Don Giovanni alla Scala, finalmente dal vivo.

Nell’immediatezza della prima uno dei nostri lettori ha deformato il titolo del capolavoro mozartiano in NON GIOVANNI. Mi risulta che questo calembour sia piaciuto a molti e siccome ieri sera siamo andati a vedere de visu l’evento, mi impossesso del ludus linguistico e commento il NON GIOVANNI.
NON abbiamo visto un allestimento scenico, né uno spettacolo di cosiddetta regia. Quanto spacciato per visione innovativa e profonda del genio Carsen può, al più, essere definito allestimento in forma semiscenica. Mi risulta, per contro, che il cachet del signor Carsen e dei suoi collaboratori sia stato congruo ad un allestimento nuovo e pensato. Invece in palcoscenico NON un’idea, NON un gesto (ad onta del correre per ogni dove) e l’utilizzo del palco reale per l’apparizione del fantasma del Commendatore e della platea per l’ingresso delle maschere a dirci come NON serva l’ipertecnologico ed iperpagato palcoscenico della Scala.
NON abbiamo sentito una direzione orchestrale. NON abbiamo assistito ad una concertazione dello spettacolo. Tempi lenti, sonorità slentate, nessun colore in orchestra, indifferenziati nella stessa l’elemento comico, quello serio e quello tragico. Per esemplificare: la scena del cimitero, le maschere hanno colore e peso orchestrale identico alla scena del “Metà di voi qua vadano”. Pesantissimi e scoordinati finale primo e finale secondo. Tutto questo è la prova che NON vi sia concertazione e che NON vi sia idea interpretativa. Possiamo dissentire dai colori romantici di Furtwaengler o da quelli secchi e gluckiani di Muti, ma dobbiamo riconoscere che là tutto rispondeva ad un’idea interpretativa, quella che qui latita, anzi, che NON si ravvisa.
Vi suppliscono per realizzazione visiva e musicale il fervore della stampa ed ancor più l’ardore del pubblico da sabato sera.
Quanto alla compagnia di canto assemblata con ampia concorrenza di elementi stabili ed ospiti del teatro di Berlino (Staatsoper unter den Linden, rinomata palestra di voci), la disamina NON può NON ricalcare quanto già detto con riferimento alla “primina” e alla ripresa audiovisiva del Sant’Ambrogio. La presenza in teatro offre un nuovo elemento di riflessione, comune a tutta la compagnia di canto, ossia come NON pratichi alcuno dei cantanti canto professionale, né di scuola. NON abbiamo tre figure femminili differenziate, ma tre Zerline. La prima esibisce una voce acida smunta e corta ad onta delle velleitarie interpolazioni (Anna Prohaska), la seconda (Anna Netrebko) suona tubata in prima ottava, con conseguente dizione incomprensibile, suoni costantemente stonati nella zona del passaggio superiore, incapacità a flettere la voce ed a legare, acuti ghermiti, spezzate filature; la terza (Barbara Frittoli), di più lungo corso, presenta i difetti della seconda, attenuati quanto ad intonazione, assai aggravati quanto a saldezza del suono e volume. Per tutte e tre utilizzo il termine volume e NON già quello di ampiezza e proiezione, assolutamente sconosciuto alle signore. Siccome tutte e tre cantano frequentemente in deshabillé, è evidente che NON  sostengano mai il suono e quindi NON possano dare ampiezza e proiezione alla voce. Circola la favola (e siamo ai limiti dell’abuso della credulità popolare)  che Anna Netrebko abbia una voce grande e “importante”. Tanto per rimanere a Mozart ed al recente passato, vissuto direttamente, posso affermare che al di lei confronto Carol Vaness (Elettra e Donna Elvira), Margaret Price (Fiordiligi) fossero la Ghena Dimitrova e, udite udite, la Giunia di Lella Cuberli un soprano di buon tonnellaggio.
Il NON sostegno della voce è ugualmente evidente nei maschi. Raggiunge punti strazianti in Giuseppe Filianoti, che esegue piattamente e con suoni rochi dal mi3 la centrale parte di Don Ottavio, e sortisce un effetto caricaturale all’ingresso mascherato “Siam grati a tanti segni”. Esibisce suoni egualmente malfermi il tubato Masetto di Stefan Kocan e il ballante Commendatore di Kwanchul Youn. Con il canto sgraziato nella voce, volgare e plebeo nell’accento Bryn Terfel NON esprime ironia e critica sociale a vantaggio di volgarità da localaccio di periferia popolare inglese. Quanto poi al protagonista, un poco più fresco vocalmente degli altri, bastano a squalificarlo la mancanza di vero legato nel “Là ci darem la mano”, il suono parlato nella ripresa della serenata spacciato per mezza voce, la fatica a reggere la scrittura acuta della cosiddetta aria dello champagne e il pesante orchestrale del finale secondo. NON è fare previsioni funeste precisare che NON si può durare molto con questo NON tecnica di canto, ma ricordare semplicemente che il canto è, prima di tutto, il possesso di un patrimonio tecnico senza il quale NON si può fare altro che improvvisare.
Due chiose: NON ci sono differenze nelle voci maschili gravi come NON ve ne sono in quelle femminili, e questo perché tutti praticano, alla medesima maniera, il NON canto.
Probabilmente NON ho affatto ragione in tutto quello che ho scritto e NON capisco alcunché, perché il pubblico applaude e calorosamente questo… Come nel finale di questo NON GIOVANNI dove alla fine vince il malvagio e i buoni finiscono tra i fumi dell’Ade.

39 pensieri su “Don Giovanni alla Scala, finalmente dal vivo.

  1. Dunque Don Giovanni sarebbe il “malvagio” e NON uno spirito libero disposto a finire all’Inferno piuttosto che soggiacere al perbenismo morale del mondo che lo circonda? e gli altri sarebbero i “buoni” e NON tre femmine bramose di possederlo “in esclusiva” mistificando la loro sensualità repressa con gli Alti Sentimenti? e Ottavio NON sarebbe un imbelle incapace di difendere la propria donna? NON capisco più niente.

  2. La recensione NON fa una piega!
    Premesso che il mio giudizio si basa sulla “anteprima” del 30 novembre (a tutti gli effeti, la “generale” del primo cast in una sala stra colma di pubblico) dove la Netbreko e lo stesso Filianoti andarono decisamente meglio di quanto sentito in TV, confesso che sono quasi demotivato ad andare ad una recita “vera”. Mi auguro di pigliare almeno Mariaa Agresta che, sebbene inserita in simile porcheria, mi alletta molto!
    Pace e gioia

  3. molto pubblico oggi è stato scientemente disabituato a sentire a distinguere un suono corretto da uno decente solo così è possibile pre fabbricare i divi senza che questi si siano guadagnati la fama con l’ effettiva presenza io palcoscenico e questo perchè i primi a non capire le voci i loro pregi e difetti sono proprio i pretesi addetti ai lavori. Ciao a tutti domenico donzelli

  4. Buon giorno!
    Mi riferisco all’intervento di Billy Budd. Credo che interpretare e far interpretare Don Giovanni come “spirito libero disposto a finire all’Inferno piuttosto che soggiacere al perbenismo morale del mondo che lo circonda”; Anna, Elvira e Zerlina come “tre femmine bramose di possederlo in esclusiva mistificando la loro sensualità repressa con gli Alti Sentimenti” e Ottavio come “un imbelle incapace di difendere la propria donna”, sia un errore molto grave, che registi e cantanti (che, è chiaro, non è detto esistano ancora) dovrebbero evitare in ogni modo. In un dramma giocoso non vi spazio per l’ideologia.

    • (A misterpapageno) Molto interessante,ma dubito che agli altri lettori della Grisi possa piacere.
      Noto, in ogni caso, quasi un fastidio da parte di molti per ogni sottolineatura registica che espliciti la sensualità e l’erotismo di Don Giovanni. Chissà poi perchè. Preferite davvero il damerino settecentesco alla Strehler ? (scusate se insisto e qui chiudo con questo discorso)

      • Il “damerino settecentesco” di Strehler è – in realtà – l’esatta raffigurazione di Don Giovanni. La sensualità e l’erotismo derivano dai gesti, dai movimenti, dagli splendidi controluce…l’ambiguità del “non detto” (sottolineato magistralmente dallo stesso Mozart con l’utilizzo della cosiddetta “cadenza d’inganno”). Un regista deve fare il suo mestiere, che è quello di RAPPRESENTARE un testo, NON riscriverlo e infarcirlo di sue personali (e non richieste) valutazioni sul mondo… E come dimostra il sommo Strehler si può fare del grandissimo teatro rispettando il testo. Oggi – per qualcuno – raccontare una storia è banale…preferisce sorbirsi divagazioni presuntuose e arroganti: detto a chiare lettere….NON ME NE FREGA UN TUBO di quel che pensa Carsen sul rapporto tra realtà e rappresentazione…e neppure gradisco destrutturazioni imbecilli. Che Carsen scriva un libro sull’argomento, ma la smetta di “scippare” spazi non suoi per imporci le sue personali elucubrazioni.
        Se ritieni il Don Giovanni di Strehler roba da “damerini settecenteschi”, beh, scusami, ma forse non lo hai neppure capito….
        Ps: per cortesia…non accusarci di “aver paura” di un culo nudo…

  5. Di rientro dalla recita di ieri, non posso che testimoniare una gradevolissima serata di buona musica. Le attese per questa apertura non sono state deluse, grazie alla sagacia della direzione della Scala che ha assemblato il meglio di ciò che offre l’attuale panorama lirico.
    Grande merito nella scelta del genio indiscusso Carsen, il quale ci regala la sua personalissima visione del Don Giovanni, così moderna, attuale, scevra dalle tante incrostazioni che spesso, purtroppo, circondano questo indiscusso capolavoro.
    Il pregio più grande, a mio parere, è stata la scelta di omaggiare il più grande Teatro lirico del mondo, la nostra Scala di Milano, orgoglio della nostra Nazione. Si è discusso molto su questa regia: apprezzo, in particolare, la sottolineatura in chiave moderna che il regista fa di tutti gli aspetti drammaturgici dell’intreccio, senza voler imporre un particolare diktat allo spettatore, ma – al contrario – lasciando libero di interpretare secondo il proprio gusto e la propria sensibilità l’opera.
    L’aver eliminato il confine che separa il palcoscenico dal pubblico, ci fa entrare direttamente all’interno dello spettacolo e ci rende, in qualche modo, attori e partecipi dello spettacolo, quali tanti Don Giovanni (o, a scelta, gli altri personaggi) in un gioco di interazione continua ed avvincente.
    D’effetto la scelta di collocare la statua del Commendatore nel palco reale, a voler sottolineare, quale monito, che il convitato di pietra, per tutti noi, incombe alle nostre spalle…..
    Anche dal punto di vista musicale, le cose sono andate nel migliore dei modi, come peraltro ci si poteva aspettare, visto il parterre di stelle di prima grandezza che hanno calcato il palcoscenico.
    Sugli scudi il protagonista Peter Mattei che ha regalato un Don Giovanni con afflato nobile e seducente, ma simpatico al tempo stesso.
    Suo degno contraltare il servo Leporello, cantato ed interpretato dall’esperto Terfel che ha più volte divertito il pubblico grazie alla sua esuberanza vocale e scenica.
    Per essere una vera star dell’opera non si può non cantare da protagonisti alla Scala: questo mancava ad Anna Netrebko che, con queste recite, aggiunge una grande medaglia alla propria strepitosa carriera. Indiscutibile la sua grande presenza sia scenica, sia vocale: la Netrebko ci regala una Donna Anna nobile e dolente al tempo stesso, con voce corposa che sa modulare e piegare agli accenti aulici del personaggio.
    L’esperta Donna Elvira della Frittoli, di grande verve e drammaticità al contempo, accetta di creare un’interpretazione che può apparire esasperata del personaggio, vincendo la sfida di credibilità vocale e scenica.
    Si apprezzano, altresì, la freschezza della Prohaska, la sensibilità interpretativa di Filianoti, il timbro brunito di Kocan, la presenza ieratica di Youn.
    Il direttore musicale della Scala, fresco di nomina, Maestro Daniel Baremboin, concerta i cantanti con cura quasi paterna e dirige rimanendo molto spesso immobile, con gesti appena accennati, a dimostrazione della comunanza di intenti con la “sua” orchestra scaligera, ormai plasmata al suo gesto.
    Del successo trionfale della prima si è già scritto molto e pare che questo vero trionfo sia stato ben assorbito dal pubblico che, ieri sera, non ha dovuto esibire entusiasmi, né dopo le arie dei vari personaggi, spesso non applaudite o applaudite appena (quasi a non voler “disturbare” la musica di Mozart), né alla fine. Ad onor del vero, va pure detto che ci sono stati due isolatissimi contestatori che hanno buato alcuni protagonisti durante le rapide uscite singole. Beh, anche le contestazioni fanno parte della storia e della tradizione della Scala, a dimostrazione che il Teatro milanese è in grado di accogliere tutte le tipologie di pubblico, anche quelle che ancora non sono in grado di capire l’Arte con la A maiuscola.

    La serata ha avuto un piacevolissimo seguito, grazie alla cena cui sono stato lusingato ospite, costituita da un maxi giro-pizza, durante la quale ho potuto assaggiare diverse tipologie di pizze e calzoni farciti di ogni prelibatezze, oltre ad un tris di dolci – mi hanno detto preparato dal famosissimo chef Tony – davvero delicatissimo……

  6. caro devoti pensavo tu avessi gustato pizza e calzoni da chez stephane o da peppiniello! l’altro ristorante sempre aperto la trattoria da barbara serve solo risotti. mi dicono piuttosto scotti e confezionati con il riso maratelli, ovvero quello da minestra!

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