Faust dal MET… a 78 giri.

Sono passati pochi giorni dal pantagruelico “rebatun” che ci siamo offerti per le festività natalizie, ed è di nuovo tempo di banchettare. La stagione invita alla crapula e troppo ghiotta ci è parsa l’occasione, offerta dal recente “Faust” radiotrasmesso dal Met, di rendere omaggio ai grandi interpreti che affrontarono su quel palcoscenico il titolo di Gounod.

Ovviamente nessuna polemica con il presente, con le sue eccellenze sempre propagandate e mai dimostrate, perché sappiamo bene che se i cantanti calano o berciano o semplicemente non sono all’altezza delle parti che dovrebbero sostenere, la colpa è sempre e soltanto della radio, del cinema o della televisione che deformano, del pubblico codino e sorpassato che non apprezza le nuove ed audaci vie battute dall’Arte, forse anche di qualche scriteriato che si diverte a deturpare i file in alta definizione prima che questi raggiungano l’ecumene.

Anche quello di sfogliare le cronologie del Met e di altri teatri, che inopinatamente la Rete rende facilmente accessibili, è una brutta, bruttissima abitudine, anzi un malcostume che dovrebbe essere fustigato d’ufficio. Da questa pratica, contraria all’imperversante costume, è possibile verificare come il Faust sia stato, al Met e altrove, l’opera delle star per eccellenza, soprattutto a partire dalla metà degli anni Dieci. In precedenza il titolo spettava agli Ugonotti.

Sempre nelle cronologie si legge che gli interpreti stellari di quei Faust passavano nel giro di poche sere da Gounod a Meyerbeer, Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini e Mascagni, come avvenne ad esempio ad Ezio Pinza nel mese di marzo del 1931. Ma ovviamente quei cantanti avevano scarsa coscienza stilistica e ben pochi scrupoli filologici. E poi l’aria di Raimondo Bidebent veniva regolarmente tagliata!

Se poi risaliamo più indietro nel tempo, troviamo che Faust era per Giovanni Martinelli il “riposo per la voce” tra una recita di Francesca da Rimini e una di Aida, nei giorni attorno al Capodanno del 1918, mentre per Marcella Sembrich la peccatrice Margherita costituiva un piacevole divertissement, nel mese di ottobre del 1901, tra due rappresentazioni del Lohengrin. Torno a dire, parliamo di cantanti che erano ben lungi dall’essere gli avvertiti e coscienziosi interpreti che abbiamo oggi la sorte (buona o mala lascio a voi decidere) di applaudire. Anche se poi la certezza di un’assoluta assenza di civiltà musicale, con riferimento ai tempi del Vecchio Met, vacilla quando capita di leggere che, al termine di una recita di Faust nel 1895, i fratelli De Reszke e la Melba proposero come bis “a cappella”, a fine serata, il terzetto di “Robert le diable”. Al di là della capacità di cantare senza accompagnamento orchestrale (oggi, atteso il livello di certe orchestre e di certe bacchette, verrebbe da parlare di un’ingiusta facilitazione del compito), stupisce la scelta del brano, così opportuna anche in rapporto alla circostanza drammatica (sempre di scena satanica si tratta).

Quando poi si passi ad ascoltare quei polverosi cimeli, si affacciano altri tormentosi dubbi: che il canto morbido e sfumato dei baritoni nostri contemporanei (Hampson e Hvorostovsky, ad esempio, fino al vertice sublime di un Keenlyside e di un Terfel) non sia un’invenzione e una scoperta del presente, bensì abbia le proprie radici, per quanto imperfette e periclitanti, nel canto di un De Luca o di un Danise; che il pirotecnico virtuosismo di una Damrau o di una Rancatore abbia un precedente seppur pallente in Edith Mason, la quale fu Margherita al Met una sola volta, vent’anni dopo il suo debutto a New York (erano gli anni in cui la parte era dominio pressoché assoluto di Geraldine Farrar); che le mille intenzioni espressive di Kaufmann si ritrovino tutte, certo applicate a un timbro infinitamente meno brunito e maschio, nelle gracchianti incisioni di Bonci e De Lucia. Peraltro nella sala del Vecchio Met il primo aveva tra l’altro cantato Tosca e il secondo Carmen e Pagliacci, a dimostrazione che l’impianto di microfonazione, auspicato da una nota superstar del disco, era all’epoca già operativo e felicemente in funzione. Se poi compariamo il sunnominato Kaufmann a Georges Thill, è fatale che il timbro del bavarese non risulti poi così brunito e maschio, davanti a quello del parigino. Dei bassi poi sarà opportuno tacere: ascoltando Pol Plançon o José Mardones non sentiamo certo quello che (non) sentiamo oggi!

Ma la vera sorpresa arriva dal coro dei soldati diretto da Thomas Beecham. Una forza tellurica, una coesione mirabile, un suono grandioso e magniloquente quanto privo di retorica. A testimonianza del fatto che Faust interessa (o almeno, interessava) anche ai grandi direttori.

 

Gounod – Faust

Atto I

Rien! en vain j’interroge…Salut! ô mon dernier matin! – Georges Thill (1930)

Mais ce Dieu, que peut-il pour moi?…À moi les plaisirs – Fernand Ansseau & Marcel Journet (1929)

Atto II

Ô sainte médaille…Avant de quitter ces lieux – Giuseppe de Luca (1905), Riccardo Stracciari (1917), Giuseppe Danise (1921)

Le veau d’or – Pol Plançon (1906), Adamo Didur (1906), Ezio Pinza (1929), Fiodor Chaliapin (1930)

Ainsi que la brise légère – Luigi Mancinelli (Mapleson – 1903)

Atto III

Faites-lui mes aveux – Eugenia Mantelli (1905)

Salut! Demeure chaste et pure – Leo Slezak (1903), Fernando de Lucia (1906), Alessandro Bonci (1906), Karl Jorn (1908), Hermann Jadlowker (1914), Giovanni Martinelli (1918), Georges Thill (1930), Giacomo Lauri Volpi (1930)

Il était un roi de Thulé – Félia Litvinne (1904), Emma Eames (1906), Elisabeth Rethberg (1929), Helen Jepson (1940)

Ah! je ris de me voir – Nellie Melba (Mapleson – 1901), Emma Calvé (Mapleson – 1902), Nellie Melba (1905), Emma Eames (1905), Marcella Sembrich (1906), Edith Mason (1924), Elisabeth Rethberg (1929)

Il se fait tard! adieu! – Celestina Boninsegna & Fernando de Lucia (1904), Geraldine Farrar & Enrico Caruso (1910), Licia Albanese & Raoul Jobin (1943)

Atto IV

Seigneur, daignez permettre – Félia Litvinne (1904), Geraldine Farrar & Marcel Journet (1910), Licia Albanese & Ezio Pinza (1943)

Déposons les armes…Gloire immortelle de nos aïeux – Thomas Beecham (1943)

Vous qui faites l’endormie – Pol Plançon (1905), José Mardones (1910), Ezio Pinza (1943)

Que voulez-vous, messieurs? – Antonio Scotti, Marcel Journet & Enrico Caruso (1910)

Par ici! Par ici, mes amis!…Écoute-moi bien, Marguerite! – Mario Ancona (1908), Antonio Scotti (1911), Leonard Warren (1940)

Atto V

Alerte! alerte!…Anges purs, anges radieux – Pol Plançon, Emma Eames & Charles Dalmorès (1907), Marcel Journet, Geraldine Farrar & Enrico Caruso (1910), Mario Sammarco, Nellie Melba & John McCormack (1910), Fred Bordon, Marise Beaujon & Georges Thill (1930)

35 pensieri su “Faust dal MET… a 78 giri.

  1. Siete i soliti propagandisti di false informazioni. Esaltare i cantanti morti è pratica perniciosa e deprecabile. Oggi abbiamo l’ arte squisita di un Kaufmann, geniale inventore di una nuova tecnica di canto, il cui timbro fa vibrare i precordi delle spettatrici, esattamente lo stesso effetto prodotto dalla Netrebko sui suoi fans di sesso maschile. Bisogna essere ascoltatori del nostro tempo, eccheddiamine!
    E poi sappiamo bene che voi ci propinate dischi moderni rielaborati al computer. I cantanti da voi proposti, come ben sappiamo, non sono mai esistiti.

  2. Certo che è strano. Fra tante mirabili esecuzioni di mitici tenori , a nessuno che riesca di eseguire in modo convincente il celebre diminuendo di “Salut”. Tra falsetti, falsettini e acuti vicino allo scrocco (Thill,tenore che, nonostante la maschia e brunita voce non mi ha mai convinto per le palesi difficoltà in acuto ) io continuo a preferire il tanto vituperato Di Stefano (lo so che “apre”; che qua e là già si avverte la sfacio di una voce che per timbro, colore e vibrazioni era benedetta da Dio; ma che ci volete fare: lo amo)
    http://www.youtube.com/watch?v=NwyiyVyLXVE

        • Sì. Peraltro ho riascoltato Di Stefano, mamma mia che brutto quel do! Farà anche la smorzatura, ma è una nota emessa orrendamente! Via via, ho bisogno di rifarmi le orecchie con qualche la bemolle di De Lucia…

          • De Lucia per rifarsi le orecchie?…tenore inascoltabile o meglio pecorella inascoltabile

          • PIù che tenore inascoltabile io direi tenore INASCOLTATO, vittima (una delle tante e forse neppure la più illustre) di decenni di campagne di disinformazione mediatica… Puoi smentirmi, caro ratcliff, motivando il tuo giudizio, così prossimo all’insulto (anche se, qui e aliunde, della “pecorella” se l’è preso persino Alessandro Bonci, sicché…).

          • Sì, per rifarsi le orecchie. A te invece consiglio di ascoltarlo per imparare cosa vuol dire cantare.

        • Sì, bisogna tener conto anche della registrazione rudimentale che di solito accentua molto questi vibrati. Peraltro pare che anche Rubini avesse questo tipo di tremulo nella voce. Penso sia una caratteristica naturale di certe voci ma anche di certe emissioni molto “sciolte” sul fiato, non so se ho reso il concetto.

          • Guarda che non è così come dici. Il ‘belato’ è proprio indice di POCO fiato e di un appoggio non ben risolto o risolto in questa maniera. Il vibratino, spiegò proprio Celletti, era una caratteristica addirittura apprezzata e richiesta ai tempi di Rubini e oltre. Non da tutti ma da molti: indice di ‘espressività’….(capirai!?). Parlai con MORINO (Giuseppe) in una lunga intevista , poi pubblicata su ‘Opera’ (mamma mia COME ho potuto!!:_) ) e gli chiesi “Sai di avere un vibrato nella voce che a molti non piace, simile a un belato…che ne pensi?”. E lui onestamente rispose “Sì, lo so, ED E’ UN DIFETTO che sto cercando di corregere appoggiando di più, lavorando di più sul fiato!!!”. TESTUALE e documentato dall’articolo scritto e pubblicato e da un nastro registrato, oltre che dalla mia buona memoria.

          • E’ quello che ho detto anche io invece. Una gola particolarmente sciolta, con un fiato non del tutto fermo, sicuro, imbrigliato, può dare luogo a questo tipo di emissione “ballerina”. Può essere anche un effetto voluto, un manierismo, e alla lunga magari diventa pure un vizio. A quel tempo era un tratto comune di molti tenori, pensiamo a Bonci o a De Lucia, che è uno dei miei preferiti. Credo comunque che le registrazioni antiche tendano ad accentuare questo fatto, ed inoltre non escluderei che possa trattarsi anche di una caratteristica naturale di certe voci, al di là dell’appoggio. Quanto a Di Stefano, quel do è orrendo, una cosa inascoltabile, sguaiato, aperto, fibroso. Sul cantante, lo considero, limitatamente ai primissimi anni, un vero prodigio, sicuramente uno dei vertici più alti di canto tenorile di tutto il Novecento, per bellezza di voce, naturalezza e scorrevolezza di pronuncia, per il dominio dei colori. Tuttavia gli mancava la consapevolezza della propria voce, gli mancava una vera educazione, e la natura lo ha abbandonato dopo pochi anni. Già nel ’49 sono evidentissimi i segnali del declino.

      • Scusa Mancini, ma come fai a paragonare Di Stefano con Dani, che è una parodìa del più belante tra i tenori mai esistiti. Non c’è una sola nota emessa da questo tenore che non sia un trillo!!! Ovviamente la prodezza della smorzatura va a ramengo dopo tutta un’aria cantata così: il do di Di Stefano è e resta una prodezza mai più raggiunta, non solo per l’effetto in sé ma soprattutto perchè l’effetto si applica su un a voce UNICA per colore, pienezza, fraseggio appassionato!!!

        • Io Morino lo lascerei perdere, essendo che ha dato prove diametralmente opposte nella sua carriera. MI piaceva poco prorprio per il belato, che trovo non fosse sempre uguale. Quando Morino cantava come si deve, era quello dell’incisione dell’aria del Duca d’Alba. Anche lui aveva il vizio di non studiare e cantare alla cazzo, e sulla sua voce questo si trasformava nello spoggiare i suoni ( spesso esageratamente effeminati e sbiancati..).

          Devi ammettere che ci son vibrati e vibrati. Con la Magda come la metti scusa? …….tanto per fare un esempio…Quella mica spoggia…

    • Che cosa sarebbe il “celebre diminuendo di Salut”? La salita al do acuto (“la présence”) in partitura ha un “ritenuto molto”, che non è la stessa cosa. Fra l’altro, il falsettone (misto rinforzato) è una prassi assolutamente legittima per la pagina in questione. Personalmente la preferisco, e di gran lunga, al vociare “baciato da Dio” di Pippo.

        • Ma certo che sono falsetti, e non vedo cosa ci sia di male: il registro acuto deve essere in falsetto. Falsetto o falsettone, non capisco dove stia la differenza. Ovviamente non si parla di falsettini, ma di voce. Nello specifico, questi sono falsetti emessi piano, leggeri, senza peso, senza pienezza. Il migliore in questo tipo di effetti era De Lucia.

          • Ascolta caro (sei il mio preferito, a giudicare dai tuoi interventi, insieme a Giulia) non so se conosci l’incisione di Dermota del Cujus Animam . Ecco lì mi sembra che il tenore tocchi l’acuto con una nota dolcissima ma molto più sostenuta di un” normale “falsetto. Sarà un falsettone?Ciao e Buon Anno !

        • Poi non tutti i tenori riescono ad arrivare al do (De Lucia, Schipa), e se lo raggiungono in genere non è una nota molto bella, in più è molto pesante da emettere a voce piena. Diverso il caso dei contraltini come Bonci, Dani, Lauri Volpi, per i quali il do è molto più facile (addirittura lo emettono sulla vocale u di “fanciulla”).

          • Il do di Salut, demeure è un classico casus belli operistico. Anch’io sono del parere che non possa e non debba essere sparato come il do della Pira o del Crepuscolo degli dei, ovviamente. Ognuno avrà il suo sistema: Corelli nel suo Faust discografico è un Calaf poderoso…in teatro sarebbe stato osannato ma siamo lontani dallo stile richiesto e così molti altri. Gedda si avvicina alla perfezione, per me, ma Di Stefano – il tanto vituperato (da voi) Di Stefano- è quello che per volontà, natura e magìa unisce tutte le caratteristiche che Faust e questo do dovrebbero avere. Proprio discutendo con Mancini in questo forum si parlò di fiato, come motore primo e fondamentale per il Canto. Beh, il do di Di Stefano è il prodotto esatto di un suono emesso sul fiato, a gola aperta…come ogni suono dovrebbe essere. Chiedete a Domingo di fare la stessa cosa, o a Cura…
            Ricordo in teatro Kraus, che però faceva il contrario esatto, attaccava mezzoforte il do e lo rinforzava con il fiato trasformandolo in una nota molto sonora…ma con la tendenza a schiacciarla, questo sì. Non era proprio il suo cavallo di battaglia, devo ammettere. Ricordo anche un buon Sabbatini, che smorzava il do, ma su un timbro così nasale e schiacciato che vanificava l’effetto complessivo (sempre tecnicamente buono). Per tenori incapaci di emetterlo consiglierei anch’io un falsettone, che è rischioso ma se ben fatto ha il suo perchè: soprattutto quando la voce ha dei centri corposi e un velluto lirico.

          • E’ davvero molto grave affermare che quel do sia il prodotto di una emissione tutta sul fiato, atteso che il canto sul fiato dovrebbe permettere di passare naturalmente di registro. Che sia aperto invece non c’è dubbio, infatti è emesso di petto… Resta una cosa abominevole, anche se è impressionante che riesca pure a smorzarlo. Il da te vituperato Carlo Dani emette il do in maniera magistrale, per giunta sulla difficilissima e pesantissima vocale “u” di fanciulla, e lo smorza a regola d’arte.

  3. @enricos
    Ritengo il do di di stefano nel faust una delle tante prodezze di un superdotato.
    E’ come il do dei Cieli azzurri della Rodvanovsky, un effetto fantastico, in un’organizzazione vocale spaventosa, simile al piegar delle lamiere dagli sfasciacarrozze.
    Quel do è il paradigma del cantante: a dire di chi lo ha sentito ogni sera a Milano, era capace di urlare tutta la sera, di fare schifo senza dignità….ma poi ti beccava la frase, e con quella faceva la serata. nel canto c’è anche questo.

  4. Ma dai Giulia, non essere cattiva. Tutti siamo ben consci dei terribili difetti di Di Stefano, ma ammetterai che come timbro, colore, ben pochi possono reggere il paragone. Non l’ho mai ascoltato dal vivo, ma anche registrato certe sue frasi (Lucia perdona , se ad ora inusitata….. O nuit d’amour….. ad esempio) sono per me il paradigma del tenore “amoroso”. Sarà che mi sono imprintato sulle sue incisioni. Può darsi.
    @EnricoS A me Kraus disse che preferiva rinforzare la nota invece che smorzarla perchè “in teatro fa un più bel effetto”.

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