Ernani: “Che mai vegg’io… Infelice, e tuo credevi”

Ultimo dei quattro principali interlocutori del dramma a cavarsi dalle scene è Don Ruy Gomez de Silva, Duca di Pastrana, che appare, fin da subito, radicalmente diverso dall’immagine (propiziata dalle sortite di Ernani e soprattutto Elvira) del vecchio lubrico che insidia le giovinette, immagine che rese proverbiale l’espressione “vecchio Silva stendere”, ripresa anche da Vamba in un sapido episodio di quella feroce satira dell’ipocrisia borghese di fine Ottocento che è il “Giornalino di Gian Burrasca”. Lo zio e promesso sposo di Elvira entra con un recitativo (Allegro) di stupore e sdegno (del resto ha appena sorpreso due intrusi nelle stanze della riluttante fidanzata), seguito da un cantabile (Andante) in radicale contrasto con l’apertura della scena e destinato a dipingere, più che il nobiluomo offeso nell’onore, l’amante disprezzato e ferito. Va notato come la cavatina di Silva, inserita nel finale primo dell’opera (di cui costituisce il momento introduttivo), sia, diversamente dalle altre due, in una sola sezione, dal momento che la parte era stata inizialmente pensata per un basso comprimario (l’aggiunta di una cabaletta, di carattere marziale, fu opera di Ignazio Marini, che “riciclò” un brano scritto espressamente per lui da Verdi in occasione di una ripresa catalana di Oberto).
La mole di registrazioni a 78 giri è tale da imporre una doverosa selezione. Non si può non cominciare da quello che fu, a tutti gli effetti, uno dei primi divi documentati dal disco: Fiodor Chaliapin (1873 – 1938). Il basso russo affronta il cantabile con un tempo largo, accentuato da frequenti rallentando che consentono all’esecutore di esibire, compiacendosene, i propri cospicui mezzi. Peccato che in basso compaiano suoni un poco aperti, mentre il musicista risulta piuttosto male in arnese, combinando un mezzo pasticcio su “far di gelo ancora il cor”, punto in cui anche la qualità del legato risulta compromessa. Neppure la sezione conclusiva brilla per precisione, con suoni faticosi nella zona alta della voce.

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All’estremo opposto di questa lettura troviamo quella di un altro suddito dello Zar, Lev Sibiryakov (1869 – 1938). Opposto a Chaliapin in primo luogo nella sobrietà dell’espressione, che risulta esemplare e davvero moderna. A differenza del collega, Sibiryakov risulta anche facilissimo in alto, mentre la posizione sempre alta del suono propizia in uno ampiezza autenticamente verdiana e perfetta levità nelle fiorettature della cadenza finale.

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Strumento non meno impressionante dei suddetti sfoggia José Mardones (1868 – 1932), che cesella un recitativo impressionante soprattutto nella chiusa, esemplare per malinconia e quindi perfetta nel preparare l’attacco della cavatina propriamente detta. Mardones non si limita a rispettare la forcella prevista dall’autore alle parole “sì bel giglio immacolato”, ma aggiunge una corona e subito dopo uno smorzando, accentuando il patetismo del passaggio, prima di una spettacolare cadenza che porta la voce alla vetta del mi naturale. E sì che Mardones era di solito considerato un cantante poco coinvolto sotto il profilo espressivo!

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Tenuto conto della primordiale tecnica di registrazione e del fatto che parliamo di un cantante già piuttosto avanti nella carriera, risulta davvero impressionante l’incisione di quello che fu a lungo il basso ufficiale del Met, Édouard de Reszke (1853 – 1917): suono perfettamente sul fiato, voce avanti, con un bellissimo legato, ogni tanto qualche fiato un po’ corto. Un ritratto da cui emerge più la nobiltà che non l’alterigia del personaggio.

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Di un altro grande cantante mitteleuropeo, che ebbe significativa carriera (anche) americana, Adamo Didur (1874 –1946) proponiamo due esecuzioni, entrambe esemplari sia sotto il profilo tecnico che dal punto di vista espressivo. La prima (datata 1900, in polacco) omette il recitativo e colpisce, oltre che per il tempo piuttosto rapido, per la bellezza del colore vocale, per l’ampiezza del mezzo e più ancora per l’impeccabile discesa al registro grave (“ancora il cor”).

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Il disco del 1908 (in italiano) propone un recitativo esemplare per dizione scandita ed esibizione di nobile fierezza. Anche in questo caso il tempo è ben poco indugiante e l’nterpretazione risulta modernissima, elettrica: il personaggio emerge con un’urgenza che pochi altri Silva hanno saputo eguagliare.

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Altro disco impressionante è quello di Marcel Journet (1868 – 1933), di cui colpisce, in primo luogo, l’accento scandito esibito nel recitativo. Anche nel cantabile emerge con forza più il guerriero che non l’innamorato, al punto che la natura, non esattamente verdiana, dello strumento passa in secondo piano di fronte al vigore dell’interprete, vigore che però non compromette mai la bellezza dell’esecuzione vocale.

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Mirabile per la facilità e la morbidezza della voce in tutta la gamma è la prova di Ezio Pinza (1892 – 1957), coronata da una spettacolare cadenza che porta la voce sino al fa acuto. Si può forse rimproverare al cantante romano di rispettare solo in parte le forcelle previste dal compositore.

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Nelle sue memorie Nazzareno De Angelis (1881 – 1962) censurò in maniera bonaria ma inequivocabile le scelte di repertorio di Pinza, ritendolo voce inadatta alle esigenze della scrittura verdiana. Nel disco di De Angelis si fa apprezzare soprattutto il recitativo, adeguatamente maestoso e scandito con sistematico ricorso alla sprezzatura, mentre il cantabile risulta non impeccabile sotto il profilo del legato. Si tratta comunque di un’esecuzione più che valida, soprattutto per la qualità e l’ampiezza dello strumento.

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Solidissima anche la prova di Tancredi Pasero (1893 –1983), benché altri dischi del cantante torinese risultino, forse, più personali e memorabili di questo.

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Passando a cantanti meno noti, ma comunque documentati dal vastissimo universo dei 78 giri (universo che solo in tempi recenti è davvero alla portata di tutti, anche grazie a Internet), Aristodemo Sillich (1858 – 1943)
avvince per il tono compassato e quasi donizettiano del recitativo e la bella esecuzione della cadenza conclusiva. Da non trascurare il fatto che il cantante incise questo disco avendo alle spalle un buon trentennio di carriera.

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Buono, ma più generico nell’espressione Paolo Wulman (1863-1922), di cui è nota soprattutto la partecipazione alla prima assoluta di Madama Butterfly (nel ruolo dello Zio Bonzo). Un po’ troppo squadrata la cadenza conclusiva.

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Ben altrimenti interessante la prova di Luigi Nicoletti Korman (1875 – 1919), dalla voce ampia e morbida, davvero verdiana, con uno squillo quasi protervo sugli acuti. L’interprete ha uno spazio più limitato rispetto all’esecutore, ma la cadenza finale è davvero bella e adeguatamente malinconica.

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Alfredo Brondi (1874 – 1828), infine, colpisce soprattutto per il colore marcatamente chiaro e la facilità in alto.

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Con Giacomo Vaghi (1901-1978) siamo già oltre l’universo del 78 giri in senso stretto, ma l’esecuzione va proposta perché prevede, oltre al cantabile, la cabaletta inserita da Marini (staccata a un tempo decisamente largo). Dal punto di vista vocale si segnala soprattutto la facilità della chiusa del cantabile, risolta all’acuto. Più in generale, si tratta di una prova che concilia in maniera pressoché ideale esibizione di notevoli mezzi naturali e misurata espressività.

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3 pensieri su “Ernani: “Che mai vegg’io… Infelice, e tuo credevi”

  1. bellissime esecuzioni di una pagina tutto sommato facile dal punto di vista vocale; sorprendente Sibiryakov per qualità della voce e bellezza del fraseggio, ma per mio gusto personale trovo che l’accento, la mezza voce il senso perfettamente compiuto della frase l’esecuzione di Pinza sia una volta ancora inarrivabile; bastano le ultime due note per fare del sui Silva un capolavoro.

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