E vai con la Tosca: centovent’anni di DIVE !!! seconda puntata

1.facade_du_palais_farnese.facciata_di_palazzo_farneseClaudia Muzio ebbe, nei paesi di lingua tedesca, una collega molto simile per voce e gusto: Lotte Lehmann, anch’essa sovente dedita ai lavori pesanti senza averne lo strumento, che compensava con accento e presenza scenica. Entrambe le cantanti sperimentarono per poche sere il ruolo protagonistico di Turandot per poi fare retromarcia, avendo la voce di Liù. E quello che per la Muzio rappresentò il repertorio verdiano per la Lehmann fu quello wagneriano. A Berlino ed a Vienna in tedesco ed al Met in italiano fu una celebrata  Tosca.  Non era una Tosca solo attrice o solo cantante, offriva al pubblico un  equilibrato connubio fra le due, essenziale per essere credibili Tosche. L’esecuzione sia in italiano dei duetti con Jan Kiepura ed in tedesco dell’aria  non tramandano scelte interpretative uniche e mozzafiato, ma facilità di canto (Tosca non è Leonore di Fidelio dove la Lehmann ricorreva ad accomodi, compensando con l’eloquenza i limiti vocali), la musicalità, l’assenza di compiacimenti vocali,  l’uguaglianza del suoni ed il legato ed aggiungo un gusto molto italiano e moderno fanno capire la passione di Puccini per questa Tosca. Nei duetti la cantante ed il partner Jan Kiepura sono davvero in sintonia come gusto e come espressione amorosa soprattutto nel primo.

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In Italia e nei paesi di lingua spagnola, che dell’Italia erano succedaneo, soprattutto per le grandi tournée nei teatri del Sud America coeve alla Muzio ci furono alcune Tosche molto famose e, aggiungo efficienti ed efficaci,  come Gilda Dalla Rizza, Bianca Scacciati, Iva Pacetti, Giuseppina Cobelli.  Le registrazioni esistenti testimoniano che come esecutrici ed interpreti fecero quasi centro. Quasi perché la Scacciati è facilissima e  penetrante in alto, ma il gusto, talvolta, eccede e la zona grave della voce risente di una emissione non esemplare, un po’ aperta che si riverbera in una esecuzione che, in alcuni punti, suona artefatta. Ad esempio nell’assolo “ed io venivo a lui tutta dogliosa” quando la scrittura vocale sale e si intensifica la carica drammatica la Scacciati canta con irrisoria facilità e lo stesso accade nella scena della tortura dove  la facilità degli acuti e nella tessitura davvero impervia di talune frasi sono esemplari e pochissime protagoniste posso competere con il soprano fiorentino, che poi si lascia andare ai vezzi del tempo come “sogghigno di demone” parlato. Preciso che una simile “prodezza” di gusto verista è  oggi difficile da tollerare e la sola Olivero, che la esibì sempre,  riesce a non renderla quella che è ossia una cialtronata verista. Ma era l’Olivero e la Tosca del soprano piemontese fa parte della storia dell’interpretazione per molti aspetti.

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Nel 1938 il divo Beniamino Gigli doveva registrare per la Emi Tosca con protagonista Iva Pacetti, con la quale aveva eseguito in quello stesso anno Tosca a Londra e di cui esiste –e lo proponiamo – un estratto del terzo atto per la qualità della voce e del canto di entrambi i protagonisti. La Pacetti si ammalò e venne sostituita da Maria Caniglia che in quel momento era considerata la voce più sontuosa ed importante di soprano spinto, dedita soprattutto alla giovane scuola ed al tardo Verdi.

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La registrazione del 1938 non è una valida registrazione;  la voce della Caniglia  risulta schiacciata negli acuti e forzata e l’interprete un poco sopra le righe. Soprattutto nella registrazione non risalta l’eccezionale qualità timbrica della Caniglia voce dolce, morbida e femminile, capace di arcate di fiato e di buone sfumature anche perché le era sufficiente cantare mezzo forte, evitando forzature d’accento, che si trasformavano in forzature vocali per esibire un timbro che rese -e con ragione- la Caniglia il primo soprano della sua generazione ed il più imitato delle successive. Paradossalmente sono migliori come resa vocale ed aderenza a quello che doveva essere il timbro davvero aureo e sontuoso del soprano napoletano  registrazioni successive live e precisamente una del 1950 ed una del 1954 sempre al San Carlo, il teatro che, più di ogni altro, considerava la cantante.

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La Tosca di Maria Caniglia risponde ai canoni dell’epoca per una voce di voce sontuosa, di timbro amoroso e congiunto alla potenza vocale ritenuta essenziale nel secondo atto e nei momenti della funesta gelosia,  come pure certe smorzature canoniche alla romanza ed ai duetti.  La Tosca della Caniglia dal vivo non era inarrivabile, come quella della Muzio. Era e rimase il modello di come venisse concepito il personaggio e la sua realizzazione scenica e vocale per almeno trent’anni, salvo eccezioni. Talmente modello che  almeno due protagoniste (Renata Tebaldi ed Antonietta Stella)  di grande importanza si attennero in parte a quel modello nei successivi venti anni. Con una differenza che la Tosca di Renata Tebaldi per la bellezza del timbro e l’aderenza ad una visione passiva e femminile del personaggio ha fatto davvero epoca.

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Poi si può eccepire che la Tosca della Tebaldi sia troppo inerte e talvolta assente come interprete paga di  un timbro straordinario ( salvo gli acuti estremi). A tanta fama non è giunta la realizzazione di Antonietta Stella. Eppure alla Tosca del soprano perugina nulla manca per essere una protagonista di levatura e di riferimento. La Stella aveva una voce di grande qualità e facilissima in alto, molta di più della Tebaldi, di grande espansione  (cantava il tardo Verdi Puccini con ritmi a dir poco forsennati retti per  per almeno tre lustri) smorzava con facilità e legava con altrettanta, le capitava raramente di forzare e quindi di intaccare la qualità del suono, che in tutta la gamma della voce era davvero raggiante e splendente. In una registrazione del 1958 con la sfolgorante e drammatica direzione di Dimitri Mitropoulos al Met, nonostante la definizione della cantante del Met come una “catena di montaggio” taluni passi dell’opera come “ed io veniva a lui tutta dogliosa”, la romanza del secondo atto in tempo lento, ma non indugiante come quelli staccati dallo stesso direttore per la sontuosa voce di Tebaldi hanno ben pochi paragoni prima e dopo. Forse  ad Antonietta Stella  un accento singolare o un timbro  che non si asolo genericamente bello, ma non “particolare” come quello di Renata Tebaldi. Eppure in certe frasi “non la sospiri” “ed io veniva a lui tutta dogliosa” “son io che cosi torturate etc” Antonietta Stella è davvero grande.

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Poi si può anche dire e sarà la nostra terza riflessione che esistono le protagoniste che del dire hanno fatto la loro chiava di lettura del personaggio ed i nomi sono ovvi: Eleanor Steber, Maria Callas e Magda Olivero ed almeno in un caso non siamo davanti alla diva, ma alla divina.

4 pensieri su “E vai con la Tosca: centovent’anni di DIVE !!! seconda puntata

  1. Ogni volta che sento il nome di Claudia Muzio la prima registrazione che torna alla mente é quella di sorgi o padre di bellini non so perché. Una bella esecuzione ma questo avrei dovuto scriverlo nell’altro post. Comunque Gigli a ragione é uno dei più grandi però spesso lo trovo troppo melenso se non addirittura troppo esagerato nellinterpretare, sulla tecnica nulla da dire, ma se dovessi andare su Marte e dovessi scegliere un disco di un cantante da portare di sicuro non sceglierei lui.

    • Ma davvero vi piace??? Avrà squillo ma prende fiati a destra e a manca rompendo continuamente la frase musicale..e la dizione? Orrenda. Proponendo ascolti come questi si rischia di fuorviare gli inesperti…

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