Alcune riflessioni intorno al Guglielmo Tell ASLICO

Guglielmo_Tell Confesso che all’esito del Guglielmo Tell che ha inaugurato iersera la stagione lirica cremonese, ero in animo di scrivere una recensione piccata, evidenziando le molte – troppe – carenze dello spettacolo, decretando il sostanziale e oggettivo fallimento dell’operazione. Poi, come spesso accade, la delusione iniziale lascia spazio a riflessioni più meditate e ora mi sembra inutile ed inopportuno infierire su una produzione che già sulla carta (anzi, ancor prima di essere messa per iscritto) partiva zoppa. E quindi non mi soffermerò a parlare del cast vocale e delle ovvie difficoltà, equamente distribuite tra tutti, nell’affrontare una scrittura non solo difficilissima dal punto di vista vocale, ma soprattutto interpretativo. Neppure è il caso di infierire su di un’orchestra che oggettivamente non può permettersi di eseguire la partitura del Tell rendendo giustizia a quella scrittura intrisa di suggestioni preromantiche, dove la meraviglia della natura è onnipresente forse anche aldilà delle intenzioni dello stesso Rossini. E non è neppure giusto prendersela con un direttore che fa quel che è nelle sue capacità scegliendo l’unica via possibile per arrivare alla fine (ossia tempi svelti, poca rifinitura, sonorità spinte e quarantottesche…col rischio – spesso certezza – di assomigliare ad una banda). C’era tuttavia almeno l’impegno e lo sforzo: e questo lo si deve considerare una attenuante. Ovviamente la “condanna” resta – per usare termini processualpenalistici – ma con la sospensione condizionale della pena. Nessun beneficio di legge, invece, può essere concesso ad altri due aspetti: e qui vengono le riflessioni.
Le carenze tecniche, orchestrali e vocali, infatti, possono avere scusanti e giustificazioni, ma nulla – davvero nulla – autorizza a trasformare un’opera come Guglielmo Tell (che ha un suo intrinseco valore tragico ed epico, che affronta temi “alti” quali la libertà, l’affrancazione di un popolo dal giogo straniero, l’amore) in una farsa o in una burla: e quindi ambientarne la vicenda in una casuccia borghese ottocentesca in cui l’intera storia non è altro che frutto dell’immaginazione di un “Giamburrasca” Jemmy – vestito alla marinara – che legge un libro di favole materializzando (tra orsacchiotti viventi, barchette di carta, montagne fatte coi tappeti della cameretta e le seggiole accatastate, gesti da monello, pernacchie e smorfie) la storia dell’eroe svizzero, non solo è stupido, ma pure offensivo. Tutto infatti accade tra le mura domestiche, senza nessun riferimento alla natura – peraltro in ciò coerentemente a quanto proveniva dalla buca – con i personaggi vestiti in modo tradizionale che entravano ed uscivano da un caminetto e da un armadio, la tempesta che altro non era che il lampadario della stanza che si accendeva e spegneva, qualche giocattolo a forma di albero ed un Jemmy presente sul palco per tutto il tempo – davvero fastidiosissimo – che con mosse idiote interagiva con tutti i personaggi. Non mi sono trattenuto in sala dopo il finale e quindi non ho assistito alle uscite, ma mi sarebbe piaciuto che i responsabili della parte visiva fossero stati accolti da una selva di fischi e improperi (meritatissimi). L’altra riflessione, invece, è di carattere più generale e riguarda l’opportunità stessa di eseguire un’opera come Guglielmo Tell in un teatro di provincia come quello cremonese. Ha senso? Direi proprio di no. Il Tell – piaccia o meno – è un grand-opera e ha bisogno, per essere compreso, di uno spazio adeguato (in termini fisici e temporali). E’ un’opera grandiosa e costruita su un passo lento che ha necessità di mantenere intatte le sue proporzioni: non ha senso – neppure con il pretesto di riprendere la pseudo edizione di Lucca 1831 (a cui Rossini mai collaborò né autorizzò) – fare il Tell e ridurlo ad un moncherino per contenerlo in 3 ore e 20 (compresi intervalli) per non turbare le placide abitudini dei cremonesi che a teatro ci vanno alle 20.30 e guai andarci prima! E dunque iersera si è sentita più che altro un’ampia selezione con tutte le conseguenze del caso in termini di incoerenze drammaturgiche e musicali: via tutti – ma proprio TUTTI – i da capo (tranne la cabaletta di Arnoldo pur molto alleggerita); completamente tagliati i ballabili, con annessi & connessi, di I e III atto; largamente sforbiciati i recitativi; il Finale II perde TUTTA la parte dell’arrivo dei delegati dei cantoni così passando direttamente dal terzetto al giuramento; atto III sostanzialmente dimezzato (resta solo la seconda scena – quella di Gessler – abbondantemente ridotta tanto da durare in tutto una ventina scarsa di minuti); l’atto IV perde solo i recitativi tra i numeri musicali (così da non far capire un tubo dello sviluppo della vicenda), ma mantiene terzetto e preghiera. Perché tutto questo? Perché sacrificare così tanto? Non lo prescrive il medico ai piccoli teatri di eseguire il Tell. Io penso – sono sicuro – che certi lavori siano adatti solo a certi teatri che possono permettersi certi titoli: che senso ha eseguire un Guglielmo Tell così? Con un’orchestra inadeguata e scarna, un cast impossibilitato ad affrontare quei ruoli e martoriato da tagli. Parsifal, Semiramide, Don Carlo, Meistersinger, Boris Godunov, Ugonotti…non si possono e non si devono fare dappertutto. Così Guglielmo Tell. Un passo più lungo della gamba. Un vorrei, ma non posso malinconico ed ingenuo che poteva essere evitato. Certo poi resta la musica di Rossini e quel finale che – anche se eseguito male e con la pacchianata del coro in platea – fa sempre venire la pelle d’oca: purtroppo non basta, però, a salvare la serata.

Ascolti:

– Sinfonia (Herbert von Karajan):

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“Selva opaca” (Maria Callas):

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“Resta immobile” (Giuseppe Taddei):

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“O muto asil del pianto” (Luciano Pavarotti):

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– Finale (Riccardo Muti):

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22 pensieri su “Alcune riflessioni intorno al Guglielmo Tell ASLICO

  1. Certo che, se vi sono stati tagli simili, è stato peggio che nelle edizioni tagliatissime dei “famigerati” anni ’50. Il taglio dellla prima scena del 3° atto era prassi, ma, se ben ricordo l’edizione di Rossi con Taddei e Filippeschi (dovrei andarmi a rinfrescare l’udito e la memoria, ma ora non ho tempo, sono intento a sentire in TV I Puritani con Merritt, finalmente qualcosa di decente dopo tanti orrori!), l’arrivo dei rappresentanti dei 3 cantoni c’era e così pure qualche brano dei ballabili (forse non eseguiti a Como prima e Cremona poi in carenza di danzatori o perchè non ci stavano nella cameretta di Jemmy). A Torino, alcuni anni fa. c’erano stati dei piccoli tagli, ma veramente piccoli, tanto per snellire un poco l’opera e farla durare meno di 4 ore di musica (senza contare gli intervalli) e fare stancare meno i cantanti. Credo che anche a Lione, nell’edizione andata in scena ieri, fossero stati fatti dei tagli, perchè – a leggere quanto si vede sul sito del teatro – l’opera durerebbe 3 ore e 50 minuti con un intervallo di 35 minuti, il che porta ad una durata di 3 ore e 25 minuti. E poiché il Tell integrale dura circa 4 ore, è evidente che a Lione sono stati fatti dei tagli. Incidentalmente: mi è stato riferito che i soldati di Gessler erano vestiti come i Drughi di “Arancia meccanica”, con tanto di sospensori sui calzoni bianchi…. Ovviamente il regista è tedesco.

  2. Condivido le osservazioni sulla messa in scena, che dovrebbe rispettare l’afflato epico del titolo.
    Il problema è che spettacoli del genere vengono proposti anche, se non soprattutto, dai grandi teatri o dalle grandi (?) istituzioni tipo Rossini Opera Festival: la Semiramide di quest’estate non aveva nulla della cupa tragedia altisonante di ispirazione classica.
    A quanto vedo, quest’anno vanno di moda le elucubrazioni legate al mondo dell’infanzia: orsacchiotti, lettini Ikea e scarabocchi infantili a Pasaro, il Tell ridotto a sogno puerile a Cremona. Cosa ci aspetta ancora?
    Per concludere: lo spettacolo di Cremona era forse semplicemente la caricatura di spettacoli non dissimili allestiti con più mezzi su palcoscenici maggiori.

  3. A proposito del Guglielmo Tell di Lione ( 5 ottobre ): ha avuto una durata di 3 ore e 36 minuti circa, esecuzione dunque incompleta, in particolare mancava l’aria di Jemmy presente invece a Pesaro. Del resto l’opera non venne eseguita nella sua interezza nemmeno ai tempi della prima parigina del ‘29. Trovo che Tobias Kratzer, il cui geniale Tannhauser di Bayreuth è stato a mio parere tra le cose più notevoli degli ultimi anni, in questo Tell abbia ampiamente deluso, proponendo una regia piuttosto convenzionale e priva di vere intuizioni : le uniche idee, peraltro senza reale sviluppo, sono state quelle di trasformare Gesler e i suoi nella banda dei Drughi kubrikiani di Arancia Meccanica, il popolo svizzero in una sorta di associazione filarmonica ( direttore Melchtal senior ) , Tell Jemmy e Hedwige in una famigliola piccolo-borghese il cui orizzonte esistenziale sarebbe quello di consumare tranquilli pasti nella quiete domestica. Nel programma di sala Kratzer viene definito “adepte du choc estethique”. Proprio quello che è però venuto a mancare e che io, francamente, mi aspettavo.

    • L’aria di Jemmy però fu tagliata da Rossini durante le prove e non è praticamente mai più stata eseguita. E’ cosa ben diversa che ridurre l’opera a 2 ore e 50 di musica…significata tagliarne almeno un’ora

      • Naturalmente tagli di quelle proporzioni costituiscono una manomissione ormai inaccettabile: l’opera non è poi conosciutissima e il pubblico purtroppo lascia correre. Anche a Lione sono stati abbondantemente tagliati da capo e riprese, forse per rendere i ruoli più accessibili agli interpreti. L’aria di Jemmy è stata eseguita a Pesaro sia nel 1995 che nel 2013.

        • Anche secondo me è inaccettabile. Sì l’aria di Jemmy la eseguirono Pesaro anche nel ’95 (una bellissima edizione devo dire), però è tutto sommato un taglio accettabile. Eliminare l’ingresso dei congiurati decisamente no. Pappano a Roma tagliò parecchio (salvo poi recuperare qualche brano e registrarlo per l’incisione), e pure a Londra non fu moderato, ma nemmeno negli anni ’50 si perdeva il senso di grandiosità del Tell. Certo la messinscena neppure aiutava in questo caso e vista la scarsa qualità generale ad un certo punto ho avuto fretta che finisse tutto.

          • E’ bellissimo anche l’ingresso dei 3 gruppi di congiurati. E’ favolosa l’aria di Matilde.

  4. Sono davvero molto contento, di non averlo visto e faro’ qualsiasi sforzo pur di non vederlo. A proposito di tagli: perché Pappano ha tagliato terzetto e preghiera del 4 Atto ? Non glielo perdonero’ mai. Ho comunque da molto tempo deciso di portarmi in esilio il cd con il 4 atto, nel caso in cui mi consentissero di portarmi un solo cd. Per la cronaca: il Finale non e’ sublime, e’ molto di piu’.

  5. Io sinceramente avrei evitato anche di recensire un simile spettacolo lo dico senza polemica, ma alla fine che cosa ci si poteva aspettare? Per il resto quest’opera è difficile da allestire prima di tutto per una questione economica e poi chiaramente gli interpreti, quindi nessuna sorpresa. Io non ho assistito però ecco non avrei mai speso un euro per andare. Però alla fine ogni tanto è bello non andare nei soliti teatri e fare un giro.

    • diciamo che la recensione ha senso non per la qualità (si desume piuttosto bassa) dello spettacolo, ma per puntualizzare un fenomeno ovvero le scelte inutili e velleitarie di chi gestisce i teatri. Chi avesse il tempo e la voglia di scorrere la cronologie dei teatri non per spirito di erudizione, ma per riflettere sul fenomeno opera e rappresentazioni operistiche apprenderebbe che titoli come Guglielmo Tell e aggiungo qualsivoglia grand-opera erano riservati ai grandi teatrio e non solo per gli spazi, ma per le masse orchestrali e corali di cui queste strutture disponevano. E ciò a prescindere dal numero di prime parti, dalla necessità di una buona bacchetta o dal compenso che un Arnold poteva richiedere perchè i grandi Arnoldo si chiamassero Tamberlick, Tamagno, Gillion, Dcampini cantavano come tutti i colleghi in provincia,ma i titoli che il teatro di provincia consentisse di eseguire.
      Per altro l’esempio stigmatizzato da Duprez è uno dei tanti episodi di ignoranza e velleità che connotano i responsabili dei teatri odierni. I Fischi sistematici al don Giovanni romano sono eloquenti in tal senso. Non voglio fare il profeta di sventure, ma la nomina di Lissner a Napoli (su cui sarebbe opportuno riflettere ampiamente) si inquadra in questo medesimo fenomeno di fare scelte che il teatro non è in grado di sostenere ed inadeguate al tempo ed al luogo in cui proposte

      • é interessante perché oggi anche io facevo una riflessione su lissner, ma alla fine questi episodi come quello cremonese sono la diretta conseguenza che i grandi nomi hanno perso autorevolezza e quindi tutti si sentono in diritto di strafare. Sarebbe interessante scrivere un articolo perché questo si darebbe una descrizione chiara del fenomeno, inutile prendersela con i pesci piccoli perché quelli è ovvio che guardano con invidia a quelli grandi. Adesso i grandi dormono..

  6. Certamente non potevo aspettarmi chissà che cosa, ma il teatro cremonese – parlo degli spettacoli ASLICO – ha sempre mostrato serietà e consapevolezza. Intendiamoci non discuto gli sforzi, ma ci sono, talvolta, circostanze tali per cui anche lo sforzo più che encomiabile non è sufficiente. L’anno scorso hanno eseguito Il Viaggio a Reims: non cantavano certo la Cuberli, Merritt, la Terrani, Ramey, Raimondi etc…tuttavia lo spettacolo era decisamente più riuscito (come ho scritto in quell’occasione). E non che Il viaggio a Reims sia titolo “facile”, ma perché anche con cast volenterosi e pur non eccellenti, non perde il suo carattere e alla fine si apprezza l’entusiasmo ed il risultato d’insieme. Il Tell no: il Tell ha bisogno di spazio (temporale, interpretativo, strutturale). Per assurdo, anche se ci fosse stato un Arnold strepitoso o una Matilde perfetta il risultato sarebbe cambiato poco perché comunque il Tell deve mantenere una dimensione che l’orchestra ed il coro sentiti al Ponchielli (al netto della bacchetta non entusiasmante) non possono dare e garantire.
    Alla fine resta sempre la sensazione di spettacolo zoppo e raffazzonato.
    La questione Lissner è diversa: io non sono così negativo sulla sua dirigenza scaligera – il filmato che circola ancora sulla non conoscenza dell’incipit di alcuni titoli, non significa nulla e non dimostra nulla – ha segnato ben più di Pereira una certa identità con spettacoli riusciti e non riusciti. All’epoca non era una scelta sbagliata: per molti versi ha deluso, per altri gli rendo il merito di splendide serate (Elektra e Tristan su tutte). Poi ci sono altri discorsi da fare, non tanto per allora, ma adesso. Lissner al San Carlo è come il Tell a Cremona: non ci sta. Il teatro napoletano non è più quello dell’800 e non può garantire programmazione e fondi tali ad una dirigenza che ha disposto di ben altre e ben più sostanziose risorse. Io credo che neppure abbiano ben spiegato a Lissner che cosa andava a fare… E’ sempre più evidente che Lissner a Napoli, come Pereira a Firenze o Schwarz a Torino siano operazioni d’immagine fatte dai sindaci delle diverse città per ansia di protagonismo (Nardella e De Magistris) o per rimediare a figuracce assortite (Appendino). Poi si tratta di figure diversissime tra loro e credo che a Torino il nuovo sovrintendente, se l’incompetenza pentastellata lascerà fare, non potrà che migliorare la situazione del Regio letteralmente distrutto qualitativamente dal grillismo militante. Ho più dubbi – anzi purtroppo non ne ho alcuno – su Pereira. E su Lissner non saprei che dire: di certo è che l’attuale dirigenza stava facendo bene a Napoli (con tutti i problemi esistenti) e un cambio così radicale fa ricominciare da capo…e per questo il bravissimo Valchua ha già annunciato che si limiterà a rispettare i termini del contratto, ma di non voler proseguire la collaborazione con una diversa dirigenza. Certo che – aldilà del valore delle persone – l’eterofillia di certi sindaci è più provinciale del campanilismo più paesano.

    • Anche secondo me dovevano lasciare la vecchia dirigenza a Napoli perché anche con poco cercava di dare varietà e diversità alla programmazione, sopratutto quella relativa alla sinfonica e alla sezione delle opere dimenticate della scuola napoletana. Poi si può discutere sui risultati ma l’idea di base di governance c’era. Lissner come hai detto cancellerà tutto dando incertezza e rimescolando tutto. Il tempo dirà..

    • Ecco: a proposito di Regio: a 6 giorni dalla 1^ di Tosca, titolo molto noto, credo, la situazione di vendita dei biglietti e’ spaventosa: in realta’ no, e’ peggio. Andro’ alla recita del 29, col 2^ cast, e fino a poco tempo fa era prevista Carmen Giannattasio, cosa che non mi aveva fatto piangere di gioia, ma ora vedo che c’e’ un cambiamento, agghiacciante: Davinia Rodriguez, e speriamo in una variazione epocale rispetto alla Nedda che io ricordo, altrimenti invochero’ l’emanazione di un Decreto Legge che Le vieti di mettere piede su un palcoscenico.

  7. condivido al 99% la tua recensione del Tell
    Nessuno si aspettava chissà cosa tenendo conto della qualità dell orchestra e le voci in’campo’
    che non mi sono sembrate inascoltabili …anzi visto dove eravamo… semmai l orchestra era lungi anni luce dal dare anche una qualche idea
    mancava di qualunque afflato ‘rossiniano’
    però ….non ci si fa mai mancare nulla;
    lo spettacolo l ho trovato improponibile un altro
    stravolgimento a 360 gradi
    Jemmy’s story più che Guglielmo Tell !
    Insopportabile l ‘overture eseguita a sipario aperto col
    prologo e rumori di fondo quindi, dove il regista mette in scena la sua idea (appunto tutta sua); sarà originale
    saranno belli i costumi , le luci i movimenti scenici ma
    il risultato mi è sembrato claustrofobico, l esatto contrario di quello che dovrebbe essere il Guglielmo Tell che io lo immagino ‘aperto’ con la natura che fa da sfondo , non al contrario con le solite ‘follie’ psicotiche peraltro ampiamente viste e riviste.
    Peccato per i vigorosi tagli, compresi i ballabili…
    seppur comprensibili mi sono sembrati cospicui
    almeno i ballabili si potevano eseguire..nel caso a sipario chiuso…
    Vero anzi verissimo per questo repertorio servono ‘grandi orchestre’ con tanto di Direttore e possibilmente
    un regista non psicopatico alla Graham Vick (Tell Pesaro)
    ma uno normale alla Pizzi (Tell di Pesaro )
    Tant’è !! Ormai siamo abituati ad uscire da teatro con l amaro in bocca…
    Marco

  8. Per tutti i motivi di cui sopra riferiti da Duprez, pur abitando a due passi da Cremona, non appena mi sono accorto di che cosa il Ponchielli stesse allestendo (soprattutto scenograficamente), me ne sono guardato bene dall’andare a sentire (e vedere!) questo Tell. Ritengo impossibile che un teatro di provincia oggigiorno possa riuscire ad allestire un Tell degno di esserlo. Ma questo hanno deciso pure di “storpiarlo” in tutti i modi possibili musicalmente e appunto scenograficamente.

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