libretti Ricordi, e la fantasia era stimolata solo dal suono, imparavi ad amare quello che sentivi senza bisogno di vederlo.
    Penso a Toscanini che dirige Aida con i cantanti in abito da sera e, al di là dei giudizi sulle voci, l’opera non ne risentiva affatto.
    Oggi siamo al marinismo più smaccato basta sostituire “poeta” con “regista” : “è del regista il fin la meraviglia, chi non sa stupir vads alla striglia”.

  6. Traviata in un casino. Grande festa in abiti succinti con i clienti tutti nudi. Violetta fuma e si sente male. Poi alla fine del primo atto ci dice che vorrebbe un cliente da amare !!!!
    Nel secondo atto sempre al casino (senza accento), va papà Germont ecc ecc
    Alla fine Violetta muore di AIDS. Costumi pochi, scene semplici ma pittoresche ( letti, bidèe pitture sconce sui muri ) Il solito vespasiano davanti all’ingresso d alla fine un letto da ospedale.

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