I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Dodicesima puntata: Giacomo Lauri Volpi in Luisa Miller.

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Il canto di Giacomo Lauri Volpi è un esempio emblematico delle virtù cardinali che caratterizzarono la vocalità della gloriosa scuola romana, virtù che lo stesso Lauri Volpi così enumerò: “semplicità, spontaneità, sincerità, naturalezza”.  Suono nitido, preciso, cristallino, puro; di conseguenza articolazione netta, scolpita, a fior di labbro (“più il suono è giusto e nitido, più la parola risplende in esso come in un  custodia di cristallo”); legato (“ogni suono produce il successivo, lo implica, lo suppone, come il seme la futura pianta”).  Di tutti questi principi, unitamente alla pregevole esecuzione dell’autentica mezza voce, sentiamo in questa registrazione un esemplare compimento. Il brano non presenta acuti difficili, ma si articola tutto sulle scomode note del passaggio di registro, e su quelle che lo preparano. Proprio per questo impressiona sentire una tale pulizia e linearità nell’esecuzione ed una pronuncia che non ha mai bisogno di subire alterazioni atte a migliorare l’emissione. Oltre al dato prettamente vocale, suscita poi profonda ammirazione l’umiltà con cui il grande artista sa valorizzare ciò che canta, senza mai abbandonarsi alla narcisistica esibizione di se stesso, ma al contrario rispettando scrupolosamente le indicazioni del compositore, e con esse il significato ed i valori di musica e testo.

G.B. Mancini

80 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Dodicesima puntata: Giacomo Lauri Volpi in Luisa Miller.

  1. Caro Mancini,
    nello spirito didattico della rubrica e senza, spero, che tu te ne possa adontare, vorrei osservare che qui LV non esibisce alcuna mezza voce; è un suono scarsamente appoggiato, certamente più appoggiato in gola che sulla colonna d’aria, per citare un’espressione cara proprio a LV: direi un esempio di falsetto (ovvio che il falsetto di LV è pur sempre il falsetto di un superdotato, e quindi dotato di una certa sonorità).
    E’ un LV del 1943, quindi in evidente declino, ma si può discutere se LV abbia mai avuto una autentica mezza voce; io sono tra quelli che lo negano (per chiarezza, il primo e più evidente esempio di mezza voce tenorile che mi viene in mente, in disco, è Pertile); LV aveva una non comune capacità di smorzare i suoni e di cantare piano e pianissimo, ma mezza voce in senso proprio, direi di no.
    In ogni modo grazie per la proposta.

    • Con tutto il rispetto, credo che non sia mai uscito un suono scarsamente appoggiato e ingolato (perché questo vuol dire appoggiato in gola, eh) dalla bocca di Lauri Volpi.
      Quanto alla mezzavoce: 2.55 mi pare spazzi ogni dubbio sul fatto che LV avesse la mezzavoce: poi si può discutere sulla compitezza del suono. Certo, usa anche il falsetto, prima però, a 2.00. Così come un Gigli “misteggiava” a piacimento.
      Infine vorrei proprio sapere come si possa cantare un pp a voce piena e – deduco – un ff in mezzavoce.
      Un suono smorzato, poi, non passa in mezzavoce? A me pare proprio di sì, tanto che personalmente non conisdero una vera e propria smorzatura un suono che diminuendo passa in voce falsa.
      LV non era perfetto, un suo difetto erano certi colpi di petto che compromettevano la fluidità della linea di canto. Questo brano non ne è esente.

      Il primo esempio di mezzavoce tenorile documentato in disco sarebbe Pertile? Mi permetto di avanzare fortissime riserve anche su questo.

      P.S.
      giusto per prevenire i soliti discorsi…. non si tratta di una cieca difesa ad oltranza né di elevare LV a simulacro fulgido e intangibile, ma di un minimo di consapevolezza d’ascolto.

      Cordialmente.

    • Sì… anch’io rimango un po’ di stucco di fronte a certe esternazioni del caro Grondona… non so cosa dire, evidentemente ci mancano dei comuni parametri di giudizio, qui come anche nell’ascolto di De Reszke. Solo vorrei capire che cosa si debba intendere per “mezza voce” se non appunto la capacità di cantar piano…. mah!

  2. Oh, bravo Mancini, stavolta hai fatto centro!
    Premesso che (come molti, penso) adoro Volpi di mio, trovo che anche l’ascolto scelto sia molto efficace per capire tutte le sfaccettature e le caratteristiche dell’emissione di un cantante che usa la voce come un vero strumento, un legato impeccabile bellissimo centro, acuti (pochi) ben fatti, puliti, timbro nitido ma non troppo squillante, insomma una vera lezione di canto, per imparare ad ascoltare.
    Cordiali Saluti.

    • Sì, anche a me piace di più: meno gigiona dell’altra.
      E, a onor del vero, ancora più miliare nel mostrare la mezzavoce di LV.
      ( peraltro dubito che Cotogni permettesse ad un suo allievo di non avere la mezzavoce ).

          • Ma non è affatto inopportuno l’uso del falsetto per cantare quella frase, serve appunto ad imitare la voce della donna amata, e direi che è tutt’altro che una trovata esibizionistica, è anzi una grande dimostrazione di umiltà non vergognarsi ad utilizzare un colore così femmineo pur di servire meglio la musica.

          • Ma certo, son d’accordo. Dico solo che non incontr il mio di gusto. Tutto lì! 😉

  3. Provo a descrivere a parole ciò che sento io. Se paragonata alle incisioni del decennio precedente, questa lascia sentire più nettamente quelli che Tamberlick definisce “colpi di petto”. Vero. Come è vero che la voce di Lauri-Volpi era talmente squillante che, paradossalmente, se ne può apprezzare tutta l’espansione e la portata sonora solo nelle riprese dal vivo in tarda e tardissima età (penso al concerto di Ariccia, o al famoso “Nessun dorma” da ottuagenario), mentre i dischi, purtroppo, esaltano certi difetti e disomogeneità della gamma. E’ il destino di tutti i cantanti di quell’epoca, ma non solo: anche Birgit Nilsson, che pure è vissuta in un’epoca nella quale si aveva la pretesa di poter cogliere e registrare fedelmente una voce, suona mortificata in studio. E così Pavarotti, Corelli, Sutherland e perfino uno che non vantava certo un cannone in gola ma che sapeva proiettare i suoni come Alfredo Kraus.
    Ciò premesso, per come sento io, l’attacco dell’aria è una magistrale lezione su come dovrebbero essere emessi i centri e la zona di passaggio nella voce di tenore: chiari, altissimi di posizione, densi di timbro ma assolutamente non zavorrati da artifici, snelli, sapientemente leggeri. Da notare che sui numerosi fa, il grande Giacomo raccoglie il suono o lo lascia aperto solo in funzione della vocale che sta pronunciando/cantando. Tutto questo gli garantisce la possibiità di creare un clima sospeso e trasognato molto opportuno (non dimentichiamo che insieme al tempo di mezzo e alla successiva cabaletta, questa scena ci mostra un Rodolfo bordeggiante il delirio; una piccola scena della pazzia, insomma) e di salire ai la bemolle con facilità e squillo ancora oggi sorprendenti (facilità e squillo che conserva in modo invidiabile anche nella versione segnalata da Mozart; e se questo è l’evidente declino di un tenore, caro Grondona, datemi più tenori declinanti!). La ripresa e ancora più trasognata dell’attacco dell’aria, ciò in perfetta adesione al testo; la frase “amo te sol” è cantata con quei prodigiosi suoni, che emetteva a esempio anche Slezak, di cui si è persa la memoria e che possono suonare bizzarri oggi: in realtà sono solo suoni alati e sostenuti (se non lo fossero, il nostro calerebbe assai, data la scrittura della frase). Insomma, per come la sento io, un’interpretazione ottima (anche se non ho problemi a dire che in quest’aria preferisco Pertile o Anselmi). E, cosa non trascurabile, con una voce veramente giusta per Rodolfo: una voce che sa essere leggera e alata ma anche drammatica e penetrante (ricordo a titolo di esempio il finale della “Luisa” radiofonica, dove Lauri-Volpi, non più ragazzino, butta lì un si bemolle acuto che sembra una fucilata).
    Nel mio piccolo, concordo con Mancini.

  4. caro Aureliano,nell’ascolto che proponi, un lettore commenta notando che sopra il fa, la voce di LV acquista in lucentezza e, mi permeterei di aggiungere, in volume ed armonici ,realizzando quelle caratteristiche che mio padre ed i suoi due amici mi riferivano mal riprodotte in disco (correvano dietro a LV nei teatri anche per apprezzare questo “squillo” che pare fosse davvero unico-assieme alle mezzevoci-). Ma e’ ammissibile che oggi non sia piu’ possibile trovare artisti in grado di studiare in modo di riprodurre questi suoni ???

  5. La natura eccezionale di LV è stata comunque mezza a frutto nel modo migliore grazie a una grande scuola e il risalutato è quello che sottolinei tu, dal Fa in su la voce acquista uno smalto, risonanze e armonici straordinari. Ancor più interessante osservare come una grande tecnica possa permette anche a voci sicuramente meno benedette dal cielo di quella di LV, ad esempio Pertile, ad avere comunque acuti saldi e squillantissimi. Purtroppo il gusto tutto secondonovecentesco per i centri gonfiati, intubati e scuriti in modo artificioso, mina alla base tutto l’imposto della voce.

  6. Concordo con quanto dici,anche se qualche musicologo apprezza il gusto secondonovecentesco per la omogeneita’ della voce almeno nelle due ottave della voce di tenore (ex Del Monaco).Due note aggiuntive: oltre a quanto dici sicuramente gioca la babele nell’insegnamento dell’emissione della voce nel canto, su un famoso (?) sito si possono contare decine di agenzie liriche,insegnanti di canto,foniatri etc.. che suggeriscono mezzi a volte francamente risibili, ed ora che finalmente da cardiologo in pensione posso riprendere a studiare la fisiologia della voce, comincio a rendermi conto delle stramberie talora sostenute anche da famosi maestri.La nota positiva invece e’ che, invitato ovviamente quale uditore ad un seminario sull’emissione vocale, tenuto da Roberto Titta, corista di S. Cecilia,ho sentito sostenere quanto leggo su questo sito,con l’esplicito obbiettivo diinsegnare la tecnica della scuola romana.Allora, come dice l’ndimenticabile Wilder in Frankenstein Junior ” SI PUO? FARE !!)

    • certo “Si Può Fare!”, come non siamo sordi noi ce ne saranno anche altri a non essere sordi, il guaio è che è il gusto ad essere corrotto…. e qua si potrebbe discutere se è nato prima l’uovo o la gallina, è il gusto che ha traviato la tecnica o la tecnica che ha depresso il gusto…. sta di fatto che, temo, “non si vuole fare”. Non interessa, non piace, con buona pace di noi buoni uditori, il buoncanto, il belcanto, alla massa, non piace! Prendi un ascoltatore medio, fagli ascoltare LV , quello che sente saranno gli acuti folgoranti si, ma per il resto…. ti direbbe che è lezioso, datato, ritmicamente poco squadrato, sdolcinato, che il timbro è poco sensuale; ti direbbe: “roba d’altri tempi, si all’epoca si cantava così ma oggi non si potrebbe, il gusto è cambiato…” l’ascoltatore del secondonovecento è figlio del realismo più becero. Mettiamocela via, una meraviglia come quella postata da Mancini, all’ascoltatore medio 2012, non piace e soprattutto, non capisce che l’uovo senza la gallina non può esistere, quel fraseggio senza quella tecnica non esiste, ma anche quella tecnica è figlia della naturalezza, della parola, della dizione di quel fraseggio.

    • Massimo su del Monaco però non sono d’accordo: a mente mi sento nelle orecchie una voce squilantissima e alta di posizione.
      Comunque sì, certo che si può fare, anche se non è facile necessitando allenamento quotidiano e sulla base di pochi fondamentali dopo tutto.
      Quanto a LV e alla scuola romana… circa il primo, va detto che aveva una gola baciata da Dio; circa la seconda, non esiste. In quanto all’epoca era la stessa a Roma come a Milano. Insomma, sapevano cantare e non c’erano i cretini di oggi che ti dicono di fare cose talune delle quali il comune pudore ingiunge di non ripetere!

      • Beh a Roma esisteva eccome una scuola, una tradizione, di solito si usa questa espressione per riferirsi alla scuola di Cotogni. Non è che insegnassero una tecnica “speciale” (non mi stancherò mai di ripetere che il canto è UNO e non può che essere UNO, non esistono alternative, ci sono solo diverse gradualità di correttezza, diverse sfumature di bravura, diverse maniere di avvicinarsi alla perfezione), però si possono notare alcune caratteristiche peculiari dei cantanti di scuola romana, come appunto l’emissione fondata sulla parola, sempre nitida e scolpita.

  7. Grazie per la gioia di di riascoltare la voce – da me amatissima di LV!
    Ho avuto modo di fare in tempo ad assistere ad alcune delle sue ultime recite , ossia ” in pieno declino” … (chiamiamolo così per convenzione cronologica …)
    Vi assicuro che sono state esperienze indimenticabili . Nessun disco può riprodurre l’emozione di questa voce d’argento , nobilissima ferratissima sul piano tenico, che “galleggiava” sull’orchestra e sul pubblico anche nei falsetti , effettuava magistrali passaggi di registro,e affrontava con sprezzatura assoluta anche i più impervi sopracuti.
    Scusate il mio attacco di nostalgia ….

  8. Molto brevemente: io penso (ma avrei detto che fosse opinione diffusissima e ovvia) che la mezza voce non abbia nulla a che fare con il piano e con il pianissimo; l’esempio di Pertile (primo esempio che mi viene in mente; non primo esempio in assoluto in disco) dovrebbe essere eloquente: ascoltate o riascoltate il suo Cigno gentil, e poi riascoltate LV e ditemi se notate differenze.
    Se mezza voce fosse la stessa cosa del “piano” o del “pianissimo”, non capirei il perchè dell’esistenza di una apposita espressione, appunto mv.
    Sotto il profilo stilistico, penso poi che la mezza voce consenta effetti di abbandono che non si hanno con il piano o con il pianissimo.
    Non vedo perché, poi, negare l’evidentissimo declino di LV nel 1943: declino rispetto a se stesso ovviamente; anche qui, basta ascoltare il miglior LV: prenderei come esempio due ascolti eccellenti e forse meno conosciuti di altri: la colonna sonora della Canzone del sole e Mattinata, dallo stesso film. Ditemi se non c’è una dfiferenza abissale, quanto al controllo della voce: nel 1933 LV fa quanto prescrive nella sua famosa lezione di canto, a proposito della voce, che “è il mezzo, e non il fine del cantante”. Nel 1943 no perchè non può più farlo.
    Poi è certo vero che LV ebbe un declino singolare, ed infatti diverse incisioni anni ’50 sono superiori a quelle 1934 ss. (v. infatti il giusto richiamo di Mozart a un Quando le sere del 1954): e pensiamo al Trovatore Cetra 1951, che resta in vari passaggi meraviglioso.
    Sono certamente pedante, ma se lo scopo della rubrica è didattico e viene presentato un LV in declino, senza mezza voce (che mai ebbe del resto), che falseggia (mi spiace ma insisto: il falsetto non è appoggiato sul fiato, quindi è appoggiato in gola; il che non significa che sia un suono ingolato, nel senso consueto di compresso, poco luminoso, forse morchioso ecc. ecc.), non vedo dove sarebbe l’esempio da seguire.
    Non bisogna difendere LV solo perchè è LV, o no?
    Ultima osservazione: ammesso, sul piano estetico, che il modello da seguire per E’ il sol dell’anima sia Kozlowski (che evidentemente è sulla scia di De Lucia), per compiutezza di realizzazione e freschezza di voce, noi abbiamo almeno due cantanti che mostrano analoga sensibilità estetica: Kiepura (live Met 1939) e appunto LV (live Roma 1947, se non sbaglio): bene, LV falseggia, perchè non è più in grado di cantare piano e pianissimo in senso proprio (e lo stesso capita in Bella figlia: eccellente quanto alle intenzioni, ma fallace nella realizzazione: che poi LV scrivesse nei suoi diari di avere cantato autentici pianissimi prova soltanto la totale inattendibilità del LV ascoltatore e critico di se stesso: cosa del resto notissima); Kiepura canta sul fiato. Su questo possiamo essere tutti d’accordo?
    ciao

    • Grondona soffro molto il caldo e non sto qui a rispondere a tutto quello che hai scritto, che oltre a non condividere, neanche riesco a comprendere perfettamente, e che oltretutto mi ha ulteriormente fatto salire la temperatura… Ti dico solo che la tua affermazione secondo cui il falsetto sarebbe di per sé, in quanto falsetto, appoggiato in gola, è del tutto erronea. La parola “falsetto” indica semplicemente un atteggiamento, una modalità vibratoria delle corde vocali, ossia un registro vocale, e non c’è nessuna relazione necessaria tra falsetto e appoggio laringeo. Il falsetto esattamente come il petto può essere emesso correttamente sul fiato oppure può presentare dei difetti di emissione come l’ingolamento. Non bisogna confondere la posizione del suono con i registri vocali, sono due aspetti indipendenti. Lauri Volpi alleggerisce l’emissione fino ad azzerare l’appoggio, emettendo suoni aerei privi di peso, ma non ingola affatto.

  9. Caro Mancini,
    a mio modo di sentire la differenza tra un suono appoggiato e un suono non appoggiato sta in questo: che il suono appoggiato ha una capacità di espansione che il suono non appoggiato non ha; detto in modo certamente grossolano: i suoni non appoggiati danno l’impressione acustica di non staccarsi dal cantante; l’opposto capita quando il suono è appoggiato (quanto ai piani, mille esempi meravigliosi in Battistini, e penso ora al suo Werther); di lì il classico “voce che corre o che non corre”; ecc. ecc.
    ciao

    • Ma che quel falsetto praticamente non sia appoggiato è vero, si tratta di un effetto imitativo della voce femminile e si ottiene per l’appunto mediante un falsetto piccolo con un appoggio ridotto praticamente a zero. Tuttavia il suono, per quanto piccolo e privo di peso, è posizionato correttamente, e quindi può correre per la sala.

  10. il suono “appoggiato” galleggia e risuona in modo libero, espandendosi a ventaglio in alto (dietro la testa di chi canta) come quello di uno strumento ben suonato, perché è agganciato con morbidezza ma anche decisione costante alle corde, che ben chiuse vengono sostenute a tutte le altezze dalla colonna d’aria che preme sotto (pressione sottoglottica). Il problema in questa specifica esecuzione di LV mi sembra risiedere nel fatto che certi suoni in acuto, da emettere in forte, perdono l’appoggio e risentono invece di una certa spinta in fuori del fiato. Lo squillo, o meglio l’argento rimane, perché è caratteristico della sua voce, più che della tecnica di respirazione, e certamente posso credere che dal vivo fosse ancora più bello (peraltro mantennne una voce naturalmente giovane e limpida fino alla vecchiaia, ma non credo per meriti tecnici!), ma il suono, musicalmente parlando, è meno tondo, e un po’ puntuto, insomma forzato (di qui anche i problemi di intonazione che talvolta LV aveva). Quanto alla mezzavoce, non è una mezzavoce quella, ma un suono spoggiato, che in alto, o nel pianissimo diventa falsetto, perché non è sostenuto dal fiato.

    • La descrizione che fai dell’appoggio è in verità una perfetta descrizione del canto di gola fatto di spinte e attriti! La pressione sottoglottica di cui tu parli è la causa della spinta e dello strozzamento, e proprio per questo va ridotta al minimo. Si ha “canto sul fiato” quando l’aria riesce a scavalcare la gola con il minimo attrito, per cui si forma la c.d. “canna” del fiato che parte dal diaframma e arriva ai denti passando per l'”arcata” del palato, l’attacco quindi va pensato il più fuori possibile, agganciato sulle labbra, non sulle corde.

      • no, miei cari, non ci siamo, e lo sapevo. Non lo dirò più, e non farò più esempi, per non sembrare pedante, ma abbiamo una diversa idea del canto sul fiato o del canto appoggiato che sia, o della posizione della voce, e il fatto che vi sembri che Pavarotti non appoggi, per me ne è la prova provata. Quand’è così, è inutile andare avanti, vabbé, ci sono problemi più gravi… però mi dispiace, credevo che qui….

          • lo diceva perché “sapeva” , si accorgeva di quando non riusciva a farlo: ma quando lo fa, come in quel video delle Sere al placido, è bravissimo e quasi batte tutti, forse Corelli a parte. LP conosceva il modo, la tecnica, è una cosa scientifica che condivideva con Freni, Horne, Sutherland, e non c’entra nulla con l’accento, l’aulicità, l’argento naturale e l’eroismo. Chiedtelo alla Freni per Dio cos’è l’appoggio e la gola aperta, e la posizione esatta del suono

          • Fabrizio, qui nessuno diche che Lucianone non sapesse cantare. Ma per favore pigliami altre sue registrazioni dell’aria di Rodolfo, fuorché quella.

      • Mancini, la pressione sottoglottica non va assolutamente ridotta al minimo! Ti cito James Stark, che nel suo “Belcanto – A History of Vocal Pedagogy” (considerato testo di riferimento dal buon Rockwell Blake) dice testualmente che “Lower subglottal pressures are characteristic of untrained singers, and of some popular singers who rely on amplification to be heard”. Nelle sue conclusioni nel capitolo dedicato all’appoggio sostiene che “the expiratory muscles contract to elevate the subglottal pressure to a level commensurate with the intensity desired.” Parlando poi dell’attacco del suono, dice che “care must be taken to avoid a glottal plosive, but rather, to sing with a firmly adducted glottis and large closed quotient while maintaining the subglottal pressure. This pressure is felt as “pent-up” breath energy, and is sometimes described as held-back breath, compressed breath, or breath damming. The constant interplay between breath pressure, glottal resistance, and vocal tract adjustments gives the singer the tools to vary intensity and voice quality, and to sing with seamless legato and without apparent register transitions.”
        Credo che dobbiamo cercare di essere precisi su questi concetti in un sito meritorio come questo, che può davvero fare cultura su questa materia così trascurata!

        • Forte pressione sottoglottica significa gridare, in quanto la quantità d’aria che preme contro le corde è eccessiva, e la laringe fa come da tappo, si contrae, si stringe, sale e dà luogo allo strozzamento. Naturalmente non si può eliminare del tutto, altrimenti non avremmo adduzione, ma io infatti ho detto che deve essere ridotta al minimo necessario, non eliminata. Non è vero quel che dice questo trattatista, che una pressione sottoglottica lieve sarebbe caratteristica di chi canticchia nel microfono. Cioè, è vero che ai cantanti di musica leggera il microfono consente di cantare senza bisogno di dare molta voce per farsi sentire, e questo permette di mantenere la pressione sottoglottica bassa, almeno nel medium (in acuto non girano un suono e gridano come maiali sgozzati). Ma si tratta di un aspetto positivo, che i veri maestri sanno sfruttare anche nel canto vero e proprio, pienamente appoggiato. Ho il sospetto che questo autore che citi non abbia capito niente di cosa sia il vero belcanto, il canto davvero artisticamente esemplare, quello in cui “si canta come si parla”, ossia il parlato intonato (quindi con minima pressione sottoglottica), che non abbisogna di nessun microfono.

          • Mmm, non sono così convinto che un parlato intonato non abbia bisogno di microfono… In fondo il parlato intonato è quello dei cantanti “confidenziali”, che ovviamente devono usare il microfono. Il parlato che non ha bisogno di microfono è quello “teatrale”, tipico degli attori di prosa di una volta…
            Se le tesi di Stark ti sembrano lontane dal “vero belcanto”, ti cito allora Giovanni Battista Lamperti, a favore del quale, oltre alle scoperte scientifiche recenti, parla il valore dei suoi allievi, Marcella Sembrich su tutti: “With insufficient pressure, the tone lacks in steadiness (appoggio; that is, the steady air-pressure on the vocal cords during tone production). Higher breath-pressure presupposes deeper inspiration. Each and every tone must have steady support!” (G.B. Lamperti 1905, 9).

          • Se ti parlo nell’orecchio il parlato confidenziale sarà più che sufficiente perché tu riesca a sentire. Per parlare in uno spazio grande di fronte ad un vasto uditorio, dovrò parlare a voce alta, ossia su una nota più alta, ma senza gridare (=pressione sottoglottica forte), altrimenti divento afono in cinque minuti. In questo sta la difficoltà, nel riuscire ad usare la voce con volume intenso e tono alto, ma senza gridare, mantentendo quindi il parlato. I compositori nella storia hanno scritto su tessiture tali da rendere il volume della voce adatto ad uno spazio teatrale. Un tenore per esempio parla normalmente su un mi, un fa2, ma nel canto utilizzerà la propria voce in una gamma ben più acuta, e quindi ben più udibile. Pertanto il parlato intonato si può ascoltare perfettamente senza il microfono. E’ ovvio poi che serve la voce. Non tutti nascono con una voce sufficiente per il teatro, i cantanti di musica leggera più che una “tecnica” diversa, hanno semplicemente una voce di natura molto più piccola.

          • Lo stesso Lamperti- Francesco, il padre, mica Giovan Battista, che sospetto fosse un gran incompetente, date le castronerie che scrive sui registri – scrive che cantare è un “parlar lungo”.

        • E poi l’idea dell’appoggio che suggerisce questo autore mi pare di capire è una sorta di trattenimento del fiato, un’idea con cui non sono d’accordo neanche un po’. La voce non va mai trattenuta. Lasciamo da parte poi Blake, che fu un artista ammirevole senz’altro, ma non certo un esempio di impeccabile emissione.

          • Sono ovviamente d’accordo con te sul fatto che la voce non vada trattenuta! Qui però si parla di fiato, del quale bisogna controllare la fuoriuscita in fase di emissione. Il complesso meccanismo che permette questo è quello che storicamente viene definito appoggio, che rallenta la fisiologica risalita del diaframma (creando di conseguenza quella pressione sottoglottica che mette in vibrazione le corde, etc etc).

  11. http://www.youtube.com/watch?v=qOIYrjVCcEw&feature=fvwrel

    nel contesto del tutto fuorviante di un concertone, coi microfoni, e in un’età non più giovane, Luciano io lo raccomanderei, a livello didattico, molto più di LV: l’accento è generico, indubbiamente, il fraseggio un po’ piatto, i colori pochi, ma la tecnica dell’appoggio qui è molto sicura, ed evidente sopra ogni altra cosa: ogni nota viene appunto “appoggiata” delicatamente sul “fiato” (che non è affatto l’aria, come molti credono, ma la muscolatura diaframmatica che entra in azione con la giusta respirazione!). Non c’è spontaneità e naturalezza? E’ probabile, perché era appunto un interprete poco approfondito, ma quei due requisiti devono essere raggiunti NELLA tecnica, non indipendentemente da essa

    • Quanto a Pavarotti, è impietoso in confronto con il tempo sognante, la sprezzatura, il legato di Lauri Volpi, che peraltro aveva voce ben più importante! Una cosa fastidiosa però di Lauri Volpi, che inizialmente mi era sfuggita, è il modo brusco con cui chiude il suono al termine delle frasi, cui arriva evidentemente in riserva di fiato.

    • A prescindere dalle solite, e a mio gusto odiose, mende di dizione, più che inteprete poco approfondito – cosa che comunque era – qui, Pavarotti sembra non appoggi proprio nulla in maniera delicata. Anzi mi sembra che canti spingendo anche un pochino. Da questo, in particolare in questa esecuzione, la presoché totale assenza di colori.
      No, sinceramente non consiglierei questa sua esecuzione a scopo didattico.

  12. Caro Grondona, a proposito di piano pianissimo falsetto falsettone mezzavoce e via dicendo … Sarebbe interessante anzi auspicabile che in questo sito per specialisti come lo chiama Papageno, si facessero degli esempi pratici e ci si mettesse d’accordo sull’opportunita’ o meno di usarlo questo famigerato falsetto (da me profondamente odiato) e quale sia la differenza invece con il falsettone (da me al contrario molto amato). Insegnatemelo, vi prego! Fino a quando non ho cominciato a leggere Il Corriere ho sempre pensato che un tenore in grado d’emettere falsettoni (uso questo termine, se sbaglio fatemelo sapere), fosse un tenore con buona caratura tecnica, e per falsettone intendo quella bella nota vibrante e lucente, ma dolcissima usata in specifici repertori o situazioni come quella che emette Slezak nel finale di “Magische Toene” per fare un esempio conosciuto, mischiando voce di petto e voce di testa e usato in specifici repertori( quello del 1903, per non cadere in equivoci), mentre per falsetto intendo (e anche quì, se sbaglio fatemelo sapere, che, nel non sapere qualche cosa non ce’ nulla di offesivo, per lo meno per me) quella nota brutta e sdolcimata , senza nessuna vibrazione emessa da Carreras alla fine dell’aria del fiore nella Carmen (Quella di Karajan, sempre per non cadere in equivoci) . Ritengo poi che quella usata da Gigli nell’eseguire “Mi par d’udire ancora”, sia la piu’ autentica mezza voce. Trovo infine che ricorrano ai falsetti quei tenori non in grado di eseguire correttamente un piano posto su tessitura generealmente elevata, ( o falsettone che sia, dipende dal contesto e da cosa si stia cantando), oppure quei tenori che, pur essendo stati in grado, in tempi passati di eseguire piani e pianissimi anche con grande perizia, ad un certo punto della carriera, per usura vocale o per riduzione dell’elasticita’ o piu’ semplicemente per avvenuto cambio di gusto o ancora piu’ semplicemente per semplificare le difficolata’, inizino ad usarlo. Orientarci sui termini usati, ne sono sicuro, non ci farebbe che un gran bene. Parlando con Pasquale pochi giorni or sono ho scoperto che usiamo identici termini per indicare cose differenti, e non solo in quell’occasione…e torniamo a Lauri Volpi, uno dei miei miti. Sono d’accordo con te Grondona sul fatto che nel 43 Volpi fosse in declino, in declino rispetto alle incisioni 22-28 certamente, ma soprattutto rispetto a quelle da te citate del 33-34 che sono i suoi capolavori vocali. E in quelle incisioni il Grandissimo, non usava falsetti, no, neanche una volta. Nel 43 lo usa, e andra’ usandolo sempre di piu’ con il procedere della sua lunghissima carriera. Gli esempi in “parole povere” da te scritti sono secondo me, un vero balsamo. Poi certo, ci vuole anche un minimo di orecchio, senno’…P.S. E’ chiaro che il falsetto di Volpi nella Miller e’ emesso in tutt’altro modo da quello di Carreras… Caro Grondona, una Volpi da brivido… http://youtu.be/nULLtacv7vc .

    • Sono d’accordo.
      Ben vengano altri esempi; contribuirò anche io, invitando però soprattutto i più giovani a non limitarsi ad ascoltare ciò che si trova su YT, ma ad acquistare dischi e libri.
      Ribadisco un punto a proposito del mio dissenso con Mancini: mi risulta incomprensibile perchè sia stata scelta una modesta (diciamo pure: poco felice; gravemente lacunosa) incisione di Giacomo Lauri Volpi; e prima ancora una modestissima, a tratti imbarazzante, incisione di Edouard de Retzke, senza proporre una critica dell’ascolto.
      Non ne capisco l’utilità culturale, didattica, estetica, sociologica. E dato che ogni ascolto non è mai un valore in sè, se non dopo il primo momento del “mi piace/non mi piace”, ma può diventare un valore sulla base di precisi principi generali alla luce dei quali collocare detto ascolto, non solo mi sarei aspettato una introduzione critica a questi ascolti, ma mi sarei aspettato che ai potenziali fruitori di questi ascolti fossero spiegati i gravi difetti di queste due esecuzioni. Altrimenti ogni prospettiva critica diventa impossibile, se LV di per sè giustifica il valore di ogni sua incisione e così per tutti gli ascolti.
      Ciao

      • Che sia una incisione modesta e gravemente lacunosa lo dici tu in base al tuo livello di coscienza e competenza sul canto. Io, in base alla coscienza – senz’altro limitata: sapere è solo saper fare – che ho sviluppato con le mie esperienze pratiche, e alla cultura che mi son fatto con gli ascolti e le letture di testi sul canto, sono di tutt’altro avviso. Quindi bisogna farsi una ragione del fatto che abbiamo orecchie – ossia consapevolezza – evidentemente differenti. Quanto a De Reszke credo tu non abbia ben compreso qual era l’intento con cui presentai quell’ascolto. Si trattava di una riflessione sul luogo comune da sfatare della voce di basso sempre grossa e scura. Ti invito a rileggere anche quel che scrissi nei commenti.

  13. Ma va benissimo affermare che la voce di basso non debba essere soltanto grossa e scura: è un’idea che condivido; ma -insisto- allora perchè non far ascoltare Pol Plancon? E guarda che io ho cari i fratelli De Retzke, ma più l’ascolto è difficile per tanti fattori più è indispensabile una guida all’ascolto critica, che cioè non nasconda i punti deboli. Non ti offendere, ma se tu sei l’autore di una rubrica che si intitola Impariamo ad ascoltare, permetterai che i tuoi lettori possano essere dissenzienti, quando non capiscono quale sia nel caso specifico la lezione da apprendere.
    Non penso nemmeno che noi sentiamo cose diverse o che abbiamo sensibilità così diverse; semplicemente, dato che ogni ascolto ha un carattere necessariamente circoscritto, evidentemente ciò che tu in quel momento cercavi in LV e in DR l’hai trovato; io no.
    Quanto poi alla conoscenza (o volevi proprio scrivere coscienza?) in materia musicale, non sarò e non sono certo io a dare lezioni, da semplicissimo appassionato (certo un po’ documentato; ma semplicissimo appassionato resto) quale sono; ma leggere da te che conoscere vuol dire saper fare e basta, beh, questo no; il “chi sa fa, chi non sa insegna // chi non sa insegnare insegna agli insegnanti” (versione che ho udito citare da Antonio Martino) non mi sembra il migliore approccio alla conoscenza; spesso chi fa (e magari fa anche bene) non sa perchè e come lo faccia (per restare nel campo operistico, v. Caruso e Ruffo); è un modello? non direi; e io allora preferisco non saper fare, ma provare a sapere come fa, chi fa, a farlo.

    • Ho scritto coscienza e intendevo proprio coscienza! Nessuno può avere consapevolezza perfetta del gesto artistico se non lo prova in prima persona. L’orecchio si completa e si perfeziona con la pratica.

  14. GLV i) http://www.youtube.com/watch?v=nYICYzPDRi0
    GLV ii) http://www.youtube.com/watch?v=VnPy19CJUQs
    AP iii) http://www.youtube.com/watch?v=avyKpteUSYg

    Questi tre ascolti, che avevo richiamato prima e che per hanno un indubbio valore didattico (naturalmente anche qui ci sono e si possono notare cose che non soddisfano fino in fondo), dovrebbero facilmente metterci d’accordo su cosa possa, e io credo debba intendersi, per canto sul fiato; per piano; pianissimo; mezzavoce (esibita dal solo Pertile); mezzoforte; diminuendo; morendo.
    Penso che sia facilmente percepibile, anche al profano, come direbbe il caro Giacomo, che la mezzavoce ha una corposità superiore al piano, e che può anche essere caratterizzata da una certa velatura (ma non mi spingo oltre su questo aspetto perché altrimenti si aprirebbero altre voragini di discussioni).
    Ciao

    • Ma insomma… Piano, forte, mezzoforte, fortissimo, pianissimo, sono espressioni prettamente musicali, astratte, usate per tutti gli strumenti. Nel canto, l’effetto musicale del “piano” si ottiene appunto cantando a “mezza-voce”, non si può fare il “piano” a voce piena, è un ossimoro… Non stiamo a complicare ulteriormente le cose, per cortesia… un minimo di elasticità, grazie.

  15. Mancini, suvvia, il punto è semplicissimo: il piano non è la mezzavoce; è un classico tema della letteratura vociologica distinguere tra piano e mezzavoce; e le distinzioni sono sempre salutari.
    Chi ha poi mai detto che il suono piano si ottiene emettendo un suono forte? Dico che la qualità acustica del suono “piano” è ben diversa dalla qualità acustica del suono “mezzavoce”. Poi non vedo perchè sarebbe sbagliato usare, parlando della voce, impiegare espressioni prettamente musicali. La voce è appunto uno strumento. Nè condivido la critica alla cd. astrattezza: ogni concetto è astratto, in quanto è un qualcosa che serve per descrivere una qualche entità. Se non esistesse il concetto di piano non potremmo parlare del suono piano, ecc. ecc.
    Ciao.

    • Più falso del falso. Mi spiace Mauro, ma sono convinto che tu non abbia la più pallida idea di cosa sia una mezza voce.
      E a riprova di quella di Lauri Volpi:
      1) http://www.youtube.com/watch?v=JNrMyTDImH0
      2) http://www.youtube.com/watch?v=cmrPwN1WgnI&feature=related
      3) http://www.youtube.com/watch?v=uip4O_y09bk&feature=related
      4) http://www.youtube.com/watch?v=0fAFo8oyB48&feature=fvwrel

      (…)

      E comnque porta le controprove: trovami una voce in piano o pianissimo che canti a voce piena.
      E non dirmi che Pertile nell’aria del cigno canta in forte!

      • A mio avviso Mauro ha ragione nel voler differenziare mezzavoce da pianissimi. Credo che per mezzavoce si debba intendere quel particolare effetto vocale (che solo alcuni cantanti sono in grado di effettuare) vagamente “estraniato” usato a fini espressivi per evocare qualcosa di arcano, misterioso, patetico. Per esemplificare a mio avviso in Alfredo Alfredo (o in Al dolce guidami) la Callas usa la mezzavoce la Sutherland piani e pianissimi.
        In effetti è come se il cantante possedesse una voce “altra” da usare solo in certi particolari momenti.

        • Billy la Sutherland non avrebbe avuto la mezzavoce? E questa cos’è? Busecca?
          http://www.youtube.com/watch?v=obBjw05Z2Dk

          Quella che tu senti come “voce altra” dipende unicamente dalle prorietà della voce di ciascuno. Possiamo allegramente dire che la Stupenda avesse un’uguaglianza di colore tra mezza e voce piena, MA NON CHE non ce l’avesse solo per questo.
          Omogeneità che peraltro, a mio sommesso avviso, non mancava nemmeno alla Callas.
          Ciò detto senza che una tale disomogeneità timbrica sia un difetto: vedi Merli, che come disse giustametne Donzelli, quando voleva, a mezzavoce, surclassava pure il miglior Gigli, ma pareva sfoderasse una voce sensibilmente differente.

          • Io no parlavo di frattaglie… Dicevo solo che A MiO MODO di intendere la mezzavoce dovrebbe avere un “colore” diverso (usato a fini espressivi) . Poi ognuno ami e ascolti quello che preferisce. Senza pretemdere di possedere la VERITA’ assoluta…..

        • Il fatto è che la verità in taluni casi esiste. E quando ci si sbatte contro, a dispetto di chi predica il contrario, annoverarla come una tra le tante opzioni semplicemente non datur.

          P.S. il maiuscolo che ho utilizzato era per sottolinerare una correzione fatta in un secondo commento. I moderatori hanno inserito la correzione senza modificare il carattere. Questo per evitare fraintendimenti alla luce della c.d. “netiquette” 😉

    • Grondona sto dicendo che “mezza voce” è una espressione del gergo tecnico-vocale che si usa per indicare ciò che in musica normalmente viene detto “piano” o “pianissimo”… Non capisco perché tu ti ostini a voler complicare le cose. Quale sarebbe orbene la differenza tra un “piano” ed una “mezza-voce”? Come si fa a cantar piano se non cantando a “mezza voce”?

      • Caro Enrico,
        trattasi di una delle prime incisioni di GLV,
        quando, come diceva Celletti, “imitava” De Lucia. Cioè -Buenos Aires, 1920. Lui descrive (e sono tra le pagine miglior) nell’ Equivoco, queste “fortunose” incisioni fatte più che altro per arrangiare qualche denaro che gli serviva -era povero ancora- per affrontare una controversia di natura giudiziaria. La sua emissione e tanto altro, (anche se di “natura” la sua voce fu generosissima, almeno nel settore acuto) cambiò grandemente nel ’24, coll’incontro fatale: Maria Ros. Vera allenatrice, oltreché moglie e amica, di una delle più belle voci della storia. [Cotogni fu un periodo breve, 8 anni prima, non più di 6 mesi di lezioni. Poi la guerra…] Invece fu veramente lei la sua maestra. D’altronde, lei proveniva per formazione dalla scuola dei Garcia e quindi, conoscitrice espertissima dell’autentica tecnica belcantista.

        Trovo comunque quest’incisione interessante, malgrado una delle peggiori dal punto di vista dell’intonazione. Interessante perché, come al solito, la capacità -naturale- di smorzare i suoni è eccezionale, come la sua originalità di fraseggio e la dizione splendida.

        Poi, dato che si parla della voce di tenore che ammiro più d’ogni altra, ricorderei quello che di LV disse Rosa Ponselle, che con lui cantò infinite volte, ma di certo mai troppo “tenera” con lui a causa di vari episodi spiacevoli, e sopratutto di una nota troppo a lungo tenuta….che fece scandalo a metà degli anni venti. In sostanza:
        la voce di GLV-per la Ponselle- era come una piramide rovesciata, intendendo cioè che acquisiva potenza, smalto e brillantezza eccezionali nella salita agli acuti. Lei ne apprezzava sopratutto l’ enorme tecnica. Infatti, malgrado avesse molta più confidenza nel cantare sia con Martinelli che con Gigli-che per inciso amava di più anche come voci oltreché per ragioni caratteriali e culturali- in certi casi lo preferiva di gran lunga agli altri per la sua capacità di cantar piano senz’essere costretta a cantare “indietro”.

        Ciò a riprova della sua grandezza tecnica, specialmente nel periodo d’oro, che per me è l’intervallo tra il ’24 e il ’41 (anche se immagino che qualcuno limerebbe qualcosa…).
        Cari saluti,
        MB

        PS Condivido pienamente tutto quanto detto e scritto da Mancini nel post, come nei successivi commenti (Bravo!)

        • Sono andato a memoria, e me ne scuso:
          era il ’22, non il ’20, ma sempre Baires, e sono due
          per la Odeon Spagnola
          1) Matrice JXX 82900, Incisioni Acustiche 30 cm.
          2) Matrice 84034 Incisioni Acustiche 30 cm.

          Una volta tanto faccio il preciso… 😉

          Ciao, MB

        • Mattia, questa registrazione ha tutti i pregi e i limiti di queste primissime incisioni di Lauri-Volpi, che vengono di solito assegnate all’anno 1922, ma che un più ponderato esame rivela esser state realizzate addirittura nel 1920, cioè durante la prima tournée di Lauri-Volpi in Sudamerica, con apparecchiature scadenti oltre ogni dire, che accentuavano il vibrato. Appartiene allo stesso gruppo di incisioni la registrazione (pregevole) dell’aria “Mi par d’udire ancora”, che Lauri-Volpi non ricordava di avere inciso, e che emerse fortunosamente -unica copia supersite- credo all’inizio degli anni Settanta. Spiace che Lauri-Volpi non abbia ripetuto la registrazione delle arie del Barbiere con sistema elettrico (mantenne l’opera in repertorio fino al 1926, e la cantò al fianco di Titta Ruffo, di Stracciari e di Danise).

          • Caro Mozart,
            stanotte mi sono riletto le pagine in questione e sono d’accordo con te. Malgrado nella discografia che ho riportato sopra (è di S.Serbandini) le incisioni sono ritenute del 22, è incontestabile che siano in effetti del 20, cioè proprio della sua “prima traversata”.
            Saluti, M

        • Riporto qui quanto mi ha scritto a proposito di questo disco del “Barbiere” il dr. Gian Paolo Nardoianni, amico personale di Lauri Volpi e possessore di molte registrazioni inedite del grande tenore:

          “Nonostante l’orrida qualità dei sistemi di incisione, e qualche occasionale oscillazione del suono (dovuta al fatto che il tecnico di registrazione spingeva bruscamente Lauri-Volpi verso -o lo allontanava da- la tromba che sostituiva il microfono nel procedimento acustico, possiamo udire una voce già fenomenale per la facilità con cui fila e smorza i suoni a qualunque altezza (c’è un do acutissimo attaccato a piena voce e ridotto ad una filigrana di suono), per la soavità mai disgiunta dalla virilità, e per la magistrale esecuzione delle scale cromatiche nell’ “Allegro”: fluide, nitide e con note perfettamente sgranate.”

  16. Mi fido, mi fido!

    Certo che però è quasi irriconoscibile! Riascoltand la registrazione comunque effettivamente qualcosa del suo colore più consueto lo sento… Certo, se non me lo avessero detto non lo avrei mia riconsociuto!

    Comunque, un’esecuzione manieratissima ma prodigiosa. Qui si sente prorpio come Lauri Volpi la mezzavoce non sapesse nemmeno cosa fosse. E no no no!! Come no!! 😉

    Grazie per aver segnalato questa registrazione Papageno.

    • @Tasmberlick. Enrico, LV cantava cosi’ quasi tutto nel 1920. Anche la Mignon e la Carmen! E il “Se il mio nome ” e’ anche piu’ manierato. E qui’, si sente che la mezza voce , sapeva benissimo cosa fosse ma, non la sapeva ancora fare in modo superlativo come avrebbe imparato a fare un paio di annetti piu’ tardi. Studiava il giovanotto… e nel frattempo si dilettava con i misti che tanto lo avrebbero aiutato a posizionare ancora piu’correttamente il suono. E prodigio fu.

  17. sicccome è ancora venerdì e puntuale ed inesorato è arrivato un altro strale di mancini tiro le somme sugli interventi ch ehanno dato luogo ad un dibattito, che giudico impossibile aliunde, per la competenza e l’interessamento di tutti gli intervenuti.
    Quindi solo per dire grazie a tutti ed osservare come, Lauri Volpi sino al 1923 fu molto alla ricerca della propria voce perchè nelel incisioni del 1923 fra cui compare, se non sbaglio la pira si ha l’impressione non già dell’imitatore di de Lucia ( io direi di Bonci anche), ma di Caruso
    ciao a tutti dd

  18. @Battistini. Sono del 1920, incise per la National. Registrazione a Buenos Aires. Due arie del Barbiere, l’aria del fiore, e la seconda aria di Meister dalla Mignon. E l’aria della Mignon e’ gia capolavoro vocale.

  19. Scusate, fatemi dire un’ultima parola e poi basta (è stata postata fortunatamente un’altra lezione all’ascolto e quindi possiamo pure finirla qui con questa, almeno da parte mia).
    Cari Mancini e Tamberlick, voi che perseverate nel sostenere ciò che è difficilmente sostenibile (piano=mezza voce), a mio avviso sbagliate assai. Non so se voi siate semplici appassionati, oppure maestri di canto o studenti di canto; ma vi ostinate a non volere capire una cosa semplicissima. E le supposte prove che Tamberlick ha indicato, proprio nulla provano; anzi provano il contrario di ciò che vorrebbe e vorreste sostenere: in nessuna incisione LV usa la mezza voce; usa moltissime dinamiche, quindi passaggio dal forte al piano al pianissimo, smorzando e rinforzando. Tutti effetti apprezzabilissimi (e più o meno riusciti), ma nulla hanno a che fare con la mezza voce, che, insisto (e passatemi la poca raffinatezza espressiva) deve essere più vicina alla voce piena di quanto lo sia un piano. Se non ci si mette d’accordo su questo la discussione è inutile, non porta da nessuna parte (e infatti questo è avvenuto).
    Non parliamo poi del Dillo ancor: è un pianissimo, che se qualcuno chiamasse falsettone non avrei nulla da obiettare (incidentalmente, dato che Miguel Fleta chiedeva un esempio in disco di falsettone, non avrei esitazione a citare Morino, il miglior Morino, che a mio avviso è quello della Semiramide: non so se sia stata all’epoca trasmessa in TV, ma io posseggo una cassetta della prova generale, purtroppo non integrale).
    E chiudo tornando al punto di partenza, in un modo un po’ brusco, ne convengo, ma, come è stato scritto, la scienza è spietata: quindi se si ha la pretesa di insegnare e di proporre modelli vocali il rigore è imprescindibile. Aver indicato come modello questa poco felice incisione di LV è stato un errore, che, in sede non dirò scientifica (perchè io non ho titoli da esibire), ma quantomeno di seria amatorialità, richiedeva un intervento critico.
    Una segnalazione che ho appena visto sul Record Collector e che è in tema: D. Bloem-Hubatka, The Old Italian School of Singing: A Theoretical and Practical Guide, 2012, pp. 219, 65 US$, mcfarlandpub.com
    Ciao

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