Amina al Metropolitan

Assolutamente occasionale è stata la presenza di Sonnambula nell’ambito dei cartelloni del Metropolitan di New York.
Mancano tanti grandi nomi, passati, recenti e recentissimi, dalla lista delle Amine del grande teatro americano, che annovera, in circa 130 anni di storia, solo 10 soprani, per un numero complessivo di recite davvero irrisorio, su per giù 65 serate!

L’elenco si può anche produrre, perché è tanto breve da non fare a tempo ad annoiare:
Marcella Sembrich – 7 nel 1883-4; Marie Van Zandt – 5 nel 1891-92; Maria Pettigiani – 1 nel 1905
Elvira de Hidalgo – 2 nel 1910; Maria Barrientos – 5 nel 1916; Lily Pons – 8 nel 1932-33-35;
Joan Sutherland – 26 nel 1963-64 e quindi nel 1968-69; Gianna d’Angelo – 2 e Roberta Peters – 2, entrambe nel 1963-64 dietro alla Sutherland; Renata Scotto – 7 nel 1972

Leggende del repertorio belcantista d’oltreoceano la Sembrich, la Barrientos e la Pons, presenze stabili che grande ruolo ebbero nella storia “antica” del Metropolitan; mostri sacri della storia del canto moderno, la Sutherland e la Scotto, Amine tanto celebri quanto celebrate. Per il resto, il silenzio, anche negli anni delle Sonnambule chiamate Anderson, Devia o Gruberova, tanto per parlare di artiste che ogni nostro lettore ben conosce.
Stupisce, ad esempio, che Amelita Galli Curci, superstar di questo repertorio ad inizio novecento, tra l’altro autrice di alcune tra le più straordinarie incisioni di scene dell’opera, ( il “Prendi l’anel ti dono” assieme a T. Schipa è un vero must dell’intera discografia a 78 giri ), abbia mai cantato Amina al Met sebbene il ruolo fosse uno dei pilastri del suo repertorio. Mancano poi all’appello altri grandi nomi del passato come la Melba (?), la Hempel(?), la Tetrazzini, piuttosto che la Toti.
E’ certo che la difficoltà a reperire un giusto tenore per Elvino, tenore capace non solo di grande estensione ma, per forza di cose, di canto lirico e sfumato, di certo condizionò la possibilità di ripresa dell’opera. Lo si apprezza benissimo nella lista dei recenti Elvino della Suthlerland, che annovera, con la sola eccezione di N. Gedda, solo tenori di secondo piano come J. Alexander. Grande assente una grande stella del Met, L. Pavarotti. La più fortunata fu certamente la Pons che cantò, in anni diversi, riuscì a cantare con Gigli, Lauri Volpi e Schipa.
I nomi che compongono la breve cronistoria newyorkese di Amina includono voci leggere pure, come erano la De Hidalgo o la Barrientos, ad altre di maggior peso lirico e drammatico come la Sembrich, la Sutherland e la Scotto.
In fondo si tratta di una grandissima parte dei soprani cosiddetti di agilità, non necessariamente leggeri, che non sono la categoria vocale per la quale Amina fu scritta e dalla quale fu interpretata almeno sino al 1890.
Quello che rimane della Amina di Marcella Sembrich è significativo del mordente e dello slancio che solo un soprano lirico può dare. La Sembrich, per la cronaca, amava molto il rondò di Amina che inseriva a guisa di finale nel….Barbiere di Siviglia! Nonostante passasse la cinquantina all’epoca della registrazione e cantasse, di fatto, da trentacinque anni (debuttò ufficialmente nel 1878) la voce è freschissima ed i patteggiamenti con i sovracuti di tradizione sono ripagati da una linea vocale e da una modalità di eseguire le agilità molto più moderne, per lo slancio tipico del canto di forza, di quelle dei soprani di coloratura degli anni successivi.
Per i cultori o i curiosi della tecnica di canto è interessantissimo vedere come, scendendo sino al fa 3 (in zona di primo passaggio), la Sembrich emetta un suono certamente misto (per non dire di petto), ma posizionato in alto, ossia nei risuonatori superiori. Nessuno dei soprani delle generazioni successive sarà in grado di tenere in quella zona della maschera i suoni bassi, se si esclude, forse la Galli-Curci.
Neppure Maria Barrientos la uguaglia, che pure vantava una tecnica rifinita, una saldezza di emissione al centro unica nella colorature iberiche e, certamente, un controllo del suono superiore a quello della De Hidalgo ed, ancor più, della Pons. Eppure nel confronto fra una Sembrich, benché declinante ed una fiorentissima, ed una Barrientos è evidente come gli inserimenti del soprano spagnolo tengano conto di formule come gli staccati ed i picchettati che non sono di Bellini ( in questo ed a maggior ragione in una parte pensata per Giuditta Pasta) ancora legato a modelli rossininisti e che la Barrientos piazza con grande dovizia, mentre gli acuti estremi sono emessi flautati. I suoni flautati o di grazia, invece, non erano quelli dell’agilità di ascendenza rossiniana, ma erano funzionali a rendere il candore e l’innocenza del personaggio di Amina. Ammesso e non concesso che siano, poi, questi i tratti che caratterizzano davvero il personaggio che, nella propria storia compositiva, era invece tributaria alla Nina di Paisiello, alla Desdemona ed alla Elena di Donna del Lago. Paradossalmente, e con il limite di ascolti precari e parziali, la Sembrich richiama modelli differenti dalla vocalità cosiddetta Liberty, di cui la De Hidalgo e poi la Pons sono modelli, nel bene e nel male.
Sinceramente: se potessimo viaggiare con una macchina del tempo, della Sonnambula di Lily Pons l’aspetto che più ci interesserebbe non sarebbe certo la protagonista, ma gli assolutamente eccezionali partners (Giacomo Lauri Volpi, Beniamino Gigli e Tito Schipa), oggi impensabili nel ruolo del dolce e sfumato protagonista maschile.

Poi arrivò il belcantismo postCallas, con la filologia pratico vocale dei Bonynge’s, che del gusto e delle prassi di ascendenza liberty fecero piazza pulita. Della tradizione delle grandi Amine del passato calendario del Met, la Sutherland si rifece alla linea della Sembrich, riproponendo un personaggio dalla voce corposa e scintillante, un canto capace di grande slancio anche soprattutto nel virtuosismo. La Sutherland aggiunse al suo personaggio, ben lontano dalla dimensione infantile tipica delle voci leggere e scevro da ogni screziatura di maniera, un lirismo ed una malinconia completamente astratte, prodotte in forza della qualità altissima del legato, in particolare nella zona centro alta della voce. Un canto perfettamente suonato, completamente metaforico nelle modalità espressive, che dà realizzazione perfetta, al di là dei passi acrobatici, la nenia belliniana. Quanto al gusto degli abbellimenti, si sa, questo è sempre sommo nei Bonynge’s, anche laddove si fanno esplicite ed aperte citazioni alla tradizione documentata dai 78 giri, nello specifico Luisa Tetrazzini.
Diversamente fece la Scotto, che, more solito, diede vita alla sua Amina in virtù di un fraseggio di tradizione italiana, analitico e pregnante. Nessuna frase è perduta o detta per caso, senza riflessione, nel canto della Scotto; la scrittura vocale, inoltre, tendenzialmente centrale ( a parte i sovracuti interpolati da cui la Scotto naturalmente… non si astiene) evita certi suoni aciduli che ne hanno sempre inficiato il fraseggio ed il canto nobile e tornito.
La Scotto è il termine di paragone più completo per la protagonista offerta, oggi, dal Met e recapitata alle nostre orecchie per via radiofonica. Natalie Dessay nelle sue interviste ha criticato le idee musicali e vocali che soprintendevano alle Amine dei soprani di coloratura o della Sutherland, ree, nella mente della moderna diva, di prediligere l’esteriorità vocale all’essenza interpretativa. Allora con autentica ansia e cusiosità attendiamo il raffronto con la più sublime delle fraseggiatrigi (perché tale ad onta dei suoni non sempre perfetti Renata Scotto questa è e questa resterà sempre ), rammentando a noi, e poi, a Madame Dessay, che l’esibizione si tiene… sul palcoscenico di uno dei massimi teatri d’opera.

Gli ascolti

Bellini – La sonnambula

Atto I

Come per me serenoMaria Barrientos (1905), Elvira de Hidalgo (1909), Joan Sutherland (1963), Renata Scotto (1972)

D’un pensiero e d’un accentoJoan Sutherland (con John Alexander – 1968), Renata Scotto (con Nicolai Gedda -1972)

Atto II
Ah, non credea mirarti…Ah, non giungeMarcella Sembrich (1906), Elvira de Hidalgo (1909), Maria Barrientos (1916), Lily Pons (1949), Joan Sutherland (1963), Renata Scotto (1972)

Un pensiero su “Amina al Metropolitan

  1. Escludendo ovviamente le somme Sutherland e Scotto, egualemente grandissime anche se per motivi diversi, devo dire che ho apprezzato moltissimo, almeno a livello interpretativo, il cantabile della Pons (un po’ meno la caballetta, troppo pigolante)… Intenso, raccolto, quasi sbigottito… Grazie per gli splendidi ascolti.

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