ROF 2018: terza puntata ossia Il Barbiere di Siviglia

Quest’anno ricorre il centocinquantenario della morte di Rossini. Diciamo che il Festival lo ha celebrato in maniera poco solenne e con proposte di levatura culturale e filologica bassa.
Forse è maggiore interesse dell’attuale dirigenza proporre spettacoli popolari e nel titolo e nel gusto e solo in quest’ottica si può comprendere un Barbiere che ha riproposto sia pure nella integralità dei numeri un gusto ed una modalità esecutiva davvero di altri tempi. Altri tempi nei quali, però, almeno si sentivano voci di grande qualità e levatura tecnica.
Nulla di tutto ciò la sera del 13 agosto da Pesaro ed anzi una serie di caccole nell’esecuzione che credevamo perdute. Ne segnalo una esemplare e fastidiosa ossia la scelta di aver fatto parlare e cantare (poco e maluccio) Bartolo con una marcata “erre moscia”. Poi il regista Pierluigi Pizzi può anche andar per radio a raccontare che hanno molto lavorato sui recitativi, ma se il risultato dell’intenso lavoro è questo, la delusione ed il disappunto sono proporzionali.
Nel dettaglio dell’ esecuzione:
Sinfonia pesante e con clangori orchestrali quando ci sono le percussioni: da anni si sentono solo quelle e non capiamo per quale motivo. Entra il conte di Mironov e alla fine dell’andante non esegue neppure la cadenza e le limitate varianti alla cabaletta sono di cattivo gusto. La cavatina di Figaro, il signor Davide Luciano, denota assoluto cattivo gusto tradizionale salvo qualche sillabato decente.
Il meglio della cattiva esecuzione principia con il recitativo di Rosina dalla finestra di casa ed udiamo che la voce di Aya Wakizono è da comprimaria senza controllo e sostegno del fiato.
A questa Rosina di voce ingolata ed indietro replica una serenata dove Mironov sfoggia voce dura e nessun colore, un abortito tentativo di trillo in chiusa della prima strofe. Adesso va di moda, senza ce lo spartito lo preveda o giustifichi gridare l’inizio della seconda strofe e non si capisce perché. Le variazioni sono scolastiche e parche, nel tentativo di addolcire in zona medio alta che sfociano nel falsettino, tempi alla “come capita”, senza logica alcuna. Le risposte di Rosina fanno pensare che Almaviva stia facendo la serenata ad una vecchia del ricovero tanto è ingolata e indietro la voce della cantante. Insomma “Amore fra le rovine”.
Al duetto Figaro – Conte assoluta routine, la vocalizzazione di Mironov è davvero scolastica e la salita agli acuti non è facile, spesso ( i tre “che si fa?”) usa il falsettino old stile quello di cui un Blake dimenticato nella patria di Rossini ha fatto giustizia. Identica qualità di suono ed emissione ai “ma perché?”. Alla stretta Figaro grida e stenta e si dimostra un principiante perché in questo passo Figaro canta da vero baritono; le cose vanno un po’ meglio con la vocalizzazione del Conte della stretta anche se piuttosto scolastica e poco fluida (“e di me stesso maggior mi fa”). Siccome siamo in una esecuzione pesarese ed integrale va segnalato: nessuna variante al da capo.
Cavatina Rosina: voce indietro, appena sale sono urla (vedi il primo “sì Lindoro”), in basso una principiante non prova neppure a salire nelle ripetizioni ed il tempo per arrivare in fondo è letargico, grande fatica nella vocalizzazione che è da principiante. Attacco del “ma se mi toccano” da filodrammatica rionale per l’accento e la qualità del suono. Questa non è una cantante, ma una mal riuscita imitazione Bartoli. Da coprire di fischi, in un teatro vero con un pubblico non inebetito e drogato.
Aria di don Basilio: preceduta da una serie spaventosa di caccole, una sorta di duo degli starnuti di Ambrogio e Berta e sempre le stesse gag di Basilio, uno svociatissimo Pertusi, che nonostante l’età giovane per un basso dovrebbe pensare al ritiro dopo un trentennio di servizio ed un voce che mai fu di vero basso. L’orchestra sotto è modesta, i “sibilando va ronzando” hanno la loro ispirazione nei dischi dei bassi parlanti. Il crescendo è meccanico e metronomico. Arrivato al colpo di cannone grida e bercia con urla scomposte al tremuoto ed al temporale con una orchestra caricaturale.
Se si decide di eseguire interamente la chiusa e si ripete “il meschino calunniato” le variazioni sono d’obbligo. Vedi Zedda /Alaimo a Martina nel 1982, che ci prendemmo il lusso di criticare.
Il pubblico applaude…
Duetto Rosina – Figaro: la Rosina non vocalizza, squittisce ossia bartoleggia nessun mordente, nessun slancio, nessuna agilità di forza. Lui stenta nella vocalizzazione l’orchestra è molto generica e senza verve. Al da capo non una variante nuova e divertente che possa far rialzare l’interesse per l’apparato di interventi.Giustamente applausi scarsini.
Aria don Bartolo: in natura il Bartolo di Pietro Spagnoli è un tenore vecchio e malmesso e non una voce grave. Tanto è che sfarfalleggia e falsetta ai vari “meglio meglio”, al “Vi consiglio mia carina” grida e forza la voce.
Non un suono morbido in tutta la serata da alcuno dei cantanti. Una vergogna.
Finale: all’ingresso il conte, travestito, non sfoggia ampiezza e grandeur, ma solo caricatura, caccole e cacchinni distribuiti per ogni dove su tutti campeggiano le grida della Zilio pesante e greve e tutto è tirato via, pesante senza spirito.
Siccome siamo a Pesaro una perla devo segnalarla al concertato sarebbe Berta soprano che deve salire al do5, nella tradizione delle Rosine soprano la linea di canto veniva invertita fra le due voci femminili, ma a Pesaro, dove hanno scelto una Berta da filodrammatica rionale, agli acuti con urla sale Rosina. Il fatto si commenta da sé.
Le cose non proseguono meglio al secondo atto.
Entrata di Almaviva manca di ampiezza e grandeur e non si differenzia negli a parte.
Caccole nel recitativo con la s alla spagnola per il tenore. Allora lo studio dei recitativi è l’erre moscia di Bartolo, il tartagliare di Basilio, copiando le Nozze, la esse spagnola di don Alonso…
Lezione: la voce è rotta in due tronconi in basso dura ed ingolata, in alto da sopranino. Cadenze minimo sindacale alla chiusa della prima sezione. Nella seconda sezione si ha la sensazione di una voce spinta e forzata con difficoltà di emissione. Salita al “dolce idea” con falsetti. Ridicole e misere le variazioni, dove si ricorre a qualche trasporto sul “sul caro a te mi raccomando” e nessun vero slancio acrobatico.
Quintetto: Pertusi in pessime condizioni ricorre a caccole come al “giallo come un morto”, Rosina annaspa nelle frasi basse di tutta la scena, voce dura e forzata, mai un suono tondo e morbido. Mironov piatto come interprete e forzato si sforza di accentare, talvolta suona nasale. L’attacco di “buona sera” di Rosina è il modello della voce fuori fuoco. La replica di Pertusi sembra la caricatura di Ghiaurov, senza la prosopopea vocale del basso bulgaro. Applausi, il pubblico non sa che Basilio rientri. Spagnoli suona afono alla invettiva, orchestra pesante e greve e molti clangori di piatti.
Aria di Berta: basta dire che la Zilio è la caricatura della Barbieri vecchia.
Dopo l’aria di Berta al recitativo fra tutore e pupilla una serie insopportabile di caccole nei recitativi, pure i singhiozzi di Rosina all’inizio del temporale.
Non male il temporale sebbene meccanico e senza troppi colori.
Poi ritorna il canto e Rosina accoglie Almaviva parlando.
Terzetto attacco di lei con suono indietro e ingolato sale con suoni tremuli. Figaro in falsetto. Mironov nasale. Chiaramente Mironov crede che mettere la nel naso sia mettere in maschera. Figaro grida.
Stretta del terzetto: vocalizzazione faticosa per gli innamorati.
Decente, ma nulla più il rondò. Considerazione: adesso per i tenori cantare il Barbiere è diventato cantare il rondò, dimentichi che il brano è semplicemente la conclusione di un percorso dove il tenore è per certi versi il protagonista dell’opera o quanto meno il personaggio chiamato ad alternare più corde espressive.
Ma questo ce lo ricordano o certi incunaboli a 78 giri, reperti in lingua slava e Mr. Blake. Tutte cose che a Pesaro si devono dimenticare.

6 pensieri su “ROF 2018: terza puntata ossia Il Barbiere di Siviglia

  1. Buffo che un Barbiere del centocinquantenario sembri avere come konzept la celebrazione delle spedizioni le più punitive: orchestra e direzione da banda di paese, tenore la cui unica preoccupazione è di sembrare l’idolo locale, impegnato ahinoi in altra produzione, un Bartolo la cui erre moscia (mediata da quella dell’anziano regista?) fa desiderare – dopo un quarto d’ora – la caduta della lingua, Basilio e Berta dei Ruiz e delle Curre che finalmente si tolgono qualche sfizio, una Rosina che non può non essere nipote o figlia del sindaco locale, e – al posto della precisione, del rigore, della vocalità vertiginosamente impeccabile richiesta dalla partitura – il trionfo della caccola più bieca e corriva.
    Insomma, la negazione di quanto il ROF ha sempre proclamato di voler praticare. Ma forse gli intenti erano altri sin dall’inizio e noi siamo stati fessi a crederci.

    Sarebbe ora di piantarla.

  2. La “r moscia” e’ fastidiosa ? Non stento a crederlo. Ma meno, secondo me, in confronto all’esecuzione in dialetto, napoletano, di buona parte di Almaviva nei panni di Alonzo, con tanto di “ue ue ue” al “quando mi sei vicina …” di Bartolo e il riferimento di Rosina come “a’ guagliona”: non ce l’ho con il dialetto napoletano, ce l’ho con il dialetto. Mi e’ sembrato un escamotage non degno nemmeno di un Teatro di Provincia. Ad un’apposita mail ad oggetto “il Barbiere di …. Siviglia ?” inviata alla Sovrintendenza del Teatro Regio di Torino. la Sovrintendenza stessa si e’ fatta in 4 nel tentativo, perfettamente riuscito, di non rispondere. Accadeva a Marzo.

  3. Leggo su un sito operistico (https://www.connessiallopera.it/recensioni/2018/pesaro-rossini-opera-festival-2018-il-barbiere-di-siviglia/) la seguente dichiarazione del Mariotti padre del Mariotti: ” «La verità è che una tradizione esecutiva praticamente monocorde ha omogeneizzato e livellato l’interpretazione di questa partitura su un unico registro, quello dell’opera buffa esemplare e assoluta. Dopo due secoli sarebbe giusto rimuovere Il barbiere da questo limitato stereotipo per riportarlo nell’ambito più feriale ma più pertinente di multiforme commedia di carattere. In altre parole: di recuperare a questo smagliante capolavoro la sua complessità originale.» Con questo indirizzo di augurio Gianfranco Mariotti, Presidente onorario e guida morale del Rossini Opera Festival, ha salutato la nuova produzione del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, appositamente concepita per le celebrazioni del 150° anniversario della morte del musicista “.
    Francamente all’ascolto dell’ultimo Barbiere pesarese parrebbe che si sia pensato di recuperare il peggio delle caccole e della peggiore tradizione interpretativa buffonesca del tempo passato. E poi c’era chi criticava Corena ritenendolo troppo esuberante! ma Corena in primo luogo aveva una gran voce (poteva fare anche parti di basso serio senza problemi) e in secondo luogo di pare fosse molto meno esuberante e caccoloso di certi interpreti attuali. Se si vogliono ascoltare due vere grandi (proprio nel senso di volume e quantità) voci di basso nel Barbiere si ascolti l’edizione DECCA di Varviso in cui agiscono Corena ed il giovane Ghiaurov che è una forza della natura.
    A Pesaro niente forze della natura. Ma erre mosce e balbuzie di pessimo gusto. Poi degli interpreti maschili Pertusi per quanto vocalmente non più al meglio era l’unico che esibisse un colore di voce che sapeva di basso, in quanto gli altri tre avevano tutti più o meno un timbro tenorile che non li differenziava punto, se non che Mironov era più biancastro. Poi intelligenza vorrebbe che se non hai la voce di Blake (o almeno quella del Florez dei tempi d’oro) certe cose non tenti di farle, se no si rischia la stecchetta. Alva, tenore intelligente, è andato avanti a cantaare 40 anni essendo sempre ben conscio dei suoi pregi e dei suoi limiti. Lui faceva Paolino o Lindoro e lasciava ad altri Otello o Manrico; si limitava alla coloratura che era in grado di eseguire, non tentava varianti perigliose, e non faceva brutte figure.
    Davide Luciano mi è parso meno peggio di altri baritoni sentiti recentemente, pur essendo lungi dalla perferzione; ha una certa personalità e la voce timbricamente non è brutta anche se un po’ troppo simile a quella del tenore dal punto di vista timbrico.
    Pessima la Rosina della Wakizono. Pessima la direzione di Abel, con tempi senza senso e, soprattutto, strette alla fine delle arie tirate via con l’acceleratore a 150 km/h.
    Come riuscire a far suonare male una buona orchestra come quella torinese, adusa anche al repertorio più difficile.
    Ma è il solito problema: una buona orchestra suona come dirige il direttore che si trova sul podio.
    Anche i Wiener suonavano in modo differente se avevano sul podio Karajan, Knappertbush, Boehm, Bernstein, Krauss o un cane qualunque.
    Per esperienza personale de auditu posso dire che l’Orchestra Sinfonica RAI di Torino con Sawallisch (per citare un illustre interprete rossiniano, per lo meno per il Mosé) sul podio era tutta’altra cosa (ricordo un concerto con la Jupiter e l’Eroica semplciemente splendido). Idem con Petrenko, Fruebeck de Burgos, Bertini ed altri.
    Ciò è quanto ho potuto ricavare dall’audizione radiofonica dell’opera. Almeno, stando alle foto, scene e costumi del vecchio Pizzi paiono decenti, a dfiferenza dell’orrore perpetrato, sempre stando a quanto si vede in rete, dalla solita, plurirecediva (per cui proporrei l’applicazione dell’art. 99 c. 2° c.p.), Cucchi – di cui tutti ricordiamo l’orrida, vomitevole, Favorita veneziana vista in tv – per Adina.
    Ma, sempre e comunque: W ROSSINI!

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