Usare prudenza, avere cervello

canaglieFidalma, sorella e socia di affari di Geronimo, zia di Elisetta e Carolina rappresenta ne “Il matrimonio segreto” il sano buon senso della stagionata donna bolognese non solo quando impartisce le indispensabili informazioni sul matrimonio alla nubenda nipote, ma quando ammonisce tutti raccomandando di “usare prudenza, avere cervello”. Questo distico è balzato alla nostra mente quando, casualmente, ci siamo imbattuti in un articolo della Stampa a firma Sandro Cappelletto ed intitolato “All’Opera! Il meglio e il peggio del 2013”, che rappresenta solo uno spunto di riflessione per l’inizio del 2014. Il pezzo per raccontare dell’attuale-miserando- stato dell’opera lirica richiama alcuni episodi salienti della passata stagione, ripartita fra Wagner e Verdi: la Traviata scaligera fischiata per le zucchine mal tagliate dal tenore, il Ring di Bayreuth dove per celebrare l’oro del Reno, identificato nel petrolio Wotan viene trasformato in un benzinaio (ultimo in ogni senso gradino della saga dell’oro nero), l’Ernani romano privo di allestimento, ad onta della scrittura di Hugo de Ana. Lo fa, la firma della Stampa, utilizzando espressioni, che sembrano richiamare questo sito, che ieri ed altrove viene definito cattivo ad oltranza, ad onta del fatto che venga citato nei fori stranieri (chissà perché questi citano i cattivi e non i buoni ed entusiasti, che campano sulle nostre spalle!). E forse la citazione risiede nell’applicazione da parte dei “cattivi” della massima di Fidalma.
Segue, poi, un richiamo o menzione, forse commiserazione (confesso che sfuma di qui, alleggerisci di là i contorni richiamano quelli dell’ultimo ipovedente Tiziano) a quel pubblico, che invoca la grande tradizione italiana di allestimenti, ovvero si stigmatizza come negativa la scelta della direzione scaligera di sostenere Tcherniakov in danno e contrasto del direttore Gatti – altro 7 dicembre fischiato pur senza Tcherniakov- ed infine un auspicio quale soluzione al presente che l’opera riprenda vita tramite produzione di nuovi titoli, che la scelta di quelli proposti solitamente è quanto di più noioso e monotono e che il mondo dell’opera deve confrontarsi con la modernità. Quale e che sia la modernità non riguarda.
Insomma tanta carne al fuoco, un guazzabuglio direbbe Alessandro Manzoni, un “risot coi cudegh” si sentenzia nelle vecchie famiglie meneghine,perché se l’anamnesi è giusta e condivisibile, la semeiotica difetta e la terapia non è chiara, ammesso che sia stata prescritta.
Non basta dire, per dovere di cronaca, che gli spettacoli vengono considerati brutti e riprovati dal pubblico, benché premiati dalla critica come accaduto con il Ballo milanese. Onestà vorrebbe che la critica si interrogasse su questa dicotomia ovvero se possa ancora considerarsi critica o soltanto ufficio stampa esterno e del perché il pubblico, composto da ascoltatori di grande esperienza o di qualificati studi musicali, si “arroghi i diritti della toga” per dirla con Alvise Badoero, ossia si veda costretto ad essere nel contempo pubblico e critica.
Pare che il pubblico solo al momento applichi l’insegnamento di Fidalma.
Ma non basta fermarsi, nel dipingere il lugubre presente, all’aspetto visivo e credere che uno spettacolo venga subissato di fischi solo per questo. Il problema del tenore scaligero non risiedeva nella scarsa abilità con le verdure, si estendeva all’inutilità e superfetazione di quei gesti, ma soprattutto nella mediocrità del cantante, che avrebbe avuto identica sorta in una Traviata di allestimento tradizionale. Anzi e lo abbiamo detto più volte, le regie moderne hanno il pregio di porsi come parafulmine per altre e più profonde magagne della produzione: cantanti e direttore d’orchestra.
E se anche la critica applicasse l’insegnamento di Fidalma sarebbe suo compito evidenziarlo, non sarebbe pertinenza del tam tam mediatico di questo ed altri blog, che ha dello straordinario per i macigni contro i quali dobbiamo tutti i giorni impattare.
Inutile andare oltre, con riferimento all’articolo del quotidiano torinese, perché non è questo –ripeto- lo scopo della riflessione.
Usare prudenza, avere cervello è una massima che vale soprattutto per chi programma ed organizza queste censuratissime e altrettanto costose stagioni.
E deve realizzarsi nell’ardua idea di provare a lavorare fuori della logica, quella in parte censurata da Sandro Cappelletto, che imperversa e si attua non solo nel campo della musica con la dissennata ricerca dell’evento e del far parlare di sé, senza pensare a quel che si offre (ed a quel che si tralascia, più ancora per appaiarsi). E questo non accade solo con la musica, ma con la gestione dei beni culturali in generale, ove al business delle mostre di massa di ispirazione commerciale o a megarestauri da massmediatizzare fanno da contraltare musei e biblioteche abbandonati quando non saccheggiati, e più in generale un patrimonio diffuso lasciato all’incuria, senza le necessarie manutenzioni che ne assicurino la sopravvivenza.
Usare prudenza, avere cervello è l’esatto opposto della voga corrente e si estrinseca nel concepire un pensiero per il futuro, nella ricerca di una costante qualità, di un piccolo ed altrettanto costante progredire delle forze (orchestre e coro in primis), che hanno diritto a guide professionali e capaci, che a guardarsi intorno e fuori delle logiche imperanti esistono ancora, nel ricercare artisti che abbiano potenzialità, nell’applicarli a titoli loro adatti. Insomma il cantante giusto sull’opera giusta, o meglio, gli artisti giusti al posto giusto. Ed un progetto culturale fondato e pensato con competenza e sensatezza, sola via di scampo al generale “tirare a campare” day by day delle direzioni artistiche, che non possono esaurire il loro compito una volta reperiti i fondi necessari alla sopravvivenza per poi andare in scena tanto per andarci. L’esatto contrario di quanto abbiamo toccato con mano in occasione della recente Africana veneziana, progetto velleitario quando due dei quattro protagonisti erano o inadeguati o raccogliticci, l’opera malamente scorciata ed il compositore, alla fine, frainteso dal pubblico.
E’ qui che si deve applicare la seconda parte dell’insegnamento di Fidalma, ossia avere cervello. Cervello che significa, lo abbiamo detto più volte, avere e spendere cultura, quindi, conoscenza del repertorio, in modo tale che si possa (perché si deve per sopravvivere) superare la fondata critica di Cappelletto circa la monotona ripetitività del repertorio, funzionale solo alla cassetta.
Oggi, però, il pubblico quello che, almeno in parte supplisce la critica e che per conseguenza viene censurato e deriso sia da inette direzioni artistiche e loro sodali, sia da chi la critica non la sa fare o non la vuole fare per seguitare a sedere al banchetto dei presunti potenti, sta mandando da tempo un messaggio che non è affatto difficile decifrare. Solo cogliendo questo messaggio, questo grido c’è la possibilità per sperare che fra un lustro ci siano ancora rappresentazioni d’opera, perché al momento si sta brancolando nel buio, raschiando il fondo del barile e non si può servire al pubblico, quale titolo per il 7 dicembre 2015 una bella minestrina riscaldata in origine assemblata in Salisburgo. E’ la ricetta dei perdenti o degli incapaci e, magari, dei disonesti.
GG & DD

http://www.lastampa.it/2013/12/31/cultura/allopera-il-meglio-e-il-peggio-nel-l5nHc9qFT251IzhXSs069O/pagina.html

 

Cimarosa

Il matrimonio segreto

Atto I

Silenzio, silenzio – Ebe Stignani, Carlo Badioli, Luigi Alva, Graziella Sciutti, Eugenia Ratti, Franco Calabrese – dir. Nino Sanzogno (1956)

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