Sorella Radio: Bohème dal Festival di Salisburgo

Proporre Bohème a Salisburgo, sede del Festival di chi quasi quarant’anni or sono produsse una delle più affascinanti registrazioni  del titolo, dovrebbe giustificarsi per una lettura musicale rivoluzionaria, di quelle che impongono all’ascoltatore di riflettere e ripensare al titolo pucciniano. L’operazione parte, quindi, sconfitta e soccombente quando sin dalle prime battute appare chiaro che  lo scopo principale della produzione ( al di là della pseudo novità della realizzazione visiva)  è il consolidamento e la celebrazione dello star system.  Preciso che anche gli auto-da-fé erano celebrazioni.
L’aspetto più deprimente dell’intera operazione (che vocalmente sembra una sorta di “preview” ovvero assaggino di quanto mamma Scala ci proporrà al rientro dalle ferie) è chi doveva sul piano musicale esserne il demiurgo, ossia Daniele Gatti. Il direttore milanese da sempre brilla solo per cattiva ed incoerente realizzazione di altrui idee. Qui quelle di ispirazione Karajan. Da più ascolti è chiaro che di proprie, ne sia privo.
Nel dettaglio i  tempi esasperatamente lenti, che accompagnano gli innamorati dall’ingresso di Mimì o il valzer di Musetta devono per essere credibili  e non solo pacchiane karajanate  tener conto delle forze di cui si dispone in palcoscenico. Né le cose vanno meglio  al quadro di Benoit o alla presentazione di Mimì agli amici, dove il suono appare meccanico e lo stacco dei tempi, soprattutto nel secondo caso, così veloce da inibire qualsivoglia  tentativo di fraseggio nel canto di conversazione. Quanto al finale del quadro secondo con l’ingresso della fanfara ormai staccata con tempi e sonorità da marionette dei fratelli Colla fanno parte della più recente e diffusa tradizione, cui pedissequamente Gatti si accoda.
Con riferimento ai primi due atti mi sono chiesto quale sia la ragione assolutamente extra artistica per cui Daniele Gatti diriga a Salisburgo e  Bignamini (esemplare concertatore dello Chenier della Verdi) sia appunto il preparatore e sostituto alla Verdi.
Non credo, almeno in questo campo a dogmi e misteri. Solo se vi credessi  potrei pensare che Nino Machaidze sia una grande cantante, da grandi teatri. Udita questa Musetta che  della apparentemente allegra, in ogni senso, ragazza non ha riproposto nulla al pubblico devo concludere che Daniela Mazzucato, Mariella Adani ed Eugenia Ratti fossero GRANDI. Che la signora o signorina sia famosa solo perché gnocca, come anche quest’anno con assoluta monotonia ci ha ricordato il Corriere della Sera, è circostanza  che comprendiamo appena la cantante  principia ad esercitare  quella che sarebbe la propria arte ed ascoltiamo suoni acidi in tutta la gamma, spesso mal fermi, acuti striduli, gridati ( e parlo di un si nat 4), accento “itangliano” per dirla alla Celletti.. Insomma un disastro che pone la seria domanda del perchè la Machaidze canti, non del perché sia una cantante deputata famosa.
Quanto sempre per utilizzare il “cellettese” a cantare in “gnerico”, ossia in “itangliano”, ovvero in “eurosbobbico”   l’indiscussa maestra è la cantante più acclamata di oggi Anna Netrebko, qui Mimì.
Vocalmente: voce gonfiata e bitumata  al centro, accorciata ed appesantita in alto, dai fiati corti . Conseguenza: incapacità assoluta di articolare ed accentare, di legare e reggere qualche frase scomoda come  “ch’han nome poesia” o “il profumo dei fiori” ( con salita al la nat) ovvero di esibire un minimo di slancio e cavata  al racconto dal “ma quando viene lo sgelo”. Certo per i tempi letargici e la concertazione inesistente di Gatti ci sarebbe voluta la cavata opulenta di Renata Tebaldi, l’eloquenza di una Olivero, la tenuta di fiato strabiliante di Eleanor Steber. Ma, stando a chi oggi smercia prodotti da star system chi sono queste signore davanti alla Netrebko? Nulla. Spiacenti, basta saper sentire per capire la differenza ed accorgersi anche che  in tutta la serata la star non dice una frase con eloquenza ed autentica capacità di fraseggio e che i parchi tentativi di smorzare o filare un suono  si risolvono, come accade da tempo, in suoni rotti e spezzati.
Quanto al protagonista maschile Piotr Beczala ha  dalla sua una maggior freschezza vocale, ma versiamo in “par condicio  scelerum”. La voce non è certo bella, ma non già per limite naturale quanto per il difetto oggi largamente diffuso di non saper passar di registro e, prima ancora, respirare. Limite questo di tutti i cantanti oggi in carriera. Le difficoltà si appalesano  negli acuti, piccolo, stimbrato e striminzito il do della speranza, ma la difficoltà comincia ben prima ossia dalla frase che lo precede, eseguita con senso di fatica e sforzo, che costituisce la negazione dell’espressione affettuosa e tenera del giovane poetino innamorato. Idem l’attacco di “oh soave fanciulla” con voce dura e sgradevole.

Il terzo quadro di Bohème è di certo il più oneroso per la primadonna, che sta in scena dal principio alla fine e deve affrontare il dialogo con Marcello, la controscena durante il breve assolo del tenore e il quartetto finale, la cui prima sezione costituisce di fatto la seconda romanza di Mimì. Da una divina dello star system, che per giunta ha fatto del titolo pucciniano uno dei più frequentati del proprio repertorio, si richiederebbe, se non lo sfoggio di un’eloquenza da grande fraseggiatrice, quanto meno la capacità di dare un senso a quello che canta. Anna Netrebko è solo capace di emettere suoni enfi e opachi, frutto di un oscuramento artificiale del timbro che vorrebbe rendere la voce rotonda, omogenea e per giunta “drammatica” e finisce solo per proporre, complice un disastrato primo passaggio di registro con conseguenti suoni raschiati in prima ottava, una caricatura delle “veristacce”, aspramente biasimate da certa critica. Che poi si cava il cappello davanti ai farfugliamenti della Netrebko, smerciati per somma arte del dire. Salvo poi avere da ridire su una Sutherland, che davanti alla predetta vantava dizione scolpita e fraseggio incisivo. O magari vanta quale suprema risorsa espressiva le frasi spezzate, le maldestre e rumorose riprese di fiato della signora, che renderebbe così palese, anzi palpabile il soffocamento del personaggio. Cari signori, evidentemente anche Bolena muore tisica, perché nei panni della regina inglese la bella russa emette (se è corretto parlarne al presente) esattamente gli stessi suoni e palesa analoghe difficoltà, espressive e prima ancora tecniche.

Peraltro il cantare sulla parola, derivante dal cantare sul fiato, permane un mistero nient’affatto glorioso anche per i compagni di palcoscenico della signora, tre dei quali di madrelingua italiana e la quarta allieva della scuola di perfezionamento del cosiddetto massimo teatro ausonio. Nino Machaidze presenta tutti i difetti della succitata collega, aggravati da un timbro precocemente senescente e da una voce, che persa ormai ogni residua attrattiva timbrica appare smunta e connotata da insufficiente appoggio, con suoni ora afonoidi, ora traballanti nei parchi acuti previsti. Semplicemente imbarazzante. Massimo Cavalletti quale Marcello bofonchia e riesce a trasformare, con l’ausilio di Piotr Beczala, il duettino in apertura dell’ultimo quadro in una vociferazione, per la quale mancano gli aggettivi. La tenerezza e i rimpianti, evocati dai ricordi dell’amore sfiorito non possono essere trasmessi da voci letteralmente allo stato brado, impiccate sui rispettivi passaggi di registro, costrette a ricorrere ora al falsetto (come regolarmente accade al tenore, che pure sfoggia la voce più fresca o se si preferisce, meno usurata udita in tutta la sera), ora all’urlo per emettere le note previste. Quanto a Carlo Colombara, l’emissione slaveggiante è quella di prammatica per i bassi moderni e i risultati si sentono nell’assolo Vecchia zimarra. Anche qui manca non già l’espressione e il senso della musica, ma, ben più banalmente, la capacità di scandire le parole. Che poi si traduce, come ricorda un cantante notoriamente di scarsa dote naturale quale Vanni-Marcoux, in quella di cantare sulla parola, ossia di fare teatro in musica.

Resta da dire della bacchetta, che adotta un tono sistematicamente plumbeo nel terzo quadro, con tempi lenti, anzi dilatati oltre misura, quasi disponesse, in palcoscenico, di una Pampanini o di un Pertile. Cavare un suono così monocorde e lutulento dai prestigiosi Wiener non è da tutti, ma quel che è peggio è che stenta a concretizzarsi quella che si chiama un’atmosfera. Le scene di colore che aprono il terzo quadro, l’enunciazione del tema di Mimì, il dialogo della donna con Marcello, la disperazione e quindi la rassegnazione degli amorosi, il litigio fra Musetta e il suo “pittore da bottega”, tutto scorre con indifferenza e poca rifinitezza dei dettagli orchestrali. Lo stesso dicasi per l’apertura del quarto atto, che riproponendo il tema iniziale dell’opera, dovrebbe rendere palese che, malgrado le apparenze, tutto è cambiato nella soffitta di Rodolfo e Marcello. E invece assistiamo solo a un diffuso baccano nelle scene, che si vorrebbero leggere e scherzose, dei quattro amici, cui cede il passo, all’entrata di Musetta con Mimì, il succitato tono funereo. Quella di Daniele Gatti è una Bohème, scriveranno domani i soliti noti, cupa e disperata, sommamente disillusa e quindi al passo con i tempi. Noi riteniamo, più modestamente, che il titolo e più in generale il teatro pucciniano non possa essere affrontato che da chi abbia, oltre che assoluta padronanza del podio, autentico amore per questo repertorio. Non per caso l’illustre bacchetta, cui Gatti manifestamente si ispira, ha sempre accuratamente evitato Bohème e di fatto ogni altro titolo del compositore lucchese.

Concludiamo ricordando come i giornali abbiano dedicato ampio spazio alla presunta novità visiva di questa Bohème, che fa dei giovani intellettuali immaginati da Murger altrettanto tossicomani, clochard o giù di lì. Nel 1984, la bellezza cioè di quasi trent’anni fa, Ken Russell aveva proposto allo Sferisterio di Macerata una Bohème, in cui Mimì moriva di overdose. Forse, più che puntare su allestimenti rancidi buoni solo per riciclare il già visto e già digerito, sarebbe saggio affidare un nuovo allestimento del titolo pucciniano a Franco Zeffirelli. In fondo quello attualmente in repertorio alla Scala è ormai prossimo al mezzo secolo di vita!

Domenico Donzelli & Antonio Tamburini*

(Donzelli ha recensito il I e II quadro, Tamburini gli altri due… scusate ma l’audizione integrale di una simile serata sarebbe risultata insostenibile)

Gli ascolti

Puccini – La Bohème

Vanni Marcoux Vecchia zimarra rec. 1927

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259 pensieri su “Sorella Radio: Bohème dal Festival di Salisburgo

  1. Beh, che dire, su questa Boheme? si commenta da sola direi. Poichè non mi è permesso bestemmiare cercherò di moderare i termini il più possibile 😉
    Allora, partiamo dall’inizio. Il successo era non assicurato, garantito, sia per il tipo (e dai, diciamolo, la qualità) del pubblico-come mi è stato spiegato-sia dall’enorme attesa mediatica che questo “evento” ha creato (pardon, che si è volta creare).
    Giustamente, scritto, vocalmente una anteprima di ciò che vedremo a settembre-ottobre alla Scala, ovviamente ammesso che non ci siano forfait, (già creare quattro cast per un solo personaggio puzza di assenze).
    Comunque, ritorniamo a Salisburgo.
    Anna Netrebko è una divetta che già non aveva una gran voce, ora, grazie alla scelta del suo “”””repertorio”””” se l’è rovinata totalmente. Son arrivato all’inizio del secondo atto è già era distrutta, ansimava letteralmente, fiati presi quando pare, voce veramente pietosa, si sente lo studio superficiale (i famosi 15 minuti al giorno la dicono lunga…) che portano ad un non-canto spaventoso.
    Da notare anche la pronuncia più che pessima (era tutto un indistinto ooooaaaaeeiaaaeeoouuu senza un senso)
    La signora non resisterà a lungo se continua così e le consiglio vivamente di uscire di scena ora con quel minimo di dignità che le rimane piuttosto che dopo (non molto, viste le prestazioni), quando sarà una vecchia matrona ingioiellata che canterà la Sacerdotessa nell’Aida. Dobbiamo dire che è molto protetta da pubblico ed altro (chi ha orecchie per intendere intenda).
    Speravo almeno su Beczala, dato che è uno degli unici motivi per cui in autunno mi condannerò con la Gheorghiu, ma anche per lui non è stata proprio la serata. Un urlo continuo e anche lui deve sistemare molto, peccato! però senza dubbio è stato il migliore della serata.
    La Nino (che lovvo tantissimo 😀 ) ha messo in arte una Musetta ingolata che più non si può e (secondo me) tra l’entrata nel secondo atto all’inizo del valzerino è calata e neanche poco, forse un effetto dell’ingolatura, almeno lo spero per lei, sennò è roba seria. Più che un seducente ragazza vezzosetta mi sembrava una massaia con qualche dolore di stomaco (l’urlo con cui “or conviene liberarsi del vecchio” era identico al canto normale…). Veramente pessima!
    Gatti, direttore a cui pochi hanni fa avevo concesso il beneficio del dubbio (tale regalo è stato immediatamente ritirato dopo aver assistito al Concerto di Natale della Scala 2010, quello-per intenderci- in cui martoriava Verdi e le streghe artrosiche del Macbeth, come qualcuno ha aggiunto) l’altra sera sembrava uno zombie; ad un certo momento ho creduto si fosse addormentato. L’idea della concertazione evidentemente l’ha lasciata a casa, disastri di sincronica tra buca e palco (anche con il coro dei bambini) e direzione oltremodo piatta, inespressiva e svaccata (forse tentava un record per la peggior direzione di Boheme, ci sarebbe di gran lunga riuscito).
    Per commentare la regia lascio un articolo a dir poco vergognoso che ho letto oggi sul giornale: http://www.corriere.it/cultura/12_luglio_31/cappelli-boheme-dark-salisburgo_e50ae75e-db1a-11e1-8089-ce29fc6fe838.shtml
    Michieletto mette in piedi una regia di tutta banalità (oh, una boheme con gli abiti moderni, ti prego, insegnami ad essere originale quanto te!) e a dei livelli di interpretazione del personaggio bassissimi (come mozart mi ha fatto notare Rodolfo ha gli occhiali da Nerd perchè lui è un intellettuale….guarda caso Zeffirelli riusciva e render bello pure Pavarotti, realizzando degli aitanti giovanotti nella sua produzione e nessuno ha gli ha mai detto “non siamo a Mister Italia”..vabbè).
    Insomma serata che spero di dimenticare al più presto, almeno per un mese, fino a quando l’orrore si replicherà, il 26 di settembre..(.sto pregando che la Gheorghiu compia un miracolo e faccia un’interpretazione da dio, che sciocco, cosa pretendo!
    E se questa è la nuova lirica, intendo globablmente….meglio rinchiudersi in casa sommergendosi di dischi del passato.
    Alla tortura preferisco la clausura, no? :)
    Cordiali Saluti

        • Ah bene, sicuramente scrive la signora Chomsky…
          Forse ha sbagliato blog, signora: qui si parla di canto e di opera, non di fare le pulci pedanti a chi scrive commenti in tema! Sopratutto se non si ha l’elasticità mentale di capire che certi commenti vengono scritti in fretta su un cellulare 😉

          • Certo che non è una persona colta, altrimenti avrebbe elogiato come l’eventoculturale dell’anno lo spettacolo in questione… O sbaglio?

        • Sono un semplice appassionato, cara signora, e se lei neanche capisce che questo commento l’ho scritto sul cellulare (ecco il motivo degli errori) l’unica stolta è lei, mi dispiace tanto.
          Mi rattrista, altresì, che lei giudichi una persona “colta” in base agli errori ortografici, mi creda, io ho conosciuto persone che di errori sulla carta non ne facevano, pace per il resto.
          Non ho fatto cinque anni di liceo classico per farmi insultare da una sconosciuta, sono spiacente.
          Buona vita (che di certo con questi parametri sarà assai triste e piena di vuoti).

  2. Poco da aggiungere. Gatti non ha capito nulla di Puccini, e forse della musica in generale..Beczala una delusione. La Netrebko sembrava Lady Macbeth (quella di Šostakovič) e non si capiva una parola di quello che diceva, la minibarritrice Machaidze ha una voce di pura carta vetrata, degli altri si taccia per carità di patria, regia da Carsen de noantri….ma proprio brutta roba. A Salisburgo del resto la gente è di bocca buona …

  3. Ormai Salisburgo è soltanto IL TRIONFO DELLA SUBCULTURA TELEVISIVA. Presunte star osannate da esaltate signore vestite in maniera improbabile, direzioni che riescono a rovinare le buone-ottime orchestre che ancora si esibiscono, regie che non devono dire e fare nulla se non proporre qualcosa di mai visto, poco importa se questo qualcosa di mai visto, se tutto va bene, non significhi assolutamente niente e, se tutto va come va il 99% delle volte, faccia schifo e basta. Solo un pubblico indottrinato dal trash televisivo dei quiz e dei reality può applaudire tanta urtante banalità, tanto divismo da accattoni.
    Per quanto riguarda lo spettacolo in questione, Beczala ormai da più o meno un paio di anni si è giocato quel poco di potenzialità che aveva e procede di gran lena verso l’inascoltabile, le due primedonne non fanno altro che essere se stesse: ormai non possono più neanche deludere visto che da loro non ci si può aspettare più niente. Almeno per quanto mi riguarda, ritornerò a Salisburgo solo per opere “minori”, meno suscettibili di massacri musicali e visivi, non credo proprio per quelle più conosciute, che ormai raschiano soltanto il fondo di un barile già vuoto. Un’ultima cosa sul pessimo Michieletto: sarebbe più dignitoso se si limitasse a un “prendi i soldi e scappa” (visto che continuano ad affidargli lavori non di poco conto…), invece di atteggiarsi a insopportabile guru di una presunta avanguardia, che nasconde in realtà soltanto tanta spocchia e tanto, tantissimo infantile pressappochismo.

  4. Inserire Boheme in un festival dovrebbe avere un motivo: darne una nuova lettura musicale. Si è capito subito che invece era la festa delle major del disco. Queste ultime,assieme alla ottusita di registi ed agenzie teatrali sembrano voler distruggere quel poco di credibilità che “l’opera” mantiene nel pubblico. Ci stanno riuscendo Ahimè! Prosit.

  5. Michieletto è un genio e chi si ostina a andargli contro è solo per invidia. Guardatevi allo specchio voi che scrivete con tanta arroganza!
    Ha il coraggio di esprimere delle idee cosa che molti registi non fanno.
    Ho avuto la fortuna di assistere alla Boheme a Salisburgo e mi sono emozionato.
    Ci si rispecchia in quei giovani disperati e persi nella loro ingenuita’, si gioisce all’ entrata del coro vivacemente colorato e si sorride all’ arrivo di Parpignol supereroe che tutti i bambini di oggi sognerebbero.
    Andate a vedere lo spettacolo e lasciate libero il cuore invece di aggrapparvi a concetti stereotipati.

    • carissimo, non c’è nulla di nuovo lì. né di mai visto.
      l’idea appartiene al signor Ken Russell,ha più di lustri di età….direi che fu una produzione dello Sferisterio di Macerata se non erro.
      la novità è cosa rara, è stato già detto molto se non tutto ed il genio non è così facile che esista nè che compaia per ogni dove ad ogni spettacolo.
      spesso è l’amplificazione ed esagerazione di una supposta genialità che urta e crea delusione, quando poi ciò che si vede non ha i crismi che si presume di avere.
      basta smettere di voler essere geni ed essere normalmente …professionali e seri: basta e avanza!!!!!!!!!!!!1

      • credo che di professionalita’ e serieta’ al giovane regista talentuoso (se lo considera un termine piu’ accettabile)non manchi.
        Russel se non erro faceva morire Mimì di overdose.La regia di Michieletto non mi sembrava (questa volta) provocatoria a tal punto, anzi, molto fedele al libretto.
        E poi leggendo tutte le critiche mi chiedo, ma come vi spiegate che il pubblico ha applaudito per circa 15 minuti???
        Credo che la risposta sia nella loro emozione e non nelle gabbie mentali di chi usa solo la testa e si dimentica di lasciarsi andare.
        E se sento di difendere il lavoro del giovane regista talentuoso è perchè intorno sinceramente vedo solo registi mediocri, magari piu’ umili …ma non credo basti.

        • ho detto che professionalità e serietà bastano, non ho detto che non le @possiede. Fa cose buone ed altre meno buone. Quanto alla genialità, lily mi ha preceduto. Dove voi vedere il genio, noi troviamo il deja vue, il luogo comune, la retorica della modernità più effimera. Quindi, meglio accantonare il genio e tenere il professionista.

          • Se avete la fortuna di vedere di meglio, buon per voi…
            Io lo trovo geniale e talentuoso…enon sono l’ unico.
            Geniale nel mettere in scena delle idee anche molto “elementari “inteso come semplici ( e non banali) e fare scatenare il gioco anche con pochissimi mezzi e rimanere fedele al libretto .
            E per gioco intendo il giuoco teatrale…che pochi conoscono.
            Di registi che tengono impalati i cantanti ce ne sono a dozzine…

        • Mai sentito parlare di Zeffirelli, Pavarotti, Coturbas, Kleiber? quelli invece sono una mandria di pagliacci, ovviamente…e le “gabbie mentali” le hanno solo persone come lei, sono create dagli stessi “divetti”, che imprigionano il loro pubblico facendolo diventare fanatico per l’orrore lirico….come la mettiamo?

      • ora che vedo il colore del suo crine dalla sua foto…..capisco le sue risposte.E anche l’ umilta’ del suo animo visto il suo nickname…
        Devo ancora spiegarmi perchè la gente si incattivisce a tal punto contro chi ha successo.E il pubblico GIOVANE (me compreso) applaude.
        Adios, non ne vale la pena.

        • la giovinezza giustifica l’inesperienza ma non l’ignoranza. Ìl genio la fa da genio con chi non sa e non ammette di non sapere. Se ti viene detto che è roba vecchia enon ha nemmeno il crisma del nuovo, pwrchè non plachi i tuoi bollori giovanili e ammetti di entusiasmarti per poco?……è la regola del tempo.per essere geni occorre convincere anche altre categorie oltre a quella dei neofiti. Diversamente è…..moda

        • la giovinezza giustifica l’inesperienza ma non l’ignoranza. Ìl genio la fa da genio con chi non sa e non ammette di non sapere. Se ti viene detto che è roba vecchia enon ha nemmeno il crisma del nuovo, pwrchè non plachi i tuoi bollori giovanili e ammetti di entusiasmarti per poco?……è la regola del tempo.per essere geni occorre convincere anche altre categorie oltre a quella dei neofiti. Diversamente è…..moda

    • Giovani disperati o stereotipi? Idee o trovate? letture fondate o seghe mentali? Già, perché invocare genericamente le “idee” senza essere in grado di distinguere se siano intelligenti o sciocche, pertinenti o arbitrarie, originali o d’accatto, illuminanti o frastornanti, è tipico di chi non ha idea di che cosa sia un’idea.

      Michieletto sa confezionare uno spettacolo, e non è cosa da poco; ma le sue “idee” – a mio avviso – sono allo stesso tempo confuse e stantie, e denotano poca dimistichezza sia con le partiture che affronta sia con la tradizione rappresentativa che lo precede. In altre parole, inventa l’acqua calda (e spesso anche sporca). Far saltare dalla finestra la Contessa nel finale delle “Nozze” è una violenza e un travisamento tanto coglione quanto presuntuoso, che squalifica non solo regista-ideatore ma anche il direttore artistico che lo avalla.

      Ho avuto la fortuna di lavorare in passato a Salisburgo e ricordo che le emoZZZioni – sia degli addetti ai lavori che del pubblico – erano di tutt’altra pasta. E, per favore, non mi dite perché sono vecchia.

      Va, dunque, e leggi il Manuale del Regista Moderno della divina Brandt con interventi a seguire: ti farà bene.

      • …Saluto anche lei, gentile Signora.
        Mi suggerisca prima pero’ il nome di meritevoli giovani registi ( permettiamoci di sputare sentenze dall’ alto ma non permettiamoci per carita’ di usare l’ attributo “geniale”)perchè io non ne intravedo l’ ombra.
        Ma lei ha sentito gli applausi ininterrotti del pubblico ( e il teatro era pieno zeppo) o forse il pubblico non conta piu’ nulla??

        • Suppongo che il fatto che il pubblico applauda o fischi non influenzi troppo i giudizi personali, altrimenti viva le claques e aboliamo il concetto di recensione.

          Mi ha colpito molto questa frase:
          “Ci si rispecchia in quei giovani disperati e persi nella loro ingenuita’, si gioisce all’ entrata del coro vivacemente colorato e si sorride all’ arrivo di Parpignol supereroe che tutti i bambini di oggi sognerebbero.
          Andate a vedere lo spettacolo e lasciate libero il cuore invece di aggrapparvi a concetti stereotipati.”

          Vorrei obiettare che le corde dei cuori non vengono toccate tutte alla stessa maniera. Se ci sono persone il cui cuore viene scaldato dai colori del coro e dei carrelli, dal supereroe Parpignol e dalla bellezza sofferente della Netrebko, sono molto contento per loro, hanno pagato per passare una splendida serata.

          C’è chi però va a teatro per farsi emozionare dalla rotondità dei suoni, dalla morbidezza e apparente naturalezza del canto, dalle corrispondenze di colori e accenti tra le voci e l’orchestra, da un certo modo di porgere ogni singola parola o frase. Per costoro mi pare che non ci sia più cittadinanza nei teatri italiani, che per qualche secolo avevano fatto di tutto questo una tradizione e un vanto. E a quanto pare anche andare all’estero non è di conforto.
          Peccato.

          • Sottoscrivo in pieno l’intervento di Veriano e aggiungo che ho sempre diffidato dei “geni compresi”, categoria che in Italia ha sempre riscosso un grande successo, non solo in ambito teatrale. In fondo la vicenda di Bohème ci ricorda che l’intellettuale, quello vero, è respinto e messo ai margini dalla “buona” società, con tutti gli aspetti negativi (la miseria, la sofferenza, l’impossibilità di amare) e positivi (la vitalità, la libertà) che questa esclusione comporta. Sulla fedeltà al libretto mi permetto solo una chiosa. “All’angolo di via Mazzarino appare una bellissima signora dal fare civettuolo ed allegro, dal sorriso provocante”. Guardate l’entrata di Nino Machaidze (com’è vestita e come si muove) e avrete la misura di che cosa sia, registicamente, questa Bohème, fedele specchio del suo demiurgo (Michieletto, non Puccini).

          • Concordo con Veriano e Antonio. Aggiungo che far indossare a Rodolfo un paio di occhiali da nerd solo per sottolineare che è uno scrittore è una ridicolaggine del tutto gratuita.
            Sul successo di pubblico, siccome Salisburgo l’ ho frequentata per 22 anni, so benissimo quanto vale il consenso di una platea che applaude questa roba allo stesso modo in cui applaudiva Karajan, senza fare la minima distinzione.

          • Vorrei esprimere a Veriano il mio più sincero apprezzamento per il modo delicato con cui porge le proprie riflessioni. Mi scuso per l’intrusione.
            Questa Bohème l’ho vista e …valgono le critiche da voi riportate. Segnalo un articolo pubblicato dal quotidiano austriaco “Die Presse” in data 4 agosto: “Festival di Salisburgo, l’eterna vacca da mungere”. Traduco l’inizio: “Anna Netrebko canta. In verità ciò basta per far schizzare il barometro del Festival di Salisburgo al massimo valore raggiungibile. “Ci sono biglietti per lo show della Netrebko?”, così si domandava al botteghino già nel 2005. Il “Netrebko Show” era niente meno che la Traviata […]. Le opere in cui la Netrebko è presente costituiscono da sempre un vero e proprio magnete di cassa. Non importa chi diriga l’orchestra o che curi la messinscena. E così anche quest’anno le recite della Bohème di Puccini sono esaurite mentre per altre produzioni è possibile ancora trovare con più o meno fatica – più meno che più – biglietti per ogni settore. […]”.

          • Dai racconta qualcosa di più! Billie Holiday è uno dei miei miti extraoperistici.

          • Caro Billy,
            1958, teatro Smeraldo. Digita su Google “billie holiday a milano”, indi clicca su “the vocalists – jazz me blues”.
            In cinque righe avrai il racconto di quell’evento. Saluti. Lily

    • Cercasi lampade per geni. Troppi stanno vagabondando, è ora che si trovi loro casa.
      Davvero, ci vorrebbe PRIMA un pochino di storia del teatro e poi FORSE usare il vocabolo “genio”. Oltretutto si parla di Boheme di PUCCINI non di un qualsiasi regista. Ah, non per ultimo, è un’opera lirica. Il decontestualizzarla vale da sè il gettito di verdure andate a male. Andate a studiare quel che è successo prima, poi magari infervoratevi, ma non fatelo peccando di saccente ingenuità. Buon per lei che si è divertito, ma da qui a volersi giustificare per averne goduto mi pare semmai un tentativo goffo.
      PS: nulla di personale, ma sono allergico a tutti coloro che utilizzano la parloa “genio” sui registi d’opera che pensano di essere le reincarnazioni progressiste dei musicisti e dei librettisti.

  6. Naturalmente chi critica Michieletto è invidioso… Ma altri argomenti, magari più convincenti di questo, e non insinuazioni di basso livello, non ci sono? Soprattutto perchè chi lo critica si sente più che altro offeso e preso in giro da spettacoli che sono pensati solo per fare parlare e per creare un caso e non per valorizzare l’opera in questione. E poi i tanti minuti di applausi non possono essere ritenuti probatori della bontà di uno spettacolo: al pubblico salisburghese, come a tutti quelli che hanno la possibilità di assistere a un numero elevato di spettacoli all’anno con i nomi più in voga del momento, non frega niente della qualità, ma vuole soltanto qualcosa di antitradizionale, di diverso da tutto il resto che ha già ampiamente visto. Basta che sia qualcosa di mai visto per loro va bene, mentre sono annoiati da spettacoli “tradizionali”, perchè secondo loro ripetitivi. Il problema è proprio quello che hanno sottolineato i commenti precedenti: la ricerca spasmodica di qualcosa di diverso conduce inesorabilmente, per chi ha una memoria storica dell’estetica teatrale riferita all’opera, alla banalità più grossolana, alla prevedibilità più fumosa. E’ per questo che questo fantomatico “mai visto” alla fine diventa sempre e soltanto uno “scontato e copiato”, che però – e da qui nasce il disappunto – viene fatto passare per il nuovo in assoluto, per l’originale perfetto!! In un contesto del genere, in realtà, è proprio la tradizione ad essere la vera novità…
    Il problema con Michieletto è però anche un altro e non solo quello di assecondare queste mode europee dell’antitradizionale “diverso a tutti i costi”. I suoi personaggi sono tutti rigorosamente e profondamente nichilisti, falliti, depressi e cinici. Tutti! Ma quale originalità c’è nel sottolineare in tutti i personaggi il fallimento e il cinismo a tutti i costi? LilyBart ha giustamente citato la sciagurata conclusione delle Nozze alla Fenice (ma si potrebbe citare anche lo stupro di Blonde da parte di Osmin nella scena, in realtà deliziosamente divertente, di “Ich gehe doch rate ich dir” e tanto altro…). Ma che diamine significa il suicidio della contessa, se non la ricerca di una “novità” che provochi una qualche reazione pur di far parlare di sè? Ma è stato mai aperto il libretto che parla di “Opera buffa”, di “Commedia per musica”? Ma, scusate, una commedia può mai finire con un suicidio, solo perchè il regista (e lui solo!) è convinto che al mondo tutti gli uomini in realtà sono esseri ipocriti e bugiardi e condannati a soccombere di fronte al loro nichilistico cinismo?

  7. Questa roba è uno strazio che con l’opera non ha nulla a che fare. Non ha nessun senso starne a parlare e rifletterci sopra adoperando i criterii di giudizio con i quali consuetudinalmente si parla e si riflette di opera. Non si tratta di pessimo canto, di pessima musica e di pessima rappresentazione scenica; semplicemente NON ci si trova di fronte a canto alcuno, a musica alcuna e a rappresentazione scenica alcuna. Discettare di ciò è discettare del nulla. Per questo ritengo l’articolo del buon Donzelli – a cui va tutta la mia stima, beninteso – del tutto inutile.

  8. Un modesto consiglio per il giovane albertdc a proposito di registi talentuosi:la bohème del 1993 con regia di Baz Luhrmann, la veda ed ascolti,pur con tutti i limiti che presenta ,e la confronti con la recente salisburghese. Penso potra’ trarne utili conclusioni.

    • Gentile Signore
      La ringrazio per aver risposto con molta educazione, qualità che la distingue dagli altri e anche per avermi dato un consiglio. Data la mia giovinezza, accetto i consigli intelligenti con grande curiosità.
      Apprezzo il lavoro di Luhrmann specie in relazione al tempo in cui è stato messo in scena…e capisco quel che vuole farmi intendere.

      Per quanto riguarda il pubblico plaudente, credo bisognerebbe averne un po’ più di rispetto…e non perché io ero tra loro, ma perché rappresenta un’umanità mista e non solo formata da intellettuali cervellotici pseudocolti.
      Ovvio che oltre alle cose sopracitate lo spettacolo tocca l’animo per la meravigliosa voce della Netrebko e soprattutto per la musica di Puccini che inevitabilmente porta ad uno stato di commozione finale.
      E comunque nessuno mi ha indicato quale regista giovane di oggi merita una degna attenzione.
      Si accettano consigli.
      grazie.

      • bene, adesso parliamo di attenzione e non di genio. Siamo atterrati sulla terra, e il dibattito può iniziare. Anche se qui, come sai, i registi sono ritenuti marginalità liriche. Essendo un sito d’opera ameremmo parlare di canto e di direzioni d’orchestra. A voi il sito..

      • veramente con l’ambientazione era impossibile commuoversi,poi non ho capito perche dovevano pagare l’affitto,visto che erano per strada,oltre a tante altre stranezze,un minimo di aderenza alla trama e libretto e obbligo,della meravigliosa voce della Netrebko beh la voce è bella…

        • Quella sulla voce bella, anzi meravigliosa di madame Netrebko è un’affermazione che meriterebbe come unica chiosa una puntata della rubrica di Mancini “Impariamo ad ascoltare”. Magari ribattezzata “Laviamoci le orecchie”, perché non so come si faccia a non sentire i suoni morchiosi e ingorgati della signora, che è brava perché bella e patrocinata dalle case discografiche, non certo perché autentica professionista del canto. Basta un confronto con Elena Rizzieri, cantante di carriera onesta e rispettabile, per la quale la critica cioccolataia (e vai col cellettese!) non spese mai un decimo dei superlativi riservati alla diva russa, per capire la consistenza della suddetta diva e dei suoi giovani – ed è l’unica attenuante che si possa loro concedere – ammiratori: http://www.youtube.com/watch?v=IajQH7Uxzfc

          • Tamburini la voce della Netrebko timbricamente è bella su questo la natura l’aiutata per il resto c’è a chi piace e a chi no è una cantante dei nostri giorni,e come tale criticabile,comunque è una cantante in declino vocale,poi se ai giovani ammiratori piace..e va bè porta pazienza ..

          • Voci naturalmente belle ed espressive erano quelle di Maria Caniglia, Anita Cerquetti, Renata Tebaldi, Maria Chiara… ma come ho detto basta una Rizzieri a dare la misura del fenomeno Netrebko.

      • Caro Albert, non mi sembra che finora qui qualcuno sia stato ineducato, a meno che il sostenere in modo convinto un’opinione diversa dalla tua non sia un sintomo di maleducazione.

        Trovo invece un’allusione gratuita il tuo “Per quanto riguarda il pubblico plaudente, credo bisognerebbe averne un po’ più di rispetto…e non perché io ero tra loro, ma perché rappresenta un’umanità mista e non solo formata da intellettuali cervellotici pseudocolti.” in quanto il periodo lascia forse involontariamente a intendere che le opinione qui espresse da alcuni siano cervellotiche e pseudocolte. Giudizio fors’anche legittimo, ove motivato con argomentazioni che vadano oltre il “lo spettacolo tocca l’animo”: il fatto che il disegno di un bambino tocchi l’animo dei suoi genitori e fors’anche della sua maestra non lo mette sullo stesso piano di un dipinto di Monet.
        Spero.

        Prosegui dicendo che “lo spettacolo tocca l’animo per la meravigliosa voce della Netrebko e soprattutto per la musica di Puccini che inevitabilmente porta ad uno stato di commozione finale.”
        Ma in una recensione d’opera l’elemento (verissimo) dell’emozione suscitata dalla musica di Puccini viene per forza di cosa messo da parte; le critiche si fanno al netto della bellezza intrinseca di Bohème, se si vuole dare un giudizio obiettivo sugli interpreti: sbaglio?
        Spero di non essere l’unico alieno che ha notato nei concerti lirici la quasi sempre notevole ovazione che il pubblico tributa al tenore che interpreta il “Nessun Dorma” di Puccini. Questo vuol forse dire che nei concerti il tenore è sempre il cantante più bravo, chiunque egli sia?
        Suvvia…

        Riguardo alla voce della Netrebko, non mi pare si sia messa in discussione la bellezza del suo mezzo vocale, quanto la maniera nella quale viene usato, con dovizia di dettagli tecnici e passaggi esemplificativi. Ovviamente quanto scritto qui non è la Bibbia, si può sempre argomentare il contrario.

        Infine sui registi: prima di chiedere a una platea con opinioni diverse chi sono i giovani registi validi (domanda complessa: a quale livello? ti replicherei io), dovresti quantomeno prima spiegarci per quali ragioni lo ritieni un genio (o un talentuoso) emergente. Non trovi?

        Qualche appunto personale sulla regia: mi pare che, come quasi tutte le trasposizioni in chiave contemporanea, si impigli nel problema che il linguaggio e i ritmi d’azione dell’opera siano tarati su un’epoca e su usi e costumi molto lontani dalla contemporaneità. Oggi due giovani di vent’anni che si incontrano da soli in una soffitta e provano attrazione l’un per l’altro non si mettono certo a parlare di gelide manine o di dolci visi di mite circonfusa alba lunar (già mi vedo la liceale bruna con la sigaretta che esclama in distinto accento romano “aho, ma che parli come una versione di latino?”) E anche l’azione avrebbe tutt’altro ritmo, per non parlare della musica…
        Le scene mi hanno lasciato perplesso, onestamente non ne ho compreso l’atmosfera, fatta eccezione per il terzo atto, in cui il quadro proposto mi è sembrato credibile e dotato di un suo fascino, almeno fino alla chiusura del furgoncino.
        Il secondo atto mi ha ricordato all’inizio un certo Tim Burton d’altri tempi, ma questo tipo di stilizzazione sarebbe stato credibile forse senza il coro, spesso di spalle e gestito in modo incomprensibile, tra l’altro con conseguenze musicali non di poco rilievo.
        Scusate la lunghezza del post.

          • Molto appropriato quanto scrive Giulia. Vorrei aggiungere un’ esperienza personale. Tempo fa ho guardato il DVD del Don Giovanni con la regia di Claus Guth insieme a un amico tedesco, musicista professionista ma non particolarmente appassionato d’ opera. Come il giovane albert forse saprà, si tratta di un allestimento ambientato tra gli homeless, tanto per ribadire che Michieletto in questa Bohéme ha solo rimasticato idee altrui. Arrivati al secondo atto, il mio amico ha detto: “Ma il regista non si è accorto che con questa ambientazione la storia non funziona più? Come si può credere che uno vestito in questo modo seduca una ragazza cantando una serenata?”. Come ha già detto Veriano, anche in questa Bohéme l’ ambientazione scelta dal regista semplicemente distrugge quella immaginata da Puccini.

        • A maggior ragione davanti a un quadro di Monet o Rotkho etc (che non è figurativo) mi pongo completamente “nudo” e mi lascio guidare dalla pancia (che un suo bagaglio culturale se pur minimo lo ha immagazzinato) e non dalla testa . Credo che questo non sia un errore trattandosi di arte “pura”.
          Lo spettacolo quindi l’opera lirica e le arti che lo caratterizzano, sono invece arte applicata.
          Per questo in funzione di…quindi non mi sembra molto adeguato il confronto.
          Mi scuso per la mia ignoranza musicale (ma le scuole italiane, a parte il conservatorio, non aiutano a formarsi in questo campo) ma amando il teatro mi sono permesso di scrivere in questo sito capitato per caso e curiosita’, e sentendomi libero di esprimere le mie emozioni…e sensazioni.
          Di spettacoli nel mio piccolo ne ho visti diversi e sempre incuriosito.
          Nonostante i prezzi proibitivi per il pubblico e magari rinunciando a cose irrinunciabili per i miei coetanei ma li ho visti con grande gioia anche se a volte sono rimasto deluso da operazioni che volevano essere per forza moderne, altre solo estetiche, altre vecchie come il cucco.
          Ho visto diversi spettacoli di Michieletto forse spinto dal fatto che è un regista giovane e intelligente e la cosa che mi fa pensare è che due mi hanno emozionato in modo particolare, hanno toccato le corde dell’ anima.
          Sembra troppo? Io ne sono uscito felice, ma forse la mia anima è semplice.
          Sigismondo a Pesaro e Don Giovanni e poi ho avuto la fortuna di vedere un piccolo spettacolo di prosa, Il Ventaglio credo fatto con pochi soldi visto che in scena non c’ era nulla tranne le sue idee.
          Le due opere citate erano ambientate non nel contemporaneo e quindi non è per questo che le ho sentite così vicine. Erano moderne e non perché ambientate nei giorni di oggi (a parte il Ventaglio, ma è prosa e a voi forse non interessa)ma perché i cantanti rispecchiavano l’ uomo moderno nelle sue contraddizioni.
          Per quanto riguarda i libretti d’opera (spesso tutti uguali e con trame e termini che se qualcuno di voi sente vicino mi chiedo come fa ) come avrebbe senso allora metterle in scena?
          Con fondalini dipinti e grassi tenori bravissimi che cantano impalati con la manina avanti?
          Allora avrebbe più senso metterle in scena in forma di concerto.
          Scusatemi se mi esprimo semplicemente.
          Non ho trovato educati termini espressi da voi dotti, come “coglione”, “carta igienica”,etc…
          Rileggendo le mail passate (ma devo andare al mare e non mi va di rileggerle) lo noterete anche voi.
          Comunque se proprio devo trovare un limite del regista scrivo che a volte mette troppe idee in palcoscenico e ne basterebbero meno.
          Ma, scusate se insisto io non trovo registi giovani e italiani che abbiano idee migliori e che siano innovativi.
          L’ invidia……

          • ecco, parlaci dell’attinenza tra il manicomio di michieletto a ps e sigismondo di rossini. Perchè per me non c’entra un cacchio, èuna violenza pura al testo. L’autore si swrve, Michieletto se ne serve!

          • Sigismondo, convinto di aver ucciso Aldimira , ossessionato da sensi di colpa, viene portato in un manicomio per esser guarito. Non mi sembra una gran forzatura…..

          • Sai il Manicomio nel teatro di regia è ormai scena e soluzione adatta a tutti gli allestimenti e opere da almeno 30 anni se non oltre… se vogliamo è una soluzione molto semplice o semplicistica ormai 😉

          • il fatto che parliamo di un genere di opera e di un momento dell’arte che RIFIUTA IL REALISMO , pensi che un vero malato di mente in un vero manicomio ci azzecchino?
            parliamo ancora di un’arte mimetica, che per definizione rinuncia a rappresentare la realtà, ma manda in scena la metafora, l’idea, anzi l’ideale . diversamente non ci sarebeb quella musica, quella scrittura vocale, etcc..si chiama POETICA e va rispettata non violata. o come io credo, ignorata. perchè queste letture per me sono saggi di ignoranza e malacomprensione, oppure, liberi sfoghi autoappaganti dell’ego.
            il testo è centrale e non si può ignorare. e non accadrà mai che una rappresentazione possa essere metastorica, perchè se il canto e la musica hanno un senso individuale e preciso in quel momento e per quell’autore, perchè non deve essere così per una messa in scena? posso cantare rossini come puccini ? no. allora perchè con la regia posso fare ciò che mi pare?….rispondimi tu, perchè a me manca il nesso logico per fare il salto, dato che parliamo di recitar cantando. ossia di intepretare col canto , come dice la Cerquetti….e immagino anche con la scena, in aderenza all’intento dell’autore. Posso assitere un o spettacolo e trovarlo bello in sè. ma questo deve funzionare in rapposto al testo: come conciliamo i rasta etc in Boheme con quelle parole e quella ricercatezza verbale di Illica e Giacosa, quel soggetto, quel modo di fidanzarsi ? obiezione fatta per Boheme che non è diversa da quella che ti faccio io per Sigismondo…Sciogli l’enigma.

          • Se accettiamo una musica “datata”, non vedo perchè la vicenda scenica necessiti di essere attualizzata. È lo stesso che applicare un clacson e un paio di fari a un cavallo per illudersi di farlo sembrare un automobile. Per fare un altro esempio pratico, se il regista fa indossare a Violetta un maglione e un paio di jeans, allora io al secondo atto mi chiederò perchè non metta alla porta Germont padre dopo due minuti, come farebbe oggi qualsiasi donna di buon senso.

          • A proposito di panciuti tenori impalati con la manina davanti: Bergonzi sembrava inchiodato al palcoscenico, apriva le braccia come se stesse per impugnare un aratro (vedere per credere il video di Aida dall’Arena), ma dava emozioni incredibili. Se un cantante è un Grande Cantante, anche se tiene i suoi lardi impalati, dà autentiche emozioni anche a chi, come me, non sa neanche leggere la musica. Questo è il parlare al cuore di chi ama la lirica e dargli emozioni indimenticabili.
            Sconvolgente la banalità del sostenere che allora tanto vale eseguire l’opera in forma di concerto. Anche il più statico tra gli artisti lirici, se è un vero artista, in scena sente e trasmette un pathos impossibili per la forma del concerto o lo studio di registrazione. Sarà perché ho avuto la fortuna di vedere Bergonzi in più occasioni (negli anni 70), ma urlo disperatamente: averne tanti grassoni impalati che sappiano cantare.
            A quel punto non hai più bisogno delle trovate (o trovatelle?) del regista geniale di turno.
            Per concludere, se non erro Ebe Stignani era piccola, rotondetta e scenicamente statica. Seguendo i criteri di Albertdc, oggi la butteremmo via.

          • Fondalini dipinti? Ma di che cosa sta parlando questo signore? Dei Sanquirico? O (per restare nel Novecento) dei Benois? di Ettore Rondelli? di Lila de Nobili? di Luigi Samaritani? (tutti artisti -artigiani che si dipingevano da soli i loro “fondalini”)

            Siamo sicuri che gli odierni “contenitori” (altra parola detestabile) siano un progresso rispetto alla scene dipinte d’antan, e non una semplificazione – a volte anche funzionale – utile per abbattere i costi?

            Queste considerazioni andrebbero fatte per ogni singolo elemento che contribuisce a comporre uno spettacolo d’Opera, a partire dal canto che ne è il perno, e che illumina e giustifica tutto il resto.

          • e alla lista di pittori-scenografi aggiungo anche Kentridge, infinitamente più giocoso e inventivo dei tuoi eroi.

  9. d´accordissino con Donzelli/Tamburini. spettacolo senz´atmosfera, musicalmente non tanto elaborato e abbastanza approssimativo. La Netrebko con una voce gutturale che sembra strangolarsi con la propria voce, fiati corti, stecca nel primo atto in zona media – poi… dato che aveva cantato Mimì tante volte,,, troppo approssimativa. Beczala anche secondo me il più soddiscafente di questa serata: pero mi convince poco la sua tecnica. spinge un po troppo e il passaggio e la zona acuta è in pericolo di steccare. poi in questa Bohème canta troppo sul forte, troppo voce piena, con una certa monotonia come interprete e poche sfumature. voce vecchia in un corpo giovane quella della Machaidze. Il Colline di Colombara quasi da dilettante, Schaunard e Marcello abbastanza ok. Avevo letto in un giornale austriaco che Gatti sarebbe un ottimo direttore per i cantanti… ma scherziamo!?!?!?!?!?!?!

  10. Ho seguito l’affermarsi di Michieletto negli ultimi anni e ho visto dal vivo un paio di suoi spettacoli e il video di questa bohéme (http://www.youtube.com/watch?v=3Lx-Gqi-4Po), in tutto tre regie forse poche ma l’impressione che mi son fatto è che effettivamente Damiano Michieletto sia un talento vero ma inespresso. Come giustamente è stato rilevato da molti, tante cosiddette “innovazioni” si sono già viste decenni fa!!! ebbene si, se deve esser preferirei che il regista osasse di più, se deve proprio esser sia rottura vera e non una minestra riscaldata. Questa Bohème lascia in bocca il sapore di un occasione mancata, di qualcosa di incompiuto oltre che di già visto. Michieletto ha delle idee e da l’impressione di poterle svolgere con coerenza, ma alla fine sembra sempre manchi qualcosa. Mi viene un dubbio, non è che Michieletto lavori troppo? forse una maggiore riflessione prima della messa in scena, forse facendole sedimentare riuscirebbe a dividere la farina dalla crusca, le idee dalla trovate…
    In ogni modo lo trovo un regista interessante e che vado a vedere voletieri, non lo confonderei con tanto altro ciarpame registico in voga nei maggiori teatri internazionali.
    Della parte musicale è stato detto. Cast GGGiovane, tutti giovani con voci vecchie…entrambe le protagoniste femminili sono sintomatiche del “gusto imperante “; suoni indietro, enfi con seguenti attacchi dal basso, fiati corti, (a titolo esemplificativo bastino certe frasi della signora Machaidze gonfie che sembra canti lady Macbet (ascoltare tutta l’entrata di questa una Musetta/Santuzza. Splendido nel suo orrore il “bisogna farlo cedere” e l’”Ah, non mi guardi” al minuto 0:47!), nel centro i suoni cominciano a ballare, tra qualche anno canterà da mezzo-soprano, potrebbe passare a Eboli o Dalila, perchè no?!.. Beczala sembra canti con una patata in bocca ma risulta meno senescente degli altri, un Rodolfo nella media dei Rodolfi d’oggidì e cioè di quelli che non conoscono il passaggio di registro, un Marcello nella media dei Marcelli d’oggidì (il canto in maschera non è più cosa frequentata dai Baritoni moderni). Della signora Netrebko, sempre a titolo esemplificativo basti ascoltare il duetto Mimì/Marcello all’inizio del secondo atto. Che perla (nera) quel “ O buona donna (sic!) ….. ho tanta fretta ditegli piano che Mimì l’aspetta”(minuto 1h:01′), per opportuna conoscenza di chi forse è più a digiuno di tecnica vocale, quel piegarsi in due e agitarsi della signora Netrebko non è accesa espressività ma fiato corto, è contorcersi per arrivare alla fine della frase. Una cosa brutta, da vedere e da sentire. La direzione poi proprio non aiutava il canto…. e con un cast così… se non aiuta il direttore….
    In quanto alla qualità degli “attori” in scena, quello che mi è piaciuto di più è l’alce all’inizio del secondo atto.

  11. Sono Basito: Michieletto un genio?
    Mi torna alla memoria una Boheme all’arena di Verona, negli anni ottanta dove una cantante vera, e non solo bella tale Raina Kabaivanska quale mimì moriva su una sedia. Gli applausi ci furono e tanti, sulla cui intensità non potrei dire , ma alcune vocine, da più parti si rivolsero al sovraintendente di allora tale Giacchieri, chiedendo: possibile non abbiate un letto?
    Sig.Albertdc frequentando più teatri e confontando varie esecuzioni ci si accorge di quante cosette registi più o meno seri facciano per creare scandalo. Lo scandalo è il loro vero applauso, la ragione per avere un nuovo ingaggio, in altro teatro, perchè vige la fallace idea in direttori teatrali che con quel regista avranno più spettatori…
    Ebbi occasione di Frequentare anche un certo Teatro Rossini di Pesaro dove una certa Gasdia si esibiva dopo la famigerata Boheme dello Sferisterio in cui moriva di tisi_tossica, e interpellata sul regista non diede risposta ma una occhiata che valeva cento risposte. In parole povere voleva dire anch’io devo vivere e cantare!
    Avere un attimo di visione critica ti salva dal dire poi sciocchezze.
    Salisburgo ha finito il suo compito di dare lezioni nuove di vitalità dell’opera lirica sopratutto da quando la case discografiche sempre presenti hanno di fatto imposto loro non le opere ma i cast….Vi prendete questi quì…[nomi e cognomi] e poi fate quello che vi pare purchè se ne faccia disco e DVD. I mercanti sono nel tempio.

  12. La regia di Michieletto ha avuto momenti anche efficaci ( il terzo atto ad esempio ) ma costituisce sicuramente pura restaurazione, un dire cose cose parecchio datate con un lessico appena un po’ rinfrescato. La storia intrepretativa di di Bohème è stata – negli ultimi decenni – un riuscito sforzo di emancipazione rispetto alla cifra verista, estranea alla poetica dell’opera. (Nulla in contrario al verismo, beninteso: ma qui esso c’entra poco o nulla). Con Michieletto si ripiomba in una dimensione interpretativa molto vintage, dove i vari registri drammaturgici di Bohème vengono tutti inesorabilmente ricondotti all’esasperazione della cifra verista anche nei suoi aspetti più dozzinali ( enfasi, esasperazione melodrammatica, incapacità di restituire leggerezza e ironia, etc. ). L’operazione è secondo me in parte riuscita, ma la cosa che mi iritta e ( ma in parte anche diverte ) è pensare che qualcuno – evidentemente digiuno di storia della critica e dell’interpetazione del teatro d’opera – possa ritenere che quella di Michieletto sia una regia “innovativa” e “moderna”.

    • Caro Gianmario, hai ragione. Il punto è che se Albertdc è una persona giovane ha pieno diritto di ritenere novità qualcosa che vede per la prima volta allestito in questo modo. Forse starebbe alla stampa specializzata analizzare la produzione alla luce della storia intepretativa di questa opera e darne la giusta collocazione e valutazione. Invece i giornali publicano articoli encomiastici, parlano di successi, intervistano il divo della regia come fosse un novello Visconti, alimentando disinformazione ed ignoranza del pubblico.

    • Amen, ma ho visto cose bellissime, senza tante menate culturaloidi o fanfaluche intellettuali.
      credo che il problema sia chiarire questo:
      – cosa è una regia d’opera?
      – perchè un teatro nato con poche indicazioni di regia debba e possa essere trasformato fino a snaturarlo e a caricarlo di plusvalori nostri-del presente- che no gli appartenegono e per cui non è nato?
      -quali sono le ragioni della nostra cultura per cui ci rapportiamo nel teatro d’opera nella maniera più libera ed anarchica, in pienon asservimento delle istanze del nostro presente e in disprezzo aperto di quelle del tempo in cui sono nate e per cui sono state concepite?

      quando cominciamo a parlare di questo?

      • “quali sono le ragioni della nostra cultura per cui ci rapportiamo nel teatro d’opera nella maniera più libera ed anarchica, in pienon asservimento delle istanze del nostro presente e in disprezzo aperto di quelle del tempo in cui sono nate e per cui sono state concepite?”

        Ignoranza, superficialità, disprezzo preconcetto nei confronti di testi avvertiti come “bassi” e “non culturali”.

        • Ripeto, secondo me l’estetica registica dell’opera è stata “imbastardita” dall’immaginario televisivo, che non a caso si distingue per una vuota e forzata attualizzazione di contenuti molto spesso semplicemente non attualizzabili, per un voluto quanto maldestro mescolamento di alto e basso, per una cronica mancanza di conoscenza oltre che di rispetto per la tradizione. Per tradizione non si intende di certo un dogma inamovibile, ma un deposito culturale riconoscibile, che esprima possibilmente coerenza e profondità di vedute. In fondo, se ci pensiamo bene, è proprio “merito” della televisione se la trasgressione è diventata quanto di più banale ci possa essere!

      • Volevo solo dire che sono d’accordo! Io Virginio Puecher ho sempre stimato fino agli ultimi spettacoli.
        Non dimenticherò MAI un “Giro di Vite (Britten) fatto a Torre del Lago praticamente all’INTERNO di una villa vittoriana sul bordo del lago con una compagnia di canto degno del nome “canto”!
        Chiedo scua se mi ero espresso male. Per me la parola significa un “certo” o un “sicuro” e non una protesta o un dissenso.

  13. Scusate, però, io non riesco a sopportare che un giovane pensi che essere giovane sia un valore di per sè! Tutt’al più lo può pensare chi non è più giovane!! L’Italia è oggettivamente un paese per vecchi, ma non solo per colpa dei vecchi che difendono i loro privilegi, ma anche per colpa dei giovani che si autoassolvono considerandosi dei panda da difendere a prescindere da tutto solo perchè giovani!

  14. Caro Alberto,
    a mio avviso imposti il discorso del lasciarsi guidare dalla pancia o dalla testa in modo fuorviante; se tu andassi ad ascoltare il concerto di un pianista e il pianoforte fosse tutto scordato e i suoni emessi tutti stonati, tu riusciresti a farti guidare dalla pancia o ragioneresti sul fatto che il pianoforte era stonato, perché lo consideri un prerequisito indispensabile? Ecco, anche in uno spettacolo d’opera ci sono dei prerequisiti indispensabili. Ascoltando un cantante ci si lascia andare quando la sua tecnica è così salda da far venir fuori solo l’interprete, che ti prende per mano e ti trascina nel mondo evocato da musica, canto e parole. Questa “magia” è ormai rarissima a teatro, per motivi che se ti va possiamo discutere nel dettaglio. Così come rarissimo è diventato l’impasto coerente tra orchestra e cantanti.
    E non mi si venga a dire che il problema sta nel fatto che oggi certe cose non è possibile ascoltarle quindi mancano i termini di paragone del passato: in primis ci sono i dischi, ma, soprattutto, in giro c’è ancora qualche artista della “vecchia scuola”, come la Casolla o la Gruberova, che magari aiutandosi con un po’ di sano mestiere riesce a creare quella magia; e il pubblico risponde eccome, non con la conta dei minuti di applausi tirata in lungo da un bravo direttore di palcoscenico, ma con pienoni e boati a ogni intervento, cosa che questo blog ha ampiamente documentato e che io stesso posso testimoniare.

    “Per quanto riguarda i libretti d’opera (spesso tutti uguali e con trame e termini che se qualcuno di voi sente vicino mi chiedo come fa ) come avrebbe senso allora metterle in scena?
    Con fondalini dipinti e grassi tenori bravissimi che cantano impalati con la manina avanti?
    Allora avrebbe più senso metterle in scena in forma di concerto.”

    Riguardo ai fondalini dipinti… non so a cosa tu faccia riferimento, ma ti assicuro che specie negli anni 70 e 80 non è che le scene fossero proprio così striminzite, non foss’altro che ci si spendevano cifre che oggi farebbero gridare allo scandalo; su youtube c’è una bella documentazione al riguardo, proprio in questi giorni mi rivedevo l’Otello del 1976 alla Scala diretto da Kleiber… dai un’occhiata a scene e costumi…
    Sul Rodolfo grasso e impalato con la manina avanti, non tutti i cantanti del passato erano Pavarotti o Corelli, c’erano anche ottimi attori; poi, certo, tra un superbo cantante frigorifero in scena e un ottimo attore sgallinato si preferiva il primo, ma questo solo perché la virtus del cantante dovrebbe essere, data la parola, la sua bravura nel canto.

    Infine: ma per considerare bella un’opera d’arte va per forza sentita “vicina” in senso di epoca? Non so, allora buttiamo via tutte queste carcasse romane…
    Tuttavia, su quest’ultimo punto hai le tue ragioni: possibile che l’opera sia solo un museo del passato e non ci sia nulla che un giovane possa sentire “vicino”? Purtroppo è così, i teatri italiani fanno finire il melodramma italiano con la morte di Puccini, a parte qualche raro excursus che fa storia a sé. Per i più Alfano, giusto per fare un esempio, è semplicemente colui che ha scritto il finale della Turandot. Punto. I teatri restaurano, non commissionano, non investono in giovani compositori. Gli scrittori contemporanei, o i loro eredi, cedono malvolentieri i diritti a giovanotti sconosciuti.
    Ma questo non è mica colpa di questo Blog o delle critiche alla Bohème di Salisburgo…

    • allora forse l’ opera lirica come forma di spettacolo non deve essere messa in scena oggi se non in forma di concerto almeno non si pretendono qualità anche attoriali dai cantanti (pagati anche loro un salasso)

      • Ma tra il rimanere impalati e il fare capriole all’indietro come lo Schaunard salisburghese ci sono un’infinità di azioni possibili e soprattutto… probabili, che il regista può tirar fuori dal cantante a seconda dell’indole del medesimo.
        Nella vita reale non tutti quando sono disperati si buttano a terra e si contorcono, c’è anche chi si siede e copre il volto con una mano per nascondere le lagrime. Il cantante porta un personaggio abbozzato alle prove di regia (o più spesso porta un mix delle sue regie precedenti), ma sta al regista intuire cosa può dare quell’interprete e metterlo in condizione di tirar fuori un personaggio lucido e ben definito, tarando anche aspetti come le luci e il trucco per evidenziare meglio ad esempio chi ha poca gestualità ma molta mimica facciale (mi viene in mente McNeil nella Tosca del 1985 al MET; sì, ammetto di amare lo Zeffirelli dei tempi d’oro…). Anche per la regia vale secondo me la massima che si crea sul materiale che si ha a disposizione; inutile arrivare alla prima prova immaginando un saltimbanco e poi dover lavorare su un frigorifero… Peggio ancora scartare un buon cantante perché si ha bisogno di un saltimbanco; a questo punto si fa il regista di prosa e cinema, non trovi?

        • “Molta gente è nervosa, molti soffrono, ma dove mai s’è vista per strada, o in casa, della gente che corre avanti e indietro nervosamente e si tiene continuamente la testa fra le mani? Bisogna rendere il dolore come si esprime nella vita, cioè non con le gambe e le braccia, ma col tono, con gli sguardi, con grazia. Bisogna rendere con finezza i moti delicati dell’anima propri delle persone colte. Non parlatemi delle esigenze sceniche. Nessuna esigenza giustifica la menzogna”. Anton Cechov

          • mi scuso con Cecov e con A.T. ma non capisco la citazione ” Bisogna rendere con finezza i moti delicati dell’anima propri delle persone colte”
            Perché il dolore non viene vissuto in egual modo da ignoranti e colti o l’ ignorante fa il saltimbanco e il colto si mette il viso tra le mani e con uno sguardo lascia intravedere il suo dolore con discrezione?
            Si ama, si gioisce e si soffre tutti….

            Forse non ho ben inteso il termine “colte”in questa frase , se potete spiegarmelo.

          • Il teatro di Cechov mette in scena l’aristocrazia e l’alta borghesia. Non è un giudizio di valore, semplicemente una constatazione, e l’autore si riferisce al modo in cui vanno allestite le sue commedie. E comunque i giovani intellettuali di Murger sono, malgrado la borsa cronicamente vuota, simili ai borghesi del loro tempo, nell’attenzione al decoro e alla dignità, nel pudore con cui esprimono i loro sentimenti, persino nell’ipocrisia “a fin di bene” cui occasionalmente ricorrono (la confessione di Rodolfo a Marcello).

          • La citazione va, come tutto del resto, contestualizzata al pubblico di riferimento ed all’epoca. Va sempre tutto contestualizzato.
            La sostanza non cambia: quando si soffre sia a teatro che nella vita, a meno che non siamo delle prefiche, non avviene nulla di quello che avviene in scena secondo i registi “moderni”.
            Si dirà che il teatro è finzione, ok, ma prende spunto dalla vita, dalla realtà, anche dalla cronaca e dalla contemporaneità secondo il teatro di regia, dunque perchè rendere il dolore come i contorcimenti grotteschi di un comico contorsionista disarticolato con la scoliosi? Bah… se piace…

          • mi scusi Sigra Brandt, ma Muscato non ha fatto anche lui una trasposizione in un’altra epoca più vicina a noi?
            Sicuramente con più “umiltà” (intesa nel senso buono visto che le persone sono tutte diverse grazie al cielo)…ma non crede sia la nuova scuola che propone registi che cercano di attualizzare le “storie” che ci raccontano i libretti d’ opera?

          • Io non ho nulla in contrario alla trasposizione ad un altra epoca purchè si rispettino trama e spirito dell’opera ed è tra l’altro una pratica esistente già nei primi anni del ‘900 se non erro, nessuna particolare novità o stravolgimento dunque.
            Muscato lo ha fatto con gusto, senza forzature e senza stupide aggiunte drammaturgiche e facendo recitare con gesti logici e coerenti la sua compagnia.
            E ti assicuro che si può fare ottimo teatro di regia (quello vero, fatto di gesti, di studio dell’epoca, di vera cultura ed emozione) attraverso scene in linea con il libretto.

  15. In un grande film di Bergman – Il Posto delle Fragole – veniva posta la domanda: qual è il primo dovere di un medico? La risposta era: chiedere scusa. Perché senza la consapevolezza e il conseguente rispetto della sacralità della persona un medico tradirebbe la propria missione. Allo stesso modo credo che il primo dovere di un regista d’opera sia quello di chiedere scusa. Scusa nei confronti del testo e dell’autore che si vuole mettere in scena. L’ultima cosa che invece dovrebbe saltare in mente è quella di pensare “alla traccia della propria esistenza e arte che si lascia nel futuro”. Scarterei a priori chi cova tali propositi (trattandosi normalmente di un imbecille). Perfetto e definitivo l’aforisma di Elias Canetti: ” La megalomania dell’interprete: nella sua interpretazione si sente più ricco dell’opera”.

  16. [1] Su consiglio del carissimo mozart, ho visto pure io la Bohemé su YouTube, facendomene una copia per ricordarmi a che livelli si è scesi nella messinscena dell’opera oggi.
    Giudizio mio generale: livello bassissimo, e se quantificabile su scala decimale, un 4/10 è un voto largo.

    PREMESSE che si allacciano un po’ a quello che dice il giovane e, se me lo consente, ingenuo albertdc da parte di un ventenne quale io sono:
    a) questo spettacolo si inserisce nell’ormai rodato e vincente meccanismo contemporaneo che si chiama EVENTO: si prende un’opera R con un regista S, con cast X, con direttore Y in un teatro Z ( R,S,X,Y,Z appartengono a C e sono presi comunque, come si dice in linguaggio matematico; traducendo: non importa chi cosa come dove) e si fa partire la macchina della pubblicità e dei media per far affluire il maggior numero di gente a tale EVENTO. Che tutto questo meccanismo sia di qualità non importa: basta che faccia soldi, alla faccia delle norme UNI sulla qualità, che garantiscono la qualità del processo e del prodotto finale e che non si capisce per quale arcano motivo non si possano applicare allo spettacolo;
    b) l’opinione di albertdc è pienamente rispettabile se chiaramente si pone come sua opinione personale: se a lui lo spettacolo è piaciuto, dovrebbe esserne contento perché è riuscito a goderselo! Diverso è invece dire che lo spettacolo sia ben riuscito, perché a questo punto entrano nel discorso conoscenze tecniche e specialistiche che lo stesso albertdc dice di non sapere: queste conoscenze sono di carattere vocale e musicale per quanto riguarda l’opera in sé, e tecnico-figurative per quanto riguarda la regia, che chiaramente dovrebbero essere complementari ed includenti, in sinergia l’una con l’altra. Quindi, certi commenti di tipo tecnico è meglio lasciarli a chi di competenza per lo meno minima.

  17. Addirittura scontro generazionale su ” Corriere della G( oppure C ?)risi” !
    Ha se la gioventu’ sapesse ! Ha se la vecchiaia potesse !
    Comunque il te(a)tro lirico,anche grazie a questa messinscen(oppure m)a , dimostra di essere ben vivo !

  18. [2] Guardano lo spettacolo mi sono fatto qualche domanda a cui non ho trovato risposta:
    o) chi fa i titoli di presentazione dello spettacolo ha mai visto un’opera trasmessa in tv? Appare prima il regista, poi lo staff, e poi i cantanti ed il direttore – forse a presagire come si montano le opere oggi?
    a) Michieletto ha letto il libretto e ha seguito lo spartito mentre pensava la regia?
    b) Michieletto è al corrente che nel teatro d’opera la cosa più importante è il canto, senza il quale non si può fare opera?
    c) Michieletto conosce l’adagio della Callas che “Nella musica c’è scritto tutto”?
    d) domanda molto scontata: ma chi li scegli i cantanti?
    e) domanda altrettanto scontata: hanno idea i cantanti delle loro possibilità e no?

    Fatte le premesse e le domande di rito, un veloce commento personale a tutta l’opera che non aggiunge né più né meno a quanto già detto e sopratutto alla luce della audiovisione del primo e ultimo quadro in toto e solo di alcune parti del secondo e terzo:
    REGIA – non ho capito se il primo e l’ultimo quadro sono ambientati sotto un ponte, in una discarica, in uno scantinato sotterraneo antinucleare, in una prigione, connotati con elementi che disturbano la scena e irrilevanti all’azione come l’abero di Natale, la stufa con bombola esterna – qualche reperto degli anni ’40 visto che ormai tutte le stufe hanno la bombola incorporata; il secondo quadro è quello figurativamente più interessante anche se si apre con una scena degna di distribuzione di viveri in qualche centro umanitario affollato; il terzo quadro sembra ambientato nella provincia russa più profonda, forse ad onore della provenienza della Netrebko; ho trovato il movimento delle masse routinario – niente di nuovo – e diversi gradi di risposta dei cantanti principali alle direttive registiche.
    CANTANTI – un Marcello/Cavalletti dal suono schiacciato e gonfiato – gli acuti erano urla – con una linea sempre forte in forte e sbraitata; un Rodolfo/Beczala in affanno sul passaggio, spesso gonfiato ed indietro, e gli acuti non stabili – il finale del primo quadro su “Amor” con la Netrebko è inascoltabile – mentre la recitazione mi è sembrata corretta; un Colline/Colombara che in generale mi è piaciuto nel primo quadro, salvo qualche spinta in acuto; un Schaunard/Arduini di bella presenza e prestante a capriole e giri vari in scena, con un suono corretto nel centro per ora, meno negli acuti e molto assente nel grave; una Mimì/Netrbko mediocre, dal suono gonfiato e oscurato (suono spesso indietro sulle E e totalmente gonfiato sulla A e O) che canta tutto uguale con dinamiche a casaccio, con piccoli scrocchi anche in registro centrale, e con una recitazione scolastica, con cambi repentini di umore e con pedisseque scimiottature di quello che il regista deve averle consigliato – ho trovato veramente brutto il suo ingresso in scena vestita da meretrice in odor di dopolavoro e che si approccia a Rodolfo con velleità da sciantosa poco credibili in diversi punti; una Musetta/Machaidze che parla invece di cantare e che non ha idea di cosa sia il canto professionale in quanto non sostiene NULLA se non qualche acuto che una volta su 5 le esce bene – il resto, solo parlottio e urla.
    DIRETTORE – son sincero, non mi sono nemmeno accorto della presenza dell’orchestra.

    • Provo a rispondere quel poco che so io…anche se sarebbe molto interessante e più giusto se questo blog lo leggesse Michieletto e rispondesse a tutti, ma la vedo difficile.
      Non che lo voglia difendere a tutti i costi, ma mi pare molto ingiustificato attaccarlo in maniera così feroce. Ma visto che ognuno è libero di dire la sua, io dico la mia.
      a)Penso che un regista legga e rilegga il libretto fino a studiarlo alla perfezione. E credo che ogni regista studi con lo spartito davanti. Michieletto non sembra da meno (attaccatemi pure, se questo è il vostro scopo) anche se poi lo sviluppa a modo suo ma sempre traendo spunti da esso.
      b) Sicuramente saprà che una cosa importante è il canto, ma suppongo che dia molta importanza anche alla teatralità della messa in scena o meglio al recitar cantando, all’ insieme.
      c) forse non conosce l’ adagio della Callas.
      d) che sappia io i cantanti li sceglie il direttore artistico insieme agli spietati agenti dei cantanti lirici (perché non vi attaccate contro loro ad esempio?Sono loro che li propongono, li adulano, li seguono pur di guadagnare dei soldi)
      e) a volte alcuni cantanti sono pieni di egocentrismo e narcisismo e possibile che sfugga il loro stesso limite.
      Regia: è una soffitta con un’ enorme finestra e alcune cose ammassate in maniera disordinata con qualche incongruenza anche secondo me, ma magari la bombola è lì da anni….e l’ albero di natale vuole suscitare vero squallore.
      Non mi sembrava Russia il 3 atto, ma una periferia di qualsiasi paese.
      Secondo me Mchieletto è uno dei pochi che muove bene le masse, ma in Boheme questo non emergeva.
      CANTANTI e Direttore:lascio a voi il commento…ma povera Musetta, come siete cinici.

      • a) Non sempre. Molti registi applicano la stessa identica idea a ogni allestimento che si trovano ad affrontare e si divertono a sovrapporre una loro drammaturgia a quella degli autori, fatto questo arbitrario e privo di gusto o intelligenza.
        b) Sicuramente saprà che una cosa importante sia il suo ego: il canto è accessorio all’ego registico.
        c) E dovrebbe studiare sia la Callas che gli altri cxantanti 😉
        d) Ci siamo sempre attaccati a direttori artistici ed agenti tranquillo 😉 soprattutto ai loro metodi ed alle loro scelte per non parlare dei ruffiani facebookari che elemosinano amicizie, biglietti e viaggetti plaudenti.
        e) Verissimo!
        f) La Machaidze è una PESSIMA cantante, solo perchè è bella, simpatica e carina non è detto che occorra essere indulgenti 😉

  19. Nell’Accademia dei Troll, fondata per limitare i danni di una Resistenza forse un po’ troppo agguerrita, c’è un corso per guastatori-promotori che impartisce regole ben precise secondo tattiche di rissa televisiva.

    1) Scegliersi un avatar accattivante che permetta di creare finte dicotomie (io, giovane candido ed entusiasta-voi, vecchi cinici e invidiosi)

    2) Entrare nel sito con un bang, mollando ceffoni a destra e a manca (“guardatevi allo specchio, arroganti!”, “lasciate libero il cuore invece di aggrapparvi a concetti stereotipati”) inframmezzati da piccole tag pubblicitarie (“ci si rispecchia in quei giovani disperati…”, “si gioisce all’entrata del coro…”, “si sorride all’entrata di Parpignol…”).

    3) Invocare il consenso delle masse (“come vi spiegate che il pubblico ha applaudito per circa 15 minuti…”) per poi proseguire con ulteriori insulti a quella che è ormai minoranza (“le gabbie mentali di chi usa solo la testa”) e concludere con un altro piccolo pitch per il proprio cliente (e se sento di difendere il GIOVANE regista talentuoso” – (parola orribile che rima con untuoso) – “è perché intorno a me vedo solo registi mediocri…)

    4) Levare un grido di dolore per i presunti insulti subiti e per la maleducazione degli interlocutori testè vilipesi (“non ho trovato educati i termini espressi da voi dotti”) contestualmente a una mossa di captatio benevolentiae nei confronti di uno a scelta (tu buono-loro perfidi). Un po’ di dividi et impera non guasta.

    Ma questo film non l’abbiamo gia visto?
    Ma non avrà ragione Bambuco?
    Forse questo sito necessita di una squadra di trollbusters.
    Sono pronta a contribuire alle spese.

      • APPUNTO – la musica dov´è?? Me ne frego della regia se già i cantanti non sanno soddisfare… Me ne frego di scuole giovani di registi di qualsiasi paese. M´infastidisce moltissimo il fatto che prima dei cantanti vengono sempre nominati i registi, che nelle critiche loro occupano sempre il spazio più grande. Voglio uno spettacolo che sia convincente dal punto musicale e poi la regia puo anche interessarmi.

        • Il fatto di soffermarci sul problema registico e non sul lato musicale (che, ormai è chiaro a tutti, è stato scadente) la dice lunga sulla qualità canora e sullo stato vocale di questa Bohème, ragionamento che può essere applicato a molte serate attuali 😉

  20. E comunque nessuno ancora mi ha suggerito dei nomi altrettanto giovani e italiani ricchi di talento.
    Forse un Micheli? …..avete visto la sua Boheme? Ottimo direttore artistico mi pare, che promuove i giovani di talento essendo anche lui giovane.Ma come regista?
    o Leo Muscato?(Avete visto la sua Boheme anni 70 a Macerata? vi è piaciuta?
    O un Livermore? (Per carità!!!)
    Sono al livello di Michieletto per voi o non si conoscono neanche come registi? A livello internazionale rappresentano la giovane promettente regia italiana? Chi ci rappresenta all’ estero?
    Se qualcuno ha delle indicazioni sono pronto a ringraziarvi.

    • Ho visto di recente la Bohème a Macerata diretta da Muscato e l’allestimento “sessantottino” era pieno di verve e vitalità e fatto con poco (taccio sulle voci e sulla direzione).

      La regia che la Sinigallia ha invece inventato per la “Carmen” era invece una risciacquatura telefonatissima e finto-sgradevole di Emma Dante (qui ancora di più taccio sulle voci e sulla direzione).

      • mi fa piacere per Muscato, mi sembra un regista in gamba (ma non è certo il” livello” che chiedevo, credo lo conoscano in pochi).Ho avuto modo di vedere i suoi allestimenti in prosa e lo stimo ( spero gli diano possibilità di dimostrare il suo talento).
        Suppongo che l’ operazione fatta da lui sia comunque una trasposizione in un’altra epoca piu’ vicina a noi (il 68, che qualcuno di voi ha sicuramente vissuto ) e formandosi dalla prosa, anche lui fa un lavoro puntato molto sullo studio del carattere dei personaggi in base al libretto e allo spartito.
        La differenza che trovo rispetto alle opere di vecchia data (so già che mi massacrerete, ma mi esprimo) è che i cantanti sono diventati sempre più attori….forse a discapito della loro voce e capisco che è molto raro trovare un cantante con una voce meravigliosa che sia anche un ottimo attore.
        Il compito di sviluppare o approfondire i personaggi dal punto di vista musicale credo sia compito del direttore d’ orchestra, o no?
        E ripeto che a parer mio bisognerebbe invece fare tabula rasa degli agenti, per lo più squali.
        Mi hanno detto che un cantante anche se bravissimo non va da nessuna parte se non rappresentato da un’ agenzia famosa!
        e poi ci lamentiamo dei registi…

          • Veramente nessuno scandalo, piuttosta tanta noia, tanto già visto, tanto finto scandalo.

          • questo sicuramente si.
            Sono anche io contrario a chi pensa che l’ eroina moderna debba essere necessariamente in pantaloni…e a dir la verità anche al voler essere moderni a tutti i costi.
            E non per questo mi rimangio ciò che ho scritto su Michieletto, anche se dopo aver letto le vostre note sono andata a vedermi un po’ di spettacoli altrui su youtube e riviste che avevo in casa e ho notato delle somiglianze indiscutibili, più che altro dal punto di vista scenografico (vedi il barbiere di Siviglia e il gonfiabile alla Biexto …etc)si notano spesso degli elementi che potrebbero sembrare copiati e fatti propri. Dal punto di vista registico non saprei.
            Qui ho espresso miei dubbi e miei pareri e vi ringrazio perchè mi avete dato modo di confrontarmi.

          • quello degli ele,enti ripetuti è una questione su cui ùily potrà dire la sua. Si possono anche copiare paro paro ma farne un uso geniale. Si può citare apertamente…..o contaminare. Ma è il modo in cui si usano che fa la differenza…

    • L’indicazione ti è già stata data: non c’è nessuno che sia al livello di uno Strehler, di un Puecher, ma io direi neppure di una Margherita Wallmann. Michieletto non fa eccezione. Dopo uno spettacolo riuscito (la Gazza ladra) non si è più ripetuto agli stessi livelli.

      • Il dittico novecentesco fiorentino dedicato a Bartok aveva una regia splendida, intensa e profondissima ad esempio!

        Anche McVikar è un regista molto interessante, oppure la regia di Death in Venice in Scala era logica ed elegante.

        • Gentile albertdc,

          non capisco perché insisti. L’informatissima titolare del sito ha già risposto alla tua richiesta di consigliarti un giovane regista italiano: Virginio Puecher. Peccato che fosse nato nel 1927 e sia scomparso nel 1990, quindi come giovane è un tantinello improbabile. In compenso, ha la caratteristica fondamentale per piacere alla signora Grisi: è morto.
          Per mozart2006: le battute del clacson applicato al cavallo e di Violetta che mette Germont alla porta sono di Rodolfo Celletti. Va bene che l’originalità di pensiero non ti contraddistingue, ma almeno quando si copia bisognerebbe almeno dire da dove lo si fa. Suvvia! Come ci insegnavano alle elementari: dillo con parole tue!
          Cordialità

          • caro Griso, mi è stato chiesto il nome di un regista. punto.
            spiegaci il genio che non capiamo e ti pubblichiamo. diversamente, non tornare : di troll ne abbiamo a sufficienza.
            quanto al nick che hai scelto, peraltro già usato altrove per alludere a noi…è vecchio ed abusato, come le idee dei geni di cui qui si discetta

          • “Griso… Prima de lassiarte te devo dire una cossa muy importante… Griso… Bevi qualcosa! Vuoi bere qualcosa? Coraggio Griso, bevi qualcosa!”
            (Cit. Bella Figheira “Promessi sposi” Marchesini-Lopez-Solenghi)

            Abbiamo già risposto ad Albertdc con esempi pratici di spettacoli fatti bene e con gusto, li ho citati io stessa e sono tutti allestimenti di persone viventi, ma leggere tutto (compresi gli elogi ad alcuni registi nelle nostre recensioni) e non solo ciò che si vuole è uno sport difficile da affrontare.
            Allenati di più e vedrai che avrai un quadro generale ben più ampio 😉
            E tu invece cosa proponi? Dicci, dicci 😉

            Cordialità

          • clic! e griso é nel cestino…mai esistito.
            così impari la buona educazione

          • bis!
            ti ho già detto, caro troll n2 promichieletto, di scrivere di regia.
            il resto verrà cestinato …

          • Oh, cielo!!!
            Ma io chiesi lumi onde la mia ignoranza fosse colmata, ma non mi furon dati… rimarrò dietro alla lavagna sui ceci.
            Poi la gente che “vede le cose alla radio” (? sic. Boh) la trovo inquietante. Meno male che NOI usiamo pc, streaming, Sky e digitali terrestri.

      • mi hanno detto che Gazza Ladra era veramente interessante e non ha caso leggo che ha vinto il premio Abbiati.
        Bisogna certamente vedere che ne sarà di Michieletto tra 30 anni…sicuramente è il tempo che conferma il talento.

      • ti ho già detto: scrivi di regia. esprimi le tue argomentazioni pro, e verranno pubblicate.
        attacchi, ironie gratuite sul pensiero altrui, in un sito dove le persone esprimono quello che pensano sulla musica e le regie, no verranno più pubblicate.
        hai un pensiero che vada oltre gli attacchi personali o sei così inconsistente?

        • Ma non mi sembra un attacco personale chiedere se uno spettacolo qualificato di “orrore” sia stato effettivamente visto… giusto per capire che credibilità ha il giudizio. Se va all’opera, Tamburini dovrebbe sapere che capita, specie se ci sono regie complesse, che il titolare della parte agisca in scena e il sostituto canti in buca. E’ capitato, capita e capiterà…
          Curioso, però: credevo che si bannassero solo messaggi contrari alla legge o al buon costume. Evidentemente, far rilevare al signor Brandt che scrive di registi di cui non sa nemmeno compitare il nome è considerato o illegale o immorale. In compenso si pubblicano le risposte a messaggi non pubblicati. Un curioso modo di procedere…

          • Mio caro, tu lo spettacolo non lo hai visto e intervieni per parlare a vanvera: quando lo vedrai magari alla tua radio (?) potrai dirci la tua, ma nel frattempo non stai dicendo nulla e non hai nessuna credibilità.
            Ti ho chiesto di farmi nomi di registi ggggiovani e talentuosi e la sola cosa che hai fatto è stato “correggermi” sul cognome di McVicar, a cui chiedo scusa… e quindi? Io ho fatto nomi e citato spettacoli anche in altre occasioni? Vuoi un aiutino? Vai a farti un giro su Operabase!
            Ancora nessuna credibilità.
            Il fatto che un cantante possa cantare in buca per sostituire un collega indisposto l’ho visto un paio di volte a teatro, nulla di male, anzi, si salva la serata: dipende però CHI canta 😉 e nel caso di Kaufmann, a parer mio, l’orrore è evidentissimo.
            Io aspetto argomentazioni serie e intelligenti da parte tua, se così non fosse continuerai a finire nel cestino visto che i tuoi interventi sono vuoti di qualsiasi contenuto.
            Ti tengo d’occhio 😉

    • il buon bczala quante ne ha rette? una o due?…..gesù! sarà stato quel do della speranza tenuto oltre le possbilità di un superman del canto………per uno che non gira gli acuti non è roba da poco!

  21. Eccoci,
    ho visto Boheme su ZDF perche’ avevo perso la diretta Sky.
    L’allestimento e’ veramente un’offesa a Puccini e al pubblico. Pero’ sembra che a Salisburgo piacciano queste schifezze. Se le tengano.
    Sono daccordo solo in parte su quanto scritto sui cantanti. La Netrebko gonfia i suoni, vero. La Machaidze e’ piuttosto anonima, vero, Beczala un po’ “delicato”, vero…ma i tre italiani: Cavalletti, Colombara e Arduini si sono fatti onore. Anzi, di piu’. Lodiamo i nostri cantanti, non bastoniamoli ingiustamente come abbiamo e hanno sempre fatto. Poi ci troviamo a parlare di russi, georgiani e tedeschi e quelli si che sono pietosi. Cavalletti? Avercene…Colombara Avercene…guardate cosa rimane senza questi in chiave di Fa…
    Gatti per me e’ insieme a Noseda il piu’ grande bluff degli ultimi anni. Ecco questi sono italiani da espatriare!!
    Nel complesso comunque, chiudendo gli occhi e non ascoltando l’orchesta e la maggior parte dei cantanti…direi che e’ stata una bella Boheme…pochino da Salzburg no?

    • caro Tyson, è vero in parte ciò che dici.
      riferiti all’oggi, vanno ed hanno ampio diritto di avere spazi e palcoscenici
      stando ai parametri del canto di scuola di bassi e baritoni ( quello estinto, per chiarirci ) anche loro sono out dalle categorie del buon canto. e spiace perchè hanno voci di qualità.ti trovo generoso sulla sponsorizzatissima nino…..purtroppo non è affatto anonima: ti bombarda le orecchie..fa male! a presto

  22. @albertdc: il recitar cantando non è di certo quello che abbiamo visto messo in scena da Michieletto – peraltro recitar cantando che non è di sua stretta pertinenza in quanto regista e non musicista – così come non sono di certo le capriole di Arduini, le smorfie o mani in testa della Netrebko.
    Mi piacerebbe riportare quanto scriveva Torquato Tasso – un letterato prestato alla musica e alla regia come si leggerà – sul “Combattimento di Tancredi e Clorinda”:
    “volendosi esser fatto in genere rappresentativo, si farà entrare alla sprovista (dopo cantatesi alcuni Madrigali SENZA GESTO) dalla parte de la Camera in cui si farà la Musica. Clorinda a piedi armata, seguita da Tancredi armato sopra ad un Cavallo Mariano, et il Testo all’hora comincerà il Canto. FARANNO GLI PASSI ET GESTI NEL MODO CHE L’ORATIONE ESPRIME, ET NULLA DI PIU’ NE’ MENO, OSSERVANDO DILIGENTEMENTE GLI TEMPI, COLPI ET PASSI, et gli ustrumentisti gli suoni incitati e molli; et il Testo le parole a tempo pronunciate, in maniera, che le creationi venghino ad incontrarsi in una immitatione unita; Clorinda parlerà quando gli toccherà, tacendo il Testo; […] la voce del Testo dovrà essere chiara, ferma et di bona pronuntia alquanto discosta da gli ustrimenti, atiò meglio sii intesa nel ordine. Non doverà fare gorghe né trilli in altro loco, che solamente nel canto de la stanza, che incomincia Notte; il rimanente porterà le pronuntie et similitudine delle passioni del’oratione”.
    Il testo dice tutto sulla perizia del Tasso anche in campo musicale e registico; poi chiaramente non sappiamo i risultati e come si svolse la prima messinscena, però sarebbe bello che anche Michieletto potesse dimostrare con il suo linguaggio – la regia – di aver capito la musica, facendo quello che dice la musica ed il libretto, non quello che lui interpreta! Riprendendo sempre la citazione sopracitata della Callas, che il cantante si trova tutto scritto nello spartito, anche il regista contemporaneo dovrebbe capire che non deve interpretare ma TRADURRE la musica/parola in scena. Questa ovviamente la mia opinione!

  23. Ho sempre preso con le molle Rodolfo Celletti ( adoro cantanti che lui detestava e detesto cantanti che lui adorava ) ma ricordo con precisione quanto sostenne, in forma privata, il giorno in cui Cappuccilli rifiutò di interpretare il Rigoletto fiorentino in cui avrebbe dovuto travestirsi, secondo pregevolissima invenzione registica, da Charlot: ” un regista d’opera è per forza un cretino, altrimenti non farebbe il regista d’opera “. Naturalmente si tratta di un’affermazione falsa e tendenziosa: il regista d’opera non sempre è un cretino ( solo molto spesso ). Diciamo che oggi quasi sempre è un solenne scocciatore, un intruso che si serve di Mozart Verdi o Puccini per erigere scadenti tabernacoli al proprio ego. Una specie di tassa, di dazio da pagare per chi voglia assistere a spettacoli dal vivo. Se il teatro d’opera sopravviverà ( non è detto ) i posteri – temo – ci prenderanno parecchio per i fondelli per aver tollerato senza colpo ferire tante scempiaggini e tanta spazzatura.

  24. Mi sembra che il cuore del problema lo abbia toccato Mozart il 05/08 , e lo abbia sintetizzato Enrico Stinchelli su facebook : attualizzare le opere non significa nulla, il regista deve rendere coerente una drammaturgia e nella Bohème di salisburgo questo mi pare non avvenga ( se volete possiamo entrare in merito)

  25. Io invece sottoscrivo quanto detto da Marianne alle 11.31 di oggi. Il fatto che si parli solo della regia la dice lunga più di venti recensioni sull’ infima qualità vocale e direttoriale di questo spettacolo. Con una parte musicale di miglior livello, la messinscena sarebbe probabilmente passata in cavalleria….

  26. Ma come mai, chiedo, è invalsa questa moda di far cantare in buca quello sano e il malato in scena, tipo mimo? Ve li immaginate in una Carmen Del Monaco afono che mima e Corelli in buca che canta? ;-))) da ridere. La verità, se ce la vogliamo dire tutta è che con certi cantanti dalla tecnica ballerina è facile assistere a simili farsette, che faranno la gioia del pubblico di Salisburgo ma rendono penoso servigio al Teatro d’Opera.

  27. E’ vero, Del Monaco che canta e Corelli che recita mi sembra fantascienza. Ma qui si tratta di personalita’, di orgoglio. Chissa’ magari in passato e’ successo anche di peggio. Caruso canto’ la Zimarra ad un collega indisposto. Coristi aiutavano di spalle alcuni cantanti anche famosi a rinforzare il suono, per il resto i tempi non mi sembrano molto cambiati.
    Cantanti oggi osannati venivano regolarmente bastonati. Dalla Callas alla Scotto (ingiustamente s’intende). Quindi chi ci puo’ dire se fra 20 anni questi cantanti che oggi si denigrano non verranno osannati fra 20- 30 anni? Un’altra considerazione. So che qui Bastianini non e’ molto amato ma non bisogna dimenticare che lui come tanti altri come lui facevano emozionare tante persone e l’emozione vera deve essere rispettata. Quella di allora e quella degli spettatori di oggi (che non sanno neppure piu’ emozionarsi se non davanti ai funambolismi di alcuni spara-semibiscrome baroccanti. Vi leggo da molto e mi sono iscritto da qualche giorno soprattutto per dirvi che le critiche secondo me dovrebbero essere meno offensive e piu’ efficaci. Cosi’ si annullano da sole. E’ un peccato.

    • considerando l’arte del canto come forma rtistica in declino irreversibile, certo che hai ragione! Saremo anche offensivi, ma ti sei reso conto della diffamazione a tappeto di cui siamo oggetto da parte di chi non ha argomenti artistici o tecnici da opporre? Se non altro noi evitiamo considerazioni personali. Il sisreme peraltro è offensivo del pubblico e della sua intelligenza….o no?

      • Gatti? Uno “zombie” che “non ha capito nulla della musica in generale”. E poi, “minibarritrice”, “divismo da accattoni”, “carta igienica”, “sgallinati”, “imbecille”. E infine la finissima LilyBart, una vera signora: “seghe mentali”, “coglione”.
        Pensa se invece le considerazioni personali le faceste…
        Ah, così per curiosità: a parte albertodc, di quelli che scrivono queste raffinate analisi sulla Bohème di Salisburgo chi era effettivamente a Salisburgo?

          • Boh, glielo dirò dopo averli ascoltati a Salisburgo, che mi sembra il prerequisito minimo per scriverne (con magari, a seguire, qualche nozione musicale, teatrale e sintattica). Sa, giudicare uno spettacolo da “sorella radio” è quantomeno un po’ curioso. Poi non capisco che c’entra se questi signori siano strapagati o meno: li paga lei, forse? Li paga il Festival, che grazie a loro è tutto esaurito. Ma si sa, il pubblico è tutto composto di deficienti…
            Però mi tolga una curiosità: non è un po’ contraddittorio sostenere una pagina sì e l’altra pure che il pubblico è sordo, ha il cervello scollegato (questo è l’altro finissimo, Tamburini) e che nessuno capisce niente e poi gloriarsi delnumero veriginoso di visite sulle vostre pagine? La gente è deficiente quando fa a cazzotti per ascoltare la Netrebko e smette di esserlo quando legge voi che dite che la Netrebko è una cagna? Delle due l’una.
            Ma so che non risponderà, se non con bannature e/o insulti. Vabbé, saluti dal giovane Puecher…

          • Poi ci sono anche le visite di chi ritiene la Netrebko una grande cantante e vien qui per “difenderla” (finendo come i proverbiali pifferi che scesero dal monte). Naturalmente l’argomento principe, anzi il solo, è che noi non contiamo nulla. Per dirci questo vengono qui a frotte. Viva la coerenza.

            PS – vedo che nel frattempo è arrivato anche l’argomento della radio che “deforma”… Andiamo avanti così.

          • Griso, ti faccio notare che tu non sei un melomane, non sei bravo nemmeno come Troll, non sai una beata né del Festival di Salisburgo, né della Netrebko, né di nulla, perchè NON PARLI DI NULLA!
            Fatti e facci un favore: ascolta, ma parecchio, prima di scrivere qualcosa qui o altrove e sprecare inutilamente spazio utile, perchè quello che abbiamo pubblicato e porta la tua firma è il Festival del nulla!
            E lo dico con una serenità mai vista, col sorriso sulle labbra, perchè fuffa del genere fa sempre la solita figura di palta che merita.
            Cordialità anche a te e torna quando avrai studiato un pochino

  28. ho letto questo commento, finalmente qualcuno proMichieletto:-)))

    “Nel pomeriggio-sera del 4 agosto, ho assistito a Salisburgo a due spettacoli (è la prima “doppia” della mia vita, ma l’occasione era ghiotta e ho prenotato per tempo). Alle 15 Il Flauto Magico su direzione di Harnoncourt e regia J.D. Herzog, alle 20 La Boheme su direzione di Daniele Gatti e regia di amiano Michieletto.
    Il minimo che si possa dire, di entrambi, è che si tratta di due allestimenti di grande intensità, intellettuale ed “emotiva”, sia scenica che musicale.
    Comincio da Puccini.
    La Boheme di Daniele Gatti “è” Boheme alla ennesima potenza. Il direttore milanese, com’è suo costume, mette l’opera pucciniana al microscopio di una concertazione capillare, ottenendo dai Wiener (memorabili, particolarmente nell’ultimo atto) un suono trasparentissimo nel quale non uno dei particolari della straordinaria orchestrazione va perduto. A questo lavoro di analisi fa riscontro la sintesi. Gatti coglie tutta la poesia, e lo struggimento di Boheme. E’ un dolore di giovani, dunque estremo (ecco perché l’uso estremo, in realtà sapientissimo, del “rubato”). E, in particolare, in perfetta coincidenza con una (a mio parere) straordinaria Anna Netrebko e con lo spettacolo di Michieletto, “centra” musicalmente un personaggio Mimì struggente, anzi lancinante, la cui autoconsunzione nel corso dell’opera lascia sconvolti In particolare, ovviamente, in un finale di straordinaria potenza, musicale e scenica, nel quale da “Sono andati” (cantato da Mimì-Netrebko alzandosi improvvisamente in piedi dal mucchio di cenci che le fa da materasso) in poi, lo spegnimento di Mimì è una lenta, sempre più rarefatta, cerimonia funebre, l’autodistruzione d’una creatura (concetto quanto mai pucciniano) dalla quale (potrei citare, oltre alla mia, alcune reazioni di pubblico, accanto, davanti e dietro a me) dalla quale si esce sconvolti.
    Michieletto racconta la vicenda d’una gioventù parigina (Parigi è dappertutto, in questo spettacolo, nelle mappe nelle finestre, nei cartelli stradali) stravolta da un modno che ha sempre dimensione diversa dalla loro. Il che è scenicamente ottenuto con un incredibile effetto-Lilliput, volta volta rovesciato. In interno, nella soffitta non-ammobiliata da povere cose (cuscini, materassi, qualche oggetto) i quattro ragazzi più Mimì sono piccolissimi rispetto all’immensa finestra ghiacciata (l’inverno e il Natale sono un altro segno distintivo – appropriatissimo – di questo spettacolo). In esterno, nel secondo quadro, Parigi, la sua mappa, le case sono… giocattoli, rispetto ai personaggi. E il secondo quadro “by” Michieletto e Gatti, più intera compagnia e coro, è interessantissimo in un’intuizione esatta (che crediamo sia stata prima di tutto del regista): è un atto di bambini e di cose da bambini – il Natale, i giocattoli, le renne-Babbo Natale, la cuffietta (che qui diventa un cappelluccio )e di musiche da bambini. Lo è, musicalmente, l’arrivo di Parpignol (l’uomo ragno: geniale), lo è la marcia conclusiva (la banda che passa sembra composta da giocattoli luminosi). Forse alternativo a questo è solo il valzer di Musetta, che è molto elegantemente caratterizzata rispetto alla sciroccata compagnia di Mimì e dei suoi nuovi amici. Michieletto “legge” a suo modo la vicenda di Boheme, ma non la altera: c’è tutta, e c’è nella progressiva presa di coscienza dei ragazzi e di Mimì: lei non può che morire, loro “crescono” in un dolore esistenziale per un mondo che non è mai a loro misura, ed è un dolore ed un’amara consapevolezza che si sviluppa di quadro in quadro, nello scorrere della vita. Il terzo quadro – la “barriera, la neve – li immerge in un inverno spropositato ; ci rivedremo alla stagion dei fior, sì… ma come? La baruffa iniziale del quarto quadro ha pochissimo di gioioso: è l’arruffata voglia di felicità di quattro ragazzi in qualche modo “disadattati” (brutta cosa la povertà , certo, ma non solo: peggio è non riuscire a vivere” nel mondo”, nella propria città): e spaventosamente bisognosi d’amore. Mimì è stata – per Rodolfo, ma per tutti – forse l’ultima speranza. La sua consunzione è la loro. Non sappiamo che ne sarà di loro. E c’è da tremare… Spettacolo stupendo, duro e tenerissimo, amaro e “romantico” (“è”, ripetiamo, Boheme all’ennesima potenza, Michieletto è, in realtà, rispettosissimo) nella lettura struggente di Gatti e nella scelta tematica e scenica del regista.
    Ero presente il 4 agosto alla replica in cui si è verificata la singolare defezione di Beczala, recitante in scene ma sostituito “in voce”, a lato del palcoscenico, da Jonas Kaufmann, pescato al volo. Spero ci siano altre occasioni più compiute di ascoltare il Rodolfo di Kaufmann. Qui ha compiuto un miracolo, se si pensa che è stato “pescato” a cena – quindi praticamente senza prova – dopo che la defezione “vocale” di Beczala ha preso corpo… quasi all’orario d’inizio, con pubblico (Merkel compresa) già in sala e orchestra in buca. Gli annunci di Pereira (bravissimo, quasi diabolico, nel gestire la situazione con il pubblico, che infatti ha capito) Una quarantina di minuti per l’arrivo di Kaufmann, poi l’opera: che qualche disagio ci sia stato è niente rispetto al miracolo tecnico compiuto insieme da Kaufmann (ovviamente salutato da ovazioni) e Gatti. Anche in situazione d’emergenza, alcune sfumature colte da Kaufmann (la ricerca della chiave al primo quadro, tutto il finale nel quarto) erano da brivido. Quanto a Gatti, la splendida concertazione non ha ceduto di niente per la situazione d’emergenza, segno d’una padronanza anche tecnica sbalorditiva. Di tutto il resto della compagnia darei la definizione di funzionale a ciò che Gatti e Michieletto richiedono. Anna Netrebko è molto di più. A parte il ben noto “carisma” scenico – per cui se c’è lei in scena lo sguardo s’incolla – c’è la voce. Una Mimì di timbro oggi così “scuro”, sontuoso, parrebbe fin “esagerata” per la parte. Ma Netrebko è una fuoriclasse, e proprio di questa caratteristica attuale della sua voce fa tesoro, nel disegnare una Mimì che si autospegne (il suo ultimo atto è di una ricchezza sbalorditiva, dall’escursione dinamica del “sono andati” allo spegnimento finale). Molti hanno parlato di… Amy Winehouse per dire di questa concezione del personaggio. Sia o non sia stato il modello, è una Mimì che non si dimentica.

      • albertdc (ma dc sta per Dopo Cristo?), non è bello omettere – qualora presenti – le firme degli interventi o dei post di altri blog, non fosse altro per le “regole” di internet.
        Il commento, copia incollato in diversi forum e luoghi della rete (ma dio santo, copia incollare come fosse del banale spam, che mestizia) è a firma Marco Vizzardelli.
        Visto che l’autore copia incolla a più non posso in diversi siti e luoghi, ritengo possa compiacersi di essere stato citato nella medesima forma degli altri luoghi anche qui.
        GIusto per dare a Cesare quel che è di Cesare.

        • “Il commento, copia incollato in diversi forum e luoghi della rete (ma dio santo, copia incollare come fosse del banale spam, che mestizia) è a firma Marco Vizzardelli”.

          Cacchio, siamo a posto, il più fine e competente degli esegeti! Del resto credo si commenti da sé.

          • er gratta, tu hai un solo difetto: ci scrivi di rado. Io ti adoroooooooo…hahahah

          • Cara Giulia, non mi merito l’adorazione ma ringrazio. Il problema è che le cose scritte da quello lì mi fanno prudere le mani. Al pari di quell’altro che dice che i cantanti sono coloristi, pittori, declamatori, astronauti…

  29. e dimenticavo di raccontarvi che il commento finisce così:
    “Critiche tutte entusiaste (naturalmente a parte il Corriere della Crisi Isterica e Henry….
    Ecco, detto quello che dovevo dire.
    Un saluto e buona fine estate a tutti…occhio al caldo!!”

  30. Caro albertdc, ho letto quanto hai riportato: un distillato osceno di banalità per far andare la gente a vedere quell’opera.
    Io non ci sono stato a Salisburgo, ho visto tutto su Youtube, e lo spettacolo vocale è stato di bassissimo livello; non ho visto quello con Kaufmann ma conoscendo e seguendo da tempo questo “fenomeno” dello starsystem, non vedo che miracoli possa aver fatto in una serata se non cantare con quella sua voce grezza e rozza, dall’emissione sorda e tutta forzata, con urla pure e suono tutto indietro negli acuti come fa da tre anni a questa parte.
    Forse quello che ti sfugge è che il canto è la base dell’opera, e che anche se uno a parole abbellisce (e ci ricama sopra) una messinscena vedendo intrecci/scambi/soluzioni registiche geniali (che poi colui che tu riporti non argomenta, descrive solo, senza minimamente accennare al canto e questo ti fa capire la preparazione), questa Bohéme è stata l’ennesima dimostrazione che il canto ed il modello di canto che vorrebbero farci credere “il migliore” è ad un livello bassissimo.

  31. Cara diva Giulia, la Sua pazienza è encomiabile… Ma forse a questo punto si dovrebbe soltanto stendere un velo pietoso su quelle che sono solo provocazioni infantili, che hanno come obiettivo non quello di discutere e ragionare, ma di imporre a tutti i costi la propria convinzione. Addirittura incollare una “recensione” pubblicata su un altro sito… per avere un po’ di miserevole visibilità… ma, scusate, va contro tutte le regole di un blog , nel quale si dovrebbero esporre idee proprie, se se ne avessero! Mi sembrano come i bambini che urlano più forte degli altri per convincere se stessi di avere ragione… Dal momento che chi ha orecchie e occhi non fuorviati dal fanatismo ha potuto giudicare quella messinscena (definita da un signor giornale come “Die Zeit” “eine Klamotte”!!!!) per quello che è stata, ovvero una nullità sotto il punto di vista artistico, si rischia solo di dover leggere tanti altri sterili tentativi, più o meno macchinosi, di travisare la triste realtà… Allora, lo stendiamo questo velo?

  32. Tamburini, ma non se la prenda con quel vecchio ciarlatano di griso, un nick clone di un ben più noioso e fastidioso utente dall’ego smisurato che ci vorrebbe un altro sistema solare per contenerlo!
    Suvvia, non ve la prendete collaboratori del Corriere: fate dopotutto un atto di carità e pietà nel farlo scrivere e scaricare 😉

  33. Sappiamo tutti (anche io) che il buon canto è fondamentale ma se si mette in scena……ok, non tocco più l’ argomento.
    Arrivederci Cara Signora LilyBart, nessuna Luna di miele per fortuna.
    ps: le mancherò sono sicuro!
    😉

  34. 205 commenti sprecati per parlare di… regia (ho la nausea), e neanche una osservazione sulla strepitosa vecchia zimarra di Marcoux qui proposta a commento della recensione. E così si consuma la morte del canto e dell’opera.

  35. Mi permetto da “regista-melomane”, singolarissima categoria alla quale mi pregio di appartenere, di contestare solo l’assunto per cui nell’opera conti solo la parte vocale. Questo è vero fino a un certo punto. Giustissimo biasimare le recensioni che analizzino solo le trovate registiche, le scene e i costumi…sono anch’io del parere che siano esercizi ridicoli, dannosi e buoni solo a mascherare le lacune vocali di alcuni elementi del cast e soprattutto a mascherare le lacune conoscitive dei recensori. Però è anche vero che la regìa e la messa in scena sono parte integrante e importantissima di uno spettacolo, che non voglia essere trasformato in un’opera-concerto. Non andiamo da un estremo all’altro: meglio una konzertante auffuehrung della Bohème di Michieletto…ok….ma MEGLIO in ogni caso una Bohème che abbia un senso drammaturgico, con regìa scene e costumi. Altrimenti si scivola verso una deriva che, a mio parere, non porta da nessuna parte.

    • ps…..poi c’è un grosso problema, che andrà prima o poi risolto. Non si può cantare come cantano certi orribili modelli discografici, in voga dal 1990 in poi (gli imitatori incauti di Domingo, Bartoli & C.)…si va avanti di fibra finchè si può, poi addio….inizia l’aria tra le corde, le stecche, le afonìe, le visite foniatriche, le operazioni e….avanti un altro….Il canto procede per grandi modelli da imitare: se il modello diventa Villazon o Kaufmann, la Netrebko o la Bartoli……dove vai?

      • certamente che è importante la regia e messa i scena di un melodramma che poi è in fin dei conti un recitare cantando,l’importante è evitare brutture e assurdità di certi registi,che stravolgono un opera,tanto per fare un esempio banale forse non importante,perche i bohemiens in questo allestimento devono pagare l’affitto al padrone di casa quando vivono per strada?

      • X Mancini.
        Non è vero che si è parlato solo di regia. Si è parlato dei problemi che affliggono il Teatro d’Opera odierno, dei quali questa Bohème è un concentrato.

        X EnricoS
        Parole sante. Dalla prima all’ultima.

  36. … e comunque questa moda di far cantare il sostituto in buca e il titolare afono a mo’ di pesce in scena è una pagliacciata inedegna di una teatro di periferia. Il sostituto veste i costumi che abili sarte possono riadattare in venti minuti e sale in palcoscenico se ha gli attributi per farlo. E non mi si venga a dire che così facendo non potrebbe seguire strettamente le indicazioni del regista! e chi se ne frega! viene prima i rispetto per Puccini e poi per il pubblico, che il rispetto per il regista.

    • Straquoto. L’ unica spiegazione plausibile è questa: Kaufmann non canta la Bohéme da anni (se non sbaglio l’ ultima volta fu a Berlino nel 2008) e non se la sentiva di cantare senza spartito.
      Comunque anche il più scalcinato teatro di periferia dovrebbe avere un cover disponibile…

  37. Certo, è molto divertente vedere come Misterpapageno si sia fissato su di me; non può fare a meno di alludere alla mia persona. Va detto che uno desidererebbe un ammiratore un po’ più qualificato; ma bisogna contentarsi. Come dice Carmen: “je daigne m’en contenter”. Una postilla: vista la giovane età del Nostro, può darsi che il francese sia per lui un mistero più fitto della Santissima Trinità. Può rivolgersi a qualche anima buona per farsi tradurre quella frasetta, per altro di non abissale difficoltà.
    Marco Ninci

    • Ma come, Ninci! Si tratta di quello che pontificava delle indicazioni “di regia” del Tasso per il Combattimento di Monteverdi, scritto decenni dopo la sua morte. Devi essere lusingato di avere dei suiveurs come questi…

    • Gentile Marco, in tutta la mia permanenza su internet credo tu sia il nick più stupido che abbia mai incontrato.
      Come sempre, fai male a credere che io pensi a te: tu per me vali un niente in quanto i tuoi commenti (come peraltro il precedente) non valgono criticamente NIENTE.
      In secondo luogo, io non so francese perché non l’ho mai studiato; conosco tuttavia l’italiano, l’inglese, lo spagnolo ed il sardo che parlo correntemente e altrettanto scrivo correttamente se ho possibilità di almeno una revisione; ho avuto inoltre modo di studiare a liceo latino.
      Rinverdisco il mio giudizio di persona stupida quale sei e dimostri perché se credi di dileggiarmi e di farmi sentire un inferiore per una ignoranza linguistica quale la mia nel francese, sei la persona più volgare e ignorante che abbia mai conosciuto.
      Uno può avere una cultura profonda di sistemi formali quali per esempio la filosofia come hai tu, ma la cultura umana e sensibile non ce l’hai proprio, facendo di te un pezzo di pietra ed un pagliaccio.
      Felicitazioni per la tua vita inutile

    • Oddio Ninci, ti prego! Non credere di essere così importante nella vita di Papageno, su, un po’ di modestia! e mi dispiace dirlo, ma tu che esibisci le tue doti (per carità, validissime e riconosciute), vantandole anche non troppo implicitamente nei commenti e poi per fare una contestazione sai solo ricorrere a battutine e affermazioni del tutto inopportune fai proprio una pessima figura! sappiamo tutti benissimo che tu hai una penna intelligente (amara e cinica, vero, ma a volte è una qualità) e che quindi sai scrivere ben di meglio di certe frecciatine che ti ostini a propinarci. Quanto a Griso, mi piacerebbe proprio vederne un suo di articolo come quello, si si, lo vorrei ben vedere! Chi critica deve tenersi pronto a provare la sua contestazione caro signore! quindi la prego, faccia la grazia di star zitto, che si rovina solo la reputazione.

  38. MESSAGGIO IMPORTANTE: chiedo umilmente venia a tutti i lettori per non sapere Francese. Purtroppo non ho avuto la possibilità di studiarlo fino ad ora, quindi potete pubblicamente insultarmi e prendermi in giro per rimediare a questa grave colpa.
    Chiedo ancora umilmente perdono!

    IMPORTANT MESSAGE: I beg your pardon, dear readers, if I don’t know French. Unfortunately I haven’t had the possibility to study it yet by now, thus you can publicly insult me and make fun of me to make up for this profound fault.
    I humbly beg your pardon again!

    MENSAJE IMPORTANTE: Queria humilmente disculparme con todos los lectores porque no conozco el Francés. Desafortunadamente no he tenido la posibilidad de estudiarlo hasta ahora, pues entonces me pueden publicamente insultar y burlarse de mi para que ponga remedio a esta muy grave culpa.
    Pido humilmente perdono además!

    ARRECADU IMPORTANTI: olemu umilmenti domandai perdonu a tottus is lettoris poitta no sciu su Franzesu. Esti una lastima ca no d’appu pozziu studiai finzas a immoi, i po custu me podeis publicamenti insultai i pigai po culu aicci chi pozzada ponni arremediu a custa gravi mancanzia.
    Domandu umilmente perdonu!

  39. La vecchia zimarra cantata da Marcoux è la piu lenta che abbia mai ascoltato,per la verità il tempo indicato dal compositore sullo spartito è di un quarto a 63,se la si prova a questo tempo risulterà molto piu scorrevole e forse anche di intenzioni diverse,il colore del cantante peraltro lo trovo molto tenorile che sulla zimarra risulta di facilissima comprensione,per un basso invece la scrittura è medio-acuta,trovarne la posizone senza spoggiare e nello stesso tempo far capire il testo è piu complicato,Marcoux non ha di questi problemi perche basso non è (almeno in questa registrazione).
    Cordialmente.

    • Marcoux è uno dei piu’ grandi bassi mai apparsi sulla faccia della terra. Basso, cioe’ quel tipo di voce che, cantando una una tessitura grave, sostiene, appoggia, lega, smorza, rinforza, accenta, dice, fraseggia a suo piacimento. Il colore era chiaro, l’emissione perfetta, l’uso del fiato straordinario. Le note ,tutte, nel suo canto, oltre a non tradire mai la benche’ minima tensione, erano timbrate, e, potevano essere sostenute, smorzate e rinforzate con irrisoria facilita’. L’interpretazione della vecchia zimarra invece, puo’ certamente non piacere, quelli son gusti, io la trovo un portento.

    • è vero che è molto lenta – anche troppo per me quando l´ho sentito per la prima volta. Anche vero che Marcoux per un basso ha un timbro molto chiaro, però la voce è quella da basso, anche da basso/baritono, visto che era un Scarpia molto famoso. Comunque: una volta sentita e apprezzata non ci si riesce più a togliersela dalla testa. Ed è questo che rende un´interpretazione riuscitissima, no?? Sembra un Requiem per i poveri – lo trovo più commovente di ogni altra versione.

    • E’ ovvio che l’ascoltatore moderno sentendo cantare un’aria come questa con tale facilità, perfetta pronuncia, emissione chiara, pulita, calma e mai forzata, fluida sul fiato, senza grida né gonfiamenti da orso yoghi né oscuramenti di bestia da soma, storce il naso e sentenzia non trattarsi di basso ma addirittura di tenore. Non gli interessa sentir cantare bene, vuole solo ascoltare il vocione, per poter affermare “questo è basso”, “questo è baritono”, e riconoscersi nello stereotipo consolidato dal disco: a questo è giunto il degrado nei gusti e nell’orecchio del pubblico. Quanto al metronomo di Puccini… le esecuzioni metronomiche le lascio volentieri ai dilettanti strimpellatori da saggio di conservatorio.

  40. Leggo ora gli interventi di Misterpapageno, cui ovviamente non mette conto rispondere. Caro Stefix, qui di battutine ne vengono rovesciate a tonnellate su tutto e su tutti. Mi sembra strano che si rimproverino a me, dicendo che posso fare di meglio; i miei genitori a dire la verità hanno smesso da tempo di controllare il mio profitto dai professori, per vedere se mi impegno o no. Ma guarda un po’, dovevo trovare altri genitori proprio sui blog. Infine una cosina per Lily, cui sono riconoscente per il grazioso nomignolo di Nanny. Tu, Lily, sembri considerarmi la stessa persona di Griso. Non è così. Io non uso mai nick. Sarà per l’ego smisurato che Misterpapageno mi attribuisce; ma a me, che non ho nulla in contrario all’essere insultato, piace esserlo come persona, non come un fantasma (chi sarà Brandt, chi sarà Griso, chi sarà Stefix, chi sarà Duprez, mah…) in un mondo di fantasmi, cui l’asetticità di internet toglie perfino quelle cose carinissime che erano il lenzuolo e le catene.
    Marco Ninci

    • L’Io grandioso di Marconinci si mette di mezzo e gli impedisce di arrivare alle giuste conclusioni.

      Non mi è mai passato per la mente che potesse essere Lui il volgare Griso, e neanche un Troll. Per me è e sarà sempre “la Nanny” – arrivata tra noi dopo aver fatto fuori Miles – implacabilmente pronta a mandarci tutti a letto senza dessert se non mangiamo prima i nostri “Soldaten”.

    • Il volgare Griso è un troll baroccaro che ci ha già ammorbati im occasione di un Haendel nel circuito ATER.

      Miles è un bambino che abita nelle pagine del “Giro di Vite” di Henry James e nella partitura dell’opera omonima di B. Britten. Scusa se ho sopravvalutato il tuo quadro di riferimenti: è cosa antipatica, ma fatta in perfetta buona fede.

  41. Ma non è che non avessi capito che il nick si riferiva al “Giro di Vite”. Io semplicemente volevo sapere chi era realmente. Il riferimento musicale per me non ha nessuna importanza. Uno può chiamarsi Beethoven, Miles, Duprez, Flora, Amina, e chi più ne ha più ne metta. Per me sono tutti nomi misteriosi, anche Haydn o Beethoven.
    Ciao
    Marco Ninci

  42. Lo so lo so, quello che penso al riguardo non è condiviso da nessuno. Eppure, quando i nomignoli, che identificano una singola persona, cambiano da blog a blog, un piccolo problema mi sembra ci sia. Ma lasciamo perdere. Vengo da un tempo diverso. E mi ostino a pensare che qualunque cosa venga detta senza una firma precisa non dovrebbe essere detta. Nello stesso modo in cui non si dovrebbe mai dire nulla senza fare nomi e cognomi e circostanze precise. E, veramente, quest’ultima cosa non viene mai fatta in questo blog. Non è un merito da poco.
    Ciao
    Marco Ninci

    • scusami Marco qui non siamo in un mondo veramente reale dove tutto è controllabile reale ,dove le persone si confrontano anche fisicamente di persona,e anche se epistolare,e pubblico è pur sempre circoscritto,nel mondo internet una volta pubblicato si è alla mercè di tutti ,paginee,link restano per tantissimo tempo,e anche se cancellabile,rimangono i rimandi,i nichname sono nati anche per questo,d’altronte anche nella carta stampata ci sono dei pseudonimi anche un famoso uomo politico si firmava Ghino di Tacco suvvia è la sostanza che conta,non i nomi reali o fiittizi che sono,mica dobbiamo andare in tribunale .
      Ciao

      • Bene. Abbiamo appreso che Pelè era un giocatore inattendibile perchè non si presentava come Edson Arantes do Nascimiento, che Norma Jean Baker (Marylin Monroe), Marion Michael Morrison (John Wayne) e Frederick Austerlitz (Fred Astaire) erano persone censurabili e che possiamo dimenticarci di scrittori come Carlo Lorenzini (Carlo Collodi), Alberto Pincherle (Alberto Moravia), Dino Segre (Pitigrilli), Ettore Schmitz (Italo Svevo) e Andrea De Chirico (Alberto Savinio). I tedeschi non dovranno mai più leggere neanche una riga di Johann Paul Friedrich Richter (Jean Paul). Non dimenticate inoltre di buttar via tutti i dischi di Anna Maria Mazzini (Mina)….eccheddiamine, sta mania dei nomi falsi…

  43. E’ il mio nome, come no. Anche sui massimi sistemi, caro Tamburini, si risponde, come io faccio sempre, qualunque domanda o opinione mi venga rivolta. Nel modo in cui mi sarebbe piaciuto che i moderatori avessero risposto positivamente all’invito loro rivolto in occasione del Rof dell’anno scorso dal Maestro Giovanni Vitali; perché non confrontarsi pubblicamente davanti a un pianoforte? Ah, questa esigenza di anonimato quanto torna utile…
    Marco Ninci

    • Domanda ontologica:

      Dando per scontato un codice di comportamento decente, è più importante CHI siamo o COME siamo?

      E qui entra in gioco l’Io Grandioso.

      In questo sito io mi reputo poca cosa – un’ospite tra tanti, e non dei più preparati – e sono grata ai padroni di casa per il tempo e il sapere che disinteressati ci dedicano, e penso che sia mio dovere dimostrare, quando possibile, tale gratitudine. Il mio nick dice molto di più su me del mio nome e cognome, che per altro figura nell’indirizzo di posta elettronica conservato nel loro data base.

      Certo, la vita reale è altra cosa, e lì mi sono sempre esposta con sincerità e in prima persona attraverso il mio lavoro e i miei comportamenti, non come i conduttori (maestri?!) di Radio3 che si fanno tappetino davanti ad alcune mediocrità del ROF, pur – da persone competenti quali sono – non avendone nessuna stima, e imboccando in tal modo sentieri che – a mio parere – menano al ridicolo.

      Viva lo scambio di idee dunque, libero da ogni personalismo e protagonismo, e magari con un pizzico di humor.

      Be foolish, be hungry.
      Ciao

    • Beh, Ninci, diciamo che almeno sui Blog c’è la possibilità di limitare il fenomeno di giudicare ciò che viene detto in base a chi lo dice (in verità in Italia mi pare una costante quasi più marcata del normale… qualche tempo fa mi sono capitate queste poche simpatiche righe e te le rigiro, se hai 5 minuti: http://blogs.hbr.org/fox/2012/05/dont-like-the-message-maybe-it.html ).

      E comunque, a parte questo, l’anonimato evita di risultare “sconvenienti” in relazione ai nostri rispettivi ruoli. Per chi come te, se ho capito bene, insegna all’università non è un problema dire che il famoso soprano Stroplovoy è un bidone; se a dirlo è invece un musicista o un collaboratore del teatro in cui la suddetta si è appena esibita, l’opinione magari ha lo stesso valore, ma le conseguenza di questo giudizio potrebbero essere ben diverse, non trovi?

      PS: per curiosità, che genere di invito aveva elargito il maestro Vitali ai “grisini”? Cena con delitto?

    • Maestro, addirittura con la maiuscola? Ohibò, e chi è costui, Karajan?
      Direi che ci sta bene un aneddoto.
      Una volta Antonio Guarnieri stava fuori dell’ ingresso artisti della Fenice prima di una prova e vedeva entrare orchestrali, coristi e assistenti. A tutti il portiere diceva: “Buongiorno Maestro”. Guarnieri entró per ultimo e prima che il portiere aprisse bocca disse: “Senti qua caro, a mi per favor te me ciami Sior Mona!”

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