Ci scrive Francesco Borosini

FborosiniLa logica della comunicazione prevede che il contenuto di un messaggio sia redatto in funzione di chi lo riceve, pertanto, nel momento in cui il messaggio viene inviato a più destinatari, si deve ovviamente tenere conto che i medesimi possano darne differenti interpretazioni, perché in possesso di chiavi di lettura distinte. Ovviamente, il comunicatore esperto le prevede strategicamente per fare in modo che ognuno abbia il messaggio che si attende e per evitare che gli effetti positivi possano essere annegati da quelli negativi.
La recente diffusione del nuovo progetto barocco che vede la creazione di un rapporto duraturo tra la Scala e Cecilia Bartoli risente esattamente di questo aspetto, e sembra essere un approccio attentamente studiato – dal punto di vista della comunicazione e della progettazione – per spaccare il pubblico e creare sensazioni diverse.
Analizzando la questione, mi vengono in mente diversi pubblici. Il primo elemento da considerare è che la Bartoli e’ un brand costruito in anni di lavoro e di investimenti e con grande attenzione, caratterizzato – tra le altre cose – da un approccio controtendenza che ha sfruttato i canali discografici per guadagnare una presenza nei “nomi noti” agli ascoltatori: dico “controtendenza” perché la consacrazione di un cantante d’opera avviene per definizione (e in particolare in Italia) tramite i teatri, Scala in primis (con cui la Bartoli non ha mai avuto un buon rapporto, si veda il concerto fischiato nel 2012 e quello cancellato nel 2016). Questo pero’ le ha portato tutta una serie di fan, che probabilmente non frequentano i teatri d’opera se non in occasioni specifiche, e che sicuramente sono interessati a comprare un biglietto per andare a sentire una sua produzione (complice una delle basi del marketing, il principio di “scarsità”: chi percepisce una risorsa come scarsa, la ritiene preziosa.). Per un pubblico del genere, quindi, il fatto di sapere di poter sentire la Bartoli in teatro a Milano una volta all’anno per i prossimi tre anni ha una notevole attrattiva. Considerando i numeri di vendita dei CD della Bartoli, il numero non e’ piccolo.
Dopodiché, c’è anche il pubblico dell’opera barocca sugli strumenti originali. Già qui, il discorso prende proporzioni inferiori, ma si porta dietro un’informazione “incorporata”, e cioè che la Bartoli ha sempre lavorato con interpreti barocchi di primo livello (Antonini e Fasolis, giusto per citarne due): pertanto, la reazione conseguente e’ la speranza di avere produzioni barocche con interpreti di questo livello. A questo punto, anche un pubblico non fan della Bartoli saprebbe che potrebbe “sopportarla” per un bene maggiore, ovverosia quella di sentire finalmente a Milano produzioni dirette da queste persone.
Terza categoria: il pubblico di Haendel. Un gruppo non piccolo, che racconta ai nipoti del Serse del 62 e dell’Ariodante dell’81 alla piccola Scala: quando ci fu il Rinaldo nel 2005 stapparono lo champagne. Questo pubblico pero’ ha tenuto le antenne ritte e ha notato che di haendel magari non ce n’e’ stato uno all’anno, ma nei tempi recenti abbiamo avuto quantomeno un Rinaldo ripreso nel 2012, un trionfo del tempo e del disinganno e un Tamerlano (tre titoli in sei anni). Un pubblico del genere legge la notizia semplicemente notando che aumenta il ritmo delle produzioni scaligere haendeliane (tre titoli nei prossimi anni): ma in questo caso, la Scala non e’ la terra promessa di veterotestamentaria memoria, e lo spettatore haendeliano ha potuto beneficiare di un Rinaldo in forma di concerto in verdi barocca, di un Serse al Litta, di un’Alcina sul lago maggiore, di un Ariodante alla Paolo Grassi, oltre a un numero imprecisato di Messiah, Risurrezioni, Israele in Egitto. Quindi per questo pubblico stiamo semplicemente parlando di un’intensificazione di un calendario già esistente.
Infine, ci sono i pubblici piu’ “semplici”: quello della musica barocca, che – almeno dopo aver letto l’articolo del Washington post secondo cui questa progettualità sarebbe mirata a “valorizzare il barocco italiano”, – ha dovuto curarsi i capelli verdi: valorizzare il barocco italiano tramite tre titoli di un compositore tedesco, di cui uno in inglese? Ancora ad aver scelto un’Agrippina, un Rodrigo, una Risurrezione o un Aci… Aggiungiamoci che parliamo di un teatro che non ha idea di chi siano Vivaldi, Porpora, Caldara, Traetta. Tuttavia, degli appartenenti a questa categoria, magari qualcuno si turerà il naso e andrà.
Ovviamente tra i destinatari del messaggio ci sono anche i melomani, gli abbonati, ovverosia il pubblico della Scala, quello vero: ma siamo sicuri che una volta considerate tutte le categorie precedenti la loro opinione conti ancora?
E qui si rivela la magia: la loro opinione conta, eccome. Conta perche’ se tutti i melomani ne parleranno male, ci sara’ una bella folla di persone che ci andranno proprio per questo motivo. Per lo stesso motivo per cui i personaggi messi all’indice dagli ascoltatori di musica classica (da Lang Lang a Giovanni Allevi, da David Garrett a Yuja Wang) attraggono un enorme pubblico proprio quasi per ripicca, quasi come dire “se fa schifo ai vecchi barbogi, motivo in più per andarci”. E’ una tattica che funziona sin dai tempi della nascita della pop music: se la mamma dice di abbassare la musica, io la ascolto ancora di più.
Io non voglio dire che la ragione sta da una parte, o dall’altra, ma vorrei semplicemente contestualizzare la cosa facendo notare che siamo davanti all’ennesimo espediente gia’ visto e rivisto: il riciclo di pubblico a scopi monetari. Vi faccio un esempio: nel principale teatro di prosa milanese per due anni e’ andato in scena un spettacolo di e con Roberto Saviano. Ora, Roberto Saviano non e’ un attore, non sa recitare, non conosce i tempi teatrali. Tecnicamente parlando, e’ nel posto sbagliato. Tuttavia il teatro e’ sold out, ma ovviamente non di gente che va a teatro (o meglio, in quel tipo di teatro). E stiamo parlando di gente che di certo non comincerà ad andare a teatro (a vedere, che so, Herlitzka o la Falck). Non si aggiunge e non si toglie (salvo l’ovvio ritorno dei fan del personaggio che andranno ancora più agguerriti dal moto di rivolta che gli “esperti” avranno rivolto contro il loro beniamino), ma il teatro stacca biglietti.
E qui casca l’asino: ognuno ha diritto ai suoi peccatucci privati. Il grande critico cinematografico che magari una sera si guarda Banfi e la Fenech, o l’instancabile avvocato dell’avanguardia post Darmstadt che ama ascoltare Peppino di Capri mentre guida. Ma qui non stiamo parlando di privati, ma di strutture finanziate a fior di soldi pubblici erogati, sottolineiamolo, non alla voce “spettacolo” ma alla voce “cultura” (che, ricordiamolo, implica la formazione di un pubblico, non il mero sbigliettamento). Quindi, in questo momento, tutte le logiche volte a fornire un diletto all’una o all’altra categoria (pagante) vanno a farsi benedire, altrimenti (e ce ne sarebbe tanto bisogno) tanto vale tornare alla logica degli impresari pre 1918.
Ma chiunque viva a Milano sa che la cultura la trova altrove.
PS: non venitemi a dire che mettere Semele o Ariodante in scena serve a farli conoscere a un pubblico che non li ha potuti ascoltare finora. Non siamo nel 1920. Se qualcuno non ha mai ascoltato l’Alcina o l’Agrippina, prima di sacrificare tre preziosissime ore del suo tempo, se la ascolta comodamente dal suo salotto. Anche se, se non l’ha fatto sinora, probabilmente non gliene frega nulla.

Francesco Borosini

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16 pensieri su “Ci scrive Francesco Borosini

  1. Fin quando c’è chi paga per sentire la Bartoli nessuno se la fa sfuggire. La scala non é da meno perché c’è bisogno di personaggi che attraggono persone é quindi euro. Bartoli Antonini é un duo problematico perché la prima soffia il secondo spernacchia almeno in certo repertorio. Che dire? Io per questo ci rinuncio però la voglio sentire dal vivo perché chissà magari con Norma gli si é ingrossata la voce.

  2. Guardi Donzelli, il suo ragionamento fila, non foss’altro perché fotografa impietosamente e lucidamente la realtà. Non condivido le sue conclusioni: c è bisogno di far cassa, probabilmente, aprendo anche a quella fetta di pubblico che ama la bartoli e che di tutta la stagione andrà a vedersi solo lo spettacolo di handel. E, attenzione, non ci andrà come lei dice per handel, bensì per ascoltare dal vivo la propria beniamina. E lo farebbe anche se questa cantante si esibisse in un ‘opera di puccini o di mascagni. La scala dovrebbe rinunciare a certo pubblico? Può darsi, ma tant’è. Quello che secondo me è veramente scandaloso è il fatto che a certo pubblico non si sia dedicato un solo titolo, ma larga parte della stagione. Una stagione davvero priva di qualità, di ricerca. Sembra quasi, dunque, si voglia sostituire del tutto, o quasi ,il pubblico degli appassionati con quello di turisti e gente che è lì”per caso”. Questo fa più arrabbiare. Se la bartoli fosse stata una eccezione all interno della stagione, forse non ci sarebbe stato bisogno di puntualizzare. Saluti

    • Veramente una stagione per turisti ed avventori casuali è stata allestita a Torino, con tutto il più vieto repertorio da provincia e strapaese… Io non capisco davvero perché mai non si debba fare un titolo barocco o due alla Scala…ma poi, scusa, che stagione hai visto? La Bartoli E’ un’eccezione all’interno della stagione: fanno 4 opere di Verdi, 2 di Strauss, Rossini, Puccini, Donizetti e Mozart, in più Korngold (con un titolo popolarissimo). L’opera barocca è una. Solo una. Ma di che state parlando???? Mi riferisco anche A Francesco Borosini.

      • Non hai proprio capito il mio intervento. Io sto dicendo esattamente quello che dici tu: la stagione di mimano mi sembra nazionale popolare e strapaesana, a parte due o tre titoli. Il punto non è Hansel – ben venga, io lo amo molto- ma la Bartolo. Io dico solo che se in una stagione ricercata un solo titolo fosse stato sacrificato a una certa fetta di pubblico…nulla quaestio. Il problema è che a tale pubblico strapaesano è stata dedicata l intera stagione, di cui la Bartolo è uno dei capitoli. Quanto a Torino, non vedo cosa c entri….per me le uniche stagioni decenti le hanno fatte santa Cecilia e il san Carlo ( rispetto alle ultime sono almeno migliorati). Non ho visto Palermo, che di solito non è male.
        Saluti

      • Caro Duprez
        io sono tra i felici di vedere un’opera barocca, e anche di vederla probabilmente diretta da Antonini.
        Detto questo: la mia analisi è soprattutto sul fatto che i mugugni dei melomani siano stati giustamente accolti con un ottimo “e sticazzi?” dalla scala, perchè questi titoli non sono rivolti a loro. In secondo luogo, fare una supercomunicazione incensandosi ed ergendosi a paladini della difesa del barocco italiano con tre titoli haendeliani londinesi di cui due sono riprese sinceramente mi sembra solo una bella bolla di marketing. Se volete farlo davvero, visto che la Bartoli il coraggo di farlo lo ha, mettete in cartellone subito uno Steffani o un Vivaldi, per dire. Come dicevo, nel caso specifico, la notizia è che, bartoli o non bartoli, da un haendel ogni due anni passiamo a un haendel ogni anno. Non passatemelo per rivoluzione, per favore
        A presto,
        FB

        • Su questo sono assolutamente d’accordo: peraltro gusterò con molto più piacere la Semele con i complessi di Gardiner del 2019 che quella della Bartoli prevista per la stagione successiva. Un progetto “barocco” andrebbe garantito ogni anno: certo Giulio Cesare è titolo non certo nuovo, ma almeno è Handel che pareva l’illustre scomparso delle stagioni scaligere. A mio gusto – ma non conto – una sola aria di Handel vale come tutto Vivaldi, Steffani e compagnia briscola…ma sono gusti personali ovviamente. Io mi auguro che un progetto barocco venga mantenuto anche a prescindere dalla Bartoli. I “melomani” (ma poi chi sono i melomani?) hanno tanti altri titoli fatti per loro. Francamente sentirò la mancanza di Wagner, che pare bandito dalle stagioni italiche del prossimo anno…bah

        • Caro Borosini, concordo in pieno soprattutto su Steffani: se la Bartoli ha coraggio, lanci la disfida sulla Lotta d’Ercole con Acheloo (cioe’, con me medesmo…), se ha proprio il coraggio!

          PS Duprez non apprezzera’, bonta’ sua, lui e’ un handeliano integralista: e’ convinto che una qualsiasi aria di Haendel superi tutto Vivaldi, nonostante siano ben documentati plagi di Haendel nei confronti di Vivaldi, e mai il viceversa…

          • Non so che dirti Acheloo: non sono integralista, semplicemente mi piace molto più l’opera di Handel che quella di Vivaldi…non mi pare un crimine. Lasciamo perdere la questione “plagi” che non si pone neppure (nel senso che all’epoca vi era molta più fluidità), lasciamola ad autori di complottismo mozartiano. Stefano invece non mi entusiasma affatto. Un compositore che invece non mi stancherei mai di ascoltare è il grandissimo Telemann

    • Caro Franz,
      rispondo direttamente io visto che l’ottimo Donzelli, come specifica nel titolo, ospita un mio intervento.
      Forse non mi sono espresso in modo chiaro, ma le conclusioni chiudono quanto enunciato a inizio articolo, ovverosia che con questo progetto, per una categoria scontentata (abbonati e/o melomani) ce ne sono tre “nuove” catturate, e quindi che il progetto è sicuramente ottimo per sbigliettare.
      Quello che non mi piace del progetto
      a. i tre titoli scelti non vanno nella categoria “promuoviamo il barocco italiano” (come ha riportato il Washington Post tra le intenzioni di questa collaborazione)
      b. stiamo parlando di un teatro che viene finanziato pubblicamente per scopi culturali. Mi pare che invece qui siamo al puro trattenimento e alla caccia al biglietto in più. Le due cose sono ben diverse, non basta far musica per far cultura.
      Quindi direi che siamo perfettamente d’accordo
      Un cordiale saluto,
      Francesco Borosini

      • Certo. Siamo perfettamente d accordo. Purtroppo manca la giusta punteggiatura nel mio primo intervento e può sembrare il contrario.
        L unica cosa che voglio ribadire è che, se la bartoli fosse stata l eccezione, forse la si sarebbe digerita meglio nella architettura dell intera stagione. Invece, a me sembra se ne sia fatta la punta di diamante di un intero cartellone sballato, per scelta di titoli ed interpreti. E ridurre la scala a un teatro a uso e consumo del pubblico turistico e occasionale, piazzando per giunta una showgirl in un titolo di handel solo per fare cassa, per me è indecente. Ripartano piuttosto da una programmazione seria, riducano gli sprechi, inizino a scritturare interpreti seri, che ancora esistono, riducano i costi dei biglietti e non avranno più bisogno di queste operazioni di marketing. Accaparrarsi fette di pubblico nuove, scontentando i veri appassionati, mi pare imbecille e fallimentare. Si ritroveranno con un pugno di mosche in mano, perché i fans di questo o quel fenomeno non fanno l abbonamento alla stagione, al massimo vanno a vedere uno o due titoli balletto di bolle compreso. Comunque queste sono mie riflessioni supplementari, resto in linea con il suo articolo, che frettolosamente avevo attribuito alla penna di donzelli.
        Saluti

        • Continuo a non capire il tuo discorso però. I titoli – salvo l’assenza di Wagner – mi sembrano il minore dei problemi. Non capisco perché parli di eccezione per la Bartoli…eccezione da cosa? Che titoli avresti preferito?

          • Guarda Duprez, non contano troppo i titoli che io avrei preferito. Però, mia opinione, è fuori luogo l ennesimo Rigoletto, traviata, elisir d amore. Altri titoli, di per sé validi, sono stati scempiati da cast in larga parte inadeguati o assenti ( Attila, Manon lescaut, idomeneo, masnadieri). Continuano poi a latitare i grandi nomi, da calleja alla garanca alla netrebko a pale. Non so, mi sembra una stagione fatta per chi alla scala ci va da turista, tanto per dire di esserci stato. Parigi o new York, che pure hanno teatri molto turistici, mi pare tengano meglio in alto il nome del blasone, a milano mi sembra che il blasone si usi per mascherare molte “malefatte”. Oltretutto, la scala ha un bilancio da oltre cento milioni, forse addirittura centoventi. Ti sembra una stagione da tali cifre? Come si dice a Roma, ndo stanno li sordi?

  3. Purtroppo é la realtà i teatri per vivere hanno bisogno di soldi e i soldi anche se tutti sanno che i soli proventi dei biglietti non bastano più ne guadagnano e meglio é. Personalmente italiane o no saluto con piacere le opere di Handel le trovo sempre fresche e mai banali e mi permetto di dire che non ha niente di meno di Bach in quanto a genio compositivo. Quello che manca non sono i titoli o i compositori ma i cantanti e sono sicuro che degli interpreti più consoni darebbero sicuramente lustro a questa stagione. Per quanto riguarda Wagner, io trovo normale che i teatri italiani diano più spazio al repertorio nostrano con un giusto occhio di riguardo a quello d’oltralpe. Anche perché opere di Wagner non mi sembra manchino da tempo immemore.

  4. Io, sinceramente, non vedo l’ora di ascoltare, in tutta la sua bellezza, il vellutato timbro di Cecilia… Sarà meravigliosa nel suo personaggio. Il suo caldo fraseggio, il suo nobile portamento, l’eleganza del legato e la sua misurata recitazione, scuoteranno finalmente dalla polvere gli antichi drappi e i dorati decori della Scala… il resto della stagione? La affiderei interamente a lei! Porterà soldi e felicità, i mariti torneranno dalle loro mogli, le guerre finiranno, i peccatori si pentiranno e convertiranno e nell’aere risuoneranno le notte melodiose di Handel, diretto da un buona consolle barocca…volevo dire ensemble… Finalmente la Sennhaiser potrà utilizzare al massimo la potenza dei
    suoi microfonii e la spesa fatta, e fino ad ora usata -quasi- di nascosto, potrà essere rivelata! Prevedo un futuro roseo per il teatro degli Italiani… Fagioli, Kermes al Regio e Jarrouskj al San Carlo…. Belle regie tedesche piene di trovate registiche geniali e a costo zero. Prevedo il ritorno di Michieletto con le sue conturbanti opere… Ma noi, cosa abbiamo fatto per meritarci cotanto benessere…vedo già lo spread scendere e i titoli di Stato volare come la Bartoli sul missile…
    PS se volete il numero del mio spacciatore ve lo scrivo in privato.

      • Oh grazie!!! I meravigliosi critici che la paragoneranno a un redivivo Farinelli in gonnella… I microfoni saranno sparsi ovunque al posto dei fiori e verranno gettati dai critici stessi sul palco a fine recita per essere autografati… Vedo già i tecnici del suono fregarsi le mani… Dal libro Delle profezie di Cecilia
        Versetto XII “L’ELETTA uscirà sorridendo dalle quinte per ricevere i meritati applausi e il suo sorriso scomposto illuminerà la sala…il pubblico inneggerà al miracolo, Maometto sarà un ricordo, Gesù verrà ricordato esclusivamente come un bravo illusionista, Buddha come un uomo sovrappeso che parlava a vanvera tra una meditazione e l’altra… Anche gli scettici crederanno, saranno giorni di giubilo. Tutti si convertiranno al Cecilianesimo… Chiunque la critichi verrà confinato e chiunque la giudichi verrà zittito da un suo potente acuto microfonato. Così parla il profeta… I giorni di Giubilo baroccaro sono iniziati… Amen”

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