Il rimbombo mediatico ormai ha rintronato tutti e della Tosca “come Puccini la scrisse” e non come la rappresentò ne abbiamo già quello che a Milano si chiama “una sgionfa”, anche perché questo ennesimo gioco delle tre carte non promette la direzione di de Sabata, Claudia Muzio quale protagonista ed il Mario di Aureliano Pertile, serve, anzi proprio a distogliere dai vizi di partenza di questa proposizione inaugurale. E quindi non resta, a nostra sindacabile opinione, che il richiamo alla storia esecutiva ed interpretativa del capolavoro. Van dette due cose ossia che il titolo pucciniano letteralmente dilagò nei teatri di tutto il mondo. Dopo la prima romana del gennaio 1900 perché in quella stessa stagione fu rappresentata alla Scala ed al San Carlo e nella successiva stagione venne proposta al Met e l’anno di nascita coincise con le prime produzioni fonografiche e, quindi, la possibilità di documentare i primi esecutori dell’opera. Nel contempo è da segnalare come al florido elenco delle protagoniste manchi proprio Hericlea Darclee, che, dopo la prima romana, fu Tosca anche alla Scala. Il rapporto Darclee,che era in Italia all’epoca la più famosa cantante d’opera, e le registrazioni fu conflittuale come quello di altri divi primo fra tutti De Reszke ed il declinante Angelo Masini, che una volta riscoltatisi vietarono la pubblicazione delle proprie registrazioni. Esclusa la Darclée le protagoniste del primo decennio di Tosca, cui il Corriere ha dedicato a suo tempo una riflessione, sono tutte ben rappresentate a partire da Emma Carelli, che inventò, perfettamente in linea col genere noir del titolo pucciniano ed il proprio gusto e temperamento realistico, la messa in scena del finale secondo con tanto di crocifisso posto sul petto del defunto Scarpia.
Un genio del teatro e della teatralità liberty Emma Carelli ed anche un genio dell’interpretazione perché oltre alla scena con Scarpia una delle prime esecuzioni di “Vissi d’arte” di rilievo è proprio quella del soprano napoletano. E’ l’opposto della scena con Scarpia, infatti, il soprano napoletano, a parte qualche suono un poco aperto e marcato sulla lettera “a”, canta con gusto castigato e buone sfumature (vedi il “conobbi aiutai” dove la smorzatura sull’ultima parola giustifica, sotto il profilo espressivo, la presa di fiato) ed un tempo piuttosto lento e con parecchie libertà di tempi e di dinamica. Una di queste “libertà”, poi, sul “diedi fiori agli altari” che chiude la prima sezione dell’aria è una personale amplificazione della forcella indicata da Puccini. E lo stesso accade alla fine dell’aria quando la cantante centellina il conclusivo “così”. A memoria la sola Olivero (definita da Rodolfo Celletti “Carelli riveduta e corretta”) si prese, al proprio in occasione del debutto al Met nel 1975, una simile libertà musicale a fini espressivi, scatenando il delirio nel pubblico. Non solo in una cantante nota o meglio tacciata di non essere un modello di compostezza vocale e di tecnica è ammirevole la copertura del suono ed il sostegno della respirazione nelle frasi più cesellate ed ostiche. Modello di compostezza vocale, solidità tecnica, fraseggio espressivo era, invece per unanime giudizio, Solomea Kruscenisky, cui dobbiamo una registrazione del 1902.
Non sappiamo come eseguissero Tosca altre acclamate protagoniste del primo periodo verista quali Angelica Pandolfini o Rosina Storchio, con l’avvertenza che quest’ultima, forse conscia dei propri mezzi e del proprio temperamento, preferì cantare il ruolo in teatri meno importanti della Scala e del Costanzi o del Liceu.
Coeva alla Tosca espressiva, in positivo ed in negativo varata da Emma Carelli, la cantante romana immaginata da Sardou attrasse soprani dai mezzi sontuosi e dedite al repertorio “pesante”. Mi riferisco a Celestina Boninsegna, soprano verdiano per eccellenza e, per ripetermi, di complessione fisica importante o ingombrante poco adatta ad un personaggio nel quale il richiamo erotico è preponderante.
L’esecuzione di “Vissi d’arte” del soprano reggiano è esemplare per dizione, qualità del suono e rispetto dello spartito, gioco di dinamica. Riccardo Stracciari la indicò come la migliore protagonista incontrata nella propria, lunga carriera. A quella di Celestina Boninsegna deve aggiungersi la testimonianza dell’esecuzione di Amelia Pinto, uno dei grandissimi soprani drammatici nella doppia declinazione di Verdi e Wagner dei primi di decenni del ‘900, che nel 1902 consegnò al fonografo un “Vissi d’arte” che non sai se ammirare più per il timbro scuro, nobile e sontuoso o per la misurata e aderente esecuzione, a riprova che la voce importante non è sinonimo di una Tosca inerte e paga soltanto della propria bellezza vocale. Non per nulla la Pinto, da un certo punto in poi della carriera soprano per hobby e signora della Palermo bene per professione, era stimata una grande interprete prima ancora che una esimia vocalista.
L’altra cantante che conferma l’assunto della necessità dell’essere in equilibrio fra grande esecuzione vocale e grande qualità interpretativa per essere una rilevante Tosca è Ester Mazzoleni, riconosciuto soprano drammatico da Verdi, Meyerbeer e giovane scuola, che nei panni della cantante non incise l’aria, ma i duetti con Giovanni Zenatello e l’arioso del primo atto.
Possiamo anche aggiungere che la prima statunitense vide protagonista Milka Ternina, sotto la direzione di Luigi Mancinelli, celebre Valentina, Isotta e Brunilde ovvero soprano di voce importante e di autentico temperamento drammatico.
Poi negli Stati Uniti ed al Met in particolare prese la voga che Tosca dovesse essere sopratutto femmina e quindi donne bellissime come Lina Cavalieri ed Emma Eames sino a Maria Jeritza e Grace Moore vestirono i panni dell’eroina pucciniana. Diciamo subito che non tutte fecero centro salvo una Claudia Muzio, ossia la divina Claudia più fascinosa che bella, buona vocalista, senza essere una virtuosa, interprete prima di tutto misurata ed attenta alle ragioni musicali e dello spartito. Fu Tosca in tutti i teatri del mondo dalla Scala al Met, dal Colon al Costanzi, dal Lyric Center di Chicago al San Carlo di Napoli. Ebbe probabilmente un modello, se una cantante come la Muzio poteva averne, in Maria Farneti. Oltre al “Vissi d’arte” rimane testimonianza altissima ed unica una buona parte del primo atto, registrato nel 1932 a San Francisco. Nessuna cantate successiva può competere per l’equilibrio di sensualità e sofferenza che la voce e l’interpretazione della Muzio evoca. La dinamica della divina Claudia non è quella esasperata dell’Olivero, la voce non vanta minimamente il fascino timbrico di una Caniglia o di una Tebaldi, eppure non esiste una frase, un accento, una mozione degli affetti di questa Tosca più pertinente di quelle che ha lasciato la Muzio. Dalla registrazione di San Francisco basta estrapolare il finale quando Tosca, sconvolta dalla gelosia esce di scena della frase “Egli vede ch’io piango” con un accenno di pianto represso, il tono disperato e nel contempo intimo di “ed io veniva a lui tutta dogliosa” alle frasette di Tosca “ora stammi a sentire”, “non sei contento, tornalo a dir, lo dici male” ingenua o falsa ingenua, giovane donna innamorata e non diva, che alletta Mario con la promessa di una serata insieme.
A prescindere dalla realizzazione pratica a trent’anni dalla prima rappresentazione era ben chiaro come dovrebbe essere a noi dopo centovent’anni che il personaggio di Tosca ha un difficilissimo equilibrio da rispettare per darne una grande realizzazione ovvero quello fra la diva dalle movenze di diva liberty -mutuata da Sardou ovvero da Sarah Bernhardt e la donna innamorata, passionale ed anche non troppo intelligente o quanto meno obnubilata dalla gelosia. Questo “diktat” tenne lontane dalla protagonista esimie vocaliste, coeve alla Muzio, che rispondevano ai nomi assolutamente illustri di Rosa Ponselle, Elisabeth Rethberg (che cantava, però, Mimì e Butterfly), Giannina Arangi Lombardi, suggerì ad altre come Rosetta Pampanini di limitarsi nella proposizione del ruolo in piazze non primarie, come già aveva fatto Rosina Storchio. Tutte hanno lasciato esecuzioni della romanza di grande fascino sotto il profilo vocale; a tutte loro e più ancora ai loro maestri non sfuggiva che le esigenze di Aida, Desdemona o Leonora di Calatrava non coincidevano con quelle di Tosca. Segnalo che Anita Cerquetti, richiesta da Bing di cantare anche Tosca nella stagione del proprio debutto al Met, rifiutò ruolo e debutto nel massimo teatro nordamericano ben sapendo che al suo fisico per nulla si addicesse il personaggio. Eppure il “Vissi d’arte” di Anita Cerquetti è una realizzazione intensa e puntuale. Come intensa, commovente e puntuale nel rispetto delle indicazioni di Puccino è l’esecuzione di Helene Wildbrunn, che ritengo doveroso proporre perché il soprano austriaco dalla voce sontuosa, dalla tecnica esemplare e dalla linea di canto inappuntabile (era un prodotto della scuola di Rose Papier ossia della scuola di Garcia, la stessa della Storchio o della Callas) è, rispetto ad altre cantanti di area mitteleuropea, meno famosa e, con riferimento all’esecuzione della romanza perché è una delle poche che non si prenda l’abuso del fiato prima del si bemolle di “Signor” (un poco fisso in verità) pur legando e smorzando il successivo la bemolle.
Chissà se anche quest’anno i giornalisti di rai 1 diranno come finisce la storia..della serie finisce male o bene. O diranno frasi del tipo Norma è tutte noi tipo un attrice intervistata credo dalla carlucci a un gala non mi ricordo in quale occasione, forse era al colosseo con bocelli. Ancora una volta credo ammirerò gli stucchi della scala e poi mi scolo unaranciata al bar!
Eccoci qui per un altro Sant’Ambrogio.
Grazie per il brano della Muzio, che colpevolmente non ricordavo come una degna Tosca mentre è la mia Violetta feticcio.
Vale
“Non sappiamo come eseguissero Tosca altre acclamate protagoniste del primo periodo verista…”. Ci pensate voi, no? Come se dice a Roma: “A fanaticiiii…”.
Libertà di pensiero o di caz….a?
Porsi questo tipo di domande equivale a chiedersi come fosse rappresentata esattamente una tragedia greca, o come fosse fatta esattamente la statua di Atena eseguita da Fidia per il Partenone.
Non è fanatismo, si chiama curiosità intellettuale e ricerca!
Sara’ fanatismo, credo, ma poco piu’ di un mese fa, nell’ascoltare dal vivo una recita, ho pensato di rinchiudermi in un antro oscuro a meta’ della canna del pozzo di un giardino, o di scaraventarmi giu’ dal parapetto di Castel Sant’Angelo. A tal mi traggi, Davinia Rodríguez, ma non l’ho fatto, e cosi ora posso ascoltare e vedere questa Tosca con un cast stellare, felice che la protagonista, se lo fa di nuovo (perché lo fa spesso), possa presentarsi in scena dopo essersi scofanata un piatto di fagioli, patate, gnocchi o castagne.
Ah, dimenticavo, ma credo che si sia capito: una recita di Tosca.
L’immagine del non leggero piatto ingurgitato dalla Diva vuole per caso suggerire che costei rutti anziché cantare?
L’emissione e’ perennemente ingolfata, e anche un po stonata, come testimonia lo Chenier ritrasmesso su rai5 qualche giorno fa: vedremo questa sera. Che fine ha fatto Suo marito ? Come Chenier era improponibile: la parodia di un cantante.
ti abbraccerei.credevo di essere l’unico ad accorgermi che la Netrebko ogni tanto stona..dopo averla sentita cincischiare con l’intonazione nel Vissi d’arte e aver letto che Chailly ha dichiarato che era stato magnifica (sic) credevo di aver problemi di udito… comunque più ascolto le innumerevoli incisioni di Tosca più giuro sulla Tebaldi (quella del 1952 o quella con il divino Dimitri)
Il consorte dovrebbe essere a Nuova York a fare La dama di picche
cfr. https://www.forumopera.com/breve/anna-netrebko-une-vraie-fausse-interview-pour-faire-le-buzz
Scusa Danilo, ma non ho capito un caxxo di niente, detto in latino arcaico.
In data 29/10 ho assistito a una recita di Tosca con Davinia Rodriguez nel ruolo della protagonista e non credo che si possa fare peggio; d’altronde ero preparato, avendo gia’ ascoltato dal vivo la Sua Nedda meno di 2 anni fa.
Regio di Torino