ROF 2017, prima puntata: grande solo Rossini

La proposta di Siège de Corinthe, titolo inaugurale del trentottesimo ROF, ha adempiuto il compito di rivelare o almeno confermare la centralità di Rossini nell’operismo del primo trentennio dell’Ottocento e la sua grandezza. Il compito è stato adempiuto a metà, in quanto a realizzazione è stata scadente e provinciale, come peculiare del ROF da almeno un ventennio, salvo poche documentate eccezioni. Grandezza di Rossini perché il secondo atto con l’esecuzione completa dell’aria di Pamira, che prevede anche il Maestoso “O patrie infortunée”, l’originale “Sì ferite” del Maometto, e la stretta del duetto Maometto/Pamira (in italiano “Gli estremi accenti ascolta”), di un ulteriore numero di danza, cui va aggiunto il monumentale finale pensato apposta per Parigi, dimostra come il genio pesarese, sin dal suo primo adattamento di un titolo italiano in una tragédie-lyrique dia prova di essere uno dei padri, se non addirittura il padre del grand-opéra ben più di Spontini o Cherubini. La realizzazione pesarese di quanto eseguito o predisposto da Rossini per la sera del 9 ottobre 1826 da  rappresentare all’Académie ha aperto gli occhi all’ascoltatore sul legame assai più stretto fra Maometto e Siège e sulla grandezza assoluta di  Rossini nel ricostruire, adattare e risistemare le proprie musiche.

Per la verità la rappresentazione pesarese ha anche dimostrato, dopo quarantotto anni, di come  parte delle operazioni censurate e vilipese, proprio dai numi tutelari della filologia ufficiale pesarese, oggi passati a miglior vita, il famoso Assedio scaligero fosse assai più fedele alla prima parigina di  quanto si sia creduto o voluto far credere.

Ci domandiamo se chi realizzò quello che almeno in parte è stato tacciato di essere un pasticcio avesse avuto accesso a quei materiali dell’Opéra che hanno costituito lo strumento dell’edizione critica di Colas o semplicemente  abbia consultato i libretti a stampa della prima esecuzione in area francese e dei quali abbiamo in animo di trattare perché in realtà l’Assedio, sin dalle prime rappresentazioni subì rimaneggiamenti anche in presenza degli esecutori della prima assoluta.

Era la prassi del tempo. E da tempo noi della Grisi andiamo sostenendo che dovrebbe essere questa la strada per poter continuare a scoprire e far conoscere Rossini.

Certo che tale operazione  richiede esecuzioni di livello quanto meno dignitoso, circostanza non verificatasi a Pesaro ieri sera. E non solo da ieri sera.

Il peggio assoluto è venuto dal direttore Roberto Abbado, che ad onta della lunga quanto infruttuosa frequentazione del Rossini serio, ha travisato e scempiato l’opera, impedendo di apprezzarne i tratti salienti.

I momenti peggiori sono stati  tutti gli ensemble pesanti, fragorosi, senza agogica e dinamica, marcette da teatro dei pupi e sfilate di formose majorette con autentiche cadute nell’entrata di Maometto (meccanica e bandistica), nella scena della benedizione degli stendardi, che è il modello di quella ben più famosa dei pugnali di Meyerbeer, il finale secondo o tutto il finale dell’opera dalla fine della preghiera. La verità è che tutti i direttori di oggi, senza eccezioni, non capiscono e quindi non sanno realizzare lo stile nobile e grandioso, cifra di questo genere musicale.

Le cose non sono andate bene neppure nei brani elegiaci e patetici, come il terzetto “ciel propizio”, la sezione centrale del finale “ D’amor seguace schiava” e soprattutto il grandioso “Celeste provvidenza” trasformato in meccanico fragore. Altro che clima notturno e imminente tragedia!

Certo con i cantanti  convocati, che sono per la dirigenza del ROF, ormai prossima agli imbonitori delle televendite, il miglior frutto della Accademia Rossiniana o  del canto rossiniano, non si può pretendere nulla.

Nell’ambito dell’autentico canto rossiniano per un titolo che solo Cuberli/Anderson/Rolandi, Ramey, Blake/Dupuy, Merritt avrebbero potuto compiutamente realizzare i signori Pisaroni (di rossiniano solo il cognome), Irvin, Romanovsky e Machaidze avrebbero sostenuto solo ruoli di comprimariato.

Pisaroni parla alla sortita ed al duetto d’amore, spiana e semplifica le agilità, quando spinge e forza per cercare ampiezza e cavata si capisce bene che è solo in baritono chiaro senza tecnica.

Il timbro di Nino Machaidze è senescente a trentacinque anni, l’estensione limitata, tanto da indurla a semplificare i primi enunciati delle cabalette per eseguire il testo originale nel da capo , le agilità caricaturali ( e l’esecuzione completa della scena del secondo atto peggiora la già grave situazione), nessun colore, nessuna dinamica. Pagine come la preghiera del terzo atto liquidate fra strilletti e suoni ingolati.

Quanto a Romanovsky o gonfia la voce o falsetta; se può omette gli acuti ( vedi salita al do nel da capo di “sei tu che stendi o Dio”), taglia e semplifica l’ardua sezione conclusiva della grande scena del  terzo atto, quando deve cantare piano o grida o falsetta miseramente. A lui la medaglia nera della serata per lo scempio del “Celeste provvidenza”.

La verità è che oggi, da almeno cinquant’anni, non sappiamo che i tenori, specie nell’opera francese devono gestire il cosiddetto misto ed il falsettone, pena l’essere beceri ed inadeguati. Ovvero consono e degno di questo Festival.

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9 pensieri su “ROF 2017, prima puntata: grande solo Rossini

  1. Avevo deciso di andare a vedere lo spettacolo e non me ne sono pentito: l’impressione che resta al termine è quella di una gran bella opera con alcuni presagi del Tell ma di dimensioni più umane. Bella musica, un’ alternanza di scene eroiche e patetiche senza alcuna pausa, un intreccio plausibile.
    Peccato sia così poco frequentemente rappresentata.
    Detto questo, tutto il resto è in discesa: cantanti mediocri e spettacolo grandioso ma poco significativo. La vera caduta di stile sono stati i balletti – musica stupenda – o non eseguiti del tutto oppure risolto in una zuffa tra uomini.
    Dei cantanti, John Irvin è poco sonoro in sala; Neocles ha un po’ più di proiezione e una molto bella figura (farà certamente carriera). Il francese di tutti è discutibile tranne forse Pisaroni che a volte arrota pure le r.
    Poi c’è Pamyra. La primadonna scrittura cosa c’entra con il canto rossiniano, pur frequentandolo parecchio ultimamente? A parte un certo volume al centro non so quali altre qualità abbia: in scena si porta sempre allo stesso modo, sempre di tre quarti con il braccio leggermente piegato e l’aria allusiva, mai che traspaia qualcosa di più (e poi dicono che i cantanti giovani di oggi sanno recitare), la tecnica personalissima (…non so il prodotto di quale scuola sia, ma la coloratura è ghermita quando semplice, per il resto si deve immaginare), la scansione delle parole non c’è, tutto diventa una poltiglia indistinta scurita.
    A fronte di tutto ciò, credo che a tutti, oggi, verrebbe da affidare Pamyra, per conoscenza dello stile, tecnica ed esperienza……ad Annick Massis che pur sul viale del tramonto, ha saputo dare ancora prove decorose ed ha cantato sia Anai sia Mathilde (purtroppo non circolano molti documenti sonori). Martet, critico francese con orecchio talvolta ancora buono, ha detto anche grandi cose sulla sua Maria Stuarda dello scorso autunno. Spero e credo che sia stata lei stessa a rifiutare l’ingaggio nel
    Siège, preferendo ormai le esecuzioni in forma di concerto.
    Ci sarebbero comunque anche le francesi giovani (la Fuchs e la Sabine nazionale). E la Rebeka? Avrà pure problemi di intonazione ma si poteva tentare.
    Pur con tutti questi limiti, almeno si è potuto assistere di fila a tutto il Siège e in questo ne è valsa la pena.

  2. Concordo sul fatto che le dinamiche dell’orchestra fossero più tardoverdiane che rossiniane, tuttavia meglio un Rossini sopra le righe che un Rossini piatto o moscio come purtroppo se ne sentono. Valeva comunque la pena ascoltarla e piange il cuore vedere i posti vuoti anche al ROF.
    Credo che sarebbe ora da parte di tutti, appassionati, musicisti e soprattutto politici interrogarsi sul futuro del ROF, prima ancora che sulla qualità dei cantanti (pur necessaria) sulla mancanza di un auditorium degno di questo nome e sulla incapacità italica di “fare sistema” coinvolgendo altre realtà pubbliche e private regionali e nazionali.

    • credo che se ci fossero le idee, quelle vere, non quelle tarocche o pseudo culturali la sede dove eseguire le opere sarebbe assolutamente secondaria perchè il rossini è più che sufficiente. Nel passato facevano Tell e Semiramide senza troppi problemi.Le opere non si allestiscono con i teatri, ma con i cantanti, massime Rossini. Quanto alla strada del rof temo sia smarrita da molto tempo, ammesso che una strada ci sia mai stata, aspetto del quale da almeno trent’anni ho fondate ragioni di dubitare. Credo che le cose miglior di Pesaro siano state più caso e fortuna che non reali e ponderate scelte.

      • Tante realtà italiane non dispongono di sedi degne dei cimenti affrontati, penso ad esempio al Ravenna Festival, che ospita le grandi orchestre sinfoniche in un palasport. A Pesaro, come afferma Donzelli, manca anche tutto il resto. Peraltro in trent’anni i soldi per costruire un teatro moderno (vedi il Grand Théâtre de Provence di Aix) si sarebbero dovuti trovare da tempo. O forse sono stati trovati e spesi altrimenti, chi può dirlo.

        • Hanno trovato quelli per il festival del tartufo a torre del lago puccini….una operazione fallimentare ancora prima di nascere….ed altre come il Maggio nuovo. Peccato che Cp i soldi pubblici non si possa creare nulla di artistico…..È ora di smettere di spendere per produrre schifezze e pagare comunicatori idioti che spacciano schifezza per arte

          • Comprendo e condivido le critiche al ROF, e tuttavia non posso non riconoscere anche quello di buono che è stato fatto in questi anni. Pensate se a Catania avessero fatto un decimo di quello che hanno fatto a Pesaro, forse oggi ascolteremmo qualche pagina in più di Bellini… La qualità del ROF sarà anche incostante ma… vogliamo parlare di Torre del Lago, dove i direttori d’orchestra manco vanno a tempo? In ultimo, dato che io sono di quelli che pensano che l’opera è fatta per essere eseguita in teatro e non all’aperto né in un palazzetto (e questo è uno dei problemi anche di Ravenna), credo che il contenitore sia importante, altrimenti tutti i discorsi di acustica e di tecnica vocale serebbero perfettamente inutili.

          • Torre del Lago non ha ragione di essere e cmque lo stato delle conoscenze su Bellini era ben diverso da quello di Rossini…..

  3. credo che più di Catania sia Bergamo, città dai cospicui mezzi economici, con un patrimonio artistico rilevante (da poco abbiamo una ristrutturazione della Accademia Carrara) a dover onorare e far ripartire l’ interesse musicale e filologico per Donizetti. poi il problema è dove trovo oggi un tenore capace di cantare i ruoli pensati per Rubini, Moriani, Donzelli…..

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