Ascolti comparati. “Che smania, ohimè, che affanno”: Cecilia Bartoli vs. Lella Cuberli

Immagine anteprima YouTube Cecilia Bartoli

Immagine anteprima YouTube Lella Cuberli

L’aria di Desdemona, che chiude il secondo atto dell’Otello rossiniano, è una delle più impressionanti scene create dal compositore per quella che sarebbe diventata la sua prima moglie. Nelle opere napoletane del Pesarese compare regolarmente, a due terzi dell’azione ovvero come epilogo della stessa, un assolto destinato a mettere in luce i talenti della signora Colbran, ma a differenza di quanto avverrà in titoli successivi, l’aria non costituisce il culmine delle fatiche vocali della primadonna, visto che la sventurata figlia di Elmiro ha ancora da affrontare, dopo questo cimento, un terzo atto di fatto interamente costruito su di lei. Oltre a questo va osservato come il brano segua senza soluzione di continuità il terzetto con Otello e Rodrigo, pagina che impegna non poco anche il personaggio di Desdemona. Lo schema è quello della grande aria bipartita, con un tempo d’attacco in stile agitato grande, una scena di raccordo in cui la voce solista dialoga con i cori e infine una cabaletta in cui la cantante è chiamata a misurarsi con le esigenze dello stile patetico, senza che venga meno la grandeur richiesta, anzi imposta dallo stile aulico e coturnato del dramma per musica e dalla tensione creata dalla situazione scenica, in cui la spasmodica attesa dell’esito della sfida cede ben presto il posto a un serrato confronto tra padre e figlia.

La comparazione, per essere pertinente, deve coinvolgere cantanti, che presentino tra loro qualche affinità. Non c’è dubbio che Lella Cuberli rappresenti un esempio di cantante dedita, per non dire votata alla proposizione in teatro dei titoli rossiniani, almeno quanto Cecilia Bartoli, benché non possa vantare, come quest’ultima, una copiosa carriera discografica e la responsabilità della direzione artistica di un festival internazionale, che nell’edizione di quest’anno sarà principalmente dedicato, per l’appunto, a Rossini. Anche sotto il profilo della dote naturale le due cantanti presentano più di un punto in comune, l’americana regolarmente tacciata, in primis dai suoi ammiratori, di possedere voce da comprimaria quando non da corista, e l’italiana portata a prediligere contesti esecutivi capaci di occultare i limiti di estensione e volume dello strumento vocale. Purtroppo le analogie finiscono qui, e basta ascoltare l’attacco dell’Allegro agitato “Che smania, ohimè, che affanno” per rendersene conto. Chiamata a cantare nella zona che sta tra il centro della voce e i primi acuti, la Bartoli rivela un insufficiente appoggio e una respirazione affannosa (con incongrue riprese di fiato, fin da “per sempre l’idol mio”), il che porta la cantante ora ad accennare (“perder così dovrò”, “da me se lo dividi”, “io morirò”), ora a gridacchiare con poca, per non dire inesistente “polpa” vocale (“chi mi soccorre, oh Dio”), risultando in alto (“BARbaro ciel’”, “m’ucCIdi”, “io moriRO’”, sol4) in difetto di stabilità e al di sotto delle esigenze di una corretta intonazione. Ancora peggio vanno le cose a “contenta io morirò”, in cui la cantante è chiamata a eseguire le agilità di forza, qui farfugliate e claudicanti. Non le giovano, peraltro, il tempo frenetico e le sonorità secche e vetrose dell’orchestra, di inflessibile matrice baroccara, che contribuiscono a fare di questa Desdemona una vittima non già del destino o della crudeltà maschile, ma dell’epilessia o morbo consimile. Per contro la Cuberli, che esegue il passo, così come il resto della scena, a un tempo ben più lento e solenne di quanto previsto in partitura (peccato che l’orchestra non dispensi colori e sonorità adeguate a una simile scelta, bensì un accompagnamento meccanico e raffazzonato), si segnala per l’omogeneità della voce in tutti i registri (si ascolti, per tutti, il passaggio dal mi4 al mi3 alle parole “perder così dovrò” e quello dal sol4 al sol3 “barbaro ciel tiranno”, con successiva scala discendente), per il gusto delle variazioni (il primo “contenta io morirò”, in quanto secondo enunciato dell’inciso “salvalo almen, m’uccidi”, viene trasposto una terza sopra), per la precisione del canto fiorito, che non ha però nulla di meccanico o affettato, riuscendo la cantante, malgrado la modestia del mezzo, a variare e sfumare sapientemente ogni frase (una per tutte: “da me se lo dividi”).

Nella scena di raccordo, che la Bartoli risolve intensificando, se possibile, l’isteria della vocalizzazione non meno che dell’espressione (“ah ditemi almen voi” e il successivo “è salvo”), la Cuberli, che scandisce sempre con grande chiarezza il testo letterario, abbonda in piani e pianissimi accortamente distribuiti (“dei detti più loquace”), filature (il primo “è quel silenzio ancor”), messe di voce (“è salvo”) che svolgono una duplice funzione: illustrano il tormento del personaggio e permettono all’esecutrice di arrivare al conclusivo Andante in condizioni di ottimale freschezza. La frase “L’error di un’infelice” richiede un saldo possesso della prima ottava combinato alla capacità di vocalizzare nella zona, non esattamente agevole, che gravita attorno al passaggio superiore della voce femminile. Stupisce che un mezzosoprano, quale Cecilia Bartoli è universalmente reputata, stenti non solo in alto (sentire “Se il padre m’abbandona” con abbondanza di suoni fissi, o ancora il fischiante si naturale in chiusa), ma anche in zona medio-grave (“in me perdona”, fa#3), ben più di una cantante generalmente considerata “corta” come la Cuberli, che peraltro sale senza difficoltà ai si naturali previsti e interpola un do5 al termine della prima sezione dell’aria, onorando il punto coronato, trascurato dalla filologa romana. Quanto poi alla qualità della vocalizzazione di forza, rimandiamo ancora una volta alla frase “se il padre m’abbandona” (secondo enunciato) per cogliere le differenze tra una voce a fuoco e perfettamente controllata e una che si arrabatta, tanto sotto il profilo dell’emissione quanto nelle riprese di fiato. Il confronto è impietoso, come lo è la musica di Rossini, cara ai melomani anche per la capacità di esaltare, della voce umana, caratteristiche quali saldezza del fiato, eguaglianza e coesione dei registri, fluidità dell’ornamentazione. Caratteristiche che, in sé, non esauriscono certo le possibilità di un’esecuzione musicale, ma ne costituiscono l’imprescindibile fondamento. Come dimostra la prova di Lella Cuberli.

45 pensieri su “Ascolti comparati. “Che smania, ohimè, che affanno”: Cecilia Bartoli vs. Lella Cuberli

  1. Torno dalle vacanze e trovo questo confronto rossiniano tra primedonne presunte e reali:)
    Le conclusioni sono impietose e dovrebbero servire ai fan della Bartoli a comprendere come il loro idolo, pur essendo una bella e simpatica signora, sia dotata di una tecnica pessima e rovini ciò che canta.
    Gravi orribili e forzati, acuti spinti e gridati, il centro in via di deterioramento, catene di urletti, gemiti, ululati e una coloratura che non è di forza, ma solo isterica. E così sono tutti i ruoli che ha cantato da Mozart a Rossini al barocco, non si può neanche dire che sia una scelta interpretativa perché vale per qualsiasi personaggio!
    La signora Cuberli è una delle mie cantanti preferite ed è sempre un balsamo per le orecchie, una fuoriclasse nel suo repertorio, nonostante le critiche alla natura non proprio eccelsa del mezzo!
    Per inciso, io trovo ottima anche la Von Stade in questo pezzo, pur preferendo la Cuberli.

    Un ringraziamento per il vostro lavoro sempre serio e professionale:)

  2. Grazie A tamburini per averci fatto ricordare il canto alla torcibudella, della diva delle major del disco, prova ancora ce ne fosse bisogno che i famigerati direttori artistici delle medesime case discografiche soffrono di problematiche relative all’Udito.
    Lo sgangherato gorgoglio della Bartoli non fa che allontanare spettatori dalle quasi deserte sale d’opera.Il brano presentato dimostra inoltre che un po’ di volume orchestrale la fa sparire dall’udito, un’altra ragione per cui come Bocelli essa è regina delle sole registrazioni discografiche.

    • il confronto però deve essere proposto perché: cantano entrambe l’ opera, cantano lo stesso passo di un autore di cui – a torto od a ragione – sono ritenute specialiste. Anzi la seconda e più giovane una irripetibile diva . Insomma ci sono più è fondati criteri di connessione.

  3. Cari autori,
    Scusatemi in anticipo se faccio degli errori ortografici, sono francese, purtroppo il mio italiano non è perfetto!
    In primo luogo, vorrei complimentarvi per l’alta qualità del vostro blog che conosco da poco tempo!
    Sono felice d’avere trovato persone, che come me, denunciano l’impostura dei “baroqueux” come gli chiamiamo in Francia. Questo discorso si fa raro oggi, sopratutto nel mio paese, dove sono confrontato all’incomprensione dei “melomani” quando dico che i cosiddetti “controtenori” sono più che inadatatti nei ruoli scritti per castrati (Handel l’ha detto prima di me!) o ruoli d’opera in generale , oppure quando affermo che la giovanna Sutherland fu la più grande handeliana moderna (che estasi l’Alcina di 59 con Wunderlich o quella di Venezia!) , o ancora quando critico le loro regine, che, secondo me, risultano inascoltabili, con tanti difetti d’emissione, di proiezione, d’omogeneità, di timbro, d’agilità… Parlo della Kermes, della Gauvin, della Di donato, della Petibon… e ovviamenta della peggia, la regina delle regine, Bartoli. Tutte queste urlatori rappresentano il gotha del barocco in Francia e occupano tutte le grandi scene, Garnier, Versailles, theâtre des champs Elysées, non ci sono altre alternative, con un pubblico compiacente che pensa che questo sia il canto barocco!
    Condivido anche la vostra opinione sulla vocalità del Rossini serio, il mio repertorio preferito dopo il barocco di scuola o d’influenza napoletana. Non so spiegare perchè i “baroqueux” e le loro dive ,che distruggono già il loro repertorio dedicato, si sono innamorati del geniale Pesarese… ma quando ascolto la Bartoli o la Donato eseguire i sublimi brani scritti per la Colbran, oppure cantanti come la Barcellona, la Deshayes, la Hallenberg neil ruoli travesti, e quando vedo persone di certa esperienza teatrale che li trovano rossiniane, dopo avere ascoltato live la Dupuy, la Podles, la Horne, la Cuberli, la Von Stade, etc, mi toglie il respiro…
    Nous n’avons pas les mêmes valeurs! Félicitations de nouveau pour votre travail, grazie infinito! A bientôt!

  4. In maniera ultrasintetica: mi sembra che il principale difetto della Bartoli ( evidenziato in modo inequivocabile dal confronto con la Cuberli) sia la respirazione. Altro che tecnica dell’apnea !

    • Mah, Massimo… come respiri non so, ma qui sento un coacervo di vaccate nell’emissione: sempre in preda alle scalmane, anche se prima di raggiungere il livello della Kermes, ancora ce ne vuole!

  5. Ascolti, come sempre, illuminanti. Però, mi pare, che sia il confronto a non avere moltissimo senso, senza offesa. Come diceva Mancini, parliamo di cose diverse. Come confrontare Matri e Van Basten.
    Cara Caterina, scrivessi io in una qualsivoglia lingua straniera, come Lei scrive in Italiano…certo che in Francia avete le vostre croci: Hollande , la Taubira, Deschamps, la Kermes…

  6. vabbé sorvolo sul confronto, credo ci sia poco da aggiungere..
    Riascoltando la Bartoli mi chiedo quanto mancherà ancora prima che una casa discografica arrivi a registrare un opera completa con la coppia Bartoli/Kaufmann?
    Magari una bella Carmen filologggica!

  7. per me le esecuzioni sono di pari pregio anche se agli antipodi a livello di approccio. E’ la prima volta che leggo (e mi meraviglio) che Lella Cuberli sarebbe stata tacciata di “comprimariatismo”: l’ho sentita tante volte (anche in un Ratto del Serraglio di cui cerco da anni una registrazione) nella sua purtroppo non lunga carriera e il successo al termine delle sue recite é sempre stato incontrastato (anche a Torino per intenderci, dove faceva i conti con la Lucia “filologica” che rende la parte per un verso più onerosa e dall’altra meno piaciona). Circa la Bartoli faccio presente a Ninia92 che i suoi tanti ammiratori trovano la sua tecnica non solo ottima ma funzionale a garantirle una carriera iniziata più di vent’anni fa. Poi é ovvio che quello che Tamburini censura a torto o ragione alla Bartoli (che peraltro é cantante che solo per convenzione si definisce mezzo soprano visto come ha eseguito Cleopatra o l’aria di Zelmira che in mia presenza concluse all’Olimpico di Vicenza con un mi bemolle) può essere per Albertoemme a torto o a ragione un pregio. Io ritengo che se Cacilia Bartoli avesse avuto almeno un terzo in più di voce sarebbe stata a livello delle più grandi voci femminili del dopo Callas e se ne avesse avuta il doppio degna dei castrati del settecento.-

  8. Alberto ti rispondo con semplicità:)
    Che la Ceciliona abbia tantissimi ammiratori non lo discuto e nemmeno che la ritengano straordinaria, ma non posso non condannare un simile giudizio.
    Io l’ho ascoltata in molte registrazioni (Barbiere di Siviglia, Cenerentola, Turco in Italia, Clari, Otello, diversi recital,….), mai dal vivo, quindi non critico il volume della voce, che a detta di moltissimi è piccola (pur essendoci dei suoi fan sul tubo che fanno affermazioni tali che a crederci parrebbe che la Nilsson avesse una voce minuscola!).
    Secondo me lei canta malissimo e interpreta peggio ancora. Ogni personaggio è isterico, nervoso, mezzo matto (persino Cenerentola nel rondò finale pare pazza!). Dal punto di vista vocale non capisco come non si faccia a sentire che moltissimi suoni sono orrendi: sospiri, grida, i gravi sembrano sgradevoli suoni prodotti dalla digestione (e non lo dico per essere cattivo, ma perché lo penso ogni volta), e gli acuti sembrano il più delle volte degli ululati, perfetti per tante delle saghe vampiresche che vanno di moda piottosto che per personaggi operistici (spesso di nobili natali).
    Senza contare che non respira bene (anche la mia maestra di canto la considera un esempio di pessima respirazione) e la tanto celebrata coloratura mi ha sempre lasciato perplesso: non basta fare le note e farle veloci (peraltro lei le sa fare solo veloci e già questo non è un buon segno), bisogna farle bene e lei le fa solo in bocca, non usa le cavità. Probabilmente questo cantare solo in bocca è anche il motivo per cui la voce (non grande per natura) risulti piccolissima e debba sempre essere amplificata. Per capire queste cose bastano delle conoscenze basilari (e pratiche) di canto lirico, non essere per forza degli esperti sopraffini (come ce ne sono tanti su questo forum e che ammiro moltissimo) che citano a menadito antichi trattati di tecnica canora!

    Detto ciò, mi pare impossibile apprezzare e la Cuberli e la Bartoli per le stesse ragioni. La prima è una grande signora del canto, la seconda una simpaticissima donna dello spettacolo che si diletta a cantare con esiti alquanto discutibili.

    • caro ninia la voce della bartoli non è piccola, ma mal proiettata piccola era quella della berganza !
      aggiungo che l’ottava superiore della nilsson (turandot ed elektra in scala 1971 e 1972) era impressionante per penetrazione. E siccome si canta con la proiezione e non con la voce (i famosi interessi cui facevano sempre riferimento i cantanti di una volta) la sola olivero era ancora più grande della nilsson nei miei ricordi di ascoltatore.

      • voce piccola o voce non proiettata la sostanza non cambia e proporre queste distinzioni mi sembra controproducente per i neofiti e poco utile ai confronti. Agli studenti di canto consiglio di non correre dietro al mito della “proiezione” (nel senso invocato dai grisini ad ogni anelito di vento o p……a di cane) che ai normodotati (quelli a cui Dio non ha inteso baciare le corde vocali prima che fossero strappati dal sen materno) crea disuguaglianze fra i registri, discontinuità timbriche oltre ad overdosi di stonature da sforzo nell’ottica di “tirare fuori la voce”. Bisogna farsi sentire quanto basta e, cercando di cantare senza sforzo, crearsi una propria identità che compenserà i propri difetti vocali e/o interpretativi (a meno che non si parli della Ebita Tamburini Stignetti, che dopo la “divina” la “stupenda” e la “senora” verrà definita “la perfetta” e di cui si aspetta l’avvento per redimere il mondo della lirica che quel giorno vivrà -per taluni finalmente- di uniformità di giudizio).-

        • sei il vero paradigma del moderno ascoltatore! un modello, un esempio! sin che tu e molti tuoi consimili avranno libera circolazione la cinque sorelle ed i loro scarti di produzione industriale vivranno sonni assolutamente tranquilli.
          Preciso che ti ho pubblicato solo AD EXEMPLUM POPULI per capire sino a dove può giungere la sordità congiunta ad altro.
          per il futuro preavverto che dinnanzi alla teoria di frescacce, che hai scritto non mi rimane che omettere la pubblicazione atteso che la rubrica GOGNA E LUDIBRIO, qui, a differenza di altri luoghi mediatici, che di tentata e comica gogna e ludibrio fanno il loro mezzo di sostentamento e sopravvivenza, non esiste e non esisterà mai…..ma talvolta un po’ di limiti si debbono porre.

          • ti ringrazio per la magnanimità dimostrata, ma credo che pubblicare le mie considerazioni sia più utile a te che a me. Diversamente il sito sarebbe più noioso e rimarrebbe riservato ai venti fratelli che con tanto ardore cercano di contrastare le cinque sorelle 😉

          • Effettivamente l’intervento di albertoemme meriterebbe di essere cestinato, mai lette così tante stupidaggini tutte in una volta. Quella della Bartoli è ignobile vociuzza ingolata, dire che è “mal proiettata” è poco, è prodotto puramente virtuale, falso, buono per gli scostumati dischi, non c’è emissione di voce solo attriti di gola e fischi sordi, non ha mai appoggiato una nota in vita sua.

          • Io da ragazzo ho parlato con alcuni vecchi frequentatori dell’ Arena che avevano ascoltato Schipa come Nemorino e mi hanno detto che la sua voce arrivava senza problemi fino alle ultime gradinate superiori dell’ anfiteatro. La voce della Bartoli in una sala da 2200 posti come la Liederhalle di Stuttgart non arriva oltre la quindicesima fila di platea, come ho avuto modo di constatare personalmente in due occasioni diverse.

          • È vero: questa cosa dell’Arena l’ho sentita ripetere anch’io.
            Schipa è sempre stato preso a modello di cantante con la voce che corre.

        • Schipa voce piccola??? Celletti lo ascoltò a Roma tra il 1935 e il ’48 in Werther, Traviata,Lucia e recitals e ha sempre ricordato come si risparmiasse in quasi tutta l’esecuzione (vivere con gli interessi senza sprecare il capitale lo diceva non l’ultimo arrivato già nella prima metà d’800) per emettere, nelle scene drammatiche, La e Si bemolli come cannonate. E il pubblico rimaneva meravigliato da ciò, credendo d’ascoltare un tenorino di grazia.. Lo squillo negli acuti, così penetrante e sostanzialmente estraneo a un tenore di grazia, si evince anche dai dischi, ad es il celeberrimo duetto del Rigoletto con la Galli Curci. Un altro ascoltatore con discrete orecchie e senso critico, tipo Giuseppe Pugliese, ebbe a scrivere:”…. In questo caso la parte di Alfredo,interpretata da Tito Schipa, con Gina Cigna protagonista al teatro alla scala, mi pare nel 34. L’impressione fu duplice e enorme, uno Schipa tutt’altro che sospiroso lirico leggero tenore di grazia, secondo la falsa immagine sciocca tramandata da una tradizione orale e scritta, ignara dei veri pregi e delle reali caratteristiche vocali dell’artista leccese, capace di praggiungere stupefacenti esiti drammatici nella scena del secondo atto”.

          • celletti mi racconto personalmente che schipa nella mignon alla scena dell’incendio (roma 1935) emetteva un paio di acuti più grandi e ampi di gigli. poi aggiungeva che nel resto dell’opera addomesticava il pubblico e che nel Werther non voleva la caniglia preferendo al pederzini (lo racconta anche la caniglia senza alcuna acrimonia)

          • Anche senza queste interessanti testimonianze, dai dischi si capisce che aveva acuti sfogatissimi che in teatro dovevano fare grande effetto. Ma perché diamine siamo arrivati a parlare di un gigante come Schipa in un post sulla Bartoli?!

          • Urca. Allora è un vero peccato che non avere il suo Otello!
            Ancora un po’ e salta fuori che facesse tremare i lampadari come Tamagno… 😀

            Fuor di celia, l’anagrafe mi ha impedito di poterlo ascoltare dal vivo, quel che so è quel che si tramanda. E nessuno che lo abbia sentito cantae lo vuole “sospiroso”, se ha un minimo di senno.

            Mancini se ne è parlato per compensazione.

    • Ninia, a proposito di pazze furiose, quando sei giù di corda ascoltati la Kermes: le sue facciacce, i suoi strepiti sono un farmaco contro la depressione: fra qualche anno, se si impegna, sarà al livello della Foster-Jenkins. In particolare le sue performances di “Glitter and be gay” sono memorabili.
      E poi in confronto a lei la Bartoli pare strafatta di valeriana…

      • Grazie del suggerimento che oserei definire filantropico:)
        La Kermes purtroppo la conosco già… ascoltarla è doloroso, vederla è uno spasso e ha davvero proprietà antidepressiveXD

        Saranno due anni che acquistai il primo cofanetto della Naive con le opere di Vivaldi in cui c’erano lei e molte delle “star” del Barocco… i 100 e passa euro peggio spesi in assoluto in fatto di dischi!

  9. Ahahah albertoemme che da consigli di canto proprio mi mancava XD
    A parte che la cara/il caro ninia pare sappia bene il fatto suo, ma caro alberto, ma anche nel 2014 devi sparare minchiate?
    Il suono proiettato, uno dei tre obiettivi di un qualsiasi cantante medio insieme a saper respirare e saper sostenere il suono, da invece omogeneità di emissione a tutta l’estensione vocale, smussando le asperità e le disuguaglianze dei diversi registri. L’omogeneità di voce infatti avviene non per similarità di colore vocale – non tutti sono fortunati ad averlo – ma dalla similarità di emissione, data in gran parte dal posizionamento “avanti” della voce, che si raggiunge “naturalmente” con tanto e sano lavoro! 😉

    Buon 2014, con la speranza che nonna Giulia apra davvero la pagina “Le perle di albertoemme”, settimanale umoristico del Corriere.
    PS. va da se dire che la Bartoli che canta il brano rossiniano proposto è come il guano di piccione su una statua di bronzo: corrosivo!!!

  10. Alberto da come parli tu sembra che il canto sia un qualcosa di improvvisato e non frutto di uno studio… a questo punto applaudiamo pure i tre tenorini della Clerici che sono degli obbrobri vocali sconvolgenti.
    Inoltre il cantante dovrebbe cantare opere in teatro, non incidere uno o de dischi e cantare un’opera sola all’anno perché allora ovvio che che così si canta 50 anni! Come sempre vale la qualità, non la quantità!
    Mi pare ovvio che il cantante debba in primo luogo farsi sentire naturalmente sennò non è opera lirica, ma qualcos’altro.
    Credo che come ascoltatori abbiamo standard e aspettative molto differenti; io personalmente sono scettico verso chi apprezza o giustifica tutto o quasi…. e vale in ogni campo artistico e non solo.

    Grazie per le buone parole SardusOrpheus:) La mia maestra di canto dice esattamente le stesse cose e l’ascolto dei veri cantanti lo conferma per chi è scettico.
    Sarà che ho scelto un nick un poco particolare (che fa sorgere in chi legge dubbi circa un’anfibia sessualità dello scriventeXD), ma sono un ragazzo di nome Luca (pure il nome che finisce con la a, ma non l’ho scelto io :) ). Un saluto :)

  11. diffatti ascoltare la Bartoli all’inizio era un soprano,è lo è ancora,dal mio ascolto dal vivo qualche anno orsono-ormai- qui al Lingotto a Torino,aveva una voce realmente piccola,ma anche la Devia per fare un esempio non che abbia una grande voce ,eppure si fa sentire perchè? perche sà come proiettare la voce,la voce è bene appoggiata,ha un modo di respirare che nemmeno sembra che faccia le prese,la Bartoli è una cantante nata per fare i dischi,non è una cantante da teatro,d’altronte è una cantante che si “canta adosso” la voce rimane sul palco,un altro cantante uguale è Bocelli,sono cantanti da microfono,capisco che alla gente piace,ma questo non vuol dire che sia un tenore da opera,è un tenore di genere pop,in un teatro senza microfono un soprano che gli canta accanto è obbligataa fare i salti mortali per non coprirlo,Bocelli e la Bartoli sono solo fenomeni discografici,capisco che il tuo tifo per la Bartoli ti faccia scrivere “stranezze” ma la realtà è cosi..

  12. sì alternavano cuberli è gruberova. Nella tessitura altissima di costanza la seconda ebbe la meglio. Qualche anno dopo nel silla la cuberli , nonostante la tessitura ancora più scomoda risultò migliore della gruberova , che eseguiva spesso io concerto le arie della protagonista del silla!

  13. La Bartoli e Bocelli = cantanti da microfono, è una nuova categoria vocale?. Io ascoltai la prima in Scala, ascoltai.. si fa per dire; il secondo in Arena in una Messa da Requiem di Verdi. Non so la reazione dei fan, ho visto solo dei visi di spettatori “dispiaciuti” per il mancato godimento. Quì mi fermo per non incorrere nelle ire di un fan Bartoliano: lo scrittore Elvio Giudici.

    • per me in quella messa da requiem centri e bassi d bocelli funzionavano. Gli acuti erano invece piccolissimi. Ho risentito recentemente la registrazione d quella serata a cui assistetti con due persone nate negli anni venti che avevano sentito di tutto e d piu’ fin da ragazzi

  14. Albertoemme Io assistei a quella recita in seconda gradinata laterale quasi a fianco del palcoscenico. Non ebbi problemi di ascolto fino a che non cantò il tenore dalla voce da microfono (quella nuova categoria summenzionata) Non mi aspettavo nulla e infatti nulla ebbi da rimproverarmi, anzi dovetti consolare molti miei vicini al limite della crisi di nervi. Il “non si sente” era prevedibile da chi conosce la categoria dei vip discografici. Fu una serata triste per il pubblico, che infatti cominciò a chiedere “senza pudore” che fosse dotato di microfono.

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