Fratello streaming. Pêcheurs de perles a Parma.

Fondazione Teatro G.Verdi TriesteAl Regio di Parma sono andati in scena la settimana scorsa i Pêcheurs de perles, intelligentemente proposti dalla d.a. per aprire il cartellone parmigiano a titoli non più solo verdiani e funzionale ed anche per uscire dalle secche in cui si arena ormai regolarmente il “repertorio”. Proposta che si sperava adeguata, come titolo, alle capacità produttive del teatro ed altresì accessibile al pubblico locale dei più, che stenta a provare interesse per titoli che, in realtà, non sono affatto rari e che fino a qualche decennio fa arricchivano il bagaglio di conoscenze della maggioranza del pubblico melomane.
I Pêcheurs, infatti, sono sempre stati opera appannaggio dei più grandi tenori sia lirici che contraltini dal momento della riscoperta dell’opera, avvenuta nel 1893 ( circa trent’anni dopo il debutto all’opéra lyrique ) sino agli anni di Alfredo Kraus. Solo recentemente, con un tentativo a dire il vero non troppo brillante ( e non a dir nostro! ) del protagonista, ritornati a far parlare il pubblico grazie a J.D.Florez e qualche sporadica esecuzione concertistica di passi celebri. L’opéra lyrique di Bizet annovera pagine di grande bellezza e notorietà, su tutte l’aria del protagonista Nadir, “Je crois entendre encore”, ma anche il duetto Nadir Zurga “Au fond du temple saint”, la grande scena di Leila “Me voilà seule…Comme autrefois”, incastonate in un mélange di buona qualità in cui Bizet si cimentò precocemente col tema dell’esotismo fantastico, su un libretto forse un po’ fragile ma al tempo stesso calibratissimo e sintetico. Insomma, un prodotto riuscito e godibilissimo, a patto di sapere restituire appieno il clima olegrafico del soggetto e, soprattutto, gli stilemi dell’opera francese della seconda metà del XIX secolo. Due anni dopo la prima di Pêcheurs l’incontenibile genio teatrale di Meyerbeer collocò le “Indie“, con la rappresentazione postuma di Africaine nel 1865, al centro del grand-opéra, dando corpo ad una nouvelle vague orientalista nella produzione lirica francese, che conobbe una notevole fortuna tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ’90, alimentate anche da pittura e soprattutto dalla letteratura fantastica e di viaggio. Le suggestioni della partitura, come detto, devono prendere corpo prima di tutto nella buca, a caratterizzare i passaggi drammaturgici della fiaba della sacerdotessa velata e del nostalgico amante, l’ambientazione tra un oceano ed una foresta tutti immaginari, l’architettura e la religione reinventate dei bramini. Atmosfere che il direttore Patrick Fournillier ha clamorosamente mancato, restituendo più clangori e pesantezze che intriganti fascinazioni orchestrali, atmosfere notturne e quasi magiche. Una volta scentrata del tutto la cifra dell’orchestrale di Bizet, non stupisce che l’opera in quanto tale non abbia convinto né catturato quella parte copiosa di pubblico che, stando alle interviste televisive, ascoltava l’opera per la prima volta. La vecchia messinscena di F. Sparvoli, minimale fino all’eccesso per non dire allo striminzito, ha aiutato poco la resa delle spettacolo, almeno stando a quanto visto da noi in streaming e dichiarato dal pubblico, che qualcosa di maggiormente articolato e sviluppato forse pretendeva.
La produzione ha poi perduto per diverse ragioni i due protagonisti designati strada facendo, D. Rancatore e A. Siragusa immediatamente a ridosso della prova generale, sostituiti dalla superstellina di agenzia N. Machaidze e da D. Korchak, sopraggiunto il giorno prima. Cilecca a tutto tondo, dato che senza il tenore l’opera non ha senso che venga portata in scena. Alla repentinità dei cambi credo si debba la benevolenza finale del pubblico parmigiano nei confronti dei due pessimi solisti, benevolenza che è andata via via scemando con lo scorrere degli atti sino ad un successo finale di cortesia. Un atto in più e….!

La diva ha esibito un’emissione chioccia, aspra e vetrosa che ha inficiato il canto dalla prima all’ultima nota. Nessun suono sul fiato, nessuna morbidezza, solo sguaiataggini e “starnazzamenti” che al secondo atto sono stati davvero impossibili da tollerare. La scena dell’invocazione a Brahma che precede l’aria, caratterizzata da una serie di brevi passi vocalizzati (melismi che descrivono l’esotismo magico..) è stata una delle cose più raccapriccianti udita in questi ultimi tempi da una cantante di “fama”. Anche l’esecuzione dell’aria, subito dopo, è risultata maldestra, con problemi continui di fiato, asprezze, debito di legato. Buon per lei che i parmigiani siano stati benevoli, perché avrebbe meritato riprovazioni a scena aperta ( e vi invitiamo a procedere all’ascolto allegato in calce ), data, ripeto, la carriera internazionale di questa “rising star”. E qui se vogliamo interrogarci non sul pubblico, ma sulle competenze di chi sceglie e gestisce le carriere, di argomenti di riflessione ve ne sono in abbondanza ( a volerli avere e leggere ad occhi aperti!).
La vocalità di Nadir prevede che il tenore svetti con filature, piani, pianissimi, messe di voce nella grande aria come nella serenata e nel duetto con Leyla. Al momento del duetto con Zurga, gli sarebbe richiesto lo sfoggio di una certo volume ed una certa ampiezza come pure al finale dell’opera, caratteristiche che lo accomunano al Wilhelm Meister di Mignon. Il signor Korchak, rispetto alla sua compagna di avventura, è più facile da ascoltare in zona centrale, ma qui i suoi meriti cessano. Si è arrabattato con falsetti e nasalità continue a mascherare un uso maldestro del fiato, che non gli consente di “girare” gli acuti e di trovare una linea di canto veramente lirica, non eunucoide. Imbarazzante la prima sezione della grande aria, afflitta da problemi di intonazione macroscopici. Insomma, il signor Korchak agli acuti sale abusando di i e di e schiacciate, con suoni che non possono essere modulati, mentre nel centro tenta di essere languido falsettando.
Nemmeno lo Zurga del signor Taormina ha molto convinto, forse perché anche per lui l’emissione manca di eleganza e della dovuta stilizzazione, peccando il personaggio di grossolanità, che a tratti pareva quasi un buffo.
Una produzione dove il fare bene si è perso per strada in scelte non adeguate e rimpiazzi di nome ma senza fatti, che contribuirà alla rapidissima riarchiviazione di questo titolo nelle contrade parmigiane.

Mi limito a proporvi come ascolti le strabilianti esecuzioni di Roberto d’Alessio e Tomas Alcaide, tenori che non andarono mai oltre l’ottima provincia o le seconde linee nei grandi teatri.

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12 pensieri su “Fratello streaming. Pêcheurs de perles a Parma.

  1. Ho sempre considerato la Nino di qualche anno fa (ad esempio nei Puritani con Florez) un lirico-leggero con uno strumento dignitosissimo seppur mal supportato da un vero sostegno (tecnica…quale?). Peccato constatare come in pochi anni la sua voce si sia disintegrata assumendo una vetrosità inquietante per una cantante così giovane…A dimostrazione che la natura non basta

    • non nominare la Nino invano cara Kirstenthebest. Soprattutto non ricordare a chi ama molto Florez la sua modestissima Elvira che squilibrava una produzione assai rara quale furono i Puritani dati a Bologna.-

  2. riallanciandimi all’altro post sull’Arlesiana,che è sopravvissuta grazie al famoso lamento,i pescatori di perle che era ricordata solo per la famosa aria ,cavallo di battaglia di tanti tenori,negli ultimi tempi tutta l’opera è stata riconsiderata,dal punto di vista musicale l’intera opera è veramente bella…

  3. Forse in genere io mi accontento piu’ facilmente, ma, a giudicare dal filmato su Nino Machaidze e da quello postato da Billy Budd su Korchak, qui siamo messi proprio maluccio: tra i due direi peggio ancora Korchak. Si sa qualcosa sui motivi del doppio forfait ? Siragusa non mi aveva incantato nel Novembre scorso nel Barbiere: diciamo intorno alla sufficienza e qui credo che avrebbe fatto meglio, non che ci volesse molto, peraltro.

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