Ripasso di fondamenti: Martine Dupuy e Romeo Montecchi

Il festival di Martina Franca, il festival della Valle d’Itria ha proposto per la sua quarantaquattresima edizione “Romeo e Giulietta” di Nicola Vaccaj.
Il titolo del musicista di Tolentino ha goduto di grande fama, perché alcuni celebri “Romeo Montecchi”, capitanati da Maria Malibran, erano solite eseguire, adattato al loro status di prima donna, il quarto atto dell’opera di Vaccaj in luogo di quello dell’opera di Bellini.
Molti anni fa sempre a Martina Franca, appena nominato direttore artistico del festival, Rodolfo Celletti apprestando in fretta e furia l’edizione del 1980 propose il titolo belliniano protagonista “maschile” Martine Dupuy, il cui Romeo Montecchi qualche anno dopo, precisamente nel 1994, venne definito da Angelo Foletto sulle pagine di Repubblica paradigmatico come la Norma di Maria Callas. Il mezzosoprano francese cantò praticamente in tutti i teatri del mondo importanti o meno l’infelice amoroso belliniano Scala esclusa perché da tempo quando si tratta di sbagliare una scelta il teatro milanese non è secondo a nessuno. Tutti sanno che in Scala il maestro Muti, autentico esperto di voci, propose Agnes Baltsa, il cui Romeo Montecchi, stilizzato come la più volgare delle Santuzze, venne coperto di fischi. Allora non si parlava di Corriere della Grisi quale autore dei fischi, ma di clan dei marsigliesi. Per chi non lo sapesse Martine Dupuy è nata a Marsiglia. Sono poche le esecuzioni di un titolo che possano definirsi paradigmatiche o esemplari. Fra queste rientra il Romeo di Martine Dupuy. La scrittura vocale è di mezzosoprano acuto cui talvolta è richiesto la discesa nel registro grave (vedi ad esempio stretta della cabaletta d’ingresso o parte della sfida con Tebaldo all’atto terzo) ovvero quanto di più idoneo alle doti naturali della Dupuy. Non per nulla la parte era stata pensata per Giuditta Grisi mezzosoprano che più volte si esibì non senza contestazioni nel ruolo di soprano. A Romeo Montecchi, come sempre nella vocalità belliniana, è poi richiesto il legato, la morbidezza e la duttilità della voce. Questo in tessiture piuttosto acute come accade per la profferta amorosa del duetto con Giulietta all’atto primo. A tutte queste caratteristiche rispondeva l’esecuzione e l’interpretazione di Martine Dupuy che sapeva essere il giovane capo politico, l’intrepido amante, il furente rivale, il disperato innamorato che si uccide per amore, innalzando la trenodia “deh tu bell’alma” e gli ultimi disperati sospiri del “vivi ah vivi e lieto adora”. Non solo alla sortita del primo atto, sin da quando nel 1975 si presentò al concorso di Peschiera del Garda la Dupuy eseguiva le varianti di Rossini per la cabaletta “la tremenda ultrice spada”. Il Romeo Montecchi di Martine Dupuy faceva saltare dalla seggiola gli ascoltatori per la capacità acrobatica, per il vigore di accento ma nel contempo giunto alle tombe dei Capuleti faceva piangere il pubblico. Era la reviviscenza delle cronache dell’800 quando il pubblico (forse più semplice dell’attuale) esplodeva in applausi e lacrime dinnanzi a sublimi esecuzioni ad opera ora della Grisi, ora della Pasta, ora della Malibran.

Se Romeo t’uccise un figlio – dir. Sir John Pritchard (Bruxelles 1986)

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Sì, fuggire, a noi non resta – con Lella Cuberli, dir. Sir John Pritchard (Bruxelles 1986)

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Deserto è il loco – con Vincenzo La Scola, dir. Sir John Pritchard (Bruxelles 1986)

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Qual sospiro! – con Mariella Devia, dir. Daniele Gatti (Bologna 1989)

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Ecco la tomba – con Christine Barbaux, dir. Alberto Zedda (Amsterdam 1994)

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8 pensieri su “Ripasso di fondamenti: Martine Dupuy e Romeo Montecchi

  1. Doveroso omaggio alla nostra più grande cantante, dopo il nulla…Guardiamo un po che è diventato il bel canto ‘alla francese’,
    – urli e gola- e il suo pubblico.
    Io avrei incluso la Cuberli, il canto della coppia mitica in quest’opera fa veramente capire cosa significano eleganza e grazia!

  2. concordo con Billy Budd. io non ho mai visto niente di simile alla Dupuy ‘in’ Maffio Orsini Lucrezia Borgia di Donizetti al Comunale di Bologna nel 1984. immedesimazione paradigmatica non c’è altro da dire.

    • sono sempre stato un fan della Dupuy ed è circostanza nota. Credo che il momento più alto della carriera di Martine sia il Falliero pesarese e per la cronaca la stesso Horne riteneva la parte perfetta per la collega.

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