Macbeth alla Pergola di Firenze

Firenze, Teatro alla Pergola, o forse sarebbe meglio dire alla Graticola, Fondazione Maggio, Ultimo Atto. Ci ha pensato il genio di Vick, con sua nuova “creazione”, a convincere il pubblico che lo smantellamento del laboratorio di scenografia che correda la scioccante liquidazione dell’ente ( non si capisce bene con quale fine futuro..) sia cosa buona e giusta. Una produzione imbarazzante, certamente coerente e strutturata nell’idea di fondo, lisa e adeguata solo in parte, ha suggellato la vigilia di quello che possiamo considerare il capolavoro dell’ incapacità gestionale dei nostri teatri da parte di sovrintendenze, organi sindacali, politici etc, con tutti i loro annessi e connessi. La crisi c’entra, ma c’entra anche la follia degli amministratori che hanno voluto un megateatro nuovo ed inutile, ancora in fieri e da pagare, a fianco di un teatro vecchio, indebitato non da ieri per circa 40 milioni di euro; un’overdose di personale; un cartellone scarno perchè da anni progressivamente scarnificato; una grande orchestra sottoutilizzata che chiede di suonare di più. Una miopia gestionale non recente, cui nessuno in questi anni ha saputo dare una sterzata prima del recente tracollo. Su tutto troneggia il fenomeno silenzioso e clamoroso al tempo stesso della desertificazione del pubblico, in atto da qualche anno. Fenomeno cui non si presta la dovuta attenzione, perché in crescita anche altrove. Firenze, una città unica o la prima tra tante che verranno?
Tutto alla Pergola mercoledì sera mi è parso una metafora del teatro di oggi, metafora per noi, i cantanti, lo spazio, ogni cosa significava anche altro dallo spettacolo.
Firenze di giugno, che dopo le piogge monsoniche appena passate, schizza a 43 gradi ed il teatro che ospita la celebrazione nello stesso spazio della prima rappresentazione del 1847 non è per nulla condizionato ed il clima è insopportabile. A che pro? Ricostruire la prima dell’opera, che si tenne a dire il vero il 14 di marzo del ’47, di certo non in una savana di velluto e stucco come l’altra sera?
Ci si guarda attorno, i posti liberi in platea sono svariati, nei palchetti mai più di due persone, il palco reale praticamente vuoto, il loggione quasi pieno: il sold out a Firenze è impossibile anche con un titolo di repertorio in un teatro piccolo e ti immagini le facce di quelli che forse inaugureranno un giorno il nuovo ciclope in fase di ultimazione, evidentemente più utile alla retorica della politica che alla crescita culturale dei cittadini.
Vick ci ha ammannito la sua lettura, quella di un dramma borghese, una coppia anni ’50-‘60 ( più o meno ) divorata dall’ambizione. Un quadretto domestico, che si svolge in uno spazio vintage da televendita, prima la cameretta da letto, poi il giardino della villetta con piscina, prato verde di vera plastica e fenicotteri fucsia volutamente provocatori, aperta citazione da Pink Flamingos; le streghe come mignotte brutte e volgari da strada di banlieu,¸ il “Patria oppressa” eseguito in una sala d’aspetto di una qualche stazione di paese e finale con seggiole in plastica verde alla Eams agitate in aria dai coristi; ultima scena con le streghe di Macbeth su un letto con gli immancabili trans e strega incinta; sonnambulismo della Lady nel bagno di casa, con lavaggio di mani nel lavandino Ideal Standard; finale in mimetica, come già la prima scena di Banco e Macbeth, con mitra e sparacchiamenti; il tutto accompagnato dalle tirate di coca del protagonista. E per fare questo, Vick ha omesso il fondale, lasciando a vista il muro di fondo della Pergola ma raddoppiando i palchi di proscenio, con tanto di lesene e capitelli dorati uguali a quelli reali, per collocarvi scenette marginali all’azione, altrimenti risolvibili. Taccio dei “costumi” e delle luci en plein air. Chi scrive non contesta nemmeno l’attualizzazione e l’idea ( stravista fino alla noia ) del dramma borghese, che di borghese non ha proprio nulla, perché il teatro elisabettiano, al di là del soggetto “regale”, come quello verdiano, sono tutto fuor che borghesi o leggibili in questa chiave social sinistrorsa, tanto superficiale da essere indigesta alla stessa cultura marxista. Chi scrive contesta che questa idea debba essere realizzata in questo modo sciatto, gratuitamente provocatorio, ordinario e brutto. Il significato non diventa maggiormente pregnante per lo spettatore se questi viene urtato dalla banalità, dalla goffaggine, dalle incongruenze e dalle assurdità con cui viene ( non ) gestita la realizzazione. Spettacoli dove il non pensato, il trasandato, il qualunquismo delle scelte vengono comodamente assorbite nella libertà creativa, nella provocatorietà, in un fare presuntuoso che offende il pubblico con la presunzione che ogni cosa basti ed avanzi a far successo. Al di là dei dettagli dei fenicotteri o la cameretta ordinaria, il clima che Vick crea è costantemente contrario alla musica, come pure al clima del dramma di sangue ed alle ossessioni dei protagonisti, disturbato solo da costanti rumori di scena, cigoliì e tonfi. La luce abbagliante, sempre accesa e fissa, contraddice la cupezza delle ossessioni, i sentimenti che agitano i protagonisti, le paure e i fantasmi interiori, la tragedia finale. Il dramma borghese di questo regista non è nemmeno un dramma, è una farsa ridicola, che non cattura, non coinvolge, non lascia niente allo spettatore, nemmeno il fastidio di una critica sociale, perché tutto da noi è già acquisito e noto in termini ben più forti, reali, tragici e disincantati dei suoi. Il suo realismo al confronto con la nostra realtà quotidiana è un povero niente ridicolo e ci lascia indifferenti ( al più infastiditi ) come nell’indifferenza diffusa il Maggio viene liquidato, anche grazie ad esperienze teatrali come questa. Perdere un teatro che ti offre la bellezza del Macbeth di Strehler fa soffrire lo spettatore; perdere spettacoli come questo lo libera da un tormento visivo. Devono meditare a fondo i demiurghi di questa modernità, gli artefici di questo teatro didattico sui posti vuoti che crescono ovunque in ogni teatro. Meditare anche sulla via del non ritorno che stanno perseguendo, allorquando, liquidate le competenze tecniche alte necessarie all’arte della scena e del costume, si accorgeranno di non poter tornare indietro anche volendo. Prendano bene la mira nei bersagli delle loro liquidazioni, perché forse è in gioco la scomparsa di un’arte e non solo il riassetto economico di una istituzione.
Proseguiamo con la metafora del nostro tempo odierno.
Si va in scena nel teatro della prima del ’47 con la prima versione, quella più arcaica, ancora densa di stilemi tardo belcantistici, il duetto tra i due con le fiorettature, quella sorta di cabalettone che è il “Trionfai” della Lady, la prima brutta stesura del “Patria oppressa”, il terzo atto per un Macbeth quasi tenore, Felice Varesi. Scelta la versione, dovrebbe essere scelto anche lo stile esecutivo, perché la prima Lady non divenne famosa come interprete verdiana, ma per essere stata la prima interprete in Italia del Robert le Diable, quindi Norma, Semiramide, Lucrezia Borgia, oltre che prima Contarini dei Foscari, Abigaille etc., mentre il primo Macbeth, amante pure lui come Ronconi delle scene di pazzia, cantava il Tasso ed il Furioso di Donizetti, la Saffo di Pacini, Vestale e la Linda di Chamounix. Mettiamo da parte del fole sulle voci piccole legata alle dimensioni ridotte della Pergola: quando la Barbieri debuttò a Parigi il pubblico rimarcò la minor rifinitura vocale rispetto alla Grisi ma restò impressionato dalla grande potenza e dal suo slancio. Il clima in cui il Macbeth debuttò era questo, i riferimenti vocali ancora quelli del tardo belcantismo.
Dunque non basta collocarsi nel teatro originario e riproporre la prima versione per essere filologici, occorrono i modi del canto di metà ottocento, che non possono essere quelli del tardo Verdi degenere. E qui sta il nucleo del problema di questa proposta fiorentina.
Premesso che tutto il cast, quasi un denominatore comune, ha impiegato in più di una occasione i “piani”, un dictat di Conlon immagino, le ambizioni vocali si sono ridotte a questa formula espressiva, sfruttando la naturale amplificazione che la Pergola offre alle voci, in questo spazio sempre vicine e presenti agli spettatori anche quando falsettate. Così ciò che in un teatro di dimensioni normali non sarebbe stato possibile, è riuscito in questa occasione ai cantanti. La signora Serjan-Lady si è imposta in forza di una grande vigoria vocale, per quanto il mezzo non sia naturalmente bello né ben posizionato. La sua tendenza a cantare forte e a spingere ha impressionato il pubblico dominando la scena anche con la sua prestanza fisica. La sua è una Lady rodata ma per nulla raffinata, che non convince laddove occorrono le prerogative del belcanto di forza, come nel “Trionfai”, sgangherato oltre che stagliuzzato, o nelle fiorettature del brindisi oppure negli acuti, che suonavano sempre indietro, privi di appoggio, alcuni marcatamente falsettati. Tuttavia, ripeto, lo spazio  ha giocato a suo favore, nell’esecuzione del sonnambulismo, con tanto di re bem, che pur in falsetto ha prodotto l’effetto desiderato sul pubblico nella piccola Pergola. Immaginare in questa prova quella di una cantante applicata al repertorio che fu della Barbieri Nini è impossibile, soprattutto per l’emissione poco elegante dovuta ad usura ed imposto e per la pronunciata tendenza all’urlo.
Il signor Salsi-Macbeth è andato oltre le aspettative, per quanto termini la sua dura prova visibilmente stanco e affaticato. Ad onta del repertorio verdiano che sta praticando con costanza, non possiede un mezzo ancora abbastanza ampio né una tecnica salda per esibirsi in Verdi per ogni dove. Il primo atto passa senza problemi, buona la scena con Banco e le streghe, per i toni stupiti e misteriosi che conferisce al suo canto, come pure la prima sezione del “Fatal mia donna un murmure” con la Lady. Le dolenti note arrivano dopo, quando al personaggio si aggiungono altre tinte espressive, più onerose per la sua voce. Quando la tessitura si alza, come al difficile terzo atto, la scena delle streghe, oppure si fa concitata, come al banchetto, con il delirio delle apparizioni dei fantasmi, il cantante è in difficoltà perché la scrittura gli è pesante e gli manca quell’ampleur funzionale ad una gestione in sourplesse della parte. Si sforza di tenere sotto controllo la voce, ma gli acuti restano comunque indietro e spesso ricorre, per gusto personale, ad accenti esagerati ed esteriori. Insomma, un canto la cui resa è alterna e certo facilitata dalla dimensione ridotta del teatro, che gli consente di forzare la voce soltanto in un paio di occasioni. Nel tratteggiare il suo personaggio, tra l’altro, non è aiutato dalla recitazione e dall’aspetto fisico, complice un regista attento più alla tirate di coca che a restituire un personaggio tormentato ma pur sempre nobile. Vestito in giacca scozzese rossa e calzoni da carabiniere il sign. Salsi pare più il protagonista di un cabaret alla Bagaglino che non quello di una tragedia.
A fianco della regal coppia borghese, il Banco gutturale del signor M. Spotti e il McDuff stile Canzonissima del signor S.Pirgu. Nella buca il maestro Conlon, che ha diretto dispensando sicurezza, nerbo ed anche qualche decibel di troppo, more solito. La sua è un’idea di Verdi che non contempla la creazione di atmosfere, di climi di cupa tragedia o descrittivismi di sorta, insomma, un…bimbumbam coi fiocchi, sempre sicuro e di buon suono dell’orchestra, preciso e battagliero, ma di atmosfere nemmeno a parlarne. Il pubblico ha gradito i suoi decibel più di ogni altra componente dello spettacolo, applaudendolo molto. Così, alla fine, la versione ’47 di questa opera non ha trovato nemmeno stavolta la cifra stilistica che le spetta, rappresentata, ancora una volta, solo per pura curiosità e non per fondata ambizione filologica e musicologica.

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17 pensieri su “Macbeth alla Pergola di Firenze

  1. Donna Giulia, mi provochi? IO C’ERO a Genova Teatro Margherita 26.1.1986 Neuhold-Sardinero-Washington-Stapp-Pinto. una recita al calor bianco. Applausi ad ogni tre per due, e se non fosse stato per l’orrenda acustica di quel teatro oggi la registrazione di quell’evento
    farebbe storia. Olivia Stapp non dimentichiamolo fu dimenticata dalla scala e da molti altri teatri, tranne che Verona, ma in turandot.
    aveva un registro acuto eccezionale, una tenuta scenica molto migliore della Osannata Valayre, e avrebbe potuto svolgere molto repertorio Verdi di inizio. Peggio percoloro che seguono le mode superate di un Salisburgo da cartolina.

  2. concordo pienamente con la Grisi. lo “spettacolo” è di una volgarità desolante e si scomodano Verdi e Shakespeare per darci una visione del “potere” assolutamente lontana da quella filologica del teatro di Shakespeare e da quella musicale di Verdi. Il messaggio di Vick è il suo, quello del suo coreografo e del suo scenografo. Orrido e lontano, molto lontano da Machbeth e da tutto quello che questa figura ha rappresentato e rappresenta per la cultura occidentale. Vick ci racconta la solita storiella a modo suo, più degna di un avanspettacolo che di un qualunque palcoscenico di teatro lirico. Non solo. La sua lettura non è tanto diversa da quella di quell’altro capolavoro (il Mosè di Rossini) che scempò a Pesaro due anni fa. E’ illegittima la domanda? perché Vick non fa anche lo sceneggiatore e magari il compositore? Così se le scrive e se le suona come gli pare e la smette di sottoporci questi spettacoli che offendono la lirica. Perché tutto quello che ha scritto la Grisi è purtroppo terribilmente vero: dalle luci che accecano lo spettatore alle streghe ridotte al rango di prostitute drogate, sballate, (con in più quel pizzico di scene omosessuali che non guastano mai …) a quegli arredi squallidi da interni svedesi di decenni fa. Musicalmente che dire? non concordo con l’ingolamento di Spotti, che secondo me è il migliore. Salsi fa quel che può, Pirgu – reduce dall’incidente in scena che lo aveva costretto al pronto soccorso – era tutto impettito e malandato anche vocalmente. Ma il peggio, il peggio è la Lady, con quel vibrato spinto che è solo un gran tremore, quella voce urlante e volgarissima nell’emissione, che offende le orecchie dello spettatore. E l’orchestra costretta a emettere tanto rumore per … nulla, perché nulla o men che nulla è questa rappresentazione. Sono d’accordo soprattutto che se continua così non rimpiangeremo la fine del Maggio. E’ già morto. E mi chiedo quanto e perché tutto ciò ci costa tanto danaro. Questi sì che sono sprechi. Di soldi, di professionalità e soprattutto di cultura. Che un inglese non sappia (o non voglia) raccontare Shakespeare è già un mistero, ma che gli italiani consentano che si faccia strazio di Verdi è un po’ troppo. Addio Maggio, fosti molto grande!!!

  3. La critica italiana … troppo ci sarebbe da scrivere!!! e se “la critica” fosse critica vera forse non staremmo neanche qui a parlarne, perché registi come Vick, che celebrano soltanto le proprie idee (del tutto avulse da qualsiasi contesto) sarebbero già stati abbondantemente bollati per quello che sono: inadatti all’opera lirica. ma il circolo è troppo vizioso e non so se ne usciremo. non credo. le stagioni, gli artisti sono decretati dalle agenzie, mai scelti dai direttori artistici se non con connivenze assai evidenti. basta guardare qualsiasi cast (comprensivo di registi) per rendersi conto di quali abissi si sono spalancati da decenni sotto di noi. e i giochi tornano sempre. tra primo e secondo cast, ci sono sempre quelle due o tre agenzie. questo non è un tema da poco per il tramonto dei nostri teatri. Il ROF, Il Maggio, Ravenna, Verona, Lo Sferisterio, Caracalla, per parlare soltanto degli eventi estivi che ebbero una storia, etc. tutti con le stesse persone che vi ruotano intorno. e non perché siano i più grandi artisti, ma perché sono i più grandi sponsorizzati. il pubblico diserta, le maestranze scalpitano e poi ci lamentiamo perché sono in fallimento o in liquidazione? i giri di valzer dei direttori artistici sono scandalosi. e non vi sembri fuori tema il mio argomentare perché il Maggio, se chiuderà i battenti, dopo averci offerto una stagione deprimente come questa e spettacoli ignominiosi come il Macbeth, lo deve anche a tutto questo andirivieni e agli sperperi di cui hanno abusato. così come della nostra pazienza di spettatori.

    • jacopo ci intendiamo bene. Io aggiungo anche quei grandi cantanti stimati che hanno il potere di imporsi, o di fare un gesto forte cui i numerosissimi fans non sarebbero insensibili. Qui le PALLE di una Horne capace di dire no o di imporsi o di lottare a viso aperto per un risultato artistico non le ha nessuno. Come nella promozione dei giovani. Anche i cantanti hanno le loro colpe, i grandi soprattutto, che ancora finita la carriera sculettano con casring managers o agenti per essere sulla breccia, anzichè dire di no e stigmatizzare ciò che non va. Anche loro hanno grandi colpe, e non voglio fare nomi…..

  4. Beh Jacopo spari a destra e manca ma mi sembri il caporal maggiore che vuole sollecitare le corde più sensibili della severa tenente colonnellessa per captare la sua benevolenza senza dire qualcosa di concreto coerente e credibile. Per due critiche severe sul Macbeth (la tua e quella della Grisi) oggi ne ho sentito due assai positive. A fronte di tutte le tue lamentazioni a senso unico sul Maggio, ho assitito a una Maria Stuarda di livello altissimo sicuramente superiore a quella scaligera del 2008. Infine le tue censure dure quanto generiche e fumose sulla Serjan fanno dubitare non solo sulle tue capacità di lettura di una voce ma anche sul tuo gusto personale (che é sacro e inviolabile). Si perché quello che scrive la stessa Grisi sulla nostra Lady quello che scrivi tu non sta in cielo ne in terra e ciò a prescindere dal Re bem (che a torto la Giulia crede essere stato eseguito in falsetto). Se proprio non vuoi ispirarti a una maggiore umiltà e continuare a crederti padrone della verità. ricordati che in ogni elite di cui si crede di far parte, per un Brontolo ci sono sempre i Pisoli, Mammoli, Eoli, Gongoli, Dotti e i Cuccioli…

    • caro alberto, il nostro Jacopo ne dice, ma tu hai sempre la palma della cazzologia in questo sito. rammenta!…quanto alla sturda di oggi, se fossi nella devia ti rincorrereri a scopettate in testa per quello che hai detto. quanto alle critiche positive ad uno spettacolo che non hai visto, se oggi hai letto il sole24ore e ci credi ancora beh……ti saluto caramente!

    • Ho assistito anche io a questo “Macbeth”.
      Salsi, che avrebbe anche un buon materiale, urla, urla, fraseggia sbagliando anche gli accenti, cala cala, lo stile è verista-trucido, conosce solo il forte ed il fortissimo.
      La Serjan ha innumerevoli voci, tutte metalliche, non possiede una coloratura fluida, l’emissione è sgangherata, dura, con una intonazione ballerina; in basso ingola il suono, in alto sforza, nella mia recita il Re si è incrinato come un bicchiere di vetro, la musicalità è pedestre, tanti sono gli evidentissimi scollamenti di tempo con Conlon.
      Spotti è anonimo e particolarmente ingolato; Pirgu ha voce senescente e ondeggiante e deve fare la voce grossa per farsi udire.
      Conlon fa suonare l’orchestra meglio che nella “Stuarda”, ma non crea nessuna atmosfera ed è particolarmente anestetico.
      L’allestimento di Vick potrebbe essere di qualunque regista dell’eurotrash attuale e passato tanto è prevedibile, tanto riassume tutti quei concetti già espressi milioni e milioni di volte, parodiati ed elencati anche in un mio precedente pezzo che ti invito a rileggere.
      C’è tutto quello a cui siamo abituati: tutto questo non turba più, non fa pensare, non fa riflettere, non desta nemmeno scandalo o scalpore o entusiasmo: fa solo ridere, è vecchio, è la nuova “tradizione polverosa” che uccide il “teatro di regia” ed il teatro in generale.

    • caro albertoemme. non ho sparato né a destra né a manca, ma mi sollecita a risponedere il fatto di essere definito caporal maggiore per attirare la benevolenza di una persona che rispetto, anche se non sono sempre d’accordo con lei. (e che tra l’altro, una volta mi ha anche bannato!): l’offesa non è per me (perché comunque cortigiani o caporali – come dire – si nasce e non è il mio caso. l’offesa è per la generalessa che non mi sembra proprio il tipo da lasciarsi blandire per una volta che siamo d’accordo!!!!!!!!!!!! certo, il maggio, ci ha regalato la Stuarda di gioved’ e di domenica. Grandissima Devia e sicuramente è la migliore di sempre per lei, che pure ne ha cantate tantissime. ma che significa? per essere il caporal maggiore anche di Tamburrini che ha scritto un articolo in proposito, ti dirò che ha perfettamente ragione lui e che, se il Maggio avesse chiamato un fior di direttore e ben altro cast intorno alla Devia avrebbe fatto opera meritoria. Comunque tu impara ad armeggiare meglio con la tastiera e a riconoscere quando è un re sovracuto e quando un mib.
      per tornare al Maggio confermo quello che ho detto su questo macbeth e sul gran baraccone di Firenze, capace, tra l’altro di aprire un teatro nuovo, costosissimo, con inaugurazioni mussoliniane, nel senso – se ti sfugge – di chiuderlo il giorno dopo e lasciar morire gli spettatori alla Pergola e i vcantanti al Comunale con quella bella acustica! per non parlare delle povere maestranze, tutte, dagli orchestrali al coro ai tecnici bravissimi etc. per quelle sì che questo requime non suona bene, per niente bene. e mi dispiace tanto. se poi a te non piace quello che scrivo hai la libertà di non leggere.
      tanto per compiacere la Grisi concordo che la Signora Devia farebbe bene a rincorrerti a scopettate.
      e sono pure d’accordo con lei che i giovani vanno al macero perché i nostri palcoscenici sono pieni di dive e dive piazzati dalla connivenza tra agenzie e direzione dei teatri e incapaci di tirare fuori gli artigli per imporre produzioni e cast almeno decenti.

  5. dolcissima Giulia, non capisco perché Mariella Devia di cui ho parlato benissimo dovrebbe rincorremi a scopettate. Peraltro la Signora non si abbasserebbe a tanto e mi rincorrerebbe imbracciando almeno un aspirapolvere di marca (direi un Folletto vk 140, anzi visto che ieri era in bianco-nero con il modernissimo vk 150 che é in tinta).-

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