I puritani a Piacenza. C’era una volta l’opera.

puritani modena 7C’era una volta l’opera. C’era una volta un tempo lontano in cui i direttori dei teatri sapevano che vi erano opere che potevano stare correntemente in repertorio ed essere rappresentate in teatri di  prima e seconda categoria. Rigoletto ad esempio, si poteva dare alla Scala come a Piacenza, perché anche cantanti di seconda categoria lo potevano eseguire. C’era un tempo in cui gli stessi direttori di teatro sapevano che, invece, altre opere come i Puritani erano talmente impegnative che si potevano rappresentare solo ed unicamente nei più grandi teatri del mondo e solo con dei fuoriclasse o se qualche fuoriclasse amava praticare la provincia oppure se qualche direttore di teatro dalle orecchie grandi si accorgeva di avere a che fare con un fuoriclasse in erba. A Piacenza era solito esibirsi un tenore chiamato Alfredo Kraus: cantò trionfalmente per quel teatro anche i Puritani. Agli inizi degli anni ’80 l’Emilia fu attraversata da una signora dagli occhiali spessi proveniente dal Festival della Valle d’Itria che i teatri italiani si ostinavano a non prendere nella giusta considerazione: sarebbe stata il fenomeno del futuro, si chiamava Mariella Devia e la sua Elvira di Puritani è stata una delle prove più straordinarie degli ultimi 40 anni della lirica.

Sarebbe interessante oggi domandare ai responsabili di questa nuova produzione dei Puritani per quali ragioni abbiano deciso di allestire una nuova produzione di un titolo tanto impegnativo e selettivo, oltretutto a brevissima distanza da quella di Aslico di qualche anno fa. Si, perché i Puritani si fanno normalmente disponendo di un tenore speciale o, in seconda battuta, di un ottimo soprano, e qui non si disponeva né dell’uno né dell’altro, in contrasto con le ragioni del fare bene e del fare ciò che si sa fare, che dovrebbero ispirare l’attività teatrale.

La formula della lirica odierna, invece, è che basta disporre di una coppia di solisti abbastanza nota, possibilmente che abbia già calcato con successo i palcoscenici locali e magari anche qualcuna delle bocciofile liriche attive nella fertile “Nucciland” padana, che il successo si presume debba essere garantito, qualunque cosa si oda sul palcoscenico. Successo di pubblico che non può mancare se il tenore riesce nell’impresa di emettere qualcuno degli acuti tremendi che spettano ad Arturo, tanto della catastrofe generale nessuno ormai si accorge ed alla fine tutto passa in fanteria, perché tanto fuori c’è bel tempo ed il ristorante ha ben cucinato lo stinco con la polenta.

Se parliamo, invece, seriamente (cosa che, salvo una sola eccezione, nessuno ha provato a fare nei mille siti e sitarelli web dove si leggono a tutto spiano elogi indistinti di ogni cosa, perché vengono generosamente accreditati al solo scopo di “fare numero” e dare volume al coro dei panegiristi) c’era assai poco da applaudire e parecchio da contestare. E forte.

Mettiamo da parte subito il signor Tittoto, che ha fatto anche questa volta il suo dovere nella parte di Giorgio, puntuale ed elegante, con voce di buona qualità, presenza scenica, tanto che è stato quello che ha portato a casa il successo di pubblico maggiore… e non a caso. Si spera che continui con questo genere di ruoli dimenticando quelli di vero basso, come Ferrando, dove non è vocalmente a suo agio. Quanto al signor Veloz, ha cantato con buona voce ma sempre con una certa monotonia e povertà di colori oltre ad una certa grossolanità nello stare in scena. Il momento migliore è stato l’entrata, peggio il duetto col basso, dove è parso poco composto e troppo squadrato.

Da qui in poi ci sono solo dolenti note da riferire di una produzione davvero disgraziata. In primis, la coppia direttore – regista. Il primo, il maestro Bernàcer, è parso del tutto estraneo alla poetica di Bellini, dirigendo sempre in modo da polverizzare la componente monumentale e grandiosa che incornicia la vicenda dei due amanti. La storia è ovunque in questo capolavoro, dipinta con l’orchestra da Bellini con grande ricchezza e forza suggestiva. Il maestro complice anche un‘orchestra di scadente qualità, dal suono povero, gli archi a corda di bucato, priva di colori, ha reso i Puritani una soporifera operina che si slegava da tutte le parti ad ogni numero. Tempi lenti o lentissimi, oltre il tollerabile ed oltre il buon senso, come alla Canzone di Arturo al 3° atto, infinita e sempre “ferma”, chiusa rallentando ulteriormente fino a sfinire il pubblico. Non c’è stato momento in cui toccasse a lui ove non abbia perso la cifra dell’opera: l’inizio dell’atto 1o; la chiusa del duetto Elvira-Giorgio con l’annuncio da fuori dell’ingresso di Arturo, che sarebbe molto suggestivo; l’apertura del 2° atto, con il coro che precede l’aria di Giorgio; il temporale che apre il 3° atto. In generale, una direzione che non andava avanti, incapace di descrivere e sostenere l’azione, che ha solo fornito ai cantanti tempi fin troppo lenti forse con l’intenzione di aiutarli, ma che esasperavano l’ascoltatore anche per via  di prese di fiato enormi e smaccate. Tempi lenti per i quali i signori protagonisti hanno dimostrato di non avere fiato a sufficienza, calando, rompendo le frasi e così via. Il mestiere del direttore accompagnatore non prevede di ammorbare il pubblico perché i cantanti possano fare ciò che vogliano e la lentezza, se la si pratica, implica la capacità tecnica di orchestra e cantante di saperla sostenere ed usare a fini espressivi. Se il senso non si coglie, il tempo non è adeguato, ma tant’è…

L’allestimento messo a punto dal signor Esposito era poverissimo e pure inadeguato. L’emiciclo grigio con i tagli verticali che fungevano da ingressi per coro ed interpreti non aveva nessuna efficacia visiva né risolveva le dinamiche del palco, con quelle pareti radiali che tagliavano irregolarmente lo spazio scenico e le retroilluminazioni a led tipo centro estetico. Lo spazio deformato non evocava lo straniamento di Elvira, ma solo sciocchezze della degenerazione del teatro di regia. Meglio sarebbe stato risolvere il movimento del coro, costantemente in difficoltà nell’entrare ed uscire di scena; evitare le disposizioni ad emiciclo o i ridicoli movimenti delle coriste coi fazzolettini in mano da show di Paolo Poli al primo atto etc. Anche impedire che Arturo entri girandosi in tre quarti perché no passa dal pertugio, o che il soprano strisci contro le pareti sarebbe stato saggio ed avrebbe risparmiato alcune punte di ridicolo ad una storia che di ridicolo non ha francamente nulla.

Perché produrre in tempi di ristrettezze economiche siffatte porcherie se no si hanno denari a sufficienza per mettere sul palco quello che occorre? Perché? Pantalone ha ormai le braghe corte, anzi cortissime e non può permettersi nessuno spreco…

Quanto alla coppia Celso Albelo – Irina Lungu, diciamo che non sono stati all’altezza del loro compito e, almeno stando alla prova piacentina di domenica scorsa, peggio il soprano del tenore.

Del signor Albelo diciamo che canta in due modi, o in gola e senza sostegno del suono, oppure coprendo e spingendo le frasi che salgono agli acuti, occasione nelle quali all’improvviso la voce corre in sala e riempie lo spazio. Se non facesse così non potrebbe certamente salire, ma resta il fatto che non è in grado di lavorare col corpo, ossia di diaframma, per cantare tutta la parte in modo professionale. La voce è sempre sfuocata, ferma sul palco; sul passaggio, ove batte di continuo la scrittura, sabbiosa e piccola, senza rotondità e capacità di espansione. Continuamente falsetta nell’intento di farci credere che sta fraseggiando, che sta dando al suo Arturo una patina di lirismo e dolcezza, ma in realtà ci prende in giro boccheggiando sfacciatamente. Quello non è cantare, ma far finta di farlo. Ed infatti appena arriva un acuto, il corpo si gonfia, il cantante si tende, il suono diventa più scuro e sonoro, e l’acuto schizza nella sala. Acuto messo nel naso, va detto, ma comunque meglio di niente, tanto oggi tutti i contraltini cantano dando di naso e nessuno se ne accorge. Ho letto critiche verso il canarino, che rimarcano come il tenore non sia più lo stesso delle origini. A mio avviso è sempre lo stesso, un talento naturale che dimostra di non possedere quello che serve per fare la grande carriera di un contraltino, ossia l’allenamento costante che produce la forza fisica necessaria per sostenere il suono. La voce gli resta, invece, sul palco, piccola e sgonfia; gli accenti non esistono perché il suo parco falsetti è semplicemente ridicolo ( la Canzone del 3° atto è francamente insopportabile ), canta un duetto con Elvira scorciato come nei 78 giri e deve ricorrere al soprano per farsi cantare la ripresa di “Credeasi misera” per non crollare morto di fatica sul palco. E’ un tenore per cui si mettono in scena i Puritani quello che fa fatica a reggere anche solo “Bella figlia dell’amore” del Rigoletto?

Di Irina Lungu, poi, posso solo dire che non ha né voce né tasso tecnico per Elvira e che ha stonato in maniera indescrivibile l’intero primo atto, una “Polacca” inaudita passata per fortuna sotto silenzio. Meglio gli altri due atti, ma sempre con vistosi problemi di intonazione ed urla negli acuti che se ne sono bellamente andati, a furia di ispessire il centro, la posizione del suono ancora più bassa di un tempo, il suond torvo e senescente. Solo grazie a dei nervi di acciaio, dopo la catastrofe delle stecche del finale primo, ha potuto presentarsi a cantare la pazzia di Elvira infilandosi nelle variazioni della Sutherland (!!!!!) del “Vien diletto”. Da rimanere sbalorditi di cotanta presunzione, ma siccome è forte è riuscita anche ad eseguirle tutte senza perdersi: per me 2 minuti di vera high tension superiore ad un film di Dario Argento!! La Lungu ora non è più l’allieva dell’Accademia, scandalosamente usata dalla Scala per parare il lato il lato B di dive in fuga da Violetta. Non ha risolto i problemi tecnici di partenza che la carriera a pieno ritmo, arricchita di ruoli più grandi di lei come Donna Anna, ha amplificato e qui sta il nocciolo della questione. Il belcanto, quello nato per dei fuoriclasse e non dei cantanti normali, non si può approcciare con tecnica abborracciata, e nessuna arma nella voce fuori dalla musicalità, che oggettivamente la cantante possiede. La fatica fisica che si percepisce mentre canta è grandissima: si contorce mentre va a cercare i suoni chissadove, che escono sempre malfermi, accomodati in ritardo, con portamenti e stonature che davvero ammorbano il canto. La sua Elvira sarebbe anche ricca di intenzioni interpretative, ben più interessanti di quelle del suo compagno di avventura, ma senza il bagaglio tecnico in queste opere non si fa nulla. Se poi non c’è nemmeno più la facilità in alto, se la fatica è troppa per reggere non solo la serata ma la successione delle recite, non è forse è il caso di ridimensionale ambizioni sproporzionate di repertorio e tornare a ruoli più consoni? E per questa Elvira, torno a chiedere, si allestiscono i Puritani?

Una pessima lezione viene da questa produzione, un preoccupante senso di leggerezza nell’approccio verso il nucleo più alto ed impegnativo del melodramma italiano che però, a ben guardarci  attorno, trova sempre più occasioni di svendita e sempre meno di rispetto da parte di chi redige i cartelloni.

C’era una volta il teatro d’opera, quello la cui prima legge era: canta ciò che sai cantare; metti in scena ciò per cui hai i cantanti. C’era una volta…

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27 pensieri su “I puritani a Piacenza. C’era una volta l’opera.

      • Rispetto la tua opinione ma la mancanza di decenza nella tua critica per le persone che hanno il coraggio di mettersi i piedi su un palcoscenico e ingiusta perche sono convinto che loro non vogliono ingannare il publico ma invece cercano a fare il meglio possibile. Siamo tutti umani e un po’ di umanita fa del bene per tutti.

        • nel momento in cui decido di salire sul palcoscenico ci devo salire sapendo i rischi che corro. Ci devo salire con la massima convinzione di quello che faccio come ha dimostrato e non dai Puritani di domenica Irina Lungu. Dopo di che sono rimesso alla valutazione del pubblico e la carità, la misericorda, la compassione si praticano altrove e per altre situazioni. Il sipario divide due mondi dove ciascuno ha i propri diritti ed i propri doveri. In difetto non si è più pubblico e si perde la dignità di questa posizione per diventare plauditores. Piacciono molto ai cantanti, ai loro agenti, ai direttori ( si fa pre dire) artistici, ma fanno solo del nale alla musica ed in questo male stiamo affogando.

    • SONO D’ACCORDO CON LEI !! VORREI SAPERE CHI VA BENE A QUESTA GRISI. NON SI PUO’ DISTRUGGERE GRATUITAMENTE LA CARRIERA DI PROFESSIONISTI SERI COME QUELLI SENTITI DOMENICA A PIACENZA. SONO VERAMENTE DISGUSTATO DA QUESTA CRITICA CHE NON HA NIENTE DI VERO !!

      • Caro Andrea qui nessuno distrugge gratuitamente nulla, anzi. Da questo sito sono usciti i primi commenti positivi ed interessati su questi due cantanti quando nessuno li conosceva.
        Di gratuito non c’è un tubo. Se non senti che la Lungu stona, non so cosa dirti. Senti qua:
        https://www.youtube.com/watch?v=skMSACdbJU0
        No, perchè poi definisci GUITTA la Damrau, come nel commento ai suoi ultimi Puritani qui da noi eh!
        Se sei un suo conoscente e ti piace per quello, o la senti con l’orecchio dell’amico, non puoi TU prendertela con chi sente che stona. Credi che una cantante sfiancata dai Puritani possa cantare bene l’Anna Bolena???
        Il primo atto di domenica era da coprire di fischi ad essere adeguati a quello che si è sentito, altro che vittimismo. E’ mancanza di rispetto verso il pubblico quella di voler cantare ciò che non si può cantare, e tutti dobbiamo tacere ed applaudire?? Ma fammi capire..!

        E non ti preoccupare che nessuno rovina alcuna carriera, li fanno cantare lo stesso, tutti quanti, gente ben peggiore.

        • Naturalmente ognuno la vede come “la sente” con il proprio urecchio. Sono abbastanza vecchio per aver ascoltato tanta e tanta musica e credo di aver imparato qualcosa. non ricordo di aver dato della guitta alla Damrau ma forse la memoria….Ho letto altre recensioni sui Puritani ma nessuna negativa e catastrofica come la tua. Buon lavoro ed alla prossima !!

          • Ho letto varie recensioni e solo francesco lora sull’Ape ha detto delle cose realistiche.E parecchie inaudite, tipo questa ” Il timbro perlaceo, l’emissione uniforme perché perfettamente poggiata sul diaframma, lo stile patetico di un canto quasi velato di mestizia, le consentono di plasmarsi mirabilmente alle caratteristiche del personaggio. Il soprano rifugge qualsiasi forzatura, in alto come in basso, e tesse una trama vocale omogenea e vellutata, sempre privilegiando la rotondità del suono. Nell’ottava acuta, la voce è di una bellezza addirittura sfolgorante, impreziosita com’è dalle modulazioni di un vibrato morbidissimo. I punti più alti della performance sono da ricercare nello struggente finale primo e nella scena della follia al secondo atto, dove la Lungu, attraverso un canto legatissimo, non lesina assottigliamenti (o filati) da manuale….”
            Ti paiono recensioni credibili queste con cui ci dovremmo rapportare? Penso che siamo nel regno dell’immaginazione ma non mi meraviglio. Sul suo wall facebook alcuni le dicono che canterà la polacca meglio della Sutherland e della Callas…..se andiamo a teatro fumati, allora non parlo più!

  1. I Puritani sono tra le mie opere preferite per non dire forse la preferita in assoluto. Quando alcuni mesi fa ho letto nel programma della stagione lirica del Municipale di Piacenza che allestivano quest’opera sono sobbalzato sulla sedia. Per due motivi: uno, perché vivendo a pochi chilometri dalla città potevo di certo andare a vedere e sentire l’opera senza grandi problemi di spostamento mentre il secondo motivo è che sono rimasto sorpreso dal fatto che fosse allestita a breve distanza di tempo dall’edizione cremonese con la Pratt e soprattutto perché mi sono subito chiesto ma chi la canta??? Quando ho letto i protagonisti dell’opera ho capito tutto (del resto, non essendocene, non mi aspettavo chissà quali nomi!) e mi sono detto andiamo ugualmente e vediamo cosa succede.
    Francamente, sono pienamente d’accordo con la critica della sig.ra Grisi. Gli stessi suoi pensieri sono passati nella mia mente in diretta durante l’esecuzione dell’opera. Stesse sensazioni, stesse ansie, stesse paure e soprattutto stesse interrogazioni. Tuttavia non sono rimasto sorpreso. Ho sentito e purtroppo anche visto quello che mi aspettavo per un’opera simile ai giorni nostri con un “parco” cantanti (e anche “registi”) che si dispone attualmente non all’altezza per opere come questa. A parte un po’ Tittoto, sono mancati totalmente i fiati. A me ha deluso completamente Albelo dal quale speravo in qualcosa di meglio e invece ha trascorso tutta l’opera con falsetti e falsettini sconcertanti sparando ogni tanto acuti (meno male) ma decisamente urlati. Della Lungu sapevo che non poteva essere meglio di quella che si è vista e sentita ma nella prima parte è stata quasi inudibile. E’ di poco migliorata nei due atti successivi ma il livello è rimasto e rimane scarso per fare Elvira. Però consapevole di sé ha provato la ripresa del “Vien diletto” variata tanto che sono rimasto in apnea per tutta la durata dell’aria che invece ha terminato senza stonature. Veloz mi è invece piaciuto nel duetto con Tittoto mentre era improponibile in canto e in scena durante il duello con Arturo nel primo atto. La direzione d’orchestra l’ho trovata addirittura strana in certi momenti ma sicuramente non all’altezza della bellissima musica di Bellini specialmente nei tempi da sonnifero usati soprattutto quando era in scena il tenore. Regia e in particolare scene insignificanti con pannelli di volume ingombrante. Di conseguenza, scarsa partecipazione emotiva nei vari momenti della vicenda in modo particolare quando i due protagonisti erano presenti sul palcoscenico. Ho trovato piuttosto limitato anche il coro del Comunale di Modena anche qui per mancanza di fiati e di rappresentazione costretti a muoversi in spazi angusti e in tempi spesso brevi. Per ultima cosa, non credo che le critiche siano degli “attentati” ai vari protagonisti dell’opera. Quando uno fa un lavoro mette sul campo anche i rischi e, se decide di rischiare, sa che deve accettare le conseguenze. Se il lavoro è andato bene la critica sarà positiva e ci potranno essere anche dei meriti a favore; viceversa, se il lavoro non è riuscito bene bisogna “portarsi a casa” anche le critiche in negativo sulle quali trarre sempre degli spunti di riflessione per migliorarsi (se possibile) o in alternativa per conoscere dove arrivano i propri valori e iniziano i propri limiti. Grazie.

      • Signora Grisi ha perfettamente ragione su tutto. La Lungu inoltre ha il collo molto rigido e incassa continuamente la testa (un trucchetto -sbagliato-per dare maggiore “spessore” nei centri alla voce) e risulta così non libera e intubata… E stona moltissimo davvero: la sua voce risulta come “sfasata” e le sua fonazione risulta molto distorta. Non credo che nessuno voglia distruggere i cantanti ma visto che uno sale sul palco (ed è pagato) e lo fa- non raccontiamoci panzane sul condividere un meraviglioso dono- per farsi vedere e per giusta ambizione ed ego personale, va capito e stimato se in serata no, ma quando la prassi è questa… va detto!!! Buona serata!

  2. Buonasera,ho letto la recensione e ho ascoltato il brano dal Don Giovanni,poi ho ascoltati la Signora Lungu nell’aria di Micaela,poi ho cercato notizie su di lei per sapere di piu’ ma mi sono fermata sconcertata,ha solo 36 anni? E la voce purtroppo sembra sciupata,forzata e un po’ nasale,non sento una forcella e colori e poche sfumature,forse canta un po’ tutto uguale….e qui e’ questione di tecnica pura;e dovrebbe curare e seguire con accortezza,la voce che la natura le ha donato,e’ un errore grave voler cantare ruoli non adatti alla propria vocalita’,la scelta del repertorio e’fondamentale e necessaria se non indispensabile per una carriera duratura,che le auguro,mi dispiace,e’giovane e non deve rovinarsi la voce,perche’ purtroppo si fa in fretta e poi tornare indietro e’molto difficile.Grazie!

  3. Leggo dei commenti sconcertanti, quasi si stesse parlando della Sutherland. Ma qualcuno mi sa dire onestamente quando mai la lungu ha saputo cantare? E cosa? Semplicemente bisognava disertare lo spettacolo. Si sarebbero risparmiati danari e tempo. Spiace per albelo, lui non mi sembrava malvagio.

      • Guarda la gerzmava in altro repertorio è corretta senza essere un fenomeno. La ricordo un po noiosa. Non capisco la scelta del teatro di impiegarla in un titolo come la bolena, che sulla carta – e tu me lo confermi- non mi sembra nelle sue corde. Aspetto di leggere, se ci sarà, la vostra recensione. Del cast io non salverei nessuno. Curiosità per il direttore invece…
        Saluti

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