Fidelio alla Scala: e fu Jonas!

Ieri sera in Scala per la seconda recita di Fidelio si è manifestato LUI: il divino Jonas, il tenore perfetto perché bellissimo, maschio, espressivissimo, superiore ad ogni interprete del repertorio spinto, oggi in carriera e per i suoi fans anche di ieri, che non conoscono, però. Se non avessi appreso la notizia da Duprez, se non ce lo avesse ricordato presentandosi al proscenio, more Tonio dei Pagliacci, Alexander Pereira e se non ci fossero state smanie implacabili e lo stornir di chiappe da parte di qualche loggionista all’annuncio non me ne sarei accorto.
Difficilmente me ne sarei accorto perché la prestazione è stata, prima che deludente, insignificante. Come canti Kaufmann lo abbia dettagliatamente descritto molte volte, che il suo sia un “non metodo” di canto lo abbiamo dettagliato e delibato solo che oggi del non metodo si palesano i risultati. Ovvero Kaufmann si è messo da un po’ di tempo a fare meno del solito Kaufmann con quella voce bitumata, da baritono, tutta in gola. Ci sono sempre i suoni bianchi e falsettanti, gabellati per mezze voci (esemplare l’attacco sul sol di Gott all’inizio del secondo atto) gli acuti ghermiti ed una linea di canto (andante dell’aria di Florestan o il breve ringraziamento dell’uomo sconfitto e umiliato alla carità del vino e del pane fattagli da Rocco e dalla sposa, non ancora riconosciuta) che non è una linea di canto perché con quel metodo di canto non si respira, non si sostiene il suono non si lega non si esegue una corretta messa di voce anche se la scrittura è centrale e, quindi, a portata di principianti, ma il volume è quello di un buon Nemorino o di un discreto Rodolfo. Qualche loggionista prossimo al delirio, scendendo dalle scale del loggione parlava di “canna”. Voglio credere il termine gergale riferito ad una nota e liberalizzanda sostanza stupefacente e non già all’organo vocale di Jonas, ormai di volume ridotto e, da sempre, di nessuna autentica ampiezza. Che la situazione sia questa è apparso evidente alla chiusa, questa proprio disagevole per l’insistenza sulla zona del passaggio, dell’aria di Floresta quando, nonostante le limitate sonorità orchestrali (preciso che, cantando Kaufmann, l’orchestra è sempre stata tenuta a volume ridotto), non c’era l’accento allucinato e delirante richiesto dall’autore per descrivere la condizione psicologica dell’ingiusto segregato. Insignificante al terzetto con Rocco e Leonore, dove pure gli tocca una frase splendida e di infinita tristezza quando ringrazia per il cibo ed in difficoltà nel finale dell’opera dove ad un certo punto le cose proprio non andavano. Colpisce che nel ruolo di Florestan, splendido principe consorte dinanzi alla vera ed assoluta protagonista che è Leonore, attorno al cui eroico amore tutto ruota, Kaufmann, che canta nella sua lingua non è andato oltre il solito stereotipo vocale ed interpretivo.
Il resto. Baremboin Ieri sera ancor più letargico ed improvvisato, nonostante il procedere delle repliche. Certi tempi lenti richiedono una tenuta orchestrale e cantanti ben diversi da quelli a disposizione ed un direttore dovrebbe fare i conti delle forze di cui dispone, ma quel che ha colpito è come certi passi della ouverture Leonore 2 quando l’indugio era esasperato si aveva l’impressione di un’orchestra, che provasse ed accordasse gli strumenti. Poi abbiamo un coro dei prigionieri lento ed insipido senza vero spessore drammatico, senza lo slancio descrittivo, un terzetto Rocco – Marcelline – Fidelio da Nozze di Figaro non per il tempo, ma per la sonorità e l’assenza di vigore cui fanno da contrasto i due finali particolarmente fracassoni. Piaccia il Fidelio da grande scuola storica tedesca o quello alla Friscay e Kleiber padre di sapore singspiel emerge una sola triste cosa che il signor Baremboim manca di idea propria ed unitaria circa il capolavoro beethoveniano. Gravissima mancanza, cui si aggiunge il perdere ora solisti, ora coro, ora parti orchestrali. E sì che il suono dell’orchestra scaligera in questo Fidelio è molto superiore a quello degli ultimi anni, sotto la guida del direttore scaligero.
Dei cantanti l’ascolto diretto aumenta la tristezza perché Marzelline (Mojca Erdmann) è totalmente afona in prima ottava e squittisce nella seconda. Ricordo a me stesso, ma lo dovrebbero sapere coloro che impostano carriere e scritturano cantanti che le soubrette del repertorio tedesco non sono soprani leggeri senza acuti che Mattei da la netta sensazione del prossimo capolinea della carriera e che Youn non è affatto un basso. La rilevazione più triste della serata è venuta dalla prestazione di Ania Kampe, priva di zona grave della voce, non lega al centro,  urla disperatamente in alto (si bem non certo re e mi bem) con risultati infelici sia nella stretta dell’aria e soprattutto nella scena del carcere e nel finale dove a Leonore, come tutti i soprani derivati da donna Anna e Rezia è richiesta una gamma medio alta sonora e penetrante. Confesso che mi sono domandato se arriverà in fondo alle recite.
Ma mi sono fatto anche altre domande più dolorose per me che amo l’opera. Ieri sera non sono stati venduti gli ingressi (140) in piedi, sul lato Filodrammatici dalla mia postazione in prima galleria ho contato 17 palchi vuoti (i cosiddetti forni), la platea presentava almeno una cinquantina di posti liberi. Quando quei biglietti di palco o di platea hanno un costo pari al 10% di un buon stipendio il motivo può essere ricercato nella congiuntura economica, ma gli ingressi, seppure ritoccati dalla nuova direzione, sarebbero comunque abbordabili. Ma …. Ma ci sono tanto ma e forse la risposta sta negli applausi tiepidi seppure di gradita circostanza che hanno accolto l’annuncio della parusia di Jonas confrontati con le urla da stadio del Met all’annuncio di Corelli, recuperato all’ultimo per una Tosca. Anche gli ascolti sono la memoria di una sostituzione all’ultimo in quel di Parma realizzatasi ad opera di Franco Corelli, scelto anche perché a Jonas ……….je piacerebbe!

Bellini – Norma

Atto I

Svanir le voci…Meco all’altar di Venere…Me protegge, me difende – Franco Corelli (con Mario Ferrara, dir. Antonino Votto – 1971)

Qual cor tradisti…Deh non volerli vittime – Cristina Deutekom, Franco Corelli, Maurizio Mazzieri (dir. Antonino Votto – 1971)

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6 pensieri su “Fidelio alla Scala: e fu Jonas!

  1. …..pagare 10euro per vedere e sentire dal vivo quanto già visto in tv è già assai;
    per anni la sovrintendenza della Scala ha fatto la guerra ai loggionisti ed ai loro eccessi (?!)…quando naturalmente gli
    faceva comodo si riempivano la bocca e si vantavano della
    competenza e bla bla bla….. quando qualcuno contestava si
    richiamava all’ordine c’è stato persino un genio che aveva messo
    i cartelli con sopra scritto che i loggionisti dovevano contenere
    le manifestazioni di dissenso…in 1^ 2^ galleria .

    Ecco il risultato hanno sfiancato anche gli appassionati
    ed il risultato è questo teatro sempre semi vuoto e quando è pieno sembra un set fotografico… a ciò si aggiunga la mediocrità
    generale delle produzioni dell’era Lissner i vari dudamel dispensati qua e là , la crisi economica ed ecco il risultato…

  2. Il divo si è esibito? bene come dice Donzelli è solo uno stormir di chiappe. Il teatro dovrebbe elargire gratuitamente una fotografia
    tascabile per i fan del divo onde consentire loro un ricordo, almeno visivo, possibilmente a torso nudo.
    Se Beethoven avesse immaginato che la sua opera veniva così conciata probabilmente emigrava in america o in australia, anche con un pedalò.

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